Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
Guida al gruppo C
17 nov 2022
Il girone dove si può ammirare Messi (ma non solo).
(articolo)
10 min
(copertina)
JUAN MABROMATA/AFP via Getty Images
(copertina) JUAN MABROMATA/AFP via Getty Images
Dark mode
(ON)

Qatar 2022 si porta dietro questioni problematiche, in questo articolo abbiamo raccolto inchieste e report che riguardano le morti e le sofferenze ad esso connesse.

Il giorno del sorteggio dei gironi del Mondiale ero appena arrivato in Argentina; ho seguito l’estrazione degli accoppiamenti dai tavoli di un circolo un po’ dimesso, in cui l’aria profumava di milanesa e ottimismo, a due passi dalla Biblioteca Nacional. Ad aprile la fiducia dell’Albiceleste era già piuttosto solida: la vittoria in Copa América, e le successive rimanenti gare di qualificazione (l’Argentina ha terminato il suo percorso senza sconfitte, seppur a sei punti di distanza dal Brasile), avevano restituito agli argentini una Selección piena di sé, ma non tronfia. La Scaloneta poteva contare già – e la vittoria nella Finalissima di Wembley, in cui ha asfaltato l’Italia, non avrebbe che consolidato le impressioni – su un impianto di gioco dall’identità ben definita, un gruppo affiatato, un riferimento offensivo particolarmente prolifico e un leader in grandissimo spolvero, mai così máximo.

Una situazione di ottimismo ecumenico, insomma, ha accompagnato tutta la cerimonia – un po’ kitsch – del sorteggio, con l’impressione di fondo, sfacciatamente immemore di quello che accadde nel 2002, ma anche nell'ultimo Mondiale, che nulla di storto sarebbe potuto capitare, e che gli accoppiamenti non avrebbero mai potuto essere malevoli. E in effetti non lo sono stati, dal momento che i nomi usciti dalle urne sono stati quelli di Messico (accolto con un sospiro di sollievo, nella pallina precedente c’era l’Olanda), Polonia e Arabia Saudita.

Per l’Argentina è andata di lusso? A pensarci bene sembra di sì.

Favorite per il passaggio del turno

L’Argentina è la grande favorita per il passaggio del turno, anche se in una maniera diversa dal solito. Lionel Scaloni, che sarà il più giovane tecnico della competizione, è reduce da una striscia di imbattibilità che dura da 35 partite, ma anche da un processo di evoluzione e rinnovamento della rosa su basi più pratiche e meno teoriche. È riuscito a dar vita a un contesto tattico che se da una parte è profondamente funzionale alla massimizzazione del rendimento del suo diez, dall’altra riesce anche – in qualche modo – a prescinderne, o quantomeno a sopravvivere alla sua assenza. Il fatto che nella rosa siano presenti 19 debuttanti in una Coppa del Mondo, inoltre, non può che giocare a suo favore: nell’Albiceleste c’è un’intera generazione che non ha vissuto l’onta delle tre finali consecutive perse, e che si è cementato nei recenti trionfi in Copa América e nel bel percorso di qualificazione.

L’intuizione più geniale di Scaloni è stata quella di armare un centrocampo di ottimi palleggiatori, calciatori molto associativi, che mettessero Messi nella condizione di agire liberamente da vero enganche, alle spalle di un centravanti, Lautaro, e di un’ala pronta ad accentrarsi, come Nico González, o Di Maria, o perché no Julian Álvarez. Del terzetto composto da De Paul, che anche grazie a Scaloni si è trasformato in una magniloquente mezzala, Paredes e Lo Celso, in Qatar mancherà quest’ultimo, e non sarà una perdita da poco: il centrocampista del Villareal è il più presente nell’era Scaloni, quello che ha realizzato più assist nelle eliminatorie e soprattutto quello che ha scambiato più volte il pallone con Messi. In lizza per sostituirlo, oltre al Papu Gómez (che Scaloni ha spesso utilizzato da interno) e a Alexis Mac Allister, c’è anche uno dei prospetti più interessanti sbocciati nell’ultimo semestre, Enzo Fernández.

Se l'Argentina ha, seppur la tradizione dice il contrario, i gradi di favorita, chi può seguirla (o, perché no, impensierirla)?

