L’edizione del Centenario della Copa si terrà per la prima volta nella sua storia fuori dal Sud America. La ospiteranno gli Stati Uniti, in quello che forse è il momento migliore per il movimento calcistico statunitense ma anche quello peggiore per la sua Nazionale. È così?
Stefano Borghi
Di sicuro per lo sviluppo (ormai atteso da decenni) del soccer questa è un'occasione magnifica, anche perché sarà molto interessante immergersi negli ambienti degli stadi statunitensi, che promettono molto per quanto fatto registrare nelle competizioni nazionali negli ultimi tempi. La squadra sicuramente si trova in mezzo a un guado, però Klinsmann ormai ha fissato da tempo una mentalità e un modo di lavorare (prima ancora che di giocare) che danno garanzie. È vero, manca Altidore, però ci sono referenti come Bradley, Dempsey e un Jermaine Jones in forma (occhio però a fidarsi delle indicazioni della MLS, che rimane secondo me un campionato dal livello globale piuttosto modesto); in più sarà l'occasione per giovani come Wood e soprattutto Pulisić di prendere il volo. Fra i fattori positivi ci metto anche la muscolarità di questa squadra, che paradossalmente sarà l'anfitrione del più grande festival del calcio americano mai visto, e che però è anche la formazione con le caratteristiche più “europee” dell'intero roster.
Il gol che ha reso Christian Pulisić il più giovane marcatore nella storia della USMNT. A proposito di muscolarità, il 90% dei meriti del gol è di Darlington Nagbe, muscolare trascinatore dei Portland Timbers.
Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)
L’equazione Copa América Centenario + States + soccer sarà sicuramente propedeutica a molte cose: a rafforzare la candidatura statunitense al mondiale del 2026, a cementificare la passione degli yankees per il calcio, a dimostrare le loro capacità organizzative, a mettere in mostra stadi attrezzati e sempre pieni e tracimanti di passione come se fossimo a sud dell’equatore e non a nord, a sperimentare con estro (e quell’approccio a metà strada tra l’handy e il preparatissimo) la loro maniera di raccontare, oltre che vivere, il calcio.
La USMNT però non sembra equipaggiata a sufficienza per ergersi a protagonista. Questa Copa cade, non solo ideologicamente, nell’esatto punto centrale di un processo di transizione: Klinsmann ha detto che se avesse dovuto scegliere oggi una rosa da portare al mondiale russo, quella rosa sarebbe stata il roster scelto per la Copa América, un mix tra veterani (Dempsey, Bradley, Howard) e giovani più (Yedlin) o meno (Zardes) affermati. Credo lo abbia detto soprattutto dopo essersi reso conto che consegnando le chiavi della sua spider ai rookies, come ha fatto in occasione della Gold Cup dell’anno scorso, in cui la USMNT è arrivata solo quarta, corri sempre il rischio di trovarti una spider sfasciata.
Ok, facile.
Giulio Di Cienzo (@AguanteFutbol)
La Nazionale degli Stati Uniti ha in questa Copa un’occasione per dimostrare di essere salita di livello. Il confronto con tutto il mondo Sudamericano sarà di sicuro stimolante, e il fatto di giocare in casa porterà ulteriori motivazioni, ma non va sottovalutato il fattore pressione. Il gruppo dovrà essere bravo ad assorbire il tutto senza farsi travolgere, contando sull’esperienza di calcio di Klinsmann, che bene o male è il volto di questa squadra.
In termini generali dopo la Confederations Cup 2009 mi aspettavo che gli USA avessero più possibilità di crescita rispetto a quelle che hanno dimostrato. I giocatori più rappresentativi hanno questa Copa come occasione della vita per lasciare un segno storico. Non sarà per nulla facile, ma l’occasione va considerata e insieme alla crescita della MLS potrebbe diventare quel trampolino di lancio che la finale contro il Brasile di sette anni fa non ha saputo essere.
Dopo mezz’ora gli States sono avanti 2-0. Donovan segna al termine di un contropiede magistrale e noi, che non sapevamo cogliere la portata storica del momento, a lamentarci per il suono delle vuvuzela.
AndreaBracco (@Falso_Nueve_IT)
Io credo che gli USA abbiano un compito molto importante in questa Copa América Centenario, ovvero provare a vincerla dimostrando così sul campo di essere finalmente una nazionale matura. Ammiro la federazione per come ha saputo ritagliare un ruolo importante al calcio in un paese in cui ci sono altri quattro sport decisamente più seguiti. Parallelamente al campionato locale, la MLS, anche la selezione stars & stripes si è resa protagonista di una crescita esponenziale iniziata nei primi anni zero. Un’altra cosa che apprezzo molto è la fiducia concessa a Jurgen Klinsmann, una sorta di carta bianca in cui il messaggio è implicito, e fa capire come i veri progetti non possono che essere programmati a lunga gittata. Io credo possano dire la loro, e sebbene negli ultimi tempi Klinsmann stia provando a lavorare sul ricambio generazionale, a giocarsela in casa propria andrà con un gruppo mediamente esperto. Riuscire ad arrivare in fondo certificherebbe finalmente il superamento di uno step fondamentale, e regalerebbe alla USMNT la consapevolezza di essere diventata una grande del calcio mondiale.
A proposito di "grandi": il Brasile tornerà mai IL Brasile o è entrato in una sorta di coma clinico?
Andrea
Partirei da due premesse molto importanti. La prima: il Brasile calcistico sta vivendo probabilmente il periodo peggiore della sua centenaria storia (non che il paese se la passi meglio, anzi…). La seconda: questa nazionale non è scarsa, ma non regge il paragone con le precedenti. Detto questo, che il caos in federazione sia all’ordine del giorno non è certo una novità, basti vedere com’è stata gestita l’organizzazione del mondiale 2014 e come tante squadre del campionato debbano giocare in autentiche cattedrali del deserto costruite in città dove non esistono club professionistici. Per questo - paradossalmente - penso che Dunga sia il tecnico ideale per questa Seleção. Sono convinto che per gestire una situazione come questa ci vada un uomo equilibrato ed esperto, che conosca bene l’ambiente, che incassi le critiche e che sappia come rapportarsi con i media (spietati, va detto, nella campagna pro Tite). Che Dunga abbia commesso errori è vero (uno su tutti, l’accantonamento di Thiago Silva), ma ha pur sempre chiamato i migliori e - oggi - anche il destino gli gioca contro visto che Neymar e Douglas Costa non ci saranno.
Cose che NON vedremo a questa CAC.
Stefano
Lo stato di profondo sonno del calcio brasiliano è ormai certificato: difficile pensare a qualcosa di peggio. Oddio, con le assenze di Neymar e Thiago Silva (su tutti) questa Seleçao potrebbe anche superare se stessa (sempre in termini negativi...), però io credo che invece si vedrà qualcosa di meglio, anche se l'obiettivo dell'estate è sicuramente più l'Olimpiade che non la Copa América. Partendo dal presupposto che il caos regna sovrano nell'organizzazione calcistica (e non solo) nazionale e che le scelte di Dunga ne sono - più che una conseguenza - un'estensione, se prendiamo la squadra base ne viene fuori un disegno comunque con delle potenzialità. Lasciamo da parte il merito delle scelte, guardiamo i giocatori che faranno questa manifestazione: Alisson in porta, difesa con Dani Alves-Miranda-Marquinhos o Gil e Filipe Luis. A centrocampo Casemiro, Elias e Coutinho. Hulk estremo sinistro, Willian a destra e Jonas numero 9. O magari Gabigol. Qualcosa può anche succedere… ammesso, e non concesso, che Dunga giochi così.
O garoto Gabibol può trascinare sulle sue spalle il Brasile?
Fabrizio
Mi ero fatto l’idea che la scelta di Dunga di sostituire l’infortunato Douglas Costa con Kakà racchiudesse perfettamente in sé tutte le motivazioni, le vibrazioni e il mood con il quale il Brasile si presenta a questa Copa: voglia di rinverdire i fasti, chiaro, di farlo affidandosi a uomini di caratura ed esperienza, è ovvio, ma anche volontà di puntare molto più che sul rendimento in campo sull’immagine. Kakà nuovamente in Seleçao negli States, dove è uno degli ambasciatori della MLS, è stata (finché è durata) una mossa da catalizzazione di benevolenza, oltre che un’ottima strategia di product placement. Il Brasile ha bisogno del supporto del pubblico per tornare a sentirsi quel qualcosa che quando si spostava da Rio smuoveva masse adoranti, per superare insomma i propri limiti. Poi Kakà si è infortunato il giorno successivo all’ufficializzazione delle liste; lo sostituirà Ganso, che non è un’icona globale come Kaka ma che in Sudamerica, il suo bel bagaglio di hype leggendario, se lo porta dietro da un po’. Basterà?
#snapsave Kaka 🇧🇷 Una foto pubblicata da Ricardo Kaka (@kaka) in data: 28 Mag 2016 alle ore 08:43 PDT
A felicidade é como a pluma 💔
Giulio
Ritengo il Brasile senza speranza o quasi come movimento calcistico allo stato attuale delle cose, quindi non mi aspetto assolutamente nulla dalla squadra di Dunga, soprattutto in assenza di Neymar, vale a dire l’unico giocatore in grado di elevare la Seleçao dalla mediocrità.
Dunga, un tecnico da sempre poco brasiliano nelle scelte, punterà sull’organizzazione più che sul talento e questo purtroppo può solo essere un processo perdente vista la storia del Brasile, quantomeno in assenza di trascinatori di livello assoluto in attacco. Per di più il vero obiettivo in casa verdeoro è l’Olimpiade in programma tra due mesi…
L’unico elemento che spero di veder valorizzato è Casemiro. Il giocatore del Real si è consacrato nel suo club vincendo la undecima ed è un giocatore perfetto sia per il centrocampo della squadra che per le idee di Dunga. Non farlo giocare sarebbe un errore.
Cosa dobbiamo aspettarci dal Cile campione in carica nella sua versione post-Sampaoli?
Giulio
Pizzi è nella scomoda situazione di poter solo perdere o quasi. Sampaoli aveva ereditato il lavoro di Bielsa e Borghi, e con le sue aggiunte tattiche e motivazionali ha saputo portare il Cile al vertice del Sudamerica. Il problema è che quella squadra viveva di alchimie uniche, nate al Mondiale e sbocciate alla Copa America, che insieme alla tattica tanto geniale quanto caotica della Bielsita portava la Roja ad essere una squadra temibile e spettacolare, convintissima dei suoi mezzi e pronta a superare ogni limite.
Pizzi oggi è un normalizzatore, un tecnico molto più pragmatico, leggibile e per certi versi prevedibile. Non a caso proprio uno come il Mago Valdivia è rimasto a casa, squalifica o meno. Il Cile ha le individualità e il gruppo per fare bene in questa Copa, ma per l’ultimo passo la normalità è troppo poco.
Paura, hein?
Andrea
Per come la vedo io Pizzi si è preso una bella gatta da pelare. Mi spiego: dopo la vittoria in Copa América la Roja era al massimo del suo splendore e Sampaoli, che è un tecnico molto intelligente, ha capito che non c’erano più margini di miglioramento. Così con la scusa delle incomprensioni tra lui e la federazione se n’è andato, lasciando a Pizzi un compito ingrato. Può questo Cile fare meglio dell’anno scorso? Difficile. A dirlo sono anche le ultime uscite; nella sconfitta in casa contro la Giamaica la squadra ha creato tanto (circa una ventina di tiri in totale) ma il gol lo ha segnato solo alla fine, mentre dietro la difesa ha palesato diversi limiti nonostante l’avversario non fosse dei più forti. L’assenza di Jorge Valdivia in tal senso ha fatto molto discutere, perchè l’ex Palmeiras è uno dei pochi a saper prendere per mano la squadra nei momenti di difficoltà. Pizzi però ha deciso di andare in America con un gruppo di “soldati” fidati e solo il tempo può dirci se avrà fatto bene. Insomma, le strade sono due; se il Cile dovesse fare bene allora si potrebbe definitivamente voltare pagina, ma in caso contrario Pizzi potrebbe essere messo sulla graticola.
Fabrizio
Un Sampaoli così cervellotico, che si scrolla dall’incarico con la Roja solo perché sa di non poter alzare il livello della sfida, da una parte mi inquieta, dall’altra non mi convince appieno: dopo aver trascinato il Cile a una vittoria rincorsa da sempre, chi lo avrebbe contraddetto se avesse espressamente chiesto di voler cercare una nuova esperienza altrove?
Certo, il suo apporto ai fasti della Roja è stato fondamentale, e guardare il gioco improntato da Pizzi, abituati come siamo dopo anni di Bielsismo e Sampaolismo, che è poi un Bielsismo 2.0, sarà un po’ tornare al calesse dopo aver sfrecciato per le vie di Valparaìso in hoverboard. In più va detto che la vittoria dell’ultima edizione è stata frutto di una combine fame + supporto del pubblico di casa che travalica anche la bontà della rosa, e delle individualità. In quanto a Valdivia, vi giuro che seguirlo in questi giorni su twitter mi sta spezzando il cuore.
La seconda uscita del Cile di Pizzi: dopo uno 0-3 contro l’Argentina in casa, in Venezuela finirà 1-4 in rimonta. Annotazioni particolari dal match: Pinilla segna anche NON in rovesciata.
Stefano
Purtroppo temo che si avvertirà uno stacco. Pizzi è un bravo allenatore, ma arriva in un momento in cui fare meglio è impossibile e fare peggio molto probabile. Il Macanudo ha pensato giustamente di mantenere le basi e il gruppo di Sampaoli praticamente al cento per cento, però la chimica si è alterata e, dopo il grande sforzo dell'estate scorsa, forse ora i grandi interpreti del Cile potrebbero dover (e voler) tirare il fiato… Una nota sicuramente interessante è quella rappresentata dall'Orellana ammirato quest'anno nel Celta. Però il gruppo sembra meno vorace, e questo fa tanta differenza.
Vi hanno convinto le scelte del Tata Martino per l'Argentina?
Stefano
Sono scelte forti, senza dubbio forti. Però anche molto intelligenti, e non poteva essere diversamente. La sensazione è che questa Copa América sarà veramente “americana”, inteso che si giocherà un calcio molto caratterizzato, e quindi piuttosto diverso dal modo in cui si giocano le partite nelle grandi competizioni europee. Quindi l'aver portato una grande base di giocatori che militano (o che hanno conservato lo spirito) del calcio locale è senza dubbio una mossa oculata. La sua idea tattica è praticamente dichiarata: partire sulla base del 4-3-3 per andare a rivisitarlo verso un 4-2-3-1 che diventa 4-4-2, dove un Di Maria che può sempre fare la differenza e Lamela (o Pastore, o Gaitán, o Lavezzi, dipende da come evolvono gli infortuni e dagli stati di forma) occuperebbero le fasce e Messi giostrerebbe alle spalle della punta. Higuaín (lanciatissimo) o Agüero che sia. Messi, appunto: lui è l'epicentro di tutta la squadra e di tutto il torneo. Sperando che il colpo alla schiena preso contro l'Honduras non sia una cosa seria. Perché se Messi brilla, rompe tutte le maledizioni che aleggiano e l'Argentina vince, senza se e senza ma.
Gonzalo está bárrrrrrrrrrbaro.
Fabrizio
Bisognerebbe essere capaci di entrare nella testa delle persone per capire se la logica che il Tata ha usato quando ha messo su carta i nomi dei convocati per la Copa e per le Olimpiadi è davvero quella che sembra evidente a tutti, o almeno a me. A Rio cercherà di sbriciolare il motto decoubertiniano semplicemente portando la crème de la crème del fútbol argentino U23, diciamo Il Futuro. Basta dare un’occhiata alla pre-lista per capire che l’Argentina potrebbe tranquillamente concorrere con due squadre e la finale sarebbe monocolore.
La formazione che invece cercherà di mettere Messi nelle condizioni di alzare il suo primo trofeo con la maglia albiceleste è per più della metà quella finalista l’anno scorso, chiamiamola Il Presente Passatista. È come se Martino da una parte si fidasse estremamente di quella squadra, dall’altra volesse concedergli la chance della rivincita.
Cosa mi ha proprio deluso? Che abbia tenuto fuori dai 23 due giocatori. Uno è Marcos Ruben: ok, non avrebbe mai giocato, ma perché invece Lautaro Acosta del Lanus sì? L’altro è Diego Perotti. Perché dopo la stagione che ha disputato, soprattutto l’ultimo quadrimestre, forse una chance se la sarebbe meritata.
Una milonga triste.
Andrea
Apprezzo Martino per la forte personalità che possiede. Il ct argentino è uno che va per la sua strada senza ascoltare il parere degli altri, e questo lo rende un bersaglio facile soprattutto per i media locali. Ecco, andare avanti senza paura penso sia l’obiettivo dell’Argentina, che si presenta al via della Copa con un mix di certezze e sorprese. Una delle cose che non mi convince molto è la scelta dei portieri; Romero in nazionale ha fatto spesso bene, ma arriva da una stagione passata ai margini del suo club di appartenenza, mentre Andújar è da sempre un numero uno inaffidabile, capace di miracoli e nel contempo di errori macroscopici. L’unico che forse può starci è Gúzman, ma guardando all’ultimo anno e mezzo sono convinto che Barovero, Orión e Rulli sarebbero dovuti essere i tre portieri da selezionare per la spedizione americana. Per il resto Martino ha fatto ciò che fanno tutti i ct: ha scelto. Fuori Musacchio e Garay per Maidana e Cuesta, in mezzo è stata premiata la coppia colchonera Kranevitter - Augusto Fernández, davanti - in attesa di capire come sta Messi - c’è tanta scelta nonostante l’esclusione di Dybala. Tutto nella norma. Per me la Selección parte nel lotto delle favorite.
Giulio
Martino deve vincere, punto.
Mi spiace essere così categorico con il Tata, ma dopo la finale Mondiale (giocata con Sabella) e quella di Copa America questa generazione dell’Argentina deve arrivare ad alzare un trofeo. Avere subito a disposizione questa edizione Centenario è un’occasione unica, anche guardando alla carta d’identità dei giocatori più rappresentativi.
Concordo con Andrea circa le perplessità sui portieri, ma per il resto Martino è coerente con le sue scelte e va avanti per la sua strada. Certo gli serve vincere per mettere a tacere tutte le malelingue, compresa quella di Fabrizio su Ruben...
Fabrizio
Non è questione di malelingue, credo c’entri soltanto il suo essere leproso, ma della peggior specie, quelli anti-canalla. Scusa lo sfogo, e se ti ho interrotto.
Giulio-bis
L’infortunio di Biglia priva l’Argentina di un titolare, ma le alternative possono coprire la perdita e la nuova versione di Augusto Fernández valorizzata da Simeone potrebbe rivelarsi singolarmente preziosa. Le sorti della Seleccion però dipendono dall’attacco, dalla capacità dei vari Di Maria, Agüero, Messi e Higuaín di incidere quando più conta. Nelle due finali recenti tutti per un motivo o per l’altro non hanno risposto all’appello: sarebbe ora di cambiare questo destino.
“Facciamo in modo di incontrarci stavolta, però, dài”.
A che punto è il rinnovo generazionale della Colombia?
Andrea
Quel signore brizzolato che siede in panchina, tale José Nestor Pékerman, è uno che la sa lunga e a mio modo di vedere incarna il vero fattore determinante per la Colombia. Da quando è arrivato lui - correva l’anno 2012 - i Cafeteros hanno raggiunto la piena maturazione; Pékerman - dall’alto della sua esperienza - ha saputo lavorare prima di tutto sulla testa dei dirigenti, poco lungimiranti in fatto di programmazione, e poi ha gettato le basi per lanciare le tante giovani promesse che escono costantemente dai floridi vivai colombiani. A testimonianza di ciò, basti guardare quanti big vengono lasciati a casa in occasione dei grandi appuntamenti. Oggi la Colombia non è più una selezione in ascesa, ma una vera e propria realtà del calcio mondiale.
Stefano
Mi sembra che questa squadra sia al suo miglior punto di maturazione, oltretutto è in mano a un ottimo CT. Ora deve fare risultato. La Colombia deve per forza arrivare fra le prime quattro, altrimenti sarebbe lecito porre interrogativi e critiche. Il gruppo è perfettamente assortito, ha giocatori di esperienza e caratura internazionale notevoli in tutti i reparti, perché un'ossatura con Ospina-Zapata-Murillo-Cuadrado-James-Bacca in un torneo del genere è veramente di ottimo livello. In più ha anche una componente locale che aggiunge valore, soprattutto grazie al progetto dell'Atlético Nacional di Medellín di cui l'incendiario Marlos Moreno, il motorino Faryd Diaz ma soprattutto il “tuttocampista” Sebastian Pérez sono ottimi rappresentanti. Altra aggiunta: una corposa batteria di mestieranti, anche di evoluzione europea come Arias e Carlos Sánchez ma soprattutto abituati ai grandi palcoscenici sudamericani come nel caso di Fabra, Roa e volendo anche Roger Martínez. La rosa è completa e forte. La Colombia deve essere protagonista.
James in calzettoni e a petto nudo, nello spogliatoio, mentre esercita la sua leadership tecnica.
Giulio
Dopo lo straordinario Mondiale 2014 la Colombia personalmente è stata una delusione. Pékerman sembrava aver perso le redini della squadra, che si presentava in campo sempre più abulica e sfilacciata, ma all’improvviso c’è stata una rinascita, venuta di pari passo con la crescita dei club locali, che hanno portato nuova linfa a una squadra che aveva bisogno anche di freschezza.
I nuovi centrocampisti (in particolare Cardona e Pérez) sono un’anima importante, con un’influenza netta sullo sviluppo del gioco, su cui Pékerman ha già dimostrato di fare affidamento. Ben si integrano coi giocatori più esperti che formano l’ossatura che citava prima Stefano e rendono la Colombia veramente temibile. Anche perché come impatto fisico i Cafeteros hanno pochi eguali.
L’ultimissima amichevole contro Haiti: avversari maciullati nel secondo tempo, ma in difesa si balla un po’.
Fabrizio
La Colombia tornerà a disputare un torneo internazionale di una certa levatura negli Stati Uniti a 20 anni di distanza: allora era una squadra piena di hype, forse la migliore sele cafetera della storia, ma andò come ricordiamo, cioè male, anzi malissimo. A quattro lustri di distanza è una potenza consolidata, che si può permettere di sostituire in blocco un’intera generazione di bocche da fuoco (rispetto alla Copa América cilena non ci saranno Jackson, Falcao, Téo, Muriel, che farebbero le fortune di mezzo sudamerica) con una più giovane e se possibile più temibile. C’entra molto il processo di crescita dell’Atlético Nacional, che punta alla Libertadores come un treno in fiamme lanciato sui binari, ma anche la sapienza di Pékerman che sa come in certe competizioni è meglio affidarsi, più che agli “europei”, a chi l’America Latina, e tutto ciò che significa, la vive quotidianamente.
Parliamo delle sfavorite della vigilia: questo Paraguay è il migliore del ventunesimo secolo?
Giulio
Mi confesso subito: questo Paraguay è una delle mie squadre preferite. Il motivo sta nella trasformazione generazionale che sta attraversando, un cambio di anima raro da ammirare quanto difficile da realizzare.
La Nazionale guidata da Martino ha lasciato un suo segno nel calcio sudamericano e mondiale, ma viveva di garra, difesa, fisico, sacrificio collettivo e intensità. Elementi ben rappresentati da un referente come Nelson Haedo Valdez.
Oggi nel Paraguay di Ramón Díaz abbondano i talenti offensivi, giocatori tecnici, rapidi, guizzanti e di fantasia. Per quanto nessuno abbia trovato ancora una sua vera dimensione i vari Almirón, Romero, Iturbe (già allenato e valorizzato proprio dal Pelado al River Plate), Derlis e Sanabria promettono nell’ottica di un romantico visionario di cambiare il dna calcistico del paese.
Il vero peccato è l’assenza per infortunio di Néstor Ortigoza, giocatore di assoluto culto in Sudamerica, ma soprattutto un leader e l’unico centrocampista veramente in grado di unire fase difensiva e offensiva, rifornendo di palloni i tanti attaccanti esterni. La sua regia e la sua personalità in mediana purtroppo sono insostituibili e verranno pagare da tutto il Paraguay.
Una foto pubblicata da Juan Manuel Iturbe (@juan_iturbe93) in data: 27 Mag 2016 alle ore 09:21 PDT
“Iturbe ormai è un giocatore maturo” (Miguel El Ratón).
Stefano
Questo è tornato ad essere un Paraguay di buon livello, ma secondo me quello del Tata Martino aveva valori superiori. La campagna di qualificazione al Mondiale 2010 fu un qualcosa di splendido, così come la figura fatta in Sudafrica: uscirono nei quarti, perdendo 1-0 con la Spagna e la misero in difficoltà. Il tutto dopo aver dovuto rinunciare a pochi mesi dal Mondiale al leader tecnico e temperamentale, Salvador Cabañas, per il noto fatto criminale di cui rimase vittima. In più, la finale nella Copa América 2011. Detto questo, la squadra di Don Ramón merita rispetto e considerazione: è un gruppo pratico e convinto, e ha gente che fa gol.
Andrea
Assolutamente il migliore. Anzi, azzardo a dire che se la gioca addirittura con la spedizione di Francia ‘98 sotto la gestione di Cesare Maldini. Di una cosa sono certo: se Ramón Díaz ha detto sì alla federazione paraguagia avrà avuto molte rassicurazioni. Scegliendo il tecnico argentino ad Asunción hanno voltato pagina dopo anni di delusioni, consegnando a Don Ramón tutta la gestione dell’area tecnica. La scelta di puntare sul dt argentino ha avuto la doppia utilità di unire l’esperienza maturata dal tecnico negli anni (e quindi regalare nuova linfa vitale ad una squadra in pieno encefalogramma piatto) al suo carisma da condottiero. Le doti dialettiche non gli sono mai mancate, e grazie a queste ha convinto per esempio Iturbe a farsi naturalizzare. L’ex romanista potrebbe essere una delle chiavi di gioco di questo Paraguay, storicamente squadra caratterizzata da doti di sacrificio e ripartenza, proprio per la tipologia di giocatore che è. Il resto della squadra lo si conosce bene; imperniato sul blocco del Lanús (Gustavo Gómez a comandare la difesa in coppia con Balbuena, Almirón ed Ayala come preziosi jolly), la blanquirroja porterà negli USA anche alcuni giovani come Blas Caceres e Tony Sanabria. Non ho menzionato Derlis González semplicemente perché non ha bisogno di presentazioni. Chi lo prende quest’estate fa l’affare del secolo.
Una giocata di (e da) Oscar Romero, qua con la maglia del Racing de Avellaneda.
Fabrizio
I motivi della scomparsa del Paraguay dagli scenari dell’America Che Conta sono vari, e non tutti hanno a che fare strettamente con il campo: la perdita improvvisa di quel capitale umano e calcistico del chava Cabañas e la mancata qualificazione del 2014 hanno avuto l’effetto di screditare una reputazione faticosamente costruita attraverso partecipazioni epiche ai Mondiali, solo in parte risollevata dal cammino flamboyante, giunto fino alle semifinali, della Copa América dell’anno scorso.
Ci sono un paio di motivi che mi fanno pensare che il Paraguay farà sgranare parecchi rosari ai tifosi avversari, però: il blocco-Lanús di cui parlava Andrea, fresco campione argentino, è carico a pallettoni, così come Iturbe, alle prese con una resurrezione precoce. Tony Sanabria è pronto a ridefinire l’estetica del nueve albirrojo (così diverso da Roque Santa Cruz, meno piacione e più mobile in campo), e poi c’è quell’uragano di delizia di Oscar Romero, che niente: se uno riuscisse a prendersi Derlis e Romero allora sì che gli si spalancherebbe davanti un oceano di zucchero filato.
Le giovani selezioni di Perù ed Ecuador sono pronte per spostare gli equilibri di potere del calcio continentale sull’asse andino?
Andrea
Il Perù - lo dico da sostenitore della Franja Roja - non ha un futuro molto roseo davanti, ostaggio di una federazione poco lungimirante. Al di là dei discorsi extra campo, i peruviani avrebbero bisogno di venir gestiti in un certo modo, perché di talento ce n’è tantissimo, ma la maggior parte delle volte rimane inesploso. Il fatto che i peruviani più impattanti all’estero siano sempre quelli della vecchia guardia - per i quali, ancora oggi, vige troppa riconoscenza - la dice lunga su come i giovani si fermino sempre allo stesso punto di maturazione. A proposito di maturità, è curioso notare il diverso approccio alla vita professionistica tra i ragazzi nati in Perù e quelli cresciuti in contesti più sani come Benavente. Il talento di casa Real Madrid ha avuto parecchie difficoltà a rapportarsi col resto del gruppo in ritiro, tanto da trovare poco spazio perfino nelle amichevoli di preparazione alla Copa. Il motivo? Non riesce ad entrare in sintonia con la realtà locale, dove ci si allena poco e la sera - anche prima delle partite - ognuno esce a fare le ore piccole. La vittima incolpevole di tutto ciò è ovviamente Ricardo Gareca, ormai in piena balia degli eventi.
Benavente e lo swag.
Giulio
Per quanto riguarda il Perù io tendo sempre a credere nel lavoro di Gareca, un tecnico che stimo molto, non a caso reduce dal terzo posto nell’ultima Copa América. Mi sembra però che la squadra stia facendo un po’ troppo affidamento sui grandi vecchi e non abbia ancora trovato un modo per esprimere davvero il suo calcio. Gareca è un tecnico che punta sul gioco e non è mai facile portare idee nel contesto di una Nazionale. Specie se ci aggiungiamo le problematiche peruviane citate da Andrea.
L’Ecuador è una squadra che non va sottovalutata. Ha un impatto fisico notevole, sia per “peso” che per velocità, giocatori di qualità e ha trovato una certa compattezza di squadra. Affrontarla non sarà facile e se i vari Bolaños, Martinez, Montero, Valencia saranno in condizione potrebbero diventare una sorpresa, a patto che non perdano l’organizzazione trascinati dall’emotività, sia positiva che negativa.
Stefano
L'Ecuador è nel miglior momento del suo ultimo decennio (almeno), il Perù non tanto. La Tri di Quinteros non è probabilmente una squadra di grande livello estetico, però ha solidità, forza fisica e uomini che possono decidere. Credo che le capacità atletiche dell'Ecuador possano valere un buon cammino, soprattutto per la velocità e l'intercambiabilità che possono garantire la fasce oltre alla capacità di andare in rete di Enner Valencia e Miller Bolaños (bel banco di prova per lui questa Copa), anche se la forza mentale, man mano che il livello salirà e le partite si faranno decisive, è tutta da dimostrare. Il Perù invece, al di là dell'exploit dell'anno scorso, vive sempre in mezzo a grandi difficoltà: il Tigre Gareca non ha francamente molto margine di manovra, probabilmente l'unico bonus della sua squadra (a parte il Depredador Guerrero, che in queste occasioni fa sempre parlare di sé) è il muro che può provare ad alzare fra difesa e centrocampo, però ho l'impressione che i gol incassati non saranno pochissimi…
José Victoria motiva/celebra la Tricolor: “desde el 2002 la cosa ya no es igual”.
Fabrizio
Nel 2014, in Brasile, l’Ecuador è stata eliminata al primo turno: era nel girone con Francia e Svizzera, eppure ho un ricordo piacevole, di gioco a tratti spumeggiante, un mix di giovani come Enner Valencia e giocatori più svezzati come Ayovi che sembravano avere le spade di fuoco nei piedi, anche se non sono stati in grado di ripetersi in Cile l’anno successivo. A questa Copa América il paese, e il suo calcio, arrivano emotivamente molto carichi: il terremoto che ha devastato la costa e l’Independiente del Valle tra le semifinaliste della Libertadores sono, con le dovute proporzioni, due grossi mattoni ai quali il calcio e il sentimento di appartenenza stanno come la malta nei cantieri edili per la costruzione di un muro contro il quale Brasile e Perù potrebbero scontrarsi . Personalmente seguirò con un bel po’ d’interesse Mina, il gigante difensivo dell’IDV, ma anche Jefferson Montero, che con Guidolin allo Swansea non è esploso come ci si poteva attendere, ma che quando è in stato di grazia è delizioso da osservare.
Che problema abbiamo con l’Uruguay? Il fatto che sia uguale a se stesso da anni è sintomo di un’impasse?
Fabrizio
L’Uruguay ha vinto la primissima edizione della Copa América, nel 1916. Di lì in avanti ne ha messe in bacheca altre quattordici, ma - ed è un problema tutto nostro - non riusciamo a considerarla tra le favorite. Ci sembra una squadra che ristagna, ma forse tende a sfuggirci dal radar perché Tabárez non sperimenta, non cambia, non scopre, e sembra affidarsi sempre agli stessi giocatori. Che poi, però, sarebbero Suárez, Cavani, Lodeiro.
Non sarebbe magnifico se partendo a fari spenti, senza il clamore dei pronostici roboanti, inanellasse invece una marcia da schiacciasassi (dopotutto nel suo girone, a parte un Messico al quale forse stiamo dedicando troppo poca attenzione, chi può insidiarli?) chiudendo il cerchio con una vittoria finale?
Un po’ di storia, adesso.
Stefano
In Uruguay il flusso calcistico non si arresta mai: a volte irrompe, a volte si calma, ma continua a scorrere. Altrimenti, questo non rimarrebbe il più grande miracolo del calcio mondiale. Questo Uruguay potrebbe avere un bel potenziale: solamente le due coppie Cavani-Suárez e Godín-Giménez varrebbero una candidatura, anche se il Pistolero farà il suo ingresso a giochi già iniziati. In più, l'emersione (finalmente) di un centrocampista che sappia dare sia riferimenti che qualità come Vecino colma una lacuna. Il tutto, messo a sistema con i soliti charrúa Muslera, Árevalo, i due Pereira, Carlos Sánchez, Lodeiro... Vediamo cosa disegna stavolta la mano del Maestro Tabárez, ma di sicuro battere l'Uruguay sarà sempre una cosa difficile.
Andrea
Se c’è una cosa che abbiamo imparato dalla gestione Tabárez è che il Maestro, prima di inserire volti nuovi nel suo gruppo, ci pensa sopra diverso tempo. Non a caso dal 2010 in poi la squadra è cambiata pochissimo, perché a parte alcuni addii obbligatori (ad esempio quelli di Forlán e Lugano, entrambi per ragioni anagrafiche), il gruppo portante di questa compagine è sempre il medesimo. Un periodo di stallo comunque può starci; non dimentichiamoci mai che l’Uruguay è un paese piccolo, con un bacino d’utenza ridotto da cui attingere, eppure - in un modo o nell’altro - riesce a competere quasi sempre con i colossi mondiali. Rispetto alla scorsa Copa América inoltre, qualora le cose dovessero mettersi bene e l’Uruguay andare avanti nel torneo, tornerà a disposizione anche Luis Suárez. Con lui in campo può davvero succedere di tutto: anche veder la Celeste alzare la coppa.
Come nel 2011.
Giulio
In un certo senso l’impasse è strutturale con le idee di gruppo che ha Tabárez, uno che riflette tanto, forse troppo prima di portare ogni minimo cambiamento alla sua rosa (chiedete a Carlos Sánchez per informazioni). Il problema più che altro è che dall’Uruguay dopo il Mondiale 2010 e la Copa América 2011 ci si aspetta sempre che vada oltre, cosa tutt’altro che facile. Il talento e l’ossatura della squadra come diceva Stefano ci sono e per me la differenza la farà proprio la gestione del centrocampo. Vecino e Carlos Sánchez, a cui aggiungere forse anche un Lodeiro sicuramente maturato al Boca, possono essere le “nuove” risorse di cui l’Uruguay ha bisogno. Insieme ai gol di Cavani, uno che spesso con la maglia della sua Nazionale è rimasto troppo in ombra, vittima della sua disponibilità al sacrificio.
Panama, Haiti, Giamaica: pittoreschi riempitivi, carne da macello o possiamo aspettarci qualcosa di più?
Stefano
Io in un contesto del genere non chiuderei la porta a niente… anzi, mi sembra lo scenario ideale per trovare sorprese. Detto questo, sicuramente stiamo parlando delle tre squadre meno spendibili in un'ipotetica corsa al pronostico giusto. Haiti è senza dubbio la realtà con meno valori e meno conosciuta, anche perché addirittura nove giocatori su ventitré non militano in campionati prima divisione: nel 2016 ha vinto solo una partita (quella più importante, ovvero lo spareggio con Trinidad&Tobago per accedere alla Copa), però a partire dalla Gold Cup 2015 questo gruppo ha mostrato tracce di crescita sul piano dell'organizzazione in campo, anche se la difficoltà a fare gol non appena il livello sale rimane lampante. Il CT Patrice Neveu sorprese nella Coppa d'Africa 2006 con la Guinea che vinse il girone (lasciando fuori il Sudafrica e battendo anche la Tunisia) e agli ottavi fu eliminata dal Senegal dopo un incredibile 3-2: quando lasciò, nel Settembre del 2006, la Guinea era al 22°posto del Ranking FIFA, posizione mai raggiunta – né prima né dopo. Ora però lo scalino sembra davvero troppo alto.
Sulla carta, quella con più chances di fare bene è sicuramente Panama, anche se la sensazione è che non ci si possa aspettare moltissimo. Il Bolillo Gómez ha costruito una squadra sensata, oltretutto ha il gruppo con l'età media più alta dell'intera competizione (ci sono undici over-30 fra i ventitré selezionati) e quindi può contare sull'esperienza cementata anche grazie al terzo posto nell'ultima Gold Cup, però il tasso di incisività tecnica non è molto confortante, specialmente dopo la perdita pesantissima del talentino classe 1997 Ismael Díaz del Porto, infortunatosi e fuori dai giochi. Rimane Tejada, bomber storico di questa nazionale e conosciuto in diversi paesi del subcontinente: probabilmente troppo poco…
Per la Giamaica, e non potrebbe essere diversamente, sarà questione di stimoli. La vittoria in amichevole col Cile ha sorpreso, perché il 2016 fin qui era stato complessivamente negativo per la squadra di Schafer. Questa è una Giamaica strana: sa difendere (il leader è il capitano del Leicester Wes Morgan, fresco campione d'Inghilterra), ma davanti il suo calcio è tutt'altro che colorato. Invece contro il Cile si è visto un mood molto più reggae: forse l'aver portato una buona colonia di giocatori del campionato locale ha ridato un po' di ritmo ai giamaicani…
Una Giamaica strana.
Andrea
Personalmente penso che Panama abbia molte potenzialità. Per chi non segue il calcio centro americano i Canaleros potrebbero rappresentare una lieta novità, visto che il movimento calcistico locale negli ultimi anni è cresciuto molto. In tempi recenti Pierluigi Casiraghi, scout dell’Inter, ha indicato proprio Panama come nuova frontiera di mercato. Impossibile poi non considerare anche i risultati raccolti durante questi ultimi tempi in Gold Cup, dove il paese dello Stretto si è classificato due volte al terzo posto e una al secondo. Insomma, una vera ascesa se si considera anche la qualificazione sfiorata a Brasile 2014, persa per un gol degli Stati Uniti. Panama è una compagine messa decisamente bene in campo da Hernán Darío Gómez; el Bolillo è un colombiano istrionico e burbero, ma anche un fine conoscitore di calcio e discendente diretto della filosofia del Pacho Maturana. Dei 23 che andranno a giocare la Copa América Centenario la maggior parte gioca all’estero, e di conseguenza anche il fattore relativo all’esperienza verrà azzerato rispetto alle rivali. Giamaica ed Haiti mi convincono meno; i Reggae Boyz ormai da tempo sono sospesi a metà tra lo spiccare il salto verso la definitiva maturità o rimanere nell’attuale limbo, mentre i ragazzi guidati da Patrice Neveu hanno già conquistato un grosso traguardo riuscendo a qualificarsi per questa competizione. Se però siete alla ricerca di una squadra simpatia da seguire, Les Granadiers fanno decisamente al caso vostro.
