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Guida alla Roma 2024/25
22 ago 2024
Tra Dybala e un mercato tutt'altro che concluso è in corso l'ennesima rivoluzione.
(articolo)
18 min
(copertina)
IMAGO / Insidefoto
(copertina) IMAGO / Insidefoto
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Piazzamento lo scorso campionato:

Chi in più: Artem Dovbyk, Matías Soulé, Enzo Le Fée, Samuel Dahl, Mathew Ryan, Buba Sangaré.

Chi in meno: Houssem Aouar, Andrea Belotti, Romelu Lukaku, Leonardo Spinazzola, Diego Llorente, Rasmus Kristensen, Renato Sanches, Rui Patricio, Dean Huijsen, Sardar Azmoun, Ola Solbakken, Marash Kumbulla.

Una statistica interessante dalla scorsa stagione: Si discute da tempo dell’importanza e della validità delle statistiche avanzate per i portieri. Statistiche che hanno ormai fatto passi da gigante e che ci permettono di valutare meglio le performance anche per questo ruolo. Nel caso della Roma, secondo i dati di StatsBomb, Rui Patricio era stato uno dei peggiori portieri della Serie A nella stagione 2022/23 per Goals Saved Above Average (cioè la differenza tra post shot Expected Goals e gol subiti). Anche nella scorsa stagione, il portiere portoghese non sembrava in grado di invertire questa tendenza, rimanendo sempre su un valore negativo per 90 minuti. L’incredibile fedeltà di Mourinho a questo suo pretoriano potrebbe essere stato il singolo errore più grave della sua gestione tecnica: dopo quattro partite da titolare anche nella nuova gestione, De Rossi ha deciso di accantonare il portiere portoghese per far posto al giovane Mile Svilar. Le prestazioni del serbo-belga hanno completamente cambiato la stagione della Roma: da una prestazione negativa in termini di Goals Saved Above Average a una “neutra”; da percentuali basse di tiri in porta parati (68% per Rui Patricio) a valori alti (77% per Svilar).

Formazione tipo: (4-3-3) Svilar; Celik, Mancini, Ndicka, Angeliño; Cristante, Paredes, Pellegrini; Zalewski, Dovbyk, Soulé.

66 (6°), 70 (5°), 62 (7°), 63 (6°), 63 (6°), 63 (6°): sono i punti (e i piazzamenti) raccolti dalla Roma dalla stagione 2018/19 a oggi. Secondo un famoso aforisma (attribuito variamente a Confucio, Benjamin Franklin, Mark Twain ed Einstein), la pazzia è continuare a ripetere le stesse cose sperando che portino a un risultato diverso. In quanto a pazzia, la Roma degli ultimi anni non teme confronti: 5 allenatori, 4 direttori sportivi, 2 proprietà, decine di giocatori cambiati in sei stagioni, per rimanere sempre letteralmente allo stesso posto in classifica, con gli stessi punti. Come nella Turandot, nessuno in tutti questi anni è davvero riuscito a risolvere i tre enigmi (mercato, ambiente, infortuni), costringendosi al patibolo mediatico dell’esonero.

La scorsa stagione si stava per trasformare in una distopia: una campagna acquisti random, passata dal simulacro di Renato Sanches al fantasma di Aouar, con il botto finale di Lukaku, si è abbinata alla sindrome della terza stagione di Mourinho. I giocatori non erano semplicemente più in grado di seguirlo, come spesso accaduto in altre terze stagioni del tecnico portoghese: è difficile reggere la maniacalità di Mourinho, e le sue richieste fideistiche, per troppo tempo. Questo scollamento tra tecnico e squadra è apparso evidente da subito: un punto nelle prime tre giornate, per poi avere un minimo di rimbalzo emotivo con l’arrivo di Lukaku. Ma già alla sesta giornata, con il 4-1 subito dal Genoa (forse la singola peggior partita della gestione di Mou), la sorte del tecnico portoghese sembrava segnata: secondo i retroscena, sarebbe stato Tiago Pinto a evitargli l’esonero, richiesto a gran voce dalla famiglia Friedkin.

Dopo quello shock, la squadra sembrava in qualche modo essersi ritrovata: 10 vittorie e 4 sconfitte in 17 partite, alcune però molto pesanti, come quella di Praga (che ha costretto la Roma ai play-off di Europa League) e quella di Bologna, in cui i giallorossi sono stati surclassati dal punto di vista tattico e atletico. Nel nuovo anno, i giallorossi hanno cominciato con una prestazione scialba contro la Cremonese in Coppa Italia, per poi proseguire con una sconfitta nel derby dei quarti di finale (senza praticamente creare occasioni da gol) e poi la sconfitta a San Siro contro il Milan, costata l’esonero all'allenatore portoghese. La Roma era nona in classifica, a cinque punti dal quarto posto, e con un gioco passivo e ormai straziante dal punto di vista estetico, con i giocatori che non riuscivano più a trovare soluzioni individuali. Il tentativo nichilista di Mourinho di annullare quanto più possibile i rischi creati dall’avversario, e di mascherare al massimo i difetti della propria squadra, non portava più risultati e deve aver irrimediabilmente depresso la proprietà, oltre ai giocatori. Una squadra pachidermica, con grandissime difficoltà nella creazione di gioco, affidata fondamentalmente alla capacità di Dybala di associarsi con Paredes e Lukaku.

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A gennaio è arrivato De Rossi, mossa pazza ma geniale per annullare completamente la sindrome mourinhana: serviva un cambio mentale per liberare la psiche di una squadra senza grandi leader. 6 vittorie nelle prime 7 partite di campionato, il passaggio dei play-off di Europa League contro il Feyenoord e il Brighton distrutto agli ottavi. De Rossi ha liberato la Roma sia psicologicamente (con alcuni giocatori letteralmente trasfigurati, come Pellegrini) che tatticamente, con l’idea di esaltare le qualità dei giocatori invece di nasconderne i difetti (come Pellegrini, appunto). Una squadra che ha spesso usato il 4-3-3, altro cambiamento quasi epocale in casa Roma, portando un giocatore in più tra le linee, cercando di essere molto più associativa e anche molto più aggressiva. In definitiva, prendendosi molti più rischi, come dimostrato nella partita contro il Brighton di De Zerbi.

Il culmine della stagione è stato raggiunto probabilmente nella doppia sfida contro il Milan nei quarti di Europa League, in cui da squadra sfavorita la Roma ha saputo imporre il proprio contesto tattico, giocando bene, soffrendo e portando a casa il risultato. Da quel momento in poi, però, i giallorossi hanno vissuto un calo vistoso, che li ha portati fuori dalla zona Champions e ne ha determinato l’eliminazione in semifinale di Europa League. La Roma ha chiuso con 2 vittorie nelle ultime 9 partite stagionali, un crollo vero e proprio, dovuto anche alla sfortuna di un calendario massacrante per difficoltà e per la stanchezza di una squadra che, comunque, è rimasta in difficoltà nel gestire spazi troppo ampi anche per le caratteristiche dei suoi giocatori.

Solo sfortuna e stanchezza, quindi? Il trend della Roma della scorsa stagione, che incrocia la linea degli xG creati e degli xG subiti, sembra raccontare una storia diversa (nelle prime due giornate risultava Bruno Conti come allenatore, a causa della squalifica di Mourinho). Già dalla partita del 17 marzo contro il Sassuolo, infatti, i giallorossi sono sembrati inaridirsi, cominciando a creare poco in partita (massimo 1,08 xG) e a concedere di più rispetto al solito, registrando una differenza negativa per due mesi. Tra i problemi registrati, una sistematica difficoltà nella prima costruzione e uno scarso attacco alla profondità, affidato praticamente solo a Lukaku (e per questo Cristante è stato spesso usato da mezzala di inserimento). Senza palla, i giallorossi hanno avuto grandi difficoltà nella riaggressione, e in generale nella gestione delle transizioni negative. Con caratteristiche atletiche non esaltanti, la Roma si condannava ad avere sempre la palla per non subire la fisicità avversaria (i confronti contro Atalanta e Bayer Leverkusen sono stati devastanti da questo punto di vista).

Un problema che De Rossi sembrava avere ben chiaro, viste le dichiarazioni di fine stagione sulla necessità di acquistare giocatori con gamba, dribbling e strappo. La sessione di mercato estiva, però, ha dato risposte più opache di quanto ci si attendesse, almeno fino ad ora. Giocatori di gamba ancora non sono arrivati, a parte forse il terzino sinistro svedese Dahl, riserva di ruolo, andato a sostituire Spinazzola, che (nonostante tutti i suoi problemi fisici) per De Rossi era stato prezioso proprio per la capacità di saltare l’uomo. Per i dribbling invece è arrivato Soulé, uno dei migliori dribblatori della scorsa stagione di Serie A (con 2.39 riusciti per 90 minuti).

Forse la scelta più lucida del mercato giallorosso, non solo per essersi assicurati un grande talento ma anche per sopperire al paradosso del Dybala di Schrödinger: un giocatore che c’è ma al tempo stesso non c’è, sia sano che infortunato. O almeno così era sembrato prima che arrivasse la grossa offerta dell'Al-Qadsiah che dovrebbe averlo convinto a trasferirsi in Arabia Saudita, e se fosse così sarà quindi Soulé il nuovo titolare.

Oltre all’impatto emotivo dell’addio di Dybala, un simbolo, il giocatore più tecnico e influente della Roma, usato spesso come un vero e proprio deus ex machina che alla fine risolve le partite, bisognerà valutare anche l’impatto sul funzionamento della squadra. Soulé può disporre di molte qualità, tra cui appunto quella di saltare spesso l’uomo, un maggiore dinamismo, la capacità di giocare anche molto largo in fascia, una grande visione di gioco. Quello che non può garantire, almeno sin da subito, è la presenza e la pericolosità in zona gol di Dybala: per xG prodotti, xG/tiro, tocchi in area di rigore, Soulé per adesso è molto distante dal suo idolo/amico.

In quel ruolo, tra l’altro, la Roma aveva già acquistato Baldanzi a gennaio. Nell’intervista successiva all’amichevole con l’Everton, De Rossi ha ricoperto l’ex empolese di elogi ma ne ha tracciato anche i difetti: gli manca “gamba” per giocare sulla fascia e non è decisivo negli ultimi 16 metri. Per questo, sta provando a riconvertirlo in mezzala, per usare la sua elettricità in corridoi più centrali di campo. In effetti, nel secondo tempo contro il Cagliari, Baldanzi è stato usato in un ruolo più arretrato, creando una sorta di accumulo tra le linee che ha funzionato molto meglio del blob del primo tempo: una conferma che la Roma gira quando mette in campo tutti i suoi talenti e riesce a esercitare il controllo sulla palla.

De Rossi nel corso delle amichevoli estive ha provato spesso una sorta di 4-2-3-1 fluido, con Le Fée, Cristante e Pellegrini a muoversi nel triangolo di centrocampo, per permettere al francese o al capitano di finire sotto punta. Un modulo che permetterebbe così di avere più dinamismo sugli esterni e più ricezioni tra le linee - De Rossi ha detto di volere esterni alti che giochino sulla linea laterale. A Cagliari si è vista l’ennesima variante su questo tema, sostanzialmente un 4-1-4-1 con Cristante regista, per la squalifica di Paredes.

Più in generale, le amichevoli estive hanno mostrato nuovi pregi e alcuni difetti storici. Ad esempio, nella partita contro l’Olympiacos, la difficoltà nell’inizio azione e nel far uscire la palla dalla propria difesa, con una circolazione bassa che tornava sempre da Svilar. Per ora la Roma non solo non ha aggiunto un difensore più specializzato, ma anzi ha perso il difensore con la più alta percentuale di passaggi riusciti, cioè Diego Llorente. In questo senso, Angeliño diventa davvero il giocatore più importante per l'uscita della palla.

Il dinamismo della squadra, inoltre, non sembra granché migliorato, una questione che si porta appresso due aspetti, con la palla e senza: l’attacco degli spazi e la pressione alta dopo aver perso il possesso. Per il primo aspetto, nel pre-campionato è spiccato l’unico profilo differente in rosa, e cioè quello del diciannovenne Pisilli, a dimostrazione che quelle caratteristiche tecniche e atletiche sono indispensabili nel centrocampo della Roma: servono incursori, giocatori che attacchino lo spazio dietro la linea avversaria.

Nella riaggressione, i giallorossi hanno ancora qualche difficoltà, e in assenza di ulteriori integrazioni della rosa, sembrano di nuovo condannarsi a gestire il pallone sempre, anche per potersi difendere. Le Fée è un giocatore che a questo riguardo alza di parecchio il tasso tecnico del centrocampo, ma che forse non aggiunge caratteristiche troppo diverse da quelle già presenti in rosa.

La prima partita di campionato contro il Cagliari ha confermato pienamente quanto visto nelle amichevoli: la Roma gira ancora a ritmo molto basso, ha grandi difficoltà nella creazione di occasioni (ancora una volta ha creato meno di 1 xG), ha una circolazione della palla spesso perimetrale e trova difficoltà nell’attacco alla profondità. Le combinazioni di passaggio più frequenti sono state quelle da Cristante ad Angelino e da Angelino a Ndicka, all’indietro.

La manovra giallorossa ha coinvolto troppo Cristante e troppo poco Le Fée (che pure ha perduto un paio di palloni pericolosi), e non è riuscita a dare profondità neppure con Dovbyk.

L’atteggiamento in campo è migliorato nel secondo tempo, ma ancora una volta sono mancati gli attacchi nello spazio, se si esclude qualche sporadica eccezione (Pellegrini, per esempio) ha avuto una unica buona occasione inserendosi in area). Seguendo una terminologia corrente, la Roma è piena di “costruttori”, ma mancano quasi totalmente gli “invasori”. Nonostante la buona prova di Soulé, che si è speso molto per aiutare anche l’inizio azione e nella pressione sulla trequarti, ci sono poi costruttori e costruttori: entrato al 68’, Dybala ha creato in quella manciata di minuti più xG di tutti gli altri, inventandosi un assist prezioso che Dovbyk ha mandato sulla traversa, ed effettuato 2 passaggi chiave (secondo miglior giocatore dell’intera partita). Ancora una volta è sembrato di vedere la squadra delle ultime due stagioni, quella che senza Dybala aveva poche soluzioni offensive. Difficile immaginare la Roma senza il suo miglior giocatore, nonché il più importante, quello che fa la differenza tra il giorno e la notte. Un problema a cui bisognerà presto porre rimedio.

La squadra del primo tempo di Cagliari è sembrata troppo brutta per essere vera, a volte sfilacciata, senza automatismi per l’uscita della palla e praticamente senza volontà di aggredire l’avversario: nonostante siano già partite da tre punti, è ancora calcio d’agosto, sarebbe inutile e irrazionale trarre conclusioni.

Alcune indicazioni per il mercato però sono già evidenti. La Roma aveva bisogno soprattutto di un terzino destro, ruolo storicamente scoperto, in cui Celik offre un rendimento standard, e di un’ala sinistra, ruolo in cui si alternano El Shaarawy e Zalewski, che per motivi diversi non sembrano in grado di offrire un rendimento all'altezza.

La Roma aveva, ed ha ancora, soprattutto bisogno dei famosi giocatori di gamba, ad esempio per rompere la staticità del triangolo di centrocampo composto da Paredes-Cristante-Pellegrini. Le Fée giocherà molto, aggiungendo ancora maggior controllo del pallone e alzando la qualità, ma senza alterare significativamente questa criticità ormai cronica.

Con il probabile arrivo di Lorenz Assignon dal Rennes, almeno i giallorossi aggiungerebbero uno di questi profili atletici, e soprattutto un’alternativa a Celik: un giocatore più giovane, con una maggior proiezione offensiva e maggior abilità nella gestione del pallone, ma con una ancora poco sviluppata attenzione difensiva.

I difetti sono sempre più facili da vedere, ma nelle amichevoli estive si sono notate ovviamente anche cose interessanti, per esempio la capacità di Angeliño di giocare dentro al campo per aiutare sia l’inizio azione che la trasmissione del pallone in zone centrali; la velocità con cui Soulé si è integrato nella squadra, iniziando a fornire soluzioni offensive efficaci trovando molte linee di passaggio, quindi senza ancora aver sfruttato l’arma del dribbling; e persino la capacità di Dovbyk, l’acquisto principale del mercato giallorosso, di ripulire palloni sporchi, allungare la difesa avversaria e associarsi con i compagni, come mostrato nell’amichevole con l’Everton. Dopo la partenza di Lukaku, infatti, la Roma ha bisogno come il pane di un attaccante in grado di attaccare la profondità e di creare una ricezione anche per eventuali lanci lunghi dalla difesa, in caso di pressione avversaria asfissiante.

La Roma è quindi ancora un enigma, e nonostante una campagna acquisti molto dispendiosa, si legge tra le righe l’idea di una stagione di transizione. Il nuovo direttore sportivo, il francese Florent Ghisolfi, sta ricostruendo una squadra ormai giunta a fine ciclo negli elementi principali (solo tra fine contratto e fine prestito, la Roma ha perso ben 8 giocatori), al tempo stesso cambiandola profondamente per facilitare il lavoro di De Rossi, che ha principi di gioco opposti a quelli del precedente allenatore. Tutto ciò cercando di ringiovanire la rosa (Soulé e Dahl sono del 2003, Le Fée del 2000, Dovbyk è l’unico acquisto nato negli anni ‘90) e ridurre i costi (finora, la Roma avrebbe ridotto il costo annuale della sua rosa di almeno 60 milioni).

Nel seguire tutte queste esigenze, quasi inevitabilmente si finisce per perdere coerenza. La partenza di Dybala è la chiave di volta per capire questo mercato: è in corso una ricostruzione vera e propria, non è maquillage. L’addio dell’argentino servirà a finanziare l’ulteriore ricostruzione della rosa con almeno tre nuovi acquisti: con Dybala, la Roma avrebbe una rosa sostanzialmente monca; senza Dybala, avrà una rosa più completa ma priva del suo più grande talento. Gli ultimi giorni di mercato dei giallorossi si preannunciano quindi frizzanti: oltre ad Assignon, Ghisolfi starebbe valutando gli acquisti di un difensore centrale (ce ne sono solo tre in rosa), un’ala sinistra di piede destro e forse anche un centrocampista dinamico, un “invasore”. I nomi di questi nuovi acquisti definiranno sul serio le ambizioni della Roma: una cosa è prendere Djalò, un’altra è prendere Danso; lo stesso vale per Boga e Galeno.

Se la si vede in prospettiva, questa sessione di mercato ha iniziato a mettere le basi per un nuovo ciclo dei giallorossi, riducendo drasticamente il monte ingaggi, ringiovanendo la rosa (nella prima giornata, la formazione iniziale è stata la quinta più giovane della Serie A) e liberandosi di giocatori con ingaggi alti e rendimenti catastrofici (ne sono rimasti alcuni tipo Karsdorp). Il vero problema rimane sempre quello delle aspettative: considerando il valore degli avversari, anche quest’anno la battaglia per entrare tra le prime quattro sarà durissima, e di certo questa squadra rivoluzionata non sembra essere tra le favorite.

In ogni caso, dal primo settembre, qualunque sarà la composizione della rosa, toccherà a De Rossi far rendere la squadra. Per lui sarà un esame molto più difficile di quello di gennaio (che già sembrava complesso), quando aveva preso in corsa una squadra sfilacciata e depressa, rivitalizzandola, dimostrando grandi qualità di gestione umana e anche coraggio dal punto di vista tattico. Cominciare da zero è un’altra storia, in un campionato che lo vedrà come uno degli allenatori con meno panchine nel calcio professionistico.

Nello sport però il passato conta poco, anche per allenatori con esperienza e palmares da urlo, figuriamoci per chi ha fatto bene mezza stagione: De Rossi dovrà dimostrare di essere un allenatore di grande livello, districandosi tra gli enigmi storici della Roma, trovando soluzioni ai buchi della rosa, e accelerando una transizione giusta, necessaria ma potenzialmente molto rischiosa nell’immediato. Alle sue spalle avrà ancora una volta tutta la passione della tifoseria romanista, nel bene e nel male.

Miglior scenario possibile

Dopo un inizio campionato complicato, De Rossi trova la quadratura del cerchio con un 4-2-fantasia che vede la convivenza di Soulé, Pellegrini ed El Shaarawy tra le linee, per la gioia di Dovbyk. Grazie all’aiuto di uno Svilar sempre più sweeper-keeper, e con Angeliño mastermind posizionale, la Roma ottiene una gestione fluida del pallone, di cui mantiene il possesso in media per il 65%. Con un gol di Le Fée nei minuti finali, alla penultima giornata contro il Milan, i giallorossi raggiungono ufficialmente il quarto posto. Inquadrato in tribuna, il silenzioso Ghisolfi si sdraia sulle poltroncine dell’Olimpico in un’esultanza in stile Platini.

Peggior scenario possibile

De Rossi non riesce a trasmettere i suoi principi di gioco: la squadra è sfilacciata e si espone costantemente alle transizioni avversarie. Colpito dalla maledizione di Di Matteo, per cui una mezza stagione non fa un allenatore, viene esonerato a dicembre con la squadra undicesima. Per sostituirlo viene chiamato Ivan Juric: dopo una settimana di allenamenti, metà squadra chiede il trasferimento in Arabia Saudita, costringendo Ghisolfi a ricostruire ancora una volta la rosa. A febbraio i giallorossi giocano gli ottavi di Europa League contro il Fenerbahce. Dopo un pareggio senza gol all’Olimpico, al ritorno lo stadio accoglie le squadre con una coreografia che recita “Nova Roma”, mentre Mourinho si presenta in panchina vestito di una lunga tunica, con una cintura all’altezza del petto e una clamide drappeggiata sulla spalla, con una scritta sul retro, in italiano: COSTANTINO IL GRANDE. Il Fener vince 1-0 grazie a un autogol di Mancini, in una partita senza tiri in porta. Per festeggiare, Mourinho vestito da imperatore si dirige su uno speciale palchetto da lui allestito nella tribuna autorità, e nello giubilo generale fa il segno di condanna con il pollice.

Giocatore chiave

Non se ne parla molto ma Angeliño sarà decisivo, almeno dal punto di vista tattico. È lui infatti la chiave di volta per il funzionamento in campo dei principi di gioco di De Rossi, che di lui ha detto: «È così intelligente che sa fare terzino, centrocampista e mezz'ala, ci permette a volte di attaccare con 6 canali offensivi». Per una Roma che fa una fatica matta a far uscire il pallone della difesa, il suo rendimento sarà importantissimo.

Giocatore da prendere al fantacalcio

Forse è troppo facile rispondere Matías Soulé, ma a Roma nulla è facile. La partenza di Dybala apre un’autostrada per il nuovo acquisto giallorosso, in termini di minuti di gioco e influenza. Se preso a una cifra ragionevole, la vostra squadra potrà godere dei suoi assist e anche di qualche gol - è vero che non tirerà più i rigori come a Frosinone, ma è un giocatore che in una squadra come la Roma, e con una stagione in Serie A di più sulle spalle, potrebbe migliorare le sue capacità realizzative.

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