Il Messico di Gerardo “Tata” Martino, nonostante abbia chiuso il girone CONCACAF in testa, a pari merito con il Canada, è una squadra che sta sperimentando un processo di rifondazione, e che allo stesso tempo, però, sembra attraversare un momento di stagnazione calcistica. Priva del suo astro più brillante, il “Tecatito” Corona, che per infortunio è costretto a saltare il Mondiale, El Tri oggi è un mèlange di giovanissimi (quattro undicesimi dell’undici iniziale del “Tata” erano nella squadra di Jaime Lozano che ha vinto il bronzo alle Olimpiadi di Tokyo) e dinosauri, su tutti Andrés Guardado – al suo terzo mondiale – e soprattutto Guillermo Ochoa, il portiere con più presenze nella storia del calcio messicano, alla quinta partecipazione iridata.

Il problema dei messicani, però, è nella prolificità del loro attacco: al fianco di Hirving Lozano, infatti, El Tri non può contare su un attaccante di peso. Con Jiménez non ancora al massimo della forma, le alternative di cui Martino si è fidato sono Henry Martín e l’argentino naturalizzato Rogelio Funes Mori, molto amato dal “Tata” per la sua associatività, ma entrambi reduci da un inizio di stagione piuttosto sterile. Nelle ultime uscite il “Tata” ha addirittura provato a schierare un’ala, Alvarado, come falso nueve, continuando a non convocare il “Chicharito” Hernández. La sua assenza è forse proprio il segno dell’ostinazione del “Tata” a voler perseguire un progetto, anche tattico, a non snaturare la sua strategia per rincorrere delle suggestioni, che però nel breve periodo di un Mondiale possono sempre riservare sorprese o, quantomeno, rendere il pubblico meno tiepido nei confronti di una Nazionale che non arriva con grandi speranze in Qatar.

Il timore, per El Tri, è quello di non riuscire a rompere neppure questa volta la maledizione della “Quarta Partita”, e finalmente superare indenni gli ottavi di finale (ai quali il Messico si qualifica ininterrottamente dal 1994, senza mai riuscire a scavallarli). «In Messico non siamo sicuri che il futuro esista», ha detto una volta lo scrittore messicano Juan Villoro: «ogni gioia può essere l’ultima». Sarà per questo che nonostante tutti i minus il pubblico messicano riesce comunque sempre ad essere meravigliosamente e scaramanticamente entusiasta.

Un entusiasmo simile alla spensieratezza è anche quello che pervade Czeslaw Michniewicz, il tecnico della Polonia che ha battuto la concorrenza di Shevchenko e Fabio Cannavaro nella successione al dimissionario Paulo Sousa e che ha esordito alla guida dei polacchi nella gara decisiva dei play-off vinta con la Svezia. Gara secca, vittoria. Basta per essere ottimisti? Durante la conferenza stampa per l’annuncio della rosa dei 26 convocati ha detto che sarebbe adeguato trascorrere il Barborka, la giornata dei minatori, e San Nicola in Qatar: il Barborka si festeggia il 4 Dicembre, il che significa che per Michniewicz il passaggio del turno è l’obiettivo minimo prefissato.

Nonostante appaia un po’ come la versione sbiadita e sfilacciata della squadra hipster che si è presentata – deludendo, peraltro – agli Europei 2020, i polacchi possono contare su una spina dorsale composta da giocatori piuttosto esperti – Szczesny, Glik, Krychowiak e ovviamente un Piotr Zielinski discretamente on fire –, nuove leve entusiasmanti – Kiwior, Zalewski e il playmaker del Feyenoord Szymanski – ma soprattutto sul più forte centravanti al mondo nell’ultimo lustro, Robert Lewandowski, dal cui stato di grazia dipendono in maniera quasi esclusiva le possibilità di passaggio del turno dei polacchi: se in Qatar manterrà il ruolino di marcia intrapreso tra le macerie del Barcellona in questo inizio di stagione, vederlo incunearsi tra le difese avversarie potrebbe trasformarsi in qualcosa di simile a uno snuff movie.

La squadra più interessante

Forse non "interessante" nel senso più classico del termine, ma in un girone aperto, con una squadra forte e due con parecchi difetti, sottovalutare l'Arabia Saudita di Hervé Renard sarebbe un errore. Il giramondo tecnico francese ha rilevato Juan Pizzi dopo il deludente Mondiale di Russia e l’eliminazione dalla Coppa d’Asia dell’anno successivo di fronte al Giappone.

