Gli ultimi dodici mesi sono stati una lunghissima attesa per tutto il mondo ciclistico. Dopo la sconfitta al Tour de France 2022, maturata prima con la crisi del Col du Granon e poi con i falliti attacchi alla baionetta per il resto del Tour, Tadej Pogacar - il numero uno del ciclismo mondiale - torna alla Grande Boucle a sfidare l’unico uomo che è stato in grado di batterlo: il danese Jonas Vingegaard.
Nonostante siano passati dodici lunghi mesi, con in mezzo la seconda parte della scorsa stagione e la prima metà della stagione 2023, gli interrogativi che rimbalzano nei discorsi degli appassionati e degli addetti ai lavori sono ancora tanti. Riuscirà Pogacar a riscattare la sconfitta di un anno fa? La Jumbo-Visma sarà in grado di supportare Jonas Vingegaard verso il bis nonostante l’assenza di Roglic e un Van Aert in bilico? A che punto sono i loro avversari?
Una preview del Tour de France la trovate anche nel nostro podcast sui grandi giri, Fuori Tempo Massimo.
Domande che al momento ci appaiono senza risposta, perché i due protagonisti si sono sfidati in rare occasioni e in situazioni molto diverse da quelle che si troveranno davanti nelle prossime tre settimane. Alla Parigi-Nizza di inizio marzo Tadej Pogacar ha nettamente vinto il confronto con il suo rivale; ma la stessa cosa era successa un anno prima alla Tirreno-Adriatico 2022, e sappiamo tutti com'è andata a finire sulle strade del Tour pochi mesi dopo. Il Tour de France non è la Parigi-Nizza, ma verosimilmente è una corsa che non è paragonabile a nient’altro in questo mondo. Fa storia a sé, da sempre.
Il Tour di quest’anno ha poca cronometro, solo 22 chilometri. Non saranno come al solito al termine del Tour prima dell’arrivo a Parigi ma all’inizio della terza settimana, con ancora quattro tappe da affrontare prima della passerella sugli Champs Élysées. Ma la terza settimana appare quest’anno particolarmente scarica, più leggera rispetto al solito, seguendo la tendenza lanciata recentemente dagli organizzatori della Vuelta di Spagna: dopo la crono (tappa 16, il 18 luglio, 22.4 km da Passy a Combloux) ci saranno solo due tappe interessanti, la tappa 17 e la tappa 20. Se la prima è un classico tappone alpino, con il Cormet de Roseland ad anticipare la lunga scalata al Col de la Loze, la tappa numero 20 si svolgerà su un percorso più tortuoso, con salite più corte e a quote decisamente inferiori (mai sopra ai 1200 metri di altitudine) dove chi vorrà cercare il colpo della disperazione potrebbe trovare terreno fertile.
Il grosso del Tour de France sarà però deciso nel finale della seconda settimana dove il gruppo affronterà tre tappe di montagna una di seguito all’altra. Una scelta ottima, che va a testare la resistenza dei corridori come ormai accade sempre più raramente. Certo, le prime due tappe del trittico non sono impossibili: la prima è praticamente una unipuerto con arrivo sul Grand Colombier, la seconda è una tappa con salite abbordabili e anche relativamente corta (151.8 km con arrivo in discesa a Morzine dopo aver affrontato nel finale il Col de Joux Plane, 11.6 km al 8.5%). La terza tappa di questo mini tour de force è invece la più dura delle tre: più lunga (179 km), con salite più impegnative nel finale.
Insomma, sarà un Tour de France tutto da scoprire, a partire dalle prime tappe nei Paesi Baschi. Un Tour de France che con questa Guida proviamo a decifrare insieme esplorando i temi fondamentali che bisogna conoscere per capire questa edizione 2023 della Grande Boucle.
L’importanza del ciclismo nei Paesi Baschi
Gabriele Gianuzzi
La bicicletta e il ciclismo si intersecano nella vita dei baschi da sempre. Basti pensare che le due aziende di bici più grandi di Spagna (BH e Orbea) sono entrambe di quella regione. Come ci spiegava Mikel Ilundain nella prima puntata del podcast Fuori Tempo Massimo dedicata al Tour de France, i ciclisti in Euskal Herria sono trattati come vere e proprie star. Mi viene un esempio alla mente: il popolare show di Natale della EiTB, la radiotelevisione in lingua basca, propone regolarmente come ospiti i principali ciclisti della zona.
Alla partenza di Bilbao/Bilbo saranno in sette: Alex Aranburu, Jonathan Castroviejo, Omar Fraile, i fratelli Gorka e Ion Izagirre, Mikel Landa e Pello Bilbao.
Molti passeranno dalle loro città, in mezzo alla loro gente. Quando il Tour de France è partito dai Paesi Baschi 31 anni fa, Ion Izagirre aveva 3 anni. Quest’anno affronterà il suo nono Tour de France ed è l’ultimo basco della provincia di Guipúzcoa ad aver vinto una tappa al Tour nel 2016. Al quotidiano locale Diario Vasco ha dichiarato che “avere la partenza in casa è un orgoglio incredibile”. Pello Bilbao in una intervista a Vélo Magazine ha dichiarato di sentire un sentimento di appartenenza alla sua città natale di Guernica e alla zona dell’Urdaibai difficile da spiegare: “Il mio lavoro, la mia maniera di essere e di vivere hanno una relazione fortissima con questi luoghi.” Per lui il Tour sarà focalizzato, almeno inizialmente, nel fare bene sulle strade di casa e poi si vedrà:“Mi sembra che il Tour quest’anno duri tre giorni invece di tre settimane”. Ho avuto il piacere di intervistare il suo compagno di squadra e capitano, Mikel Landa, su questo argomento per il podcast spagnolo A la Cola del Pelotón durante il Critérium du Dauphiné: “È entusiasmante. È una vera e propria fortuna poterlo vivere come corridore e non vedo l’ora che arrivi il momento per poterlo sfruttare al massimo”.
Castroviejo, nel comunicato stampa della sua squadra di presentazione al Tour de France ha detto che sarà un’esperienza incredibile passare di fronte a casa sua a Bilbao e il suo compagno di squadra Fraile, anche lui della provincia di Biscaglia, ha detto che essere selezionati per il Tour è sempre un’emozione (ne ha corsi quattro) ma che il Tour di quest’anno sarà il più speciale mai affrontato e anche il più bello.
Le tappe di montagna
Gabriele Gianuzzi
Christian Prudhomme e Thierry Gouvenou, direttore generale e direttore tecnico del Tour de France, da anni stanno cercando di allontanare il Tour de France dalla dicotomia Alpi - Pirenei. Quest’anno la Grande Boucle toccherà tutte e cinque le catene montuose presenti in Francia. Nell’ordine il Tour attraverserà i Pirenei (tappe 5-6), il Massiccio Centrale (tappe 9-10-12), il Jura (tappa 13), le Alpi (tappe 14-15-17) e i Vosgi (tappa 20). Rispetto agli ultimi tre anni non si sono mai visti tanti gran premi della montagna categorizzati dalla 2ª categoria in su: 30.
Uno dei punti chiave della direzione è anche trovare la ricetta giusta che mescoli montagne che rappresentino la storia ultracentenaria del Tour e nuove montagne per non perdere lo spirito originario e pioniero della corsa stessa.
Da questo punto di vista spiccano i due passaggi più alti: il Col de la Loze a 2304 metri verrà affrontato per la seconda volta; il Tourmalet coi suoi 2115 metri è il Colle più affrontato della storia del Tour e il suo primo passaggio risale al 1910.
Nonostante un’altitudine normale (1465 m) e una lunghezza cortina (l’ultimo settore con pendenze degne di nota misura solo 4 km) il Puy de Dôme è il fulcro del Tour de France per tanti motivi. Il celebre vulcano non si vedeva al Tour da 35 anni. In secondo luogo, sarà la prima salita del Tour de France moderno ad essere affrontata senza pubblico. In terzo luogo, a parte occasioni speciali (come per esempio il giorno prima del Dauphiné dove sono state concesse due ore di ricognizione) la salita non è affrontabile in bici e quindi sarà una sorpresa per quasi tutti i principali favoriti.
Le difficoltà della Ineos
Umberto Preite Martinez
La Ineos sembra ormai lontana parente di quel superteam in grado di annichilire gli avversari al Tour de France e sta vivendo un lungo momento di declino nel tentativo di portare avanti un necessario ricambio generazionale. Fatto sta che per il momento l’uomo con più certezze resta il vecchio Geraint Thomas che è stato però dirottato al Giro d’Italia con la speranza - vanificata all’ultimo - di centrare il bottino grosso alla Corsa Rosa.
Al Tour de France porta una squadra più in linea con il percorso che stanno affrontando: c’è il giovane spagnolo Carlos Rodriguez, non il fenomeno che si attendevano Oltremanica ma di certo un giovane interessante da far crescere, accompagnato da un Tom Pidcock in cerca di risposte e un Daniel Martinez che sarà probabilmente chiamato a salvare baracca e burattini in classifica generale. E poi c’è il grande interrogativo: Egan Bernal.
Il colombiano - già vincitore del Tour nel 2019 e del Giro 2021 - è reduce da un gravissimo infortunio in allenamento nel gennaio 2022. Un incidente in bici da crono che poteva costargli non solo la carriera ma soprattutto la capacità stessa di camminare. Il fatto che sia tornato in sella a una bicicletta è già un enorme successo per lui; il fatto poi che al recente Delfinato abbia dimostrato di essere ancora un ciclista è una gioia per tutti.
Difficilmente vedremo Bernal competitivo per la classifica generale, ma non ha davvero importanza in questo momento. Più probabile che il leader della Ineos sia Carlos Rodriguez, già 7° alla Vuelta 2022 e 9° al Delfinato di poche settimane fa dove è stato il migliore dei suoi. Quasi impossibile però pensare che gli uomini della Ineos riescano a impensierire gli avversari in modo così decisivo. Sarà però un team da tenere d’occhio, per le tante storie che questi ciclisti dovranno scrivere nelle pagine delle rispettive carriere.
La maledizione della Cofidis
Gabriele Gianuzzi
Era il 25 luglio 2008. Nella 19ª tappa da Roanne a Montluçon, Sylvain Chavanel in maglia Cofidis batteva in volata Jeremy Roy dopo 80 km di attacco congiunto e si prendeva la sua prima vittoria di tappa al Tour de France.
Quest’anno parte il quindicesimo Tour senza una vittoria di tappa Cofidis, una infinità. Il dato è leggermente drogato dal fatto che dal 2009 al 2019 la Cofidis è stata nella “seconda categoria” del ciclismo, quella delle squadre Pro Continental, però l’invito al Tour non è mai mancato e altre squadre dello stesso livello in quegli anni hanno fatto meglio quindi le motivazioni sono da cercare altrove. Secondo Cédric Vasseur, ex ciclista della squadra e dal 2018 General Manager, le motivazioni sono molte. Da una intervista del 2019 a France Info la più interessante è il fatto che per troppo tempo si siano intestarditi nel cercare la vittoria di tappa con un uomo veloce agli sprint. Tra l’altro con corridori senza vittorie al Tour de France all’attivo, particolare evidentemente non superfluo.
La squadra oggi è profondamente diversa, dal 2020 è tornata nella massima categoria e le vittorie, anche importanti, non sono mancate. Però il Tour è ancora una spina nel fianco. La squadra di quest’anno è un mix di vecchie volpi come il regista Simon Geschke (11ª partecipazione) e di giovani talenti come il veloce Axel Zingle e Alexis Renard (prima partecipazione per entrambi). La squadra curerà la classifica generale con Guillaume Martin che dovrà fare della costanza e della regolarità il suo mantra per tre settimane per provare ad arrivare più in alto possibile. Ion Izagirre, Victor Lafay e Anthony Pérez saranno gli attaccanti della squadra per provare da lontano o per cogliere in contropiede gli avversari. Bryan Coquard è l’uomo di punta per gli arrivi allo sprint.
Cédric Vasseur nel comunicato di presentazione della squadra è stato piuttosto chiaro: “Tutti i corridori scelti sanno dell’importanza di questo Tour per il futuro della nostra squadra. Saremo al Tour per vincere”. Chissá che non sia l’anno buono per aprire la bottiglia di Champagne che, come dichiarato a The Cycling Podcast qualche Tour fa, aspetta sul bus una vittoria alla Grande Boucle per essere aperta.
Le speranze dei ciclisti italiani
Gabriele Gianuzzi
Gli italiani al via, a meno di cambi dell’ultimo minuto, saranno sette: Alberto Bettiol, Giulio Ciccone, Jacopo Guarnieri, Gianni Moscon, Luca Mozzato, Daniel Oss e Matteo Trentin. Li dividerei in tre gruppi.
Guarnieri, Oss e Trentin sono esperti gregari. Arrivano al Tour per aiutare i propri compagni e saranno fondamentali per guidarli al meglio durante le situazioni più complicate. Guarnieri sarà il pesce pilota di un Caleb Ewan che non vince al Tour dal 2020. Oss, invece, sarà l’angelo custode di Peter Sagan. Lo slovacco vuole congedarsi dal ciclismo su strada con una vittoria al Tour de France e vedremo se ci riuscirà. Penso che Oss possa essergli utile per piazzarsi in una bella fuga numerosa in una tappa complicata. Trentin, infine, sarà l’uomo di esperienza nella squadra di Tadej Pogačar. La sua versatilità è mancata dopo il ritiro dell’anno scorso.
Bettiol, Moscon e Mozzato cercheranno la vittoria di tappa. Ce l’hanno nelle gambe e nella testa. Poi che arrivi o meno, tante volte è anche questione di fortuna. Bettiol ci è andato molto vicino l’anno scorso e Mozzato ha chiuso cinque volte in top10, entrambi però quest’anno non hanno mai dato l’impressione di essere a quel livello, fino ad ora. Gianni Moscon ormai lo conosciamo, è tipo la mano di Mario Brega, po’ esse fero o po’ esse piuma. Su The Cycling Podcast l’ipotesi è che la sua presenza al Tour sia stata fortemente caldeggiata da parte di Cavendish perché al Giro gli è stato fondamentale per superare le tappe in montagna.
Giulio Ciccone è al via con l’obiettivo della Maglia a Pois. È un obiettivo ambizioso ma l’abruzzese può centrarlo. Il Dauphiné ha dimostrato che in salita può giocarsela con tutti. Di terreno propizio ce n'è a sufficienza. Spero soprattutto di vederlo correre con la testa sgombra, perché quando non ha più niente da perdere solitamente fa vedere le cose migliori.
Il duello fra Pogacar e Vingegaard
Umberto Preite Martinez
La sfida fra Pogacar e Vingegaard è il punto fondamentale attorno al quale ruoterà questo Tour de France 2023. Un duello che va avanti da ormai quasi due anni, da quel Tour 2021 in cui Jonas Vingegaard si ritrovò a dover fare il capitano della Jumbo dopo il ritiro di Roglic. Ma soprattutto da quella tappa con la doppia scalata al Mont Ventoux quando per la prima volta il danese riuscì a impensierire quel Tadej Pogacar che fino a quel momento sembrava inattaccabile. In quel preciso momento Vingegaard ha gettato le basi per la vittoria dell’anno successivo, aprendo una minuscola crepa nelle certezze di Pogacar ma anche alimentando la sua consapevolezza di potersela giocare con lo sloveno e di poter anzi trovare il modo di batterlo.
Nel 2022 Vingegaard è tornato al Tour de France sapendo di potercela fare e grazie a un grandissimo gioco di squadra con Roglic è riuscito a ribaltare la classifica e i rapporti di forza nella tappa con arrivo al Col du Granon. In quell’occasione si aprì il vaso di Pandora dei limiti di Tadej Pogacar: la tenuta sulle salite lunghe in successione, la capacità di andar forte in alta quota, il saper gestire i momenti di difficoltà e le proprie energie in quei momenti.
Questo non significa che Pogacar sia scarso su questi punti - stiamo comunque parlando di un fuoriclasse assoluto. Semmai il problema è che in quelle condizioni può essere battuto e può trovare chi va più forte di lui. Dopo quella batosta, Pogacar ha provato più volte a riprendersi la Maglia Gialla senza mai riuscire a scalfire la resistenza di Vingegaard, supportato egregiamente dalla sua squadra e in particolare da un Wout Van Aert in formato Godzilla.
Quest’anno però Van Aert ha annunciato che si ritirerà dal Tour se la sua compagna dovesse partorire in corso d’opera, lasciando la squadra senza una pedina fondamentale per stare con la sua famiglia - giustamente. Senza il suo supporto e senza poter contare sul gioco di squadra con Roglic - che dopo la vittoria al Giro punterà alla Vuelta - Vingegaard dovrà essere perfetto nel cercare di sfruttare i suoi punti di forza e a difendersi dagli attacchi di Pogacar quando il terreno sarà più favorevole allo sloveno, come nell’ultima tappa di montagna (la numero 20, con salite a bassa quota, dure ma esplosive).
Dal canto suo, la UAE ogni anno sta ampliando il parco gregari da mettere a disposizione del suo capitano. Quest’anno Pogacar potrà contare in particolare sul supporto di Adam Yates, che sembra essere in buona condizione e con il quale potrebbero provare a mettere in difficoltà i piani della Jumbo di controllare e addormentare la corsa nelle tappe più insidiose.
La differenza fra i due è molto risicata ed è molto complicato stabilire una gerarchia. Vingegaard, per quanto fatto vedere al Tour 2022 e al recente Delfinato, sembra essere ancora il favorito, senza punti deboli e difetti. Pogacar viene poi da un brutto infortunio patito in primavera che ha scombussolato i suoi piani per la preparazione in vista del Tour. Lo sloveno non ha mai corso, a parte i campionati nazionali del suo Paese che ha vinto sia a cronometro che in linea ma contro avversari decisamente non di primo piano, ed è quindi un’incognita la sua condizione di partenza. Certo che ci ha abituato a farsi trovare pronto in brevissimo tempo, senza bisogno di corse di preparazione. Ma il Tour de France è una corsa lunga e insidiosa, e Vingegaard è un osso molto duro da mandar giù.
I possibili terzi incomodi
Umberto Preite Martinez
Se credete che fra due litiganti possa spuntarla un terzo vale la pena chiedersi chi sia questo terzo. Certo, adesso è difficile immaginare una doppia débacle dei due grandi favoriti, ma insomma guardiamo il ciclismo anche per essere sorpresi. Per chi ha meno immaginazione leggete la sfida fra questi nomi come una lotta per il piazzamento sull’ultimo gradino del podio (che alla fine significa vincere il Tour de France dei “normali”, mica male).
La rosa dei nomi è lunga: possiamo puntare sulla regolarità e l’esperienza di Enric Mas, capitano della Movistar con una lunga scia di piazzamenti alle spalle ma che non è mai riuscito a fare quel salto di qualità tale da renderlo un serio contendente. Oppure possiamo sperare nella definitiva consacrazione di David Gaudu, beniamino di casa. Il francese ha avuto nella sua carriera punte di prestazione di livello assoluto alternate però a brusche frenate improvvise: l’esatto contrario di Enric Mas, se vogliamo. Per avere la meglio sui suoi avversari dovrà trovare non dico la continuità nelle sue prestazioni apicali ma quantomeno evitare i suoi consueti cali nell’arco delle tre settimane.
Il terzo nome è quello di Simon Yates, per il quale vale quasi totalmente il discorso fatto per David Gaudu. Anche se il britannico è più vecchio, negli anni ha perso un po’ di esplosività e ha guadagnato un minimo di continuità di rendimento che potrebbe rivelarsi l’arma vincente in questa situazione. Anche se poi la solita crisi di Simon Yates - che da anni ormai è diventata una sorta di meme nel mondo degli appassionati - è sempre dietro l’angolo.
Fra gli altri dobbiamo invece segnalare: il giovane danese Mattias Skjelmose, che ha fatto un grandissimo Giro di Svizzera; Carapaz, che sembra in ripresa ma vedremo se basterà per ottenere un grande risultato; Romain Bardet, probabilmente all’ultima chiamata per fare qualcosa di buono; e il duo della Bahrain - Mikel Landa e Pello Bilbao - che però al momento non sembra offrire grandi garanzie se parliamo di raggiungere i piani più alti della generale.
Discorso a parte, invece, meritano i due australiani Hindley e O’Connor, che forse sono anche i più solidi di questo gruppetto di terzi incomodi.
Gabriele Gianuzzi
Quante chance abbiano Jai Hindley e Ben O’Connor di emulare il loro connazionale Cadel Evans e diventare i secondi australiani a vincere il Tour de France onestamente non lo so. Tendenzialmente direi poche. I due arrivano con percorsi diversi ma entrambi hanno l’ambizione di fare bene e se possibile vincere.
Jai Hindley è all’esordio al Tour de France dopo una stagione in costante crescita ma dove non ha mai brillato. Ottimi segnali da un Critérium du Dauphiné chiuso in crescendo, ma mai la zampata del campione. Ha già vinto un grande giro e questo lo pone un gradino sopra a molti dei suoi contendenti perché ha dimostrato di saper gestire le pressioni mentali di correre per vincere, però il Tour è altro. Se sopravvive senza troppi problemi alle prime due settimane non lo scarterei per la vittoria finale.
Ben O’Connor ha avuto un anno particolare. Ha corso poco e non bene fino al Dauphiné dove si è messo in mostra e ha chiuso sul podio. Gli ultimi due giorni, prima e dopo la tappa, aveva uno sguardo rilassato e felice. Non aveva negli occhi il timore di chi si sta giocando qualcosa di grosso. Dalla sua parte ha una squadra a disposizione che crede molto in lui e nelle sue capacità. Berthet, Paret Peintre, Peters e Gall potranno aiutarlo in vario modo in montagna e Naesen e Cosnefroy nelle complicate tappe iniziali qualora avesse bisogno. Mi sembra un contesto per poter fare un grande Tour.
Mark Cavendish e il record di Merckx
Umberto Preite Martinez
Un altro che spera di vincere almeno una tappa è Mark Cavendish. Di lui sentirete parlare probabilmente per tutto il Tour de France, finché non sarà nauseante anche solo sentire il suo nome. Il velocista britannico è alla sua ultima partecipazione al Tour de France, ha annunciato il ritiro a fine stagione e ha cambiato squadra in inverno solo per avere la certezza di partecipare alla Grande Boucle di quest’anno. L’obiettivo è uno e uno soltanto: vincere una tappa per superare il record di Eddy Merckx. I due sono appaiati a quota 34 tappe vinte, 6 in più di Bernard Hinault fermo al terzo posto. Gli altri ciclisti in attività sono a distanza siderale: Sagan è a 12 (e difficilmente aumenterà questo numero), Greipel a 11, Van Aert a 9.
Quella di Cavendish è ormai diventata un’ossessione, da quando nel 2021 vinse a sorpresa le 4 tappe che gli mancavano per raggiungere Merckx in cima alla classifica. Da allora non si fa che parlare di questo, in parte anche giustamente visto il valore simbolico del record.
Cavendish dovrà vedersela però con una concorrenza molto agguerrita. Ci saranno tutti i migliori velocisti del pianeta al via dai Paesi Baschi: Jasper Philipsen è il più in forma quest’anno ed è il grande favorito per la Maglia Verde, Fabio Jakobsen è l’uomo che ha fatto fuori Cavendish dalle gerarchie della Quick Step (a ragione) ed è l’avversario principale - sulla carta - per Philipsen. Poco più in là troviamo Biniam Ghirmay, tornato alla ribalta dopo l’ottima primavera 2022 con una vittoria in volata al Giro di Svizzera contro Démare e Van Aert. Il primo non sarà al via del Tour, fatto fuori dalla Groupama pare per delle lotte di potere interne con David Gaudu; il secondo invece sarà al via ma in totale appoggio a Vingegaard e con l’incognita del ritiro che potrebbe arrivare da un momento all’altro.
Ci saranno poi Mads Pedersen, Caleb Ewan, Dylan Groenewegen, fra i nomi più altisonanti al via che daranno filo da torcere a tutti. Senza dimenticare tutti gli altri velocisti che potremmo definire “minori”, in cerca della loro vittoria: Coquard, Jordi Meeus, Phil Bauhaus, oltre al solito Peter Sagan, anch’egli all’ultima partecipazione prima del ritiro.
I cacciatori di tappe
Umberto Preite Martinez
Oltre a tutto quello che abbiamo detto, a rendere davvero grande il Tour de France sono gli uomini “da Classiche” che ogni anno si presentano al via a caccia di vittorie di tappa. In fuga da lontano o attaccando dal gruppo nelle tappe vallonate, questi cacciatori di tappe rendono vivaci quelle tappe intermedie che negli altri due grandi giri (la Vuelta e il Giro) spesso e volentieri si trasformano in semplici tappe di transizione in cui il gruppo se la prende comoda lasciando andar via la fuga di giornata.
Quest’anno il grande nome è Mathieu van der Poel, alla sua terza partecipazione al Tour. L’anno scorso era reduce dall’esperienza al Giro d’Italia e non è riuscito a incidere come avrebbe voluto. Nel 2021 invece è riuscito a conquistare per qualche giorno la Maglia Gialla, rendendo giustizia al nonno Raymond Poulidor - scomparso due anni prima - che invece non era mai riuscito nell’impresa neanche per un giorno.
Le tappe adatte a lui quest’anno non mancano, a partire dalle prime due frazioni nei Paesi Baschi che pur presentando muri più lunghi rispetto a quelli che sulla carta gli si addicono potrebbero comunque vederlo protagonista. Se la dovrà vedere con il solito Julian Alaphilippe, chiamato a riscattare un biennio sottotono dopo la rovinosa caduta alla Liegi-Bastogne-Liegi 2022. Accanto a loro, l’indomito Van Aert, presente un po’ in ogni dove in questa Guida così come sarà presente ovunque sulle strade del Tour: buttato nelle volate di gruppo, a lottare per la vittoria nelle tappe vallonate, spremuto in salita per aiutare Vingegaard.
Anche Biniam Ghirmay, nonostante la sua evoluzione fisica più da velocista puro che altro, potrebbe essere un altro dei nomi da tenere d’occhio nelle tappe mosse, così come il canadese Michael Woods o il già citato Tom Pidcock, già autore quest’anno di un gran numero alle Strade Bianche.
Se Thibaut Pinot e Giulio Ciccone si concentreranno invece verosimilmente sulla lotta per la Maglia a Pois - senza disdegnare le fughe nelle frazioni di montagna che potrebbero portarli anche alla vittoria di tappa - questi ciclisti che abbiamo appena citato sono meno adatti alle grandi salite e le loro battaglie per la vittoria saranno sicuramente il leit motiv dei primi dieci giorni del Tour de France 2023. Saranno, detta in altre parole, ciò che rende davvero speciale e diversa la Grande Boucle rispetto a qualunque altra corsa del calendario.
Chi vince?
Gabriele Gianuzzi
Adam Yates.
Umberto Preite Martinez
Jonas Vingegaard.