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Guida al Napoli 2022/23
04 ago 2022
La squadra di Spalletti è tra la fine di un ciclo e l'inizio di un altro.
(articolo)
10 min
(copertina)
Cesare Purini/Mondadori Portfolio via Getty Images
(copertina) Cesare Purini/Mondadori Portfolio via Getty Images
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Piazzamento lo scorso campionato:

Chi in più: Min-jae Kim (Fenerbahce), Mathias Olivera (Getafe), Khvicha Kvaratskhelia (Dinamo Batumi), Leo Ostigard (Brighton).

Chi in meno: Kalidou Koulibaly (Chelsea), Lorenzo Insigne (Toronto), David Ospina (Al-Nassr), Faouzi Ghoulam, Dries Mertens, Kevin Malcuit (svincolati).

Una statistica interessante della scorsa stagione: Il Napoli è la squadra che ha effettuato più passaggi nel terzo offensivo, con una media di 119,4 passaggi riusciti a partita.

Non è un momento facile per il tifo azzurro. Gli ultimi eroi del Napoli di Rafa Benitez, il ciclo che ha messo le basi alle fortune recenti, hanno lasciato la squadra. Certo, parliamo ormai del 2014 e un ringiovanimento s’imponeva. Ma il tutto si poteva programmare meglio, gestire diversamente. Se pensiamo agli addii dei due grandi del calcio italiano, Del Piero e Totti, gli stadi pieni, i giri di campo, le parole che si diffondono attraverso gli amplificatori dello stadio, erano tutti elementi che assolvevano a una sola funzione: la catarsi. Sulle lacrime versate si ponevano le basi per la ricostruzione, per un nuovo inizio. I mancati saluti a Mertens e a Koulibaly, in bilico per i rispettivi rinnovi oltre l’ultima gara di campionato, dopo il vuoto già lasciato da Marek Hamsik hanno lasciato i napoletani a gestirsi il lutto da soli. Il Napoli ora vuole costruire un nuovo ciclo, ma non ha rimosso le macerie del recente passato.

I tifosi stessi non sono stati mai così divisi, e forse è anche questo un segno dei tempi. Una volta, quando allo stadio si sceglieva un settore da frequentare, lo si sceglieva anche per far parte di una certa corrente del tifo. Ma al di là della corrente, cioè oltre il modo di vivere e vedere le cose intorno alla squadra, il sostegno ai calciatori era unanime, indiscutibile. Ora che i social e la pandemia hanno polarizzato le posizioni ognuno cerca di aggregare consenso intorno a un’idea spesso estrema o bislacca di proposito, ottenendo così la quota di visibilità desiderata. Una cosa che sta succedendo un po’ in tutte le tifoserie, ma che a Napoli si lega a un momento di stanca emotivo intorno alla squadra.

A Napoli c’è una forza che è al tempo stesso aggregatrice e divisiva, rappresentata in primo luogo dal presidente Aurelio de Laurentiis. Le coalizioni che si affrontano, ormai non più nei bar e nell’antistadio, ma sui social e nei forum, cambiano denominazione di anno in anno. Adesso ai lealisti si dà l’etichetta di “Sorbillers”, cioè quelli che rinfacciano ai contestatori una domanda – «Dove eravate?» – sottintendendo che i presidenti sono stati contestati sempre. È capitato anche a Corrado Ferlaino, che pure aveva portato Maradona a Napoli e con lui aveva vinto due scudetti. Gli altri, i contestatori veri e propri, si affrettano a farsi fotografare sotto le insegne della A16, l’autostrada che da Napoli si svolge in direzione di Bari. L’invito rivolto a De Laurentiis è quello di risolvere la multiproprietà a favore del Bari e lasciare il Napoli a un nuovo proprietario, magari uno in vena di munifiche spese.

Il rapporto tra i tifosi e i presidenti delle società di calcio è sempre stato strano. Prima i presidenti cercavano nella loro avventura sportiva un ritorno d’immagine, un prestigio personale, e per ottenerlo erano disposti a spendere fiumi di denaro. Lo facevano mettendo a rischio le proprie fonti di reddito che erano sempre altrove, fuori e lontano dal calcio. I tifosi compartecipavano a quell’avventura, con il loro affetto e il loro sostegno “compravano” idealmente delle quote della società. Oggi una società di calcio è un’attività imprenditoriale come un’altra, a ogni rischio deve corrispondere un ritorno economico. E i tifosi sono diventati clienti, la loro influenza non conta più, contano solo i soldi spesi in biglietti allo stadio e abbonamenti alle pay-tv. Le medaglie della gestione economica virtuosa, che De Laurentiis non manca di appuntarsi al petto, non bastano al tifoso-cliente che vuole sempre e solo vincere, e protesta se il prodotto che compra non è di suo gradimento.