Quella apportata da Renard negli ultimi tre anni è stata una piccola rivoluzione intima: da una parte ha puntato sulla valorizzazione di calciatori che erano già capisaldi della nazionale dei "Falconi Verdi" allenata da Pizzi, in primis la talentuosa ala Salem "Tornado” Al-Dawsari e il capitano, roccioso argine di centrocampo, Salman Al Faraj, che Renard definisce «un profilo à la Thiago Motta»; dall’altra ha lanciato alcuni giovani, o calciatori precedentemente mai convocati in Nazionale, come il centrale Abdulelah Al-Amri o il centravanti Firas Al-Burakain, che Renard ha fatto esordire appena diciannovenne: un centravanti più associativo che prolifico, e quindi perfetto per innescare la propulsività di Al-Dawsari.

«Bisogna essere ambiziosi», ha dichiarato Renard in un’intervista al sito della FIFA, «Andare a un Mondiale senza ambizione non serve a niente. Dobbiamo credere di avere una chance, e spingerci fino ai nostri limiti». Il fascino di Hervé Renard, e probabilmente tutta la sua forza, è nella miscela solo apparentemente inconciliabile tra retorica mistica e maniacale attenzione ai dettagli, tattici ed extracalcistici. Con il suo staff ha seguito tutte le partite del campionato saudita, in cui giocano tutti e 26 i calciatori convocati. D’accordo con la Federazione, il campionato si è interrotto due mesi prima dell’inizio del Mondiale, il che ha permesso a Renard di organizzare 6-e-dico-6 amichevoli pre-mondiali, per testare i calciatori che sarebbero stati più utili alla causa.

Il fattore ambientale, inoltre, giocherà a favore dei sauditi, acclimatati alle condizioni in cui si giocherà in Qatar. Per non parlare dell’entusiasmo che potrebbe pervaderli nel caso in cui l’esordio con l’Argentina dovesse essere non particolarmente disastroso. Insomma, non sarei così certo di salutare i "Falconi Verdi" come il cucchiaio di legno conclamato del girone.

Partita da non perdere

Argentina-Arabia Saudita, la prima del girone, potrebbe anticipare molti dei temi: potrebbe dirci molto sullo stato di forma dell’Albiceleste, sull’impatto emotivo, ma anche sull’effettiva capacità di resa, e di incasso, dei Sauditi. In qualche maniera, i destini del gruppo potrebbero dipanarsi in maniera importante proprio a partire da quella gara.

Giocatore da seguire

Pablo Aimar, vice di Scaloni, ricorda spesso che una volta Michael Jordan gli disse - è una frase che amava ripetere - che in campo dava sempre il massimo perché pensava agli spettatori che avrebbero avuto una sola occasione di osservarlo in azione dal vivo. Immagino che animato dallo stesso spirito scenderà in campo Lionel Messi: questo sarà il suo ultimo Mondiale, al quale peraltro arriva con 993 presenze tra club e Albiceleste in gare ufficiali. Insomma, a sole 7 partite dalla numero 1000. E non serve essere grandi matematici per intuire quale possa essere la settima partita mancante. Messi si presenta in Qatar da caudillo, demiurgo, pantocratore, motivatore: inevitabilmente gli occhi di chiunque osserverà questo girone saranno puntati su di lui.

Giovane più eccitante

Enzo Fernández è l’ultima grande gemma lavorata da Marcelo Gallardo al River Plate. Giunto in Europa solo apparentemente dalla porta di servizio, al Benfica, Roger Schmidt gli ha da subito affidato le redini del centrocampo, in cui ha messo in mostra non solo grandi doti da interditore e recuperatore di palloni, ma anche una visione di gioco a sprazzi geniale, impreziosita da una sensibilità tecnica nello stretto e ad ampio raggio (nel campionato portoghese è il giocatore che effettua più lanci lunghi a partita, 9) che è sembrata lievitare di pari passo alla sua abitudine al calcio europeo, e una predisposizione all’associazione (in media effettua 94 passaggi a partita). Anche se in totale non ha totalizzato che 60 minuti con l’Albiceleste, il fatto che sia cresciuto molto, nell’anno in prestito al Defensa y Justicia, nel brodo tattico di Sebastián Beccacece, lo rende in qualche modo già pronto per Scaloni. Che non è tipo da sperimentazioni in momenti così importanti, ma che in Enzo potrebbe trovare il sostituto perfetto per Lo Celso.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura