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Guida ufficiosa al Sei Nazioni 2025
31 gen 2025
Una presentazione del grande torneo di Rugby.
(articolo)
22 min
(copertina)
Foto IMAGO / Insidefoto
(copertina) Foto IMAGO / Insidefoto
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“Ciascuno di noi si crede uno ma non è vero: è tanti, signore, tanti, secondo tutte le possibilità d'essere che sono in noi: uno con questo, uno con quello diversissimi! E con l'illusione, intanto, d'esser sempre uno per tutti, e sempre quest'uno che ci crediamo, in ogni nostro atto. Non è vero!” (Sei personaggi in cerca d’autore - Luigi Pirandello)


Le squadre del Sei Nazioni, molto spesso, si credono uno. Ma la realtà della storia dimostra che tante e diverse sono invece le possibilità d’essere, e che anche le prestazioni sulla carta più impensabili, le imprese sportive più impronosticabili, possono capitare. Nessuno, nessuna squadra, in centotrenta edizioni del torneo, ha per esempio mai sollevato il trofeo per tre volte consecutive.

Ci proverà, nel Sei Nazioni 2025 (il numero ventisei da quando la competizione è passata, nel 2000, a sei squadre) l’Irlanda.

Vincitore nel 2023, con grande Slam, vincitore lo scorso anno, con lo Slam negato solo da un’inattesa sconfitta contro l’Inghilterra, il XV irlandese non parte da favorito assoluto, ma ha dalla sua un calendario che, sulla carta, potrebbe dare una mano a fare la storia.

La sfida cruciale del torneo, la partita che, a meno di sorprese, dovrebbe decidere le sorti della competizione, si giocherà infatti all’Aviva Stadium di Dublino, l’8 marzo alle ore 15.15 italiane, nella quarta giornata: Irlanda contro Francia. Sarà la Nazionale guidata dal più forte rugbista del mondo, Antoine Dupont, l’ostacolo più difficile da superare per gli irlandesi nella rincorsa alla terza vittoria consecutiva. Les Bleus possono contare su quella che è forse la squadra più eccezionale della loro storia, un gruppo di giocatori straordinario, frutto di un lavoro di base realizzato dalla federazione e partito, ormai oltre un decennio fa, da un’attenzione certosina verso le formazioni giovanili e che oggi permette al tecnico Galthié di poter pescare in un bacino di quasi mille atleti, tutti con esperienza di altissimo livello. In teoria, insomma, la Francia, per qualità, per profondità, per quanto i suoi club hanno fatto vedere in questa prima parte di stagione, con un dominio esagerato delle competizioni continentali, dovrebbe essere considerata la favorita assoluta per la vittoria.

C’è però quella partita, quel pomeriggio di marzo a Dublino, che cambia completamente le carte in tavola: la Francia, all’Aviva Stadium, in una partita del Sei Nazioni, non vince dal 13 febbraio 2011. Ci sarebbe, a dire il vero, il successo del 2021, 13 a 15, ma non conta. Quella era la seconda edizione del Sei Nazioni in era Covid e lo stadio era vuoto: un particolare non secondario.

Un altro elemento da tenere in considerazione riguarda le prestazioni che fornirà la mina vagante della competizione: l’Inghilterra. Il XV guidato da Borthwick non vince il Sei Nazioni dal 2020 e ormai da diverse stagioni fatica a trovare continuità di risultati. Ci si dimentica però troppo facilmente che questa squadra, nell’ultimo anno e mezzo, se l’è giocata alla pari con tutti, perdendo una semifinale mondiale contro la corazzata Springbok di appena 1 punto, vincendo contro l’Irlanda allo scorso Sei Nazioni e perdendo di appena 2 punti con la Francia, raccogliendo due sconfitte contro gli All Blacks, fra luglio e novembre scorsi, ancora di 1 e 2 punti. Certo, in nessuna di queste partite gli inglesi hanno dato la sensazione di essere davvero dominanti, ma sembra comunque manchi poco per colmare il gap e non è detto che non sia questo torneo, questo Sei Nazioni 2025, a far rifiorire definitivamente il XV della Rosa.

La chance, per gli inglesi, arriverà subito, con l’esordio a Dublino contro l’Irlanda: una vittoria rivoluzionerebbe lo scenario del torneo. La Scozia, come sempre, resta sullo sfondo: in astratto ha tutto per riportare il trofeo a Edimburgo a venticinque anni dall’ultima volta. Quando poi scende in campo, però, non riesce mai ad alzare definitivamente il proprio livello, e questo nonostante un gruppo di giocatori di grande qualità e uno staff tecnico più che all’altezza.

Immaginare possa essere proprio questa l’annata del riscatto è arduo, ma gli scozzesi hanno dalla loro il calendario, con tre partite in casa, due delle quali (le prime due), consecutive.

Italia e Galles, infine, mettono tutti d’accordo: sono le squadre che cercheranno di evitare il poco ambito Cucchiaio di legno. Gli azzurri partono in una posizione di leggero vantaggio nella corsa a evitare l’ultimo posto, perché si giocano lo scontro diretto in casa, a Roma, alla seconda giornata, e in quanto la rosa azzurra sembra più pronta e più forte di quella dei Dragoni Rossi. Di certo la crescita della squadra italiana e un Galles che difficilmente potrà fare peggio dello scorso anno fanno immaginare un altro Sei Nazioni potenzialmente molto equilibrato.

L’edizione 2024 è stata la più competitiva di sempre da quando il torneo si è allargato a sei squadre, venticinque anni fa, con dieci partite su quindici terminate con scarti di massimo 4 punti e una media complessiva di 8.9 punti di margine, la prima volta nella storia del torneo a scendere sotto i 10 punti. Tutto questo, peraltro, senza togliere nulla allo spettacolo, visto che il numero di mete segnate, 5.3 a partita, è rimasto su un profilo medio-alto. La sensazione, anche tenendo come riferimento i test match dello scorso autunno, in cui le squadre del Sei Nazioni si sono ben comportate (vedi ad esempio la buona prestazione degli Azzurri nella sconfitta per 11 a 29 subita contro gli All Blacks a Torino) è che questa tendenza statistica potrebbe ripetersi, regalando un torneo di scontri senza divari eccessivi.

CINQUE NUOVE REGOLE

Un elemento da monitorare riguarda le novità regolamentari. Il Sei Nazioni ha deciso di introdurre per questa edizione cinque nuove regole che, dopo la fase di sperimentazione 2024 portata avanti ai Mondiali Under 20, nella Pacific Nations Cup, nel Rugby Championship e nei test match dello scorso autunno, hanno avuto, secondo gli esperti della federazione internazionale di World Rugby, un impatto positivo sia sui flussi di gioco, che sulla maniera delle squadre di approcciare le fasi di sviluppo delle azioni, riducendo il numero di interruzioni e aumentando la dinamicità delle manovre.

La novità più impattante sarà quella del cartellino rosso da 20 minuti: in pratica il giocatore espulso non potrà più rientrare in campo, ma passati 20 minuti la sua squadra potrà sostituirlo con un compagno. L’idea alla base di questa modifica regolamentare, che continua a essere oggetto di grandi discussioni nella comunità ovale, è quella di punire il giocatore, e non la squadra, salvaguardando l’integrità tecnica della partita. Gli arbitri, in ogni caso, continueranno ad avere la possibilità, se lo riterranno opportuno, di espellere il giocatore in maniera permanente e definitiva.

Un’altra grandissima novità, anche questa non ancora ben digerita da numerosi integralisti del gioco, riguarda la cosiddetta “protecting the 9”, una regola disegnata per garantire al mediano di mischia maggiore protezione nei momenti di ripartenza dalle fasi di gioco statiche. La norma, pensata per promuovere uscite del pallone più pulite e maggiore dinamicità al breakdown, prevede che il mediano di mischia non possa essere toccato quando si muove, con l’intento far ripartire il gioco, intorno a ruck, maul e nell’immediatezza di un contesto di placcaggio. Inoltre, la stessa regola sposta il punto di fuorigioco durante le mischie chiuse sulla linea centrale del tunnel di introduzione, vietando in pratica al mediano di mischia avversario di seguire il numero 9 e garantendo maggiore serenità nella gestione della palla dopo il raggruppamento.

La terza novità riguarda l’introduzione del tempo limite di 30 secondi per la ripresa da mischia e touche. Il timer da 60 secondi per i calci è ormai stato assimilato da qualche stagione, ma questo nuovo contingentamento del tempo, fissato per velocizzare il gioco, potrebbe avere un’influenza molto più potente sui giocatori in campo, che spesso utilizzano questi stacchi morti per rallentare e riprendere fiato.

Infine, due norme più soft riguardano la conferma del collegamento audio fra l’arbitro e lo stadio, con la spiegazione in tempo reale agli spettatori di alcune decisioni importanti, e l’utilizzo della tecnologia “touchfinder” per identificare, senza possibilità di errori, il punto esatto di uscita del pallone in rimessa laterale.

Di questo cartellino rosso, comminato a Freddie Steward contro l'Irlanda nel 2023, si è discusso molto, soprattutto perché, nel giudizio disciplinare post-partita, l'intervento dell'estremo inglese non è stato ritenuto pericoloso, e quindi non è stato squalificato. Proprio per gestire al meglio questo genere di interventi World Rugby ha deciso di introdurre la nuova norma dell'espulsione da 20 minuti.

COSA DOBBIAMO ASPETTARCI DALL'ITALIA?

Il 2024 azzurro, il primo con l’argentino Quesada sulla panchina della nostra nazionale, ha portato in dote alcuni dei momenti più belli della storia rugbistica italiana recente, ma ha anche fatto suonare diversi campanelli d’allarme, i soliti a dire il vero, relativi alla continuità di risultati e, soprattutto, all’incapacità dell’Italia di vincere sempre e senza patemi contro avversarie nettamente inferiori, così come di non sbracare nei momenti di difficoltà.

Il riferimento è alla brutta sconfitta contro Samoa dello scorso luglio e alla pessima figura rimediata a novembre in casa contro l’Argentina. Di contro non si può dimenticare che l’anno passato è anche stato quello del miglior Sei Nazioni di sempre, quello della definitiva (si spera) prova di superiorità contro la Georgia, quello delle cinque vittorie in un anno solare e della prestazione di orgoglio e sostanza contro gli All Blacks.

Da queste cose bisogna ripartire, avendo però sia l’ambizione di provare a ripetere il grande torneo del 2024, che la lucidità di comprendere quanto sarà difficile ripetere il cammino della campagna passata. Quesada ha portato un cambio di rotta non assoluto, ma molto consistente, nella squadra azzurra. Se con Crowley l’approccio tattico dell’Italia si concentrava, con un’enfasi estrema e a volte al limite del masochistico, sul movimento del pallone al largo e sull’attacco palla in mano da qualsiasi zona del campo, con l’allenatore argentino il XV azzurro ha imparato a variare di più il gioco, utilizzando il piede in maniera più strategica, senza però rinunciare a muovere l’ovale.

Guardando ai numeri dello scorso torneo, l’Italia, con una percentuale del 50.9% (con Crowley si andava oltre il 58%), resta infatti la seconda squadra della competizione per numero di azioni nelle quali il gioco viene spostato al largo per almeno 10 metri, dietro soltanto all’Irlanda, che è al 51.1%. Anche il numero medio di calci (21 a partita nel 2023, 28 nel 2024) mostra come l’Italia di Quesada non abbia rinunciato alla sua mentalità offensiva, ma sia semplicemente passata a una struttura che, da istintiva, si è fatta più strategica.

Si tratta comunque di un percorso, perché chiaramente una certa sicurezza sui tre quarti è stata acquisita proprio grazie all’apprendistato selvaggio dell’era Crowley, attraverso cui il nucleo storico di questo gruppo ha imparato a gestire il possesso in maniera ambiziosa, sino a diventare una delle linee d’attacco più creative dell’intero torneo. Un altro punto di forza sul quale possiamo sicuramente puntare riguarda l’organizzazione difensiva, legata soprattutto alla grande batteria di terze e seconde linee di cui dispone la rosa azzurra. L’Italia non solo è una delle squadre che, nel panorama internazionale, riesce a rubare più palloni in turnover (ben 33 al Sei Nazioni 2024, leader assoluta) ma è anche una formazione che concede pochi punti quando si trova a difendere dietro la propria linea dei 22 metri e che placca senza paura: gli azzurri detengono sia il record, stabilito nel 2024, del numero di placcaggi complessivi portati da una squadra nel torneo, 982, che quello del numero di placcaggi portati da un giocatore in una singola edizione: Michele Lamaro, 103 placcaggi, sempre l’anno scorso.

Questi dati raccontano di una squadra che si trova a proprio agio nelle fasi di gioco dinamiche, destrutturate, aperte, mentre, dall’altra parte, bisogna ancora lavorare moltissimo nelle situazioni di campo ordinate, come mischie chiuse, rimesse laterali e ripartenze dal gioco a terra. L’Italia ha percentuali di successo molto inferiori alle sue avversarie quando si tratta di portare a casa il pallone dalle fasi ordinate ed è una delle compagini più lente a far uscire il pallone da ruck, con una media di quasi 5 secondi a raggruppamento. Riuscire a lavorare su questi fondamentali, soprattutto su un’uscita del pallone più rapida dopo le percussioni, potrebbe permettere agli Azzurri di alzare ulteriormente il proprio livello di gioco, consegnando palloni più puliti e giocabili a una linea di tre quarti che ha dimostrato di avere moltissimo rugby fra le mani, ma di dover sempre gestire possessi poco lineari.

Da questo punto di vista la nuova regola sulla protezione del mediano di mischia potrebbe dare una mano, dal momento che proprio l’identificazione di un numero 9 affidabile, propulsivo, energico, continua a costituire il rebus di più difficile risoluzione per questa nazionale. Su Varney si era puntato forte, promuovendolo titolare già a 19 anni, ma purtroppo non è cresciuto, non sta crescendo, alla velocità che ci si sarebbe aspettati ed è restato fuori lista per l’esordio con la Scozia. Alessandro Garbisi sembra ancora lontano dalla qualità richiesta a questo livello e così si sta finendo per far giocare con regolarità Martin Page-Relo, che alla fine è più pronto e “quadrato” del pacchetto di mediani, ma è anche quello con meno prospettive di crescita. Poter contare su un numero 9 in grado di velocizzare il gioco e attivare in maniera più rapida i nostri “back” è essenziale, visto che dietro la nostra linea di tre quarti è composta da giocatori importanti. Paolo Garbisi è un’apertura moderna, brava al piede, forte in difesa, con personalità, corsa, comprensione del gioco e capacità di lettura dello spazio. La coppia di centri composta da Brex e Menoncello è di caratura mondiale e si complementa splendidamente, con Nacho che garantisce attacchi diretti e gestisce i ritmi della difesa e il ventiduenne trevigiano a liberare tutta la sua strapotenza tecnica e fisica, quando ce ne è la possibilità: vanno coinvolti molto di più con il pallone in mano ed è questo uno degli obiettivi a breve termine di Quesada. Allan, che può giocare sia da estremo che da apertura, è un giocatore che ormai unisce classe e sicurezza, mentre Ioane, all’ala, è un po’ calato, atleticamente, ma resta un elemento di eccezionale solidità.

E poi c’è Ange Capuozzo, un giocatore unico nel panorama internazionale, capace sempre di inventare qualcosa con le sue accelerazioni elettriche e che sta vivendo una bella stagione a Tolosa, una supersquadra nella quale, al fianco di Dupont, Ntamack, Ramos, si sta ritagliando uno spazio importante.

Inoltre, ci sono fuori giocatori altri giocatori di qualità che potrebbero trovare minuti già in questo Sei Nazioni, come Matt Gallagher, un estremo solidissimo, Simone Gesi, che è migliorato moltissimo in difesa e ha accelerazioni fulminanti, Leonardo Marin, un ragazzo che ha avuto meno spazio di quello che merita in questo gruppo ma la cui versatilità continua a essere una risorsa essenziale. E attenzione, perché fuori, per infortunio, ci sono anche due profili importanti come Lynagh e Odogwu.

Davanti, come detto, patiamo un po’ nelle mischie chiuse e abbiamo un atavico problema da risolvere in rimessa laterale: sembra poco, ma sono due situazioni di gioco dalle quali passa una percentuale decisiva delle prospettive offensive di un match. Ferrari, Fischetti, Riccioni, Zilocchi e il nuovo arrivato Rizzoli devono lavorare per garantire più stabilità nelle mischie chiuse, così come Nicotera e Lucchesi hanno il compito di sistemare definitivamente la touche. Certo questi ragazzi, di contro, fanno un lavoro straordinario in giro per il campo, un lavoro che in qualche misura si paga poi nelle fasi chiuse. La buona notizie è che abbiamo un gruppo di terze e seconda linee che forse non è mai stato così profondo: Ruzza, Lamb, i fratelli Cannone, Lamaro, Zuliani, Izekor, Vintcent, Negri, Favretto, sono tutti ragazzi che si giocherebbero il posto in qualsiasi delle altre partecipanti al Sei Nazioni, e l’abbondanza è tale che Quesada ha lasciato a casa (forse ingiustamente) un giocatore che in questa prima fase di stagione ha fatto benissimo con le Zebre: la terza ala Giovanni Licata. L’entusiasmo intorno a questa squadra, ad ogni modo, è tornato altissimo dopo anni di mesta insofferenza. Sono già stati venduti 150.000 biglietti per le tre partite che si giocheranno in casa all’Olimpico e ne restano disponibili appena 5.000 per la sfida di Roma contro il Galles, sabato 8 febbraio.

L’obiettivo minimo è di battere un Galles ancora in piena ricostruzione ed evitare così il cucchiaio di legno, andandosi poi a giocare con la testa libera le tre partite con Francia, Inghilterra e Irlanda, sulla carta fuori portata ma che, a determinate condizioni, potrebbero riservare sorprese. Soprattutto il match di Twickenham contro gli inglesi (Francia e Irlanda sembrano francamente troppo più avanti), qualora il torneo si metta male per loro, potrebbe diventare l’occasione giusta, nel caso imboccassimo una strada emotiva e tecnica ambiziosa nelle prime due giornate e al netto di infortuni in ruoli delicati (tipo ai centri, nei quali purtroppo siamo molto corti dietro Brex e Menoncello), per costruire un’impresa. L’esordio a Edimburgo invece, contro la Scozia, appare molto più delicato. È vero che l’anno scorso è arrivato un bel successo, ma vincere a Murrayfield appare più difficile, anche perché, diversamente dal 2024, quando alcune strutture di gioco di Quesada avevano preso di sorpresa le avversarie, in questa stagione tutti aspetteranno l’Italia con un rispetto diverso, e sarà più ostico sfruttare il fattore dell’imprevedibilità.

Questa prestazione di Ange Capuozzo, nel match di Champions Cup nel quale Tolosa ha seppellito Leicester per 80 a 12, racconta bene lo stato di forma straordinario dell'ala azzurra

LA FRANCIA AVANTI A TUTTI

Damian Penaud, Gael Fickou, Jonathan Danty, Reda Wardi, Charles Ollivon, Anthony Jelonch, Thibaud Flament. Sono solo alcuni degli infortunati francesi, tutti giocatori che molto probabilmente avremmo visto nel XV titolare pronto all’esordio contro il Galles alla prima giornata, e la cui mancanza non modifica però di una virgola le fanfare di favorita con le quali la Francia arriva al Sei Nazioni 2024.

La ragione principale per cui i francesi partono davanti nelle prospettive di vittoria ha un nome e un cognome: Antoine Dupont. Miglior giocatore del torneo nel 2020, nel 2022 e nel 2023, nel 2024 si è preso un anno sabbatico durante il quale è stato eletto giocatore di rugby a 7 dell’anno (lui che a Seven non aveva mai giocato) e si è messo al collo una medaglia d’oro conquistata alle Olimpiadi di Parigi. Raramente si è visto su un campo da rugby un giocatore le cui qualità individuali siano in grado di influenzare in maniera così diretta le prestazioni della sua squadra. Inoltre, la possibilità di ricomporre in maglia Bleus l’accoppiata di club con il mediano di apertura Ntamack, un giocatore elegante e sontuoso, al ritorno in squadra dopo un lungo infortunio, aggiunge un ulteriore piano di preminenza a quella che sembra essere una superiorità insormontabile.

Certo, c’è l’elemento dell’imprevedibilità tutta francese, che è un punto di forza ma a volte, per eccessiva convinzione nei propri mezzi, ha riservato sorprese inattese, ma in questo momento sembrano avere tutti i mezzi per portare a casa il torneo, e anche in grande stile. Attenzione, fra i giocatori meno pubblicizzati, a Pierre-Louis Barassi, centro ventiseienne di Tolosa che rientra in squadra dopo diversi anni al posto dell’infortunato Fickou e che, in un contesto nel quale può fare reparto con i compagni di culb Ramos, Dupont e Ntamack potrebbe finalmente mostrare tutto il suo grande talento.

L’Irlanda proverà a fare la storia giocando per la terza vittoria consecutiva, ma arriva al torneo, nonostante sia seconda nel ranking mondiale, mostrando qualche piccola crepa. I test match di novembre hanno mostrato una squadra un po’ stanca, con una vecchia guardia in riserva e i giovani che non sono sempre sembrati all’altezza. Il ritiro dal rugby internazionale di Peter O’Mahony è un altro grande punto interrogativo: per quanto Caelan Doris, il nuovo capitano, sia una delle terze linee più forti in circolazione, l’apporto carismatico di O’Mahony mancherà moltissimo, soprattutto in un XV che dovrà fare a meno anche di uno dei piloni più influenti del rugby mondiale, Tadhg Furlong. Resta comunque, l’Irlanda, una squadra che grazie al suo gioco fortemente strutturato e martellante, alla sua capacità di gestire il ritmo d’attacco a suo piacimento grazie al lavoro delle sue terze linee, si giocherà le sue chance di vittoria del torneo fino alla fine. Sarà interessante anche vedere quanto e se la squadra soffrirà la mancanza dell’allenatore capo, Andy Farrell, che nella prospettiva di guidare il tour 2025 dei Lions ha lasciato le redini della squadra al suo collaboratore Simon Easterby.

Un cambio radicale, forse anche inatteso, che Easterby ha subito proposto è quello per il ruolo di numero 10, la cui maglia è stata affidata al ventunenne Sam Prendergast, autore sin qui di una buonissima stagione con Leinster. Prendergast ha fatto vedere di essere già un giocatore pronto per questo livello, soprattutto in attacco, e sarà affascinante verificarne la tenuta ad alto livello, in un torneo fisicamente molto esigente come il Sei Nazioni, specie in difesa. La sua definitiva esplosione aggiungerebbe un elemento importante alle ambizioni di vittoria irlandesi, mentre eventuali tentennamenti potrebbero riportare rapidamente in campo Jack Crowley, il ventiquattrenne mediano di Munster che l’anno scorso aveva gestito con straordinaria calma la pesantissima eredità del post Johnny Sexton.

L’ennesimo momento di caos fermo è quello che travolge una Nazionale inglese che sembra ormai in costante modalità di auto-sabotaggio. Bill Sweeney, a capo della federazione, ha deciso di non dimettersi, né di scusarsi, nonostante sia stato travolto da uno scandalo colossale per essersi assegnato un bonus da 358.000 pounds lo scorso novembre, una cifra che si somma a uno stipendio da oltre 1 milione di sterline l’anno e in un contesto di grave crisi finanziaria della RFU, che ha un buco da 42 milioni. Insomma una bella faccia tosta, che è proprio quella di cui avrebbe bisogno l’Inghilterra, un XV che alla guida di Borthwick (di cui molti chiedono la testa) non ha migliorato di molto i risultati rispetto all’era Eddie Jones, ma che ha però fatto vedere di aver dei margini veri di miglioramento, emersi in un contesto, appunto, non esattamente sereno. Per mettere ancora più carne al fuoco Borthwick ha deciso di nominare capitano il seconda linea Maro Itoje, 30 anni, 88 caps e una carriera precoce iniziata con le stimmate del grande campione e che si sta via via codificando come quella di un ottimo giocatore che è però molto incline a concedere una montagna di calci di punizione evitabili. Nel ruolo di apertura, assente per scelta personale Farrell, sembra l’abbia spuntata Marcus Smith, un giocatore che garantisce straordinaria imprevedibilità e linee di corsa spesso inedite per un’apertura, ma che deve crescere nella gestione complessiva della partita e nelle dinamiche di coinvolgimento della sua linea arretrata. In questo senso sarà intrigante vedere quanto spazio si conquisterà il ventiduenne Fin Smith, un numero 10 meno spettacolare del suo omonimo Marcus, ma che nelle poche apparizioni in maglia inglese ha dimostrato di far girare bene, come collettivo, i tre quarti. Curiosità anche per vedere in campo, per la prima volta nella storia della nazionale inglese, i due gemelli Curry, Ben e Tom, nel ruolo di terze ali.

La saga delle storiche delusioni scozzesi si arricchirà probabilmente di nuovo capitolo in questo Sei Nazioni 2025. La squadra di Townsend ha tutto per affermarsi ai piani altissimi del rugby internazionale, ma non riesce mai a fare quel passo definitivo verso il top assoluto. A questo torneo, poi, arriva con una defezione che rende l’analisi del suo possibile cammino ancora più enigmatica: l’infortunio di Sione Tuipuloto, vale a dire il capitano e guida carismatica della Scozia, probabilmente il miglior primo centro d’Europa, nonché un giocatore fondamentale sia per gli equilibri della linea di tre quarti del XV del Cardo che per garantire a Finn Russell tranquillità nella gestione del gioco, in attacco e in difesa. Il vero problema della Scozia si chiama Irlanda, una squadra contro cui ha perso le ultime dieci partite e che continua a non sembrare alla portata. Il calendario una mano la da, visto che gli scozzesi hanno una prima partita contro l’Italia che, in teoria, potrebbero utilizzare come rodaggio prima di accogliere in casa gli irlandesi. Fra i giocatori da tenere d’occhio c’è sicuramente Tom Jordan, che grazie alla sua versatilità potremmo vedere finire spesso in lista gara, soprattutto se Townsend sceglierà di andare in panchina con il sempre più gettonato 6+2 (sei giocatori di mischia e due tre quarti). Jordan infatti è un 10 di formazione che in questa stagione sta facendo benissimo con i Glasgow Warriors da estremo e il quale, in virtù di importanti doti fisiche, all’occorrenza può andare a occupare anche il posto di centro.

Ecco come Sam Prendergast ha convinto Simon Easterby ad affidargli la maglia numero 10 dell'Irlanda.

Infine, ecco il Galles del mitico Warren Gatland, un allenatore che sta cercando in tutti i modi di ricostruire una squadra che dopo la rocambolesca vittoria del Sei Nazioni 2021 viene da un triennio fallimentare. Dal 2020 ad oggi l’allenatore neozelandese, che siederà per la diciassettesima volta su una panchina al Six Nations (tredici con il Galles, quattro con l’Irlanda fra il 1998 e il 2001), ha fatto esordire più di cinquanta giocatori nel tentativo disperato di costruire profondità nella rosa gallese. I ritorni di Liam Williams e Josh Adams portano sicuramente un po’ di linfa vitale al XV dei Dragoni, mentre l’apporto di Faletau, che non gioca un test match da oltre sedici mesi ed è rientrato a giocare lo scorso ottobre dopo un doppio infortunio, è tutto da verificare. Il Galles tenterà di strappare all’Italia una vittoria con la quale mettere fine all’orribile serie di sconfitte consecutive (al momento sono dodici), iniziata al Mondiale 2023. Per riuscirci Gatland potrebbe regalare minuti anche all’esordiente Dan Edwards, ventunenne degli Ospreys che ha impressionato con le giovanili gallesi e che, nel contesto di club, ha dimostrato di destreggiarsi alla grande nel gioco al piede e di far girare bene le sue linee di tre quarti: certo, è tutto da testare a questi livelli. Di sicuro qualcosa nel ruolo di apertura bisognerà inventarsi: dal ritiro di Dan Biggar in avanti il Galles non ha più vinto una partita e continuare ad adattare Ben Thomas, un centro di ruolo, a numero 10, non sta dando grandi risultati. In attesa del rientro di Costelow e con l’esclusione (sorprendente) di Gareth Ascombe, potrebbe essere arrivato il momento di vedere all’opera l’unico mediano di apertura portato in ritiro da Gatland.

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