De Laurentiis, dal canto suo, ha sempre utilizzato la napoletanità come un’arma per colpire chi non gradiva la sua gestione. Un allenatore le cui richieste diventavano eccessive “non capisce la piazza”. Un calciatore che non accetta un’offerta economica al ribasso “non rifiuta il Napoli, rifiuta Napoli”, e così via. Ma c’è una cosa, fondamentale nella napoletanità, che De Laurentiis nei suoi anni da presidente non ha capito.

A Napoli, quando si ottiene una piccola vincita al lotto, è buona norma lasciare una piccola parte della somma incassata al proprietario del banco dove si è giocato. Si ringrazia la Fortuna compensando il tramite. Ma se la vincita è grande, è tutto il quartiere che si aspetta di essere remunerato. Ti abbiamo cresciuto, sostenuto fin qui, ti abbiamo reso la persona che sei, non credi sia arrivato il momento di restituire?

Il tifoso-cliente napoletano è sordo alle ragioni di conto economico. Quanto si è guadagnato, dai diritti televisivi come dal player trading, va reinvestito interamente nella costruzione della rosa. Anzi, il buon presidente è quello che mette sul piatto anche più di quanto ha incassato. È una forma di restituzione verso chi ha sacrificato tanto, del proprio tempo e del proprio affetto, per seguire la squadra. Questo è un aspetto per il quale, tra tifo e proprietà a Napoli, non potrà mai esserci riconciliazione.

In fondo De Laurentiis non è nemmeno napoletano e a questa profondità di comprensione della città che lo ospita non ci può arrivare. In questi anni non ha mai spostato la sua residenza né i suoi uffici da Roma, non ha mai voluto intraprendere seriamente alcun discorso immobiliare che riguardasse il centro di allenamento o lo stadio. Per non accennare alle questioni gastronomiche, dove persino io – che vengo chiamato “lo svedese” per la sua scarsa partecipazione ai riti della città – potrebbe perdere le staffe a sentir parlare ancora di pizza romana.

Mentre fuori dal campo infuria il dibattito tra De Laurentiis e i tifosi, e tra tifosi stessi, Luciano Spalletti è solo, come spesso gli capita a dire la verità. Lasciato in balia dei tifosi scontenti, nelle grinfie dei giornalisti dei media locali, con una rosa tutta nuova, privata dei suoi capitani e del suo cannoniere storico, con un solo anno di contratto e un'opzione per il rinnovo che De Laurentiis, in un balletto dialettico ormai consueto, ha lasciato intendere che non ha voglia di esercitare. Riuscirà Spalletti a portare la nave in porto?

Si è parlato molto sui media della rivoluzione tattica che starebbe imbastendo l'allenatore del Napoli in queste prime settimane di lavoro. Abbandonato il 4-2-3-1, il nuovo ciclo sarà all’insegna del 4-3-3 e di un nuovo istinto alla verticalità che il Napoli, negli ultimi anni, non aveva mai avuto. Le sensazioni dalle prime uscite sono però differenti. Ad esempio il 4-3-3 è disegnato solo sulla carta. Nominalmente Lobotka è il playmaker davanti alla difesa, Fabian Ruiz e Anguissa sono le mezze ali. In realtà il triangolo di centrocampo si muove in maniera fluida a seconda delle situazioni di gioco e delle letture. Tutti e tre i giocatori hanno tecnica a volontà e sono capaci di abbassarsi per fare gioco e semplificare la risalita del pallone. A turno, ciascuno dei tre centrocampisti può alzarsi di una linea fino a ritrovarsi fianco a fianco con Osimhen, e disegnare così linee di passaggio aggiuntive oltre la pressione degli avversari.

Kvaratskhelia entra nel campo e chiede triangolo a Ruiz, che nella rotazione è finito largo. Venti metri più in alto, Kvaratskhelia scambia ancora con Osimhen. È questo il modo in cui Spalletti vuole attaccare l’area di rigore.

Anche la supposta maggiore verticalità del Napoli c’è, ma è solo una delle opzioni. Il Napoli è (ancora) una squadra in grado di giocare la partita in molti modi. La prima scelta di Spalletti è sempre giocare la palla dal basso: a più riprese lo si è sentito dai microfoni a bordocampo invitare i giocatori a non calciare lungo e a servire più spesso il riferimento davanti alla difesa.

