Il calcio brasiliano sta vivendo una crisi internazionale senza precedenti, sia a livello di club che a livello di nazionale: riuscirà una tra São Paulo e Atlético MG a risollevarne le sorti?
Giulio Di Cienzo (@AguanteFutbol): Francamente non credo. Le brasiliane hanno limiti qualitativi che le rende al massimo delle outsider, quindi serve una discreta unione di coincidenze perché una vinca la Copa. In ogni caso per il movimento vorrebbe dire poco vista la struttura delle due squadre. Di futuribile in ottica europea non c’è moltissimo (Carlos nel Mineiro, Joao Schmidt e Kelvin nel San Paolo) e tutti i giocatori di riferimento sono nomi noti o di ritorno.
Andrea Bracco (@Falso_Nueve_IT): L’unica maniera per risollevare le sorti del movimento brasiliano (a livello di immagine, perché dal punto di vista organizzativo c'è molto da lavorare) sarebbe quella di alzare il trofeo a luglio. A San Paolo ad inizio anno è stato chiamato Edgardo Báuza, importatore di un 4-2-3-1 imperniato principalmente sul pragmatismo, che in passato ha vinto la Copa con la LDU Quito ed il San Lorenzo. Tutto gira intorno all'ex ragazzo prodigio Ganso, vero manovratore della squadra, dai cui piedi passano le azioni più importanti. La fragilità nelle partite esterne rappresenta il vero limite per il Tricolór, un limite da cui l'Atletico MG potrebbe trarre vantaggio vista la quadratura tattica impartitagli dal saggio Diego Aguirre. L'allenatore uruguagio gioca un 4-3-3 costituito da una mediana decisamente muscolare, nella quale Junior Urso ha compiti da “tuttocampista”, e da un tridente non velocissimo ma di grande qualità dove c'è spazio anche per un ritrovato Robinho.
Ganso joga bonito
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio): Scattiamo una polaroid allo stato attuale del calcio verdeoro, anche se è impietoso. La Seleção è virtualmente fuori dal Mondiale (:-O) e al centro dell’attacco schiera Ricardo Oliveira (:-O). L’Atletico MG, pur essendo l’ultima squadra brasileira ad aver alzato la Copa, non sembra potersi ripetere né il São Paulo, che te lo dico a fare, lontano parente di quello jaggernaut guidato da Santana a metà anni ‘90. Peraltro a soli 45’ dalla chiusura della fase a gironi il Tricolór era teoricamente fuori dai giochi, e a scapito dei boliviani del The Strongest. Poi le castagne dal fuoco le ha tolte Calleri, e di lì è iniziata una crescita esponenziale che li ha portati a giocarsi un posto tra le prime quattro del continente. Alla fine però lo scontro fratricida non sembra fare il gioco di nessuno, di certo non del calcio brasiliano, che probabilmente dovrà accontentarsi della sesta coppa internazionale consecutiva senza coriandoli verdeoro sparati in aria. (Personalmente però un po’ di tifo nostalgico per Michel Bastos e Alan Kardec de Souza Pereira Junior, un passato fugace al Benfica, al quale la madre ha messo il nome del maestro dello spiritismo, lo faccio).
Qua è quando uno spirito malvagio (:-O) ha fatto lo sgambetto a Kardec in un momento importante.
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Calleri e Pratto: due centravanti argentini al centro dell’attacco delle due squadre brasiliane rimaste in competizione. Fa più ridere o mette tristezza?
Andrea: Probabilmente il fatto che due centravanti argentini facciano il bello ed il cattivo tempo in Brasile sottolinea semplicemente quanto il calcio sia cambiato. Le storie di Calleri e Pratto hanno radici completamente diverse; il primo è un classe 1993 che a breve sbarcherà in Europa, e al São Paulo è stato solo parcheggiato dal fondo di investimento che ne gestisce il cartellino. Fargli giocare la Libertadores concede al ragazzo parecchia visibilità, così in estate lo si potrà vendere meglio. Lucas Pratto invece è l'idolo del Mineirão, oltre che un vero bomber di razza, perché si è conquistato la piazza a suon di gol e prestazioni. In questo momento el Camélo è probabilmente il miglior attaccante in circolazione del continente sudamericano, il che – seppur in un periodo non floridissimo in fatto di talenti – significa parecchio. L'impatto di Pratto sulle prestazioni del Galo è devastante, tant'è vero che con lui in campo l'Atletico ha perso solo due partite in questo 2016. In prospettiva Calleri potrebbe anche fare meglio, ma la cosa più importante nel breve periodo è vederli provare a riportare in alto il calcio brasiliano.
Vedremo. 💣
Giulio: C’è di più: si è persino parlato di far diventare Pratto brasiliano a un certo punto della scorsa stagione, e questo sì che avrebbe fatto ridere. In Italia ce lo ricordiamo come lo sgraziato attaccante che al Genoa ha scelto il numero 2, ma in ambito Sudamericano domina fin dai tempi della Universidad Católica. Non a caso il Galo lo ha scelto come uomo di riferimento dopo lo smembramento della squadra che ha vinto la Copa. Calleri invece è il nuovo che avanza, in Brasile sta dimostrando una dimensione internazionale. Nell’Atletico Mineiro e nel San Paolo una volta giocavano Jô, Luis Fabiano e Ricardo Oliveira al loro posto, quindi chiaramente si può pensare ai una crisi del ruolo in casa verdeoro. Nella situazione opposta è l’Argentina, visto che ci sono ben cinque argentini tra i migliori marcatori di questa Copa.
Fabrizio: Io credo c’entri anche una ridefinizione del senso estetico brasiliano per il gioco d’attacco, una traslazione non del tutto indolore dal virtuosismo all’efficacia non necessariamente armoniosa o gradevole all’occhio. Voglio dire: Luis Fabiano, Ronaldo Gaucho, lo stesso Diego Tardelli erano portatori di uno stile che non è propriamente quello del Camélo, così churro, così imponente, così eminentemente argentino. Pare quasi che alla domanda “Brasil decime qué se siente” i brasiliani vogliano rispondere “mah, che si sente… ti dirò che quasi quasi...”.
Peraltro farei una piccola chiosa sullo stato di forma dei centravanti argentini: ci pensate che Martino nove su dieci non convocherà mai tre come Pratto, Ruben e Ábila dell’Huracán, cioè i tre migliori nueve della Libertadores?
El Kun chi?
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L’Atlético Nacional de Medellín può tornare a far vivere i fasti della Verde di Maturana?
Fabrizio: Una legge non scritta della Libertadores dice che chi travolge tutto e tutti nella fase a gironi poi non s’allontana molto dagli ottavi di finale. L’Atlético Nacional ha già sfatato la cabala e rischia di somigliare più al Boca del ‘77, una squadra per la quale il percorso invitto nei gironi fu solo il preludio al trionfo finale. In porta in quel Boca c’era Hugo Gatti; tra i pali dell’Atlético c’è un altro argentino, Franco Armani, una carriera travagliata partita dal quartiere Caballito di Baires e dal suo Ferro, passata attraverso un infortunio al crociato rimediato alla prima partita da titolare in Colombia e giunta (finora) al record di imbattibilità di questa Libertadores: 629 minuti. Quasi un tempo più di René Higuita nel 1990, per dire.
Andrea: L'Atletico Nacional de Medellin è sicuramente l'altra pretendente al titolo. A dirlo sono i numeri con i quali i Verdolagas hanno viaggiato fino ad oggi. Nelle sei partite della fase a gruppi non ha preso gol, ha vinto cinque partite e nell'ultima ha impattato a reti bianche contro l'Huracan. Questo dice molto sulla squadra di Reinaldo Rueda, profesór di lungo corso, bravo a migliorare ulteriormente i risultati della squadra che in Colombia, durante il ciclo Osorio, aveva vinto veramente tutto. L'accostamento alla Verde del Pacho Maturana è prematuro, forse anche fuori luogo visto che sono passati quasi trent'anni da quello che fu un vero miracolo calcistico, ma c'è un'analogia che le lega indiscutibilmente: il gioco. Rueda, come Maturana, predilige la fase offensiva e la applica con quattro giocatori di spiccate doti d'attacco, ai quali si aggiungono due terzini che spingono parecchio. Il vero punto di forza è la profondità di rosa, che permette a Rueda di cambiare più schemi a partita in corso senza abbassare il livello della qualità.
Una passeggiata al Centenario sulla ghiaietta Peñarol
Giulio: Tutti si aspettano il crollo del Nacional, io nel dubbio ho deciso di godermi le loro partite. Parlando di singoli bisogna ricordare che la miglior difesa di tutta la Copa si regge su due centrali classe ‘93 e ‘96, Felipe Aguilar e Davinson Sánchez, una coppia che sta dimostrando una solidità e una maturità decisamente inaspettate. A centrocampo la regia di Mejía è fondamentale e perfettamente integrata dal gioco verticale di Sebastian Pérez, un ‘93 che ha un’idea di calcio adattissima all’Europa. In attacco poi c’è Ibarbo, vecchia conoscenza del calcio italiano. L’ex Cagliari forse non sarà mai un goleador, ma la sua fisicità in Sudamerica è semplicemente devastante, come ha dimostrato la gara di ritorno contro l’Huracán.
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Il Boca è la squadra favorita alla vittoria? Riuscirà a scucire il titolo dalle maglie dei rivali storici del River Plate?
Fabrizio: Anche in virtù del carattere convulso della Primera División 2016, questa versione iperconcentrata e ridotta - di transizione, una formula che si applica normalmente ai papi - del campionato argentino che si esaurirà in soli quattro mesi e che vede impegnate nella lotta per i primi posti in classifica squadre come l’Arsenal de Sarandí o il Godoy Cruz, Boca e River avevano deciso di fare una specie di all-in nella Libertadores. I Millonarios per cercare di ribadire la loro supremazia sulla Conmebol, gli xenéizes per negarla in prima battuta, e poi per prendersi sul campo quello che i fatti extracalcistici di un anno fa gli avevano impedito di fare. Per questo l’eliminazione del River, sorprendente il giusto visto che stiamo sempre parlando del continente culla del realismo magico, è stata un danno incommensurabile non solo per i tifosi Millo ma per tutto il calcio continentale: ha privato la Libertadores della occasione per excellance. Un superclásico in semifinale sarebbe stato più efficace di centocinquanta spot con l’inno alla gioia e le statuine di bronzo che roteano.
Comunque Libertadores 1 Champions League 0.
Andrea: Assolutamente. Il Boca Juniors è stato costruito per vincere finalmente la Libertadores, soprattutto dopo la brutta eliminazione dello scorso anno. Schelotto ci ha messo quasi due mesi a far assorbire il suo credo alla squadra, e nonostante gli uomini adatti a giocare con un modulo che prevede la mezzapunta, l'ex tecnico del Lanus ha impartito i dogmi del suo 4-3-3 credendo nell'intelligenza tattica dei suoi ragazzi. I risultati sono sotto gli occhi di tutti; la squadra segna tanto e subisce molto poco, ha trovato finalmente in Carlos Tévez il suo leader ed è un bel mix di esperienza e gioventù. Ultima, ma non per importanza, l'abilità di Schelotto nel far di necessità virtù; nonostante i pesanti infortuni degli ultimi mesi (Meli, Cubas, Gago, Lodeiro, Betancour, oltre ad Osvaldo che non ha mai giocato), il tecnico ha saputo armare sempre degli undici competitivi, sfruttando la freschezza degli esterni - Carrizo e Pavón sono le sue più grandi creazioni – che hanno permesso a Tévez di agire da centravanti. Il resto la ha fatto la già citata difesa bunker, con la coppia di centrali composta dal Cata Díaz e da Insaurralde (e da Agustín Orión) che dopo aver trovato gli automatismi è diventata una fortezza impenetrabile.
Quanto ancora dovremo ricordare questa cosa orrenda come l’ultimo superclásico giocato in Libertadores?
Giulio: Il Boca sostanzialmente deve vincere questa Copa per qualità della rosa, per tutto quello che è successo l’anno scorso e perché il campionato è ormai abbandonato. Un approdo in finale visto il calendario sarebbe praticamente un passaggio naturale, il che porta una grossa pressione su Schelotto. La differenza la faranno il recupero degli infortunati e le condizioni in cui arriverà Tévez ai turni finali che si giocheranno a Luglio. Il Boca per di più non dovrebbe risentire negativamente dell’apertura del mercato europeo, ed è un grosso punto a favore.
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L’Independiente del Valle può essere il Leicester dell’America Latina?
Andrea: Sarebbe indubbiamente bello ed affascinante, ma ad oggi non penso che l'Independiente del Valle sia pronto per vincere questa competizione. Diversamente, credo abbia discrete possibilità di arrivare in semifinale, il che rappresenterebbe comunque un successo di dimensioni epocali visto che il club di Sangolqui si cresce in casa la maggior parte dei giocatori che abbiamo visto, per esempio, eliminare il River Plate. La loro forza probabilmente è proprio la spensieratezza con la quale affrontano le partite, grazie anche ad un allenatore molto preparato di cui si parla troppo poco; Pablo Repetto infatti è uno dei migliori tecnici sudamericani nel lanciare i giovani talenti. Il suo calcio è funzionale alle risorse disponibili in rosa ed il suo IDV dà sempre l'idea di saper cosa fare in entrambe le fasi di gioco. I punti di forza sono ovviamente la velocità con la quale sanno ribaltare il fronte di gioco e la quadratura difensiva (solo tre gol subiti nella fase a gruppi, come Boca Juniors e Corinthians, più uno agli ottavi di finale). Tra i talenti da seguire ci sono il trequartista Junior Sornoza, il volante Orejuela e l’esterno diciannovenne Cabezas.
Fabrizio: Repetto avrà sicuramente le sue doti da scopritore e valorizzatore di smeraldi grezzi, ma in quanto a strategie di motivational coaching mi sembra discretamente poco ortodosso, se l’uso del termine bipolare non fosse così negativamente connotato. In occasione della gara d’andata contro il River si è espresso in maniera contrastante sulla situazione che i suoi avrebbero trovato all’Olimpico Atahualpa (uno degli stadi più grandi di Quito, sicuramente più adatto a una serata di kermesse del genere visto che l’Independiente normalmente gioca all’interno di questa catinella). L’Ecuador si sta ancora rialzando dal sisma che ha sconvolto la nazione a Marzo. L’Independiente è la malta che il popolo ecuadoregno sta utilizzando per cementificare il suo senso d’appartenenza, e a Quito sono accorse tifoserie anche delle altre squadre locali, per dare sostegno all’IDV che, in quel momento, era il portatore sano dell’ecuadoregnità, se così si può dire. Repetto prima ha invitato tutti a indossare la maglia della Tri, poi si è detto preoccupato per la presenza di così tanti incitamenti visto che i suoi sono abituati a dare il meglio partendo da condizioni di svantaggio, da quarantamila fischi contro, non cori a favore.
Com’è finita lo sappiamo, anche se il giant killing, nel continente di Simón Bolívar, solleva sempre meno scalpore che altrove.
A proposito di bipolarità: AC/DC + dislessia = alienazione (che in spagnolo è l’anagramma di “formazione”)
Giulio: L’Independiente del Valle ha due vantaggi. Il primo è l’altitudine, il secondo essere la Cenerentola del torneo. L’unione delle due cose è stata fatale per il River Plate, che all’andata ha totalmente sbagliato approccio, e poi senza ossigeno non ha trovato le forze per riprendere la partita. Agli ottavi hanno avuto il loro turno perfetto (vedere le due traverse colpite dal River al Monumental), che però ha dato anche a tutti gli altri un segnale ben preciso: non si sottovaluta l’Independiente del Valle.
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Quanto è cresciuto in due anni, sotto la guida del Chacho Coudet, il Rosario Central?
Andrea: Dal punto di vista dei risultati tantissimo. Dal punto di vista tattico è cresciuto molto, ma deve ancora – dopo quasi due anni – registrare i meccanismi difensivi. Infatti una delle pecche del Rosario Central è proprio quella di subire troppi gol (ben 8 nella fase a gironi, peggio di loro solo il Deportivo Táchira tra le qualificate), e l'attacco non sempre riesce a sopperire con i gol. Soprattutto adesso che il gioco si farà duro. Passando invece alle note positive, va dato atto a Coudet di essere stato in grado di far coesistere i suoi migliori elementi; l'esempio lampante lo si è avuto con la gestione di Giovani Lo Celso, lanciato sul finire della stagione scorsa e sulla carta erede di Franco Cervi. Quando Cervi a gennaio non ha lasciato l'Argentina (doveva andare in Portogallo ma tutto è stato rimandato all'estate), il Chacho ha deciso di non rinunciare a nessuno dei due trasformando il suo 4-2-3-1 in un 4-1-4-1 nel quale i due talenti canalla possono esprimersi al massimo. Molti media in Argentina considerano questa squadra la migliore della Libertadores attuale, il che la dice lunga sulla grande considerazione di cui gode il Rosario Central a quelle latitudini.
Il primo gol di Lo Celso con il Central, ma anche un buon esempio di come gioca la squadra di Coudet.
Giulio: Coudet ha fatto un lavoro di alto livello sul Rosario Central, cercando un’evoluzione continua. La squadra è cambiata molto nel corso del tempo per attitudini e impostazioni, e ora è una delle più divertenti da seguire, soprattutto da spettatori neutrali. Il Central infatti è imprevedibile, può segnare tanto come subire tanto contro qualunque avversario (vedi partita col Palmeiras). Il Chacho ha dato mentalità offensiva, attitudine al palleggio e scelto una rosa in cui tutti hanno della qualità, fin dalla difesa. Un contesto in cui non a caso spiccano i giovani (Motoya e Salazár oltre a Cervi e Lo Celso).
Fabrizio: Ogni volta che vedo giocare il Central (ed è praticamente la squadra che quest’anno ho osservato più spesso, dopo la Roma) mi viene da pensare qué te parió, Roberto, te ne sei andato troppo presto e non ti sei goduto questo Canalla. Fontanarrosa, uno degli scrittori di calcio più amati in Argentina, e non solo a Rosario che gli ha dato i natali, avrebbe amato tutto, di questa squadra, avrebbe cantato le giocate di quei due uragani di delizia che sono Cervi e Lo Celso succhiandone ogni parola come fosse di caramella. Ma il suo preferito, che è poi contingentemente anche il mio, sarebbe stato di certo Marco Ruben, con quella facciaccia lunfarda, quell’umiltà malinconica, quel girovagare a vuoto prima di ritrovare la sua dimensione, che è esplosiva, con la nueve auriazul. Il Chacho lo conosce bene, per questo lo ha voluto per consegnargli le chiavi dell’attacco: quando Ruben ha segnato la sua prima rete in un Clásico rosarino, dieci anni fa, erano in campo insieme. Oggi, da una parte e dall’altra della barricata, sono l’emblema sfacciato del Canalla, che così lontano, in Libertadores, non arrivava da quindici anni.
El Kun chi? Volume II.
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I Pumas possono essere la seconda squadra consecutiva messicana ad arrivare fino in fondo?
Andrea: A sensazione direi di no. Ed anzi, nonostante abbiano giocato un'ottima prima fase, li vedo addirittura sfavoriti nella semifinale contro l'Independiente del Valle. Mi spiego meglio; in Messico le squadre che si qualificano per la Libertadores non sono le migliori del momento, e in più fanno riferimento al campionato conclusosi nella metà dell'anno precedente. Per questo le compagini messicane hanno difficoltà a fare strada in questa manifestazione, che comunque le sfavorisce sin dall'inizio non permettendogli di giocare dagli ottavi in poi la gara di ritorno in casa. Oppure, ad esempio, anche in caso di vittoria non consentirebbe loro di giocarsi il Mondiale per Club. Detto questo le eccezioni ci sono state, ma riguardavano squadre molto più forti dei Pumas odierni, come i Chivas del Chicharito Hernandez o i Tigres post Copa America rinforzati da Gignac.
Fabrizio: Davvero, il meccanismo che consegna e ripartisce le squadre messicane tra le due principali competizioni del continente americano, la Libertadores e la Champions League della CONCACAF, è assurdo e anche un po’ perverso. Toluca e Pumas sono state le migliori nella Regular Season delle LigaMX, ma competono in Sudamerica anche perché América e Tigres, forse le due più forti squadre messicane, erano già qualificate per la Concachampions, dove hanno garrito i campi di Belize e Panama, con tutto il rispetto. Questo non ci dice niente sul valore reale dei Pumas, peraltro squadra di grande tradizione storica (e iconicità, se pensiamo per un attimo a Cuéllar o Hugo Sànchez) e finalista sfortunata della Liguilla Apertura 2015, sconfitti ai rigori dai Tigres dopo una rimonta monstre. Il fatto che il loro uomo più importante sia l’argentino Ismael Sosa, ex enfant prodige dell’Independiente che dopo un Sudamericano U20 flamboyante quasi dieci anni fa si è un po’ perso nei meandri del calcio di seconda fascia prima di ritrovarsi in Messico, ecco, mi pare già un po’ più eloquente.
Giulio: La più grossa differenza tra i Tigres di un anno fa e i Pumas di quest’anno sta nella qualità della rosa. Gignac era la ciliegina su una torta già ricca, piena di giocatori di alto livello in Sudamerica, mentre oggi i Pumas non possono vantare nomi di tale spessore. Il quarto contro l’Independiente del Valle può portarli in semifinale, ma non andrei oltre coi sogni e anzi farei molta attenzione agli ecuadoriani.
Fabrizio: Scusate ma solo a me intenerisce/dà le vertigini questa foto di Campos con la divisa dei Pumas?
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Stiamo dando troppo per scontato che El Bolso non abbia nessuna chance contro il Boca? È pur sempre il glorioso Nacional de Montevideo!
Andrea: La sfortuna del Nacional probabilmente è stata quella di trovare sulla propria strada l'avversaria peggiore. C'è da sottolineare il grande lavoro fatto da Munua, tecnico che la società ha confermato (a ragione) nonostante i pessimi risultati dello scorso semestre. La campagna condotta in Libertarores mi ha sorpreso abbastanza, per diversi motivi. In primo luogo perché i club uruguagi in campo internazionale hanno fatto sempre enormemente fatica, e da troppi anni non ne vediamo uno veramente protagonista. Il secondo motivo riguarda l'impatto devastante sull'economia di squadra che ha avuto Nicolás Nico López. Ecco, Nico ha veramente fatto le fortune del Bolso, trasformando un attacco parecchio abulico in un reparto molto pericoloso. Un'altra statistica da non sottovalutare secondo me riguarda il fatto che questa squadra non ha ancora mai perso in trasferta, ed anzi ha collezionato una vittoria e tre pareggi, l'ultimo dei quali in casa del Corinthians, dove ha strappato il passaggio ai quarti. Anche questo fattore, in chiave ritorno da giocare alla Bombonera, non è da sottovalutare.
Fabrizio: Il Bolso non arrivava ad uno stadio così avanzato di coinvolgimento in Libertadores dal 2009, quando venne sconfitto dall’Estudiantes di Verón in semifinale, e gli argentini andarono poi a conquistare la Copa. Oggi come allora si trovano di fronte una squadra albiceleste guidata da un figliol prodigo sazio d’Europa e determinato a riprendersi, foss’anche per l’ultima volta, l’America del Sud calcistica. Come se non fosse abbastanza da far tremare i polsi, bisogna metterci l’infausta coincidenza di calendario che mette il Nacional di fronte all’esigenza di doversi giocare la qualificazione in casa (casa casa, dal momento che si giocherà al Gran Parque Central e non al Centenario) contro il Boca a soli tre giorni di distanza dal Clásico di Montevideo che potrebbe permettergli di superare, sul filo di lana, il Peñarol in testa alla classifica. Munua dovrà dosare ogni centigrammo di forza fisica e psicologica dei suoi; e a Nico servirà un diente più avvelenato del solito.
Giulio: A me preme in particolare parlare di un giocatore del Nacional. Magari qualcuno si ricorda di Diego Polenta, che nelle giovanili del Genoa era considerato un prospetto di alto livello come terzino sinistro. Ecco, il classe ‘92 ora al Nacional fa il centrale e vista la sua evoluzione mi diverto a definirlo il David Alaba uruguagio. Ogni tanto però spegne il cervello, come dimostrano i due rigori causati agli ottavi.
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Quale talento emerso da questa Libertadores vedremo brillare alla Copa América Centenario, a Giugno?
Andrea: Una selezione che punterà molto su giocatori che militano in patria è la Colombia; se infatti scorriamo la lista dei preconvocati di Pékerman, vediamo una fitta presenza di giocatori appartenenti ad Atlético Nacional ed Independiente Santa Fe, ovvero le due migliori squadre del momento in ambito cafetero. Oltre a Marlos Moreno spenderei qualche parola per Yerri Mina, centrale del Santa Fe molto prolifico in zona gol grazie alle sue doti aeree e fresco annuncio di mercato del Palmeiras. Mina è cresciuto molto nell'ultimo anno, consacrandosi come leader della retroguardia dei Cardenales durante la scorsa Copa Sudamericana, poi vinta proprio dal Santa Fe. Dovrebbe andare negli Stati Uniti anche Sebastian Pérez, 23 anni, regista in forza all’Atlético Nacional. Il Paraguay si coccola invece Oscar Romero del Racing e Blas Riveros, terzino sinistro classe 1998, in forza all’Olimpia.
Giulio: In termini di giovani il paradosso è che non ce ne saranno tantissimi che dalla Copa Libertadores andranno in Copa América. Anche per me la squadra più da tenere d’occhio è la Colombia, che sembra nel mezzo di un cambio generazionale molto promettente dove il talento del domani è Marlos Moreno, già decisivo nelle qualificazioni Mondiali. Il Paraguay, storicamente una nazionale fatta di garra e fisicità, ha un reparto di esterni/seconde punte singolarmente ricco, in cui Oscar Romero potrebbe dire la sua anche da subentrato.
Fabrizio: Il Tata Martino mi sembra abbia le idee molto chiare su chi porterà ai Giochi Olimpici di Rio e chi alla Copa América, e anche se sarebbe stato bello vederli disimpegnarsi negli States, Calleri e Lo Celso e Cervi, cioè forse la meglio gioventù sudamericana che questa Libertadores ci abbia regalato, probabilmente non ci saranno.
La Bolivia non sarà tra le squadre di maggior attrattiva, ma Alejandro Chumacero, o come lo chiamano a La Paz Chumasteiger, l’anello di congiunzione tra una cholita wrestler e Bastian Schweinsteiger con una bordata nada mal,, è atteso alla consacrazione in limine al suo decimo anno di attività professionistica (con la Tigre boliviana esordì quando aveva solo quindici anni, ecco perché) dopo aver sfiorato una qualificazione agli ottavi che sarebbe stata dopottutto anche meritata.
E io terrei anche gli occhi sugli ecuadoregni José Angulo dell’IDV e Juan Cazares dell’Atletico MG.
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Quindi chi arriverà fino alla finale?
Andrea: I miei due nomi penso si siano già capiti. Nella parte sinistra del tabellone sarà una battaglia aperta dalla quale penso esca vincitore l'Atlético Nacional. I colombiani dovranno confermarsi, è vero, ma mantenendo la forma e lo spirito delle partite giocate sino ad oggi, potrebbero davvero soverchiare le gerarchie. Non solo, vedere i verdolagas in finale confermerebbe l'ormai ottima strada imboccata dai club colombiani, che da qualche anno a questa parte competono ad alto livello per il titolo. Dall'altra parte vedo un Boca Juniors con la strada spianata verso la finale. L'ostacolo Nacional non è sicuramente da prendere sotto gamba, ma gli xenéizes hanno la forza e la qualità per aggirarlo in scioltezza. Una volta passato, il Boca se la vedrebbe con la vincitrice di Pumas – Independiente del Valle, entrambe avversarie ben più abbordabili del Bolso. Se dovessi giocarmi un centesimo su una terza squadra, opterei per il Rosario Central, che qualora dovesse eliminare i colombiani dai quarti di finale, si candiderebbe ad ostacolo numero uno per il Boca Juniors.
Giulio: Le favorite sono l’Atlético Nacional e il Boca Juniors, quindi andate a giocarvi qualcosa su tutte le altre. Rosario Central e Nacional di Montevideo hanno l’occasione nello scontro diretto di eliminarle, e a quel punto passerebbero in pole position. Confesso che tifo spudoratamente per il Central, perché il Chacho se lo merita. Dopo i quarti la pausa per la Copa América insieme all’apertura del mercato europeo potrebbe fare la differenza.
Fabrizio: Rosario Central - Boca è la finale che preferirei, e non lo dico solo per ragioni sentimentali: gli xenéizes hanno il cammino più facile, anche se bisognerà passare sul cadavere del Nacional, e imboccare il tunnel sotto la tribuna Héctor Scarone da vincente non è mai stato una passeggiata per nessuno. Il Central, dalla sua, ha i pronostici contro, ma eliminare l’Atlético Nacional sarebbe un’insufflata di fiducia niente male. Una rivincita in finale della sfida reiterata l’anno scorso sui due fronti della Primera e della Copa Argentina conferirebbe alla Libertadores il fascino dello scontro che l’assenza del Superclásico le ha tolto. Oltre, ovviamente, a ribadire che l’argentinizzazione del Sudamerica, in termini di rapporti di forza calcistici, non solo è in corso e gode di buona salute, ma è inarrestabile.
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