• Guida alla Serie A 2021/22
Francesco Lisanti

Guida all’Inter 2021/22

Quanto è davvero cambiata l'Inter?

 

 

Chi in più: Lucien Agoumé, Hakan Calhanoglu, Alex Cordaz, Federico Dimarco, Denzel Dumfries, Edin Dzeko.

 

Chi in meno: Achraf Hakimi, Romelu Lukaku, Ashley Young, Andrea Pinamonti.

 

Una statistica interessante dello scorso campionato: Inter e Sassuolo, più di ogni altra squadra del campionato, hanno realizzato 16 punti partendo da situazione di svantaggio: no more Pazza Inter?

 

Piazzamento lo scorso campionato:

 

Il pacchetto difensivo rimane un’intoccabile certezza, ma il mercato potrebbe ancora mescolare le carte in tavola, almeno una.

 

All’alba del mese di maggio, all’interno dell’ambiente interista, circolava vorticosamente la parola «ciclo». Per esempio Eriksen, intervistato da La Gazzetta dello Sport: «Questo scudetto era difficile da raggiungere e invece ce l’abbiamo fatta a 4 giornate dalla fine: questo è un buon punto di partenza. Ora possiamo continuare e costruire un ciclo». Oppure Lukaku, nello stesso periodo, sulle pagine del Corriere della Sera: «Non penso che Conte vada via, è veramente contento perché si trova bene. Ha una squadra che lo segue e gli dà grande disponibilità, in allenamento e in partita. Abbiamo tutto per aprire un nuovo ciclo».

 

Alla fine di ciclo si è trattato, ma con ritorno al punto di partenza. Non c’è più Conte, non c’è più Lukaku, non c’è più Hakimi, sgraziatamente nemmeno più Eriksen (almeno per adesso). Ovvero, e vale la pena marcare questo concetto perché qualsiasi cosa, bella o brutta, succederà all’Inter questa stagione dovrà essere analizzata a partire da questa premessa: non ci sono più l’allenatore che aveva convinto l’Inter di poter diventare una squadra vincente, e gli unici tre giocatori di caratura veramente mondiale che presi uno contro uno garantivano un vantaggio immediato contro qualsiasi avversario in qualsiasi campo.

 

«Ora sono cazzi tuoi», ha cantato la Curva Nord dagli spalti del Tardini, durante l’amichevole contro il Parma, in un coro delizioso dedicato a Simone Inzaghi. Questa brillantezza forse era mancata durante la festa scudetto, un po’ fredda sul piano creativo, senza picchi, senza cori personalizzati per i giocatori, spesa nella replica incessante di La capolista se ne va, forse per l’incredulità verso quanto stava accadendo, oltre che per il timore che potesse sfumare da un momento all’altro.

 

Adesso i tifosi interisti ritrovano un ambiente magari più familiare: lacune di bilancio, cessioni frettolose, rinnovi discutibili, campagne di ridimensionamento. Anche Milito si era preso la corona e lo scettro per poi dire letteralmente un minuto dopo che in fondo il Real Madrid non era poi così male.

 

Una squadra obbligata a cambiare

Dopo la vittoria dell’ultimo campionato, il portiere e l’esterno sinistro sembravano gli anelli leggermente più deboli di un undici titolare molto forte: in estate è arrivato solo un esterno sinistro, Dimarco, brillante nell’ultima stagione giocata da titolare nel Verona di Juric, dove però aveva riferimenti diversi, come Zaccagni davanti a lui, che gli permettevano di interpretare il ruolo di esterno a tutta fascia in modo più funzionale alle sue caratteristiche, triangolando nel breve, tuffandosi all’interno del campo, con le conduzioni d’esterno.

 

Ci sono ancora dubbi ragionevoli sulla tenuta atletica di Dimarco in un ruolo così dispendioso, tanto che Juric lo aveva progressivamente arretrato nel ruolo di difensore centrale nel corso della stagione, offrendo però alla stampa una spiegazione interessante: «Il raggio d’azione come terzo è ampio: da quinto sei lì sulla linea». Però non è detto che Inzaghi non possa ricamargli intorno nuovi equilibri: nel pre-campionato abbiamo visto spesso Bastoni andare a giocare posizionalmente da terzino sinistro, coprendo lo spazio alle sue spalle con tempismo, o nella partita contro il Genoa lo stesso Dimarco agire da terzo di sinistra negli ultimi cinque minuti dopo l’uscita di Bastoni.

 

L’Inter potrebbe essere una squadra interessante: qui Calhanoglu fa il playmaker e sei uomini attaccano la difesa della Dinamo, il più esterno a sinistra è Bastoni.

 

Il titolare sulla fascia sarà presumibilmente Perisic, che in fondo l’anno scorso è sembrato veramente a suo agio in quel ruolo solo per cinquanta giorni, cioè i cinquanta giorni decisivi per la vittoria del campionato, ma per quel che vale è apparso molto in forma nelle ultime settimane. È stato lui ad avviare, recuperando in estensione un cambio di gioco leggermente fuori misura di Sensi, il gol simbolo dell’estate interista, quello che ha fatto venire voglia ai tifosi di tornare allo stadio: Perisic converge verso destra, mette un pallone strano addosso a Barella che per farlo arrivare a Skriniar, alle sue spalle, deve accompagnarlo voltandosi con tutto il corpo, Skriniar in verticale per Dzeko, tacco per Sensi, tacco per Barella, tiro pazzo in spaccata nell’angolino basso, gol.

 

È stata a lungo sottolineata la continuità di modulo, il 3-5-2, conseguente alla scelta della dirigenza di puntare su Simone Inzaghi. Il vantaggio principale per l’Inter è quello di poter continuare a contare sulla solidità di Bastoni, De Vrij e Skriniar, la difesa che ha subito meno gol nell’ultimo campionato. L’Inter di Inzaghi poggerà molto sulla qualità del reparto arretrato, e non solo in chiave difensiva: abbiamo già visto in queste prime uscite tutti e tre i difensori molto più responsabilizzati con e senza il pallone, più aggressivi nella riconquista del possesso e più presenti nella metà campo avversaria.

 

Ma al di là delle sfumature tattiche, non potrà mai essere somigliante, e dovrà necessariamente inventarsi qualcosa di nuovo una squadra che si trova a dover sostituire Eriksen, Hakimi e Lukaku nel giro di due mesi. È quindi necessario ragionare su come questo vuoto sia stato colmato.

 

Non era un compito facile quello della dirigenza, chiamata a prendere dei rischi con pochissimo potere d’acquisto, ma è stato un rischio quello di dare 5 milioni a Calhanoglu e Dzeko, indicativamente il doppio di quanto guadagnano al momento Barella e Lautaro, che avranno al termine della stagione rispettivamente due e un anno di contratto residui, e stanno entrambi discutendo la propria posizione.

 

Calhanoglu finora è sembrato valere l’investimento: dovrà un po’ costringersi nei ranghi della mezzala ma nelle prime partite è sembrato molto coinvolto nella manovra, ha battuto i calci d’angolo e le punizioni, si è spinto in area di rigore quando Sensi si abbassava davanti la difesa per ricevere palla. L’Inter sembra insomma continuare ad avere un centrocampo molto forte per il campionato.

 

Tornerà molto utile la qualità nella verticalizzazione di Calhanoglu, che qui manda in porta Dimarco per il gol del 2-0. Da sottolineare il lavoro spalle alla porta in posizione arretrata della punta, Pinamonti, che potrebbe calzare perfettamente su Dzeko.

 

In attacco però, anche mettendo totalmente da parte le recenti medie realizzative, Dzeko ha giocato 9 partite e 1000 minuti in meno rispetto a Lukaku la scorsa stagione, e va a inserirsi in un contesto in cui al momento Lautaro non sta benissimo (ha un risentimento muscolare che lo rende in dubbio anche per la seconda giornata), ed è un dramma. Però Dzeko è apparso complementare nell’attacco fluido visto contro la Dinamo Kiev, con Sensi, Calhanoglu e Barella sempre proiettati in avanti. È stato in grado persino di buttarsi in profondità, quasi alla Immobile, nell’azione del secondo gol. Poi ha esordito in campionato con una prestazione fenomenale contro il Genoa, condita da un bel gol.

 

È evidente che all’Inter manchi almeno una pedina in attacco, dove sono rimasti solo Lautaro, Dzeko, Sánchez mezzo rotto e Satriano, attaccante uruguagio della Primavera scoperto durante l’estate, con una tecnica di protezione del pallone spalle alla porta che lo rende speciale. Scopriremo nei prossimi sette giorni se la telenovela che intreccia Belotti, Zapata, Correa e Thuram avrà una sua risoluzione, ma nel frattempo l’Inter ha mostrato buone idee offensive, ed è la notizia più importante in vista di «una stagione difficile e complicata», come ha detto Zanetti durante un evento a Biella.

 

Sarà Inzaghi il grande acquisto estivo?

Zanetti non è stato il primo a mettere le mani avanti sul passo indietro in termini di risultati che potrebbe attendere l’Inter, lo aveva già fatto Marotta in tempi non sospetti. Le parole con cui il massimo dirigente interista aveva scelto di introdurre la presentazione alla stampa di Inzaghi, a risentirle oggi, perché forse il 7 luglio l’Italia aveva appena battuto la Spagna e non eravamo dell’umore di percepirne la gravità, risuonano particolarmente cupe e angoscianti.

 

In breve: Marotta inizia annunciando una stagione difficile, poi allarga il contesto alla crisi mondiale, ai debiti del calcio, alla proprietà che ha già iniettato 700 milioni e più di questo non le si può chiedere, poi definisce l’annuncio di Inzaghi «motivo di grande orgoglio, perché significa che il progetto dell’Inter continua». Come se anche questa possibilità non fosse così scontata, come se a un certo punto la scelta fosse tra demolire il centro sportivo e non iscrivere la squadra al campionato (come è successo allo Jiangsu Suning) o assumere Simone Inzaghi, e alla fine fosse arrivato Inzaghi, la pietra su cui poggia il regno.

 

Inzaghi durante la presentazione è apparso molto teso ma si è un po’ sciolto quando gli hanno chiesto in cosa il suo arrivo avrebbe portato continuità o discontinuità rispetto alla presenza di Conte, e in particolare alla parola “continuità” si è illuminato, l’ha ripetuta molte volte, prima di concludere «il mio compito è di dare continuità, cercando di ottenere gli stessi obiettivi». E la continuità con il biennio di Conte, oltre che attraverso il modulo, dovrà cercarla principalmente nell’idea di dominare le partite, di non sentirsi inferiore a nessun avversario tanto nella preparazione quanto nell’esecuzione della gara.

 

Una prima discontinuità però si è vista nell’approccio alla gara, perché l’Inter di Conte, forse più ossessionata dal controllo, anche atletico e mentale, tanto da concedere spesso nelle grandi occasioni il possesso agli avversari, non ha mai mostrato i picchi di intensità che ha messo in campo l’Inter di Inzaghi, che è stata a tratti asfissiante nelle poche occasioni in cui abbiamo modo di vederla in campo. Contro il Genoa, veramente troppo macchinoso e arrendevole, non abbiamo però avuto occasione di vedere il rovescio di questa trasformazione, cioè la leggerezza, la banalità con cui l’Inter si ritrova a subire transizioni lunghe quando le cose vanno male.

 

Mancano dieci minuti alla fine di un’amichevole vinta con distacco e l’Inter porta nove uomini nella metà campo avversaria, sovraccaricando, con Vecino, il lato di possesso della Dinamo, che però poi riuscirà ad uscirne in qualche modo e arriverà al tiro in porta.

 

Questo dipende anche dalla grande fluidità che l’Inter si ritrova ad assumere sia in fase di possesso che di aggressione. Lo si è visto più volte nel secondo tempo contro la Dinamo, dove un po’ gli errori degli ucraini, un po’ la grande qualità di Bastoni, De Vrij e Skriniar nell’arretrare e difendere l’area, non hanno portato al gol o neanche a costruire occasioni. Da questo punto di vista, proprio investendo tutte le sue pedine sul trio di difesa, potrebbe essere anche un rischio accettato da Inzaghi per ricavare il meglio dal suo attacco. Potremmo doverne discutere più avanti, quando la qualità degli avversari crescerà.

 

Nel frattempo, è sorprendente come Inzaghi sia riuscito, veramente in pochi giorni, a rispondere alla domanda principale intorno all’Inter di quest’anno: quanto saranno coinvolti i giocatori nel progetto? Quanto riusciranno a restare professionali e concentrati col timore di un altro blocco degli stipendi, di un’altra cessione inattesa e non comunicata? Quanto si divertiranno a giocare nell’Inter? Dovremo continuamente tastare il polso dell’Inter, nel corso della stagione, per capire se è attrezzata a trecentosessanta gradi per competere in Europa e per lo Scudetto (tra le tante cose è andato al Real Madrid l’ex-preparatore atletico Pintus, ritenuto uno dei migliori del suo ruolo), ma per ora la risposta sembra essere positiva.

 

Sono tutti estremamente coinvolti in tutte le fasi, che è un po’ il requisito minimo per competere in Europa in questa epoca, ma l’Inter di Inzaghi in particolare ha brillato per presenza nella partita e applicazione. Il sacrificio degli attaccanti nel ripiegamento ha poi permesso di innescare quelle transizioni fulminanti, con gli avversari che non riescono mai a prendere i riferimenti, che hanno marchiato già la Lazio di Inzaghi (tipo: il gol di Dzeko alla Dinamo Kiev). La presenza dei difensori sulla trequarti avversaria invece ha permesso di soffocare per decine di minuti qualunque velleità degli avversari, in particolare il Genoa.

 

Abbiamo visto veramente troppo poco, ed è veramente presto per esprimere un giudizio (per esempio manca un attaccante, che visto il forte legame della dirigenza con Raiola, che ha già portato ad un prezzo contenuto Dumfries, potrebbe ragionevolmente essere Thuram, che però si è infortunato nell’ultima partita giocata e potrebbe quindi sfumare). Ma quando Marotta dice che è arrivato Inzaghi quindi il progetto continua, magari dobbiamo semplicemente accettare che ha ragione lui.

 

Giocatore chiave

Le conclusioni battezzate fuori prematuramente, i movimenti lenti, le uscite incerte: Samir Handanovic ha compiuto 37 anni questa estate e magari è giusto che non sia più lui il portiere titolare dell’Inter, non spetti a lui alla decima stagione di onorata attività, tra cui alcune statisticamente straordinarie, avere addosso una luce dei riflettori così grande. Cosa si può rimproverare ad Handanovic, che ha fatto tutto quello che poteva fare per restare così a lungo un giocatore professionista? Si è aumentato pochino lo stipendio finché se l’è potuto aumentare, e l’ha tagliato appena ha dovuto tagliarlo, non si è praticamente mai pronunciato su nulla, si è intestato la fascia da capitano quando nessuno la voleva, ha imparato persino a giocare con i piedi, con discreta affidabilità. Lunga vita ad Handanovic, e un po’ in generale a tutti, visti i tempi di morigeratezza finanziaria. Ma è Handanovic uno dei bivi fondamentali della stagione: arriveranno tante partite importanti e avrà una pressione incredibile addosso, la paura che non si tuffi neanche, che incroci male le braccia, e ne uscirà con la consueta noncuranza, infilando qui e lì qualche parata straordinaria.

 

Giocatore da prendere al Fantacalcio

Se come me avete deciso di sperimentare la nuova metrica del Quality Assist e se come me avete sempre con voi Niccolò Barella in squadra, vi sarete resi conto che ha fissato l’asticella un po’ troppo in alto per tutti gli altri con l’assist a Vidal (infatti nella mia lega si è discusso molto del come mai quello di Milinkovic-Savic per Lazzari non fosse stato valutato allo stesso modo), colpendo in controtempo nell’unico modo in cui poteva colpirla bene, perché il pallone era alto, e con il tacco lo mette giù, con il piatto avrebbe potuto più facilmente svirgolare. Quest’anno purtroppo ha perso la M, ma proprio per questo approfittatene, “eh, ha perso la M, cosa vuoi che valga” mentre tutti spendono per Kessié.

 

Per dovere dico che i calci piazzati li tira Calhanoglu ma soprattutto che i fantacalci si vincono con la difesa dell’Inter, quindi avere in rosa uno, due o tre dei quattro titolari male non fa, ma per una mossa con più stile potete puntare come Inzaghi su Stefano Sensi, una C che gioca da seconda punta, e magari i vostri amici manco si sono accorti che è rientrato in campo.

 

Peggiore scenario possibile

La cessione di Barella al Liverpool nel mercato invernale fa puntare i piedi a Bastoni, che passa immediatamente alla Juventus, e a Lautaro, che decide di andare a scadenza e segna 4 gol nel girone di ritorno. Inzaghi porta avanti in qualche modo, sempre più magro e pallido, una squadra che fatica a fare gol. Dopo un pareggio in casa 1-1 all’ultima giornata contro una Samp abbondantemente salva, sigilla il sesto posto.

 

Migliore scenario possibile

L’Inter regge il doppio impegno conservando la stessa intensità e conquista per la prima volta dal 2011/2012 gli ottavi di Champions League, restando in testa al campionato punto a punto con le altre grandi. Il percorso dell’Inter si ferma lì, ma quello della Juventus no: alla trentunesima giornata, due giorni prima dell’andata dei quarti di finale, proseguendo col suo calcio aggressivo, rapido, piratesco, l’Inter di Inzaghi vince a Torino e mette la testa davanti. Alla fine è Scudetto.

 

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Francesco Lisanti è nato a Matera nel 1994, a Torino si è laureato ingegnere, a Milano ha iniziato a lavorare. Deve tutto al blog di Wannabe Radio. Al momento si divide tra la passione per il calcio e la pianificazione della produzione.