Blas Pérez manda in fiamme il Rommel Fernandez, e anche il cronista.
Fabrizio
Il calcio caraibico sta vivendo il suo annus mirabilis: Wes Morgan ha vinto, prima volta per un caribbean, la Premier League; Keylor Navas (che però alla Copa América non ci sarà, infortunato) invece è stato il primo caribeño a trionfare in Champions League. Chissà che Panama non ci aiuti a scrivere un altro bell’elzeviro sulla crescita del pallone tra i palmeti: dopotutto un exploit dei canaleros in questa Copa sarebbe più o meno equivalente, facendo le dovute proporzioni, a quello dei ticos costarricensi in Brasile due anni fa, e parimenti credibile.
Un elemento che accomuna Panama, Giamaica e Haiti è la forte presenza, all’interno delle loro rose, di giocatori che militano negli States, tra MLS, NASL e USL: Panama ne ha 3, Haiti 6, la Jamaica addirittura 7 (tra i quali Giles Barnes, qua mentre guida una Lamborghini, e Darren Mattocks). Questo per dire che queste tre squadre non vanno affatto negli States come carne da cannone, ma per compartecipare a una grande festa che è un po’ anche la celebrazione di un movimento calcistico, quello americano, che si sta davvero facendo continentale, una sorta di Grande Alleanza in chiave calcistica tra le dottrine di Monroe e quella di Bolivar.
Piccola chiosa finale: ovvio che faremo un po’ tutti il tifo per Haiti (e i suoi giocatori dalle storie bellissime). Come si fa a non tifare Haiti se si è letto un po’ di Carpentier e sognato una volta almeno di cospargere le mura di casa propria con sangue di toro come faceva Roi Christophe Henri con Cittadelle La Ferrière?
Voodoo Millien.
Giulio
Mentirei se dicessi di aver seguito nel dettaglio queste squadre, quindi vi ringrazio per il supporto. Anche io punto su Panama come possibile sorpresa del gruppo, un po’ perché nessuno spettatore medio si aspetta nulla da questa nazionale un po’ perché effettivamente i risultati dicono che sono una squadra credibile. La semifinale contro il Messico dell’ultima Gold Cup persa solo ai supplementari in modo discutibile è un ottimo esempio.
La presenza di Wes Morgan nella Giamaica porta naturale un collegamento tra la Nazionale dei Reggae Boys e il suo club. Al primo risultato utile scommettete che la Giamaica diventerà il Leicester della Copa?
Un giovane da seguire?
Stefano
Tutti! C'è n'è sempre, per tutti i gusti, in ogni partita sudamericana. Se parliamo di baby ancora da scoprire per il grande pubblico, sicuramente la vetrina è molto importante per Gabigol, che dovrebbe avere dello spazio. Vediamo anche che tipo di risposte saprà dare Peñaranda nell'enigmatico Venezuela di Dudamel e se Marlos Moreno avrà un minutaggio significativo.
Giulio
Se devo sceglierne uno, dopo la vittoria del titolo col Lanús punto su Miguel Ángel Almirón del Paraguay. Il mancino classe ‘94 in patria ha scomodato paragoni col Fideo Di Maria per fisico e qualità. Con la sua velocità e la sua capacità di saltare l’uomo può spaccare in due le squadre avversarie, anche a partita in corso. La Copa potrebbe regalargli una grossa vetrina.
Almirón è stato protagonista anche nella finale della Primera Argentina contro il San Lorenzo.
Fabrizio
Secondo me questa sarà l’occasione in cui Tony Sanabria esploderà del tutto. Seguirò anche Jürgen Damm, un esterno messicano con il quale ho già una specie di storia in corso, e mi dispiace per Sebastián Gamarra che il resto della squadra di cui fa parte, la Bolivia, non sia proprio niente di che.
Andrea
Uno solo? Dico Ronald Matarrita, un classe ‘94 costaricense; ho avuto modo di seguirlo più volte nella MLS - gioca nei New York City FC - e mi ha fatto un’impressione pazzesca. Buona gamba, sinistro educatissimo, ottimo crossatore. Penso possa essere un profilo spendibile anche in chiave europea.
Neppure il piede “debole” sembra male.
Chi sarà l’MVP?
Giulio
È quasi inevitabile dire Messi. L’Argentina è una squadra troppo forte per non fare strada e non dimentichiamo che il numero 10 è stato eletto miglior giocatore sia del Mondiale 2014 che della Copa América 2015. Un destino beffardo considerato le due sconfitte in finale.
Se l’Argentina dovesse vincere però non sottovaluterei la candidatura di Di Maria, un giocatore tremendamente influente nel gioco e nei risultati dell’albiceleste.
Stefano
Lionel Messi. È la sua ossessione, e stavolta è veramente determinato a esorcizzarla. Nell'ultimo mese col Barça, pur dovendo fare qualche straordinario non previsto per mettersi in tasca il doblete, si è preparato per essere al top in questa Copa América, sia a livello fisico (grazie anche alla continua collaborazione col nutrizionista friulano Giuliano Poser) sia a livello tattico, rinunciando alla lotta per il Pichichi, mettendