Il Tour de France 2022 parte domani da Copenaghen. Si inizierà con una cronometro - come spesso accade - seguita da due tappe quasi totalmente piatte. Per capire che cosa davvero dobbiamo aspettarci, abbiamo provato a rispondere a qualche domanda per arrivare preparati al Grand Départ.
Partiamo dal percorso che a prima vista sembra piuttosto movimentato.
Gabriele Gianuzzi
Il Tour de France di quest’anno, per com'è stato disegnato, premierà probabilmente il ciclista più completo in circolazione. A eccezione della crono a squadre, ci sono praticamente tutti gli ingredienti di una grande corsa a tappe: 53 km a cronometro (divisi in due tappe 1-20, di cui la seconda da 40km); tappe disegnate per cercare il vento e i ventagli (2-3-4); le pietre del Nord della Francia (5); una salita breve ma estremamente dura come la Planche des Belles Filles, quest’anno in versione XL con il tratto finale in sterrato come nel 2019 (tappa 7); il Jura nel primo weekend (tappe 8-9) con qualche strappetto qua e là; le Alpi dall’inizio della seconda settimana con 4 passaggi sopra i 2000 metri in due giorni. Il clou sarà fra mercoledì e giovedì. Prima con gli scenografici Lacets de Montvernier, Telegraphe e Galibier e il finale su Col du Granon che ritorna dopo 36 anni di assenza.
Tappa 11, mercoledì 13 luglio.
Poi, il giorno dopo, in occasione della festa nazionale francese, si torna in cima al Galibier dal versante opposto prima di affrontare Télégraphe (non categorizzato perché preso dal lato corto) e Croix de Fer. Infine ci si lancia verso il gran finale con la scalata dell’Alpe d’Huez.
Tappa 12, giovedì 14 luglio.
La settimana dopo si affronteranno i Pirenei con tre tappe (16-17-18) il cui unico neo è la mancanza di una cinquantina di chilometri in più a testa ma in cui si scaleranno nell’ordine: Port de Lers, Mur de Péguère, Col d’Aspin, Horquette d’Ancizan, Col de Val Louron- Azet, Peyragudes, Aubisque, Col de Spandelles e Hautacam in tre giorni di fila, senza sosta.
Fra le Alpi e i Pirenei, come se non bastasse, la tappa 14 che da Saint-Étienne porta a Mende, oltre ad essere il replay dell’epica tappa del 1995 dove Jalabert attaccò da lontanissimo Miguel Indurain e si prese la gloria nel giorno della Bastiglia, è una giornata campale di sali e scendi senza fine di cui solo tre sono categorizzati.
Tappa 18, giovedì 21 luglio. Ultima tappa di montagna prima della crono e l’arrivo a Parigi.
Tornano quindi le montagne mitiche che hanno fatto la storia del Tour: Alpe d’Huez, Aspin, Aubisque, Croix de Fer, Galibier, Hautacam e dopo 36 anni il Col du Granon, l’arrivo in quota più alto da 25 anni a questa parte.
Unica pecca di queste tre settimane è la collocazione delle tappe: nei weekend ci sarà poca montagna.
Si parte dalla Danimarca, un paese che sta crescendo molto nel mondo del ciclismo.
Gabriele Gianuzzi
Il ciclismo in Danimarca, prima di essere uno sport è soprattutto un modo di vivere. Anche per questo motivo gli scandali di doping dei primi anni 2000 (i più noti Michael Rasmussen e Bjarne Riis) non hanno intaccato più di tanto la base di appassionati.
Oggi può contare alcuni tra i migliori talenti in circolazione. Tra questi spiccano l’ex Campione del Mondo a 23 anni Mads Pedersen e il vincitore del Fiandre 2021 Kasper Asgreen, oltre al già citato Vingegaard.
14 dei 24 professionisti danesi che corrono oggi in squadre World Tour arrivano da una struttura federale dedicata agli Juniores, nata nel 2008 per ripulire l’onta degli scandali e ripartire dai giovani, nella città di Roskilde, sede di partenza della seconda tappa.
Paradossalmente, secondo Morten Bennekou, a capo del progetto fin dalle origini, la fine dell’unica squadra WT danese nel 2015 (la CSC/Saxo/ Tinkoff di Bjarne Riis, per la serie a volte ritornano) è stata la salvezza del movimento perché i giovani danesi non sono andati più “quasi automaticamente” in quella squadra dove facevano i gregari, ma sparpagliati in giro per il mondo sono cresciuti anche grazie a un eccezionale spirito di adattamento (parlano tutti un livello di inglese eccellente) e al supporto della federazione che non li abbandona a loro stessi ma li consiglia costantemente.
Mads Pedersen (a sinistra) durante la cerimonia organizzata in suo onore al Municipio di Copenhagen dopo la vittoria ai Mondiali 2019. Le due persone con cui sta parlando sono Rolf Sørensen (ex ciclista) e Mette Frederiksen, Primo Ministro del governo danese (foto di Ole Jensen/Getty Images).
Non è un caso che molti ragazzi, una volta passati professionisti, abbiano deciso di continuare a vivere in Danimarca nonostante le condizioni di allenamento siano più difficili che nel Sud Europa, vista la quasi totale assenza di montagne e rilievi.
Brian Petersen, direttore sportivo del team Colo- Quick, dove tra gli altri hanno corso Fuglsang e Vingegaard, in una recente intervista a L’Équipe sosteneva che proprio gli allenamenti in condizioni proibitive, tutti i giorni dell’anno, su più anni, all’inizio della carriera, portassero gli atleti ad avere una maggiore resistenza e che i sacrifici fatti in giovane età per poter viaggiare alla ricerca di montagne (spesso nella vicina Norvegia, ma anche in Spagna durante i mesi più rigidi dell’inverno) responsabilizzassero gli atleti fin da giovani.
Al via di Copenaghen saranno dieci i ciclisti danesi in gara, sarà molto interessante vedere tra 15 anni quanti avranno seguito la scia.
Il covid sembra essere tornato in gruppo. Quanto potrà incidere sulla corsa?
Gabriele Gianuzzi
Il recente Tour de Suisse ha riportato alla ribalta un tema che nel mondo normale abbiamo nascosto sotto il tappeto da qualche mese: il Covid-19. E l’ha fatto ad un ritmo che pareva ricordare marzo 2020 con più di 30 ritirati in un solo giorno e diverse defezioni nei giorni successivi. Inutile nascondersi, il virus continua a circolare in Europa e il mondo del ciclismo non fa eccezione. Se a questo aggiungiamo che le misure di contenimento e prevenzione si sono rilassate, viene facile pensare che le possibilità di contagio per i corridori, che tra hotel e viaggi sono per forza di cose a contatto con il mondo esterno alla bolla del ciclismo, aumentino.
Romain Bardet recentemente si è lamentato con un tweet dicendo che nel volo verso Copenaghen, pieno di gente, ci fossero poche mascherine indossate (“primo stress test”, ha commentato).
E infatti il Tour non è ancora partito che ci sono già le prime defezioni: Tim Declercq, Matteo Trentin, Samuele Battistella e Omer Goldstein, annunciati ufficialmente dai loro team non prenderanno il via perché risultati positivi ad un controllo pre Tour.
L’UCI ha annunciato un aggiornamento del protocollo anticovid per le gare a tappe nella giornata di martedì. Rispetto al protocollo di gennaio è rimasto l’obbligo di tampone negativo a 48h dalla partenza, anche per i vaccinati e i controlli nei giorni di riposo. La novità è la possibilità per i positivi asintomatici di continuare la corsa. La decisione spetterà ad una commissione formata dal medico della squadra coinvolta, il medico del Tour responsabile del protocollo Covid e il direttore medico dell’UCI che decideranno a maggioranza caso per caso. Inoltre le squadre con più di due casi positivi non verranno escluse automaticamente dalla corsa.
Altamente consigliati ma non obbligatori, test antigenici rapidi per tutti i membri del team (corridori e non) nei 5 giorni precedenti alla partenza e test antigenici rapidi a tutti i membri dei team non ciclisti e ai commissari al seguito della corsa possibilmente ogni giorno ma almeno ogni due/tre giorni.
Quello che è certo è che le squadre e i corridori proveranno a mantenere il più possibile la bolla intatta. In ogni caso, tra i protagonisti che hanno contratto il covid nelle settimane precedenti e che verosimilmente prenderanno il via non al 100% della condizione e i possibili positivi durante le tre settimane, anche quest’anno la corsa sarà inevitabilmente influenzata dalla pandemia.
È un Tour de France perfetto per Pogacar?
Gabriele Gianuzzi
Tadej Pogačar si presenta al suo terzo Tour de France come il padrone designato della corsa. Se il primo Tour del 2020 è stato quello della sorpresa, e il secondo nel 2021 è stato quello della consacrazione con la corsa decisa già all’ottava tappa, il 23enne sloveno va alla caccia della sua terza vittoria di fila per avvicinarsi all’Olimpo dei vincitori del Tour de France.
A volte tendiamo a dimenticarci di quanto Tadej Pogacar sia - a conti fatti - praticamente un ragazzino (foto di Luka Dakskobler/SOPA Images/LightRocket via Getty Images)
La prima settimana potrebbe essere quella più difficile per le sue caratteristiche: due anni fa sorpreso nei ventagli ha perso 1’20” e sulle pietre può succedere di tutto, nonostante Pogacar abbia dimostrato questa primavera di sapersela cavare più che egregiamente anche su questi terreni. Sarà comunque fondamentale in questa prima settimana la squadra che, pur essendo migliorata di molto rispetto agli anni passati, sembra non essere ancora al livello dei rivali della Jumbo Visma. Soler e Bennett, ma soprattutto Rafal Majka, avranno il compito di supportarlo sulle montagne, campo in cui lo sloveno ha già dimostrato di essere attualmente il migliore in circolazione.
Dopo il Tour of Slovenia, il campione in carica ha saltato i campionati nazionali ed è stato in ritiro solitario in altura a Bardonecchia. È facile immaginare che abbia preparato al meglio i tapponi Alpini della seconda settimana, quando si ritroverà ad affrontare tutte le salite principali delle tappe 11 e 12 nell'arco di una cinquantina di km.
Chissà che non abbia in mente un attacco proprio lì.
C’è qualcuno in gruppo che potrebbe fermarlo?
Umberto Preite Martinez
Alcuni hanno grande fiducia nel russo Alexander Vlasov, altri puntano tutto sulla crescita di Enric Mas o nell’esplosione definitiva di Ben O’Connor. A conti fatti, però, tutti i nomi possibili non sembrano impensierire Pogacar, almeno senza una grande prestazione di squadra. Bisognerà quindi provare a muoversi di squadra e la squadra più attrezzata sembra essere come al solito la Jumbo-Visma.
La squadra olandese è il principale ostacolo fra Tadej Pogacar e il suo terzo trionfo consecutivo al Tour de France. Si presenta al via con due punte, Primoz Roglic e Jonas Vingegaard, entrambi secondi alle spalle di Pogacar rispettivamente al Tour de France 2020 e 2021. La speranza della Jumbo è quella di riuscire a portarli insieme fino in fondo per cercare di ribaltare il pronostico facendo leva sulla superiorità numerica.
Roglic è la prima punta, il faro della squadra. Reduce da tre vittorie consecutive alla Vuelta (dal 2019 al 2021), ha sfiorato il Tour de France nel 2020 gettando tre settimane di dominio alle ortiche nei chilometri finali dell’ultima cronometro. L’anno scorso una caduta l’ha tolto dai giochi e quest’anno si presenta alla partenza con un anno in più e qualche certezza in meno. Perché l’età che avanza comincia a farsi sentire e se fino all’anno scorso lo sloveno era in grado di dominare tutte le brevi corse a tappe a cui partecipava, quest’anno non è sembrato così in totale controllo nelle varie situazioni di gara ed è un aspetto su cui dovrà porre molta attenzione.
D’altro canto, però, accanto a lui c’è Jonas Vingegaard. Secondo al Tour 2021 un po’ a sorpresa, il danese sta crescendo passo dopo passo, gara dopo gara. E se l’anno scorso sembrava una sorpresa, oggi è una solidissima realtà del ciclismo contemporaneo per le grandi corse a tappe. Dalla sua ha una squadra formidabile e la consapevolezza di essere già una volta riuscito a staccare Tadej Pogacar sulle grandi montagne, l’anno scorso in occasione della doppia scalata al Mont Ventoux. Ed è proprio sulle grandi montagne - lunghe, ripetute e ad alta quota - che la Jumbo-Visma dovrà provare ad attaccare il campione uscente, nell’unico terreno sul quale - finora - ha mostrato qualche crepa che se picconata nel modo giusto potrebbe aprire uno squarcio nelle sue difese.
Roglic e Vingegaard in trionfo all’arrivo dell’ottava tappa del Delfinato. Una scena che la Jumbo-Visma spera di ripetere al Tour (foto di Dario Belingheri/Getty Images).
A proposito di squadre: la Ineos può ancora dire la sua?
Gabriele Gianuzzi
Geraint Thomas sta vivendo il momento di forma migliore da quando nel 2018 ha vinto il Tour de France. Certo, nel frattempo sono passati quattro anni e, anche complice l’esplosione dei nuovi talenti, la sua vittoria sembra appartenere ad una generazione passata. La recente vittoria al Tour de Suisse ci dice che il gallese è pronto a dare battaglia. Se sarà capitano o se si sacrificherà per il suo compagno di squadra Daniel Felipe Martinez lo deciderà la strada.
Il colombiano anno dopo anno sta mostrando una crescita impressionante e quest’anno ha corso benissimo. Terzo in Algarve, terzo alla Paris Nice, vittoria al Giro dei Paesi Baschi (mettendosi dietro Roglic e Vingegaard), top 5 alla Freccia Vallone e alla Liegi Bastogne Liegi. L’unico dubbio è: troppo in forma troppo presto?
Il problema degli uomini INEOS è che pur essendo ottimi ciclisti, non primeggiano in nessuna specialità e sulle singole corse (crono, alta montagna, punch sugli scatti brevi in salita) sulla carta partono battuti sia da Pogacar che da Roglic e Vingegaard.
Quello che è a tutti gli effetti il loro punto debole, però, potrebbe paradossalmente essere anche l’unico punto a loro favore. Se i due sloveni commettessero l’errore di controllarsi troppo, i due uomini INEOS potrebbero approfittarne. Sicuramente dovranno provare ad inventarsi qualcosa e chissà che le abilità di Thomas sulle pietre e in mezzo al vento non possano tornargli utili.
Cosa dobbiamo aspettarci da Wout Van Aert?
Umberto Preite Martinez
Dopo lo show di Mathieu van der Poel al Giro d’Italia, c’è grande attesa per vedere come risponderà l’eterno rivale Wout Van Aert sulle strade del Tour de France. Dodici mesi fa aveva lasciato Parigi con un bel bottino di vittorie, su ogni terreno: a crono, in volata, e poi il capolavoro nella tappa del Mont Ventoux. Se però l’anno scorso il ritiro di Primoz Roglic l’aveva lasciato più libero di muoversi da solo anche infilandosi nelle fughe da lontano, quest’anno il compito del belga sarà necessariamente legato al destino dei suoi due capitani.
Come abbiamo detto, la Jumbo-Visma punta tutto sulla superiorità della sua squadra per provare a ribaltare il pronostico e Van Aert è senza dubbio una pedina fondamentale nello scacchiere tattico degli olandesi.
Un obiettivo che potrebbe essere alla sua portata, però, senza compromettere per questo il suo ruolo di gregario di lusso, è la Maglia Verde - la maglia della classifica a punti. Quest’anno non ci sarà il vincitore uscente Mark Cavendish ma la Quick Step punta tutto su Fabio Jakobsen. L’olandese è probabilmente il velocista più forte del mondo al momento e sarà un osso duro per Van Aert se riuscirà a portare a termine il Tour de France.
Nelle altre squadre non mancano però le ruote veloci: Alberto Dainese ha già vinto una tappa al Giro e punta al bis al Tour, Kristoff e Pasqualon proveranno a dare seguito alla grande stagione della Intermarché, Caleb Ewan vuole riscattarsi dopo un Giro d’Italia piuttosto anonimo e Groenewegen è sempre un uomo da tenere d’occhio anche se nelle ultime uscite è sembrato fuori condizione.
E poi c’è Peter Sagan, redivivo dopo mesi difficili, reduce da una bella vittoria al Giro di Svizzera poche settimane fa e riconfermatosi campione nazionale della Slovacchia. Di come si vince la Maglia Verde, Peter Sagan è forse il massimo esperto al mondo e se confermerà il trend positivo delle ultime settimane potrebbe riservare qualche bella sorpresa ai suoi avversari e soprattutto ai suoi tifosi.
La linea temporale senza vittorie francesi al Tour de France si allunga ogni anno di più. Data l’assenza di Alaphilippe, quest’anno chi sarà a illuderli di nuovo?
Gabriele Gianuzzi
A inizio anno, la FDJ ha presentato nell’ordine Gaudu, Pinot e Madouas come i propri capitani in vista del Tour e i tre non si sono nascosti dicendo che l’obiettivo era almeno il podio e che avrebbero seguito un calendario disegnato apposta per arrivare in forma a luglio.
Gaudu, dopo un ottimo inizio di stagione in Algarve non ha brillato per costanza di risultati in classifica generale ma ha avuto qualche buona prestazione qua e là. La vittoria di tappa al Delfinato dopo una buona prestazione al Mercantour Classic la settimana precedente è un buon biglietto da visita. Madouas ha sperimentato con buoni risultati le pietre del Nord (3º al Fiandre e 7º alla E3) e ha ben figurato alla classica del Mont Ventoux. Thibaut Pinot ha ritrovato la felicità della vittoria al Tour of the Alps e si è confermato a livello WT vincendo anche una tappa al Tour de Suisse.
La sensazione è che quest’anno non abbiamo ancora visto la migliore versione dei tre e che la squadra, che può contare anche sull’australiano Störer come gregario di lusso, voglia provare qualche imboscata attaccando da lontano. Se però penseranno esclusivamente a difendersi probabilmente non avranno molte possibilità di raggiungere l’obiettivo stagionale.
Pierre Rolland, 35 anni, maglia a pois di leader della Montagna al Delfinato partirà per il suo tredicesimo Tour de France. Il magazine settimanale de l’Équipe gli ha dedicato un articolo descrivendolo come uno degli uomini da seguire in questo Tour per 4 principali motivi: è nella forma della sua vita, si conosce a fondo (tanto da non aver bisogno del rilevatore di potenza che per lui è “200gr in più da trasportare ogni tappa e in quelle con un dislivello di 4.000m fa la differenza”), conosce molto bene la corsa e i suoi aspetti più logoranti, non ha niente da perdere.
Io ne aggiungo un quinto: solitamente seguire Pierre Rolland in un grande giro significa salire su un ottovolante di emozioni difficilmente replicabile. Se avete voglia di emozioni forti in positivo e negativo potrebbe essere il vostro uomo.
Se i francesi piangono, gli italiani possono ridere?
Gabriele Gianuzzi
Anche in questo Tour ci saranno buoni corridori, che proveranno a mettersi in mostra in qualche tappa, ma è difficile pensare che qualcuno possa davvero competere per la classifica generale. Dainese e Mozzato possono dire la loro in arrivi veloci. Oss e Sbaragli verosimilmente saranno importanti gregari. Bagioli, Bettiol, Moscon, Pasqualon e Velasco possono dire la loro nelle tappe vallonate. Caruso, Cattaneo e Ciccone si faranno vedere nelle tappe di montagna. Filippo Ganna punterà tutto sulla prima crono di Copenaghen e in base alla classifica dei suoi capitani vedremo quanto spazio di manovra avrà.
Sulla carta ci sono potenzialmente 3-4 vittorie di tappa. E non è poco nel ciclismo globalizzato di oggi. Aspettarsi di più significa illudersi o sognare. Non c'è nulla di male, ma bisogna essere chiari a riguardo.
E quindi chi vince?
Gabriele Gianuzzi
Jonas Vingegaard
Umberto Preite Martinez
Tadej Pogacar