È chiaro che il Napoli, pur privato di elementi fondamentali, non può perdere le proprie caratteristiche all’improvviso. Fino a pochi mesi fa era la squadra con il maggior numero di passaggi nel terzo offensivo, ma anche la squadra col maggior numero di passaggi progressivi in avanti. La volontà era e resta quella di giocare il pallone, così come la riproduzione di alcune dinamiche che sembrano inscalfibili al passare dei giocatori. Per esempio, anche quest'anno, sembra esserci la volontà di creare un lato forte a sinistra, dove la presenza di Ruiz e di Kvaratskhelia, che si muovono più spesso incontro e “chiamano” la palla tra i piedi, invoglia difensori e centrocampisti a un maggior palleggio, e uno debole a destra, dove invece Lozano cerca di attaccare il lato cieco creato dal movimento in profondità di Osimhen.

Da Insigne-Callejon a Kvaratskhelia-Lozano.

A seconda degli uomini schierati, degli avversari che si hanno di fronte, dei momenti della partita, il Napoli può cambiare registro a piacimento. Di Lorenzo e Olivera possono salire fino a diventare due vere e proprie ali, e permettere così a Kvaratskhelia e Politano di entrare nel campo sul proprio piede preferito. Ruiz, in una posizione più alta nel mezzo-spazio di sinistra, può creare tanti problemi al centrale avversario, con Osimhen pronto a bucarlo alle spalle e Kvaratskhelia largo a fornire ampiezza. Osimhen stesso, letale quando può essere servito sulla corsa, è diventato molto più utile come sponda alta, e qualora i difensori faticassero a uscire dalla pressione avversaria, potrebbero optare per il lancio lungo per la testa o il petto del nigeriano. L’ecletticità della proposta offensiva sarà ancora il punto di forza del Napoli.

La più grande differenza rispetto alla scorsa stagione è la volontà del Napoli di restare più alto in fase di non possesso. Con Anguissa e Ruiz più vicini a Osimhen si può pensare di essere più aggressivi senza palla, e Min-jae sembra proprio quel tipo di difensore che ti permette di stare più compatti, più alti sul campo. Poi, è chiaro che il Napoli non potrà essere aggressivo per novanta minuti e non potrà avere la stessa intensità per tutta la stagione, ma è un cambio interessante da notare in una squadra che era talmente abituata ad avere il pallone da soffrire quando ce l’avevano gli altri. Peraltro è sempre interessante guardare ai movimenti senza palla di Lobotka: sia che si alzi uno dei due terzini, o che uno dei due centrali decida di portare palla, Lobotka si muove per colmare gli spazi. Nelle transizioni difensive, le corse tappabuchi all’indietro di Lobotka sono uno spettacolo a vedersi.

Miglior scenario possibile

Il 4-3-3 di Spalletti funziona, il trio di centrocampo Lobotka-Anguissa-Ruiz impone la propria legge sulla Serie A, mentre davanti l’intesa tra Kvaratskhelia e Osimhen decolla. Il nigeriano segna a raffica e per il tifo napoletano diventa il nuovo Higuain. Spalletti saluta lasciando il Napoli nei primi quattro posti e con un onorevole ottavo di Champions giocato in uno Stadio Maradona gremito.

Peggior scenario possibile

Min-jae fatica ad ambientarsi nel nostro campionato, Meret (o Kepa che sembra in arrivo) non dà certezze neanche dopo la partenza di Ospina che avrebbe dovuto tranquillizzarlo circa la sua titolarità. La società latita, lo stadio contesta finché ne ha la forza, poi dopo settimane di delusioni resta vuoto. Spalletti, lasciato da solo a Castelvolturno ad affrontare i giornalisti inferociti, attacca a sua volta la famiglia De Laurentiis. Ad aprile l’allenatore è esonerato. La società trova un traghettatore tra gli ex giocatori freschi di patentino, Ignazio Abate. La stagione termina con un disonorevole ottavo posto.

Giocatore chiave

Khvicha Kvaratskhelia è un giocatore che in precampionato, finché le gambe hanno girato, ha impressionato. Certo: è da rivedere in contesti più competitivi. Però è il giocatore che, nell’ottica dei cambiamenti tattici di cui ho parlato, può giocare un ruolo chiave in questo Napoli. Se da un lato il georgiano è sembrato un giocatore simile a Insigne (ad esempio quando si tratta di giocare la palla insieme alla squadra) dall'altro è apparso persino più indipendente dell'ex capitano del Napoli in conduzione e dribbling. Quando è lasciato in isolamento, l'attaccante georgiano può puntare e saltare l’uomo indifferentemente sul destro o sul sinistro. Se si adatta al nostro campionato, può davvero lasciare il segno.

Giocatore da prendere al Fantacalcio

Se, pur svenandovi, non riusciste a prendere Kvaratskhelia, che è listato come centrocampista nel Fantacalcio classico (W-A per il Mantra), potreste puntare una delle due mezzeali. Ruiz con il tiro da fuori e Anguissa con la sua fisicità sui calci piazzati dovrebbero portarvi più di un bonus.

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