Molti speravano in un Super Bowl diverso, che vedesse come avversari i futuri hall of famer Tom Brady e Drew Brees; dopo la discussa sconfitta dei New Orleans Saints, invece, in molti avevano riposto le loro speranze in uno scontro tra il quarterback del presente e quello del futuro, ovvero Patrick Mahomes contro Jared Goff. I playoff invece hanno finito per consegnarci una sfida magari meno sentita, ma non per questo meno interessante. La portata dello scontro tra i New England Patriots e i Los Angeles Rams la capiremo meglio fra qualche anno, ma una cosa è chiara: non è solo il nuovo che avanza contro la tradizione, né solamente una sfida tra filosofie opposte. È molto di più: è lo scontro tra due degli allenatori più affascinanti degli ultimi 20 anni. Avverrà un ideale passaggio di consegne, o la leggenda di Belichick continuerà a crescere, anche a spese del trentatreenne Sean McVay?
Come si batte Tom Brady?
Il risultato di questo 53esimo Super Bowl dipenderà molto da come i due allenatori riusciranno a fermare le armi avversarie. Se Tom Brady fosse una franchigia NFL, sarebbe al secondo posto all-time per numero di presenze al Super Bowl, superato solo dai suoi New England Patriots. Si deve partire inevitabilmente da questo dato per raccontare il rapporto tra il quarterback e l’ultimo atto del campionato, che per Brady è il giardino di casa. Batterlo tuttavia è possibile, è capitato tre volte su otto finali, l’ultima 12 mesi fa: ma come si fa?
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Le ultime due squadre che sono riuscite a battere i New England Patriots nei playoff - Broncos nel 2015 e gli Eagles lo scorso anno - lo hanno fatto attuando la stessa filosofia: cercare di generare tanta pressione portando pochi giocatori in pass rush e “rilasciando” tanti giocatori nella secondaria. Gli Eagles lo hanno fatto ruotando molto i giocatori, così da avere una defensive line fresca per tutta la partita: il risultato sono stati 33 punti e 613 yard totali subite, ma anche una palla persa chiave generata da Brandon Graham che ha mandato il titolo verso Philadelphia.
I Broncos, addirittura, sono stati l’ultima squadra a tenere i Patriots sotto i 20 punti in una partita di playoff, grazie al lavoro del defensive coordinator Wade Phillips, ora al comando della difesa di Los Angeles. Allora la chiave di tutto fu, oltre ad un reparto molto solido, la prestazione di Von Miller, che da solo riuscì a generare così tanta pressione da permettere a Philips di poter lasciare appena 3 uomini in rush. Ma quindi basta avere una defensive line che genera pressione senza bisogno di blitz? Sarebbe riduttivo, questo può essere il gameplan per battere 31 quarterback nella lega, ma non basta con Tom Brady.
Los Angeles Chargers e Kansas City Chiefs potevano contare su giocatori come Joey Bosa, Melvin Ingram, Justin Houston e Chris Jones. E in due partite di playoff hanno generato zero sack e appena 3 quarterback hit. Brady in questa post season è stato praticamente intoccabile. Merito sicuramente di una offensive line salita di colpi e di un piano gara offensivo super efficiente. Bill Belichick e Josh McDaniels hanno ancora una volta costruito una strategia offensiva perfetta intorno al loro quarterback. Una varietà di personnel, corse e screen che ha fatto girare letteralmente la testa a Chiefs e Chargers e che ha reso l’attacco di New England molto difficile da leggere e da difendere.
L’abilità di Brady nel trasformare qualsiasi snap in guadagno positivo, ha fatto il resto. Difficilmente un’azione dei Patriots viene sprecata, molto più facilmente ci sarà un check down che porterà ad un minimo, ma significativo guadagno. Poco entusiasmante forse da vedere, ma terribilmente efficace.
La motion di Edelman rivela la copertura a uomo di Kansas City. Brady allora cerca e trova lo stesso Edelman in una frazione di secondo.
E non è un caso se questa costante abilità di generare yard abbia lentamente ucciso i Chiefs. La distanza media che i Pats hanno dovuto coprire sui terzi down è stata di appena 5.32 yard, la più bassa tra i team impegnati nel Championship. E chi domina i terzi down solitamente mette le mani sulla partita. Non a caso New England ha chiuso con un 13 su 19 in queste situazioni, realizzando 94 giocate offensive (il dato più alto per una partita di post season dal 1986) e guadagnandosi l’ennesimo viaggio al Super Bowl.
Ma quindi, torniamo alla domanda iniziale: come si ferma Tom Brady? Cercando di rallentarne il pensiero. Brady legge e punisce perfettamente i blitz, ha il braccio per effettuare qualsiasi tipo di lancio e usa perfettamente la motion di ricevitori e running back prima dello snap per far scoprire le carte alle difese avversarie. Ma, come tutti i quarterback, perde di killer instinct quando ne viene rallentata la velocità nelle letture. E non è solo questione di pura pressione, piuttosto è la sinergia tra pass rush e strategia difensiva a fare la differenza.
Così come i Patriots hanno mischiato le carte per non dare punti di riferimento ai Chiefs (rivedere il drive di apertura per credere), così le poche difese capaci di limitare l’attacco di New England sono state quelle in grado di variare schemi, usare trick e confondere le acque. Non un piano facile, però: persino la difesa dei Chargers, ai limiti della perfezione come approccio contro i Ravens, è caduta vittima di Brady e compagni non riuscendo a portare pressione né a variare schemi, rifugiandosi per gran parte della partita in una prevedibile cover-3. E se la secondaria non funziona, i rusher non hanno la benché minima speranza di mettere le mani addosso a Brady, che grazie alla velocità di pensiero e alle capacità di lettura ha uno dei rilasci più veloci di tutta la lega, anche a 41 anni.
Nel Divisional e nel Championship Brady è risultato essere il giocatore con il rilascio più veloce di tutti, rispettivamente 2.33 e 2.51 secondi per lancio. Troppo pochi per qualsiasi difesa.
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Potrebbero quindi non bastare Suh e Aaron Donald - la forza distruttiva più vicina al Von Miller del 2016 – ad impensierire l’attacco di New England. Molto passerà dalla capacità di Wade Phillips di mischiare le carte in tavola, dei grandi acquisti offensivi come Peters e Talib di vincere i propri duelli, e di Robey-Coleman di contenere Julian Edelman.
Come si sfrutta un'occasione così rara?
I Rams arrivano al Super Bowl appena al secondo anno di gestione McVay. Il precoce allenatore, ex Redskins, ha rivoltato come un calzino la cultura della St.Louis di Jeff Fisher, costruendo un attacco aggressivo, moderno ed estremamente redditizio. Dopo l’exploit del 2017, la dirigenza ha capito che potevano esserci tutti gli ingredienti per puntare all bottino grosso. Poi una offseason piena zeppa di colpi ad effetto (da Cooks a Peters, da Talib a Suh) e un investimento economico importante per i rinnovi di Gurley e Donald hanno messo Los Angeles sulla mappa delle grandi favorite della NFC.
Dopo un inizio scoppiettante, i Rams hanno vissuto un finale di stagione regolare contratto, arrivando ai playoff con meno sicurezze di quelle che si potevano ipotizzare a settembre. La vittoria sui Dallas Cowboys ha rilanciato i californiani che ora sembrano avere tutte le carte in regola per tornare sul tetto del mondo. Il grande tema di discordia (oltre ovviamente al contatto causato da Robey-Coleman non fischiato), è stata l’insolita staffetta tra CJ Anderson e Todd Gurley: dopo l’esplosione dell’ex Panthers e l’inizio disastroso di Gurley contro New Orleans, CJ Anderson ha preso le redini del backfield losangelino, correndo 167 yard in 39 portate durante la post season.
Eppure ci sarà bisogno della migliore versione di Todd Gurley per provare a battere i Patriots. CJ Anderson è un power running back senza troppa duttilità e soprattutto non è efficace come ricevitore laddove sarà invece fondamentale sfidare i linebacker non troppo atletici dei Patriots. Già lo scorso Super Bowl Corey Clement aveva messo a ferro e fuoco la difesa di New England puntando su questi mismatch. E chi meglio dell’Offensive Player of The Year in carica, capace di ricevere per 580 yard in 14 partite, può giocare questo tipo di football?
Gurley sarà fondamentale anche per catalizzare le attenzioni della difesa avversaria: i Rams sono la squadra che più si affida alle play action, fintando spesso e volentieri l’hand off per una corsa esterna per l’ex Georgia. Questa finta permette di tenere appesi gli avversari e rallenta la lettura della difesa. Azione che perde terribilmente di efficacia quando nella posizione di running back gioca CJ Anderson, che è il tipico corridore north to south.
Come possiamo vedere nell’esempio qui sotto, CJ Anderson finta l’ennesima inside run, ma questo permette alla difesa avversaria di reagire molto più velocemente di quanto farebbe con Gurley nella stessa posizione correndo una outside run. Sarà quindi interessante vedere se McVay tornerà a fidarsi di Gurley o se invece continuerà a cavalcare un giocatore firmato appena qualche mese fa.
Le chiavi della partita
Se contro Kansas City è bastato raddoppiare e togliere dalla partita Hill per dimezzarne la portata offensiva, contro l’attacco camaleontico di Los Angeles questo approccio potrebbe non funzionare. I Rams hanno troppe alternative, troppi playmaker, troppi giocatori duttili: i ricevitori possono agire con uguale efficacia dalla slot come dall’esterno; Gurley è distruttivo tanto da ricevitore quanto da corridore e i tight end hanno la versatilità di bloccare così come di ricevere in mezzo al campo.
L’importante per McVay sarà non sprecare tutto questo talento offensivo mal gestendo tatticamente i momenti chiave della partita. Il giovane allenatore ha dimostrato di poter costruire un attacco votato all’aggressività, ma ha tentennato più di una volta quando c’era bisogno di azzannare la partita.
Lo scorso anno, Doug Pederson ha costruito la sua vittoria sull’iconico Philly Special, ma al di là del singolo schema, la chiave è stata non lasciarsi sfuggire l’opportunità di colpire i Patriots e fare punti quando ce n'era bisogno. In quel momento, con metà partita da giocare, Pederson avrebbe potuto accontentarsi dei 3 punti, invece di rischiare di chiudere il drive senza segnature, ma quei 4 punti si sono rivelati poi fondamentali per portare a casa il titolo.
McVay fin qui si è dimostrato conservatore quando si è trattato di chiamare decisioni aggressive: tra le squadre che quest’anno hanno giocato alla mano un 4 e corto i Rams sono appena al 31esimo posto della NFL con appena il 18% di tentativi. Al primo? Proprio Doug Pederson dei Philadelphia Eagles.
McVay avrà la lucidità e l’audacia per chiamate del genere?
Essere aggressivi non è solo questione di essere avidi o incauti, è questione di tattica. Una chiamata conservatrice stava per regalare ai Saints il viaggio ad Atlanta, prima della contestata (non) chiamata arbitrale. I Rams, sotto 20 a 17, non riescono a convertire il terzo down in piena redzone, ma invece di provare a convertire il quarto e corto in un primo down o in un touchdown, McVay ha preferito far calciare un comodo field goal dalle 24 yard, portando il punteggio in parità e lasciando la possibilità a Drew Brees, a New Orleans, di vincere la partita con parecchio tempo a disposizione.
Se i Saints avessero chiuso il down, o fosse stata chiamata quella penalità, i Saints avrebbero bruciato tutto il cronometro a disposizione per vincere con un “facile” field goal allo scadere. Può l’allenatore di uno degli attacchi più esplosivi e dinamici della NFL, con una delle migliori offensive line della lega, rinunciare a vincere la partita affidandosi, fuori casa, alla difesa?
Con i Saints fortunosamente è bastato, contro i Patriots al Super Bowl invece ogni lasciata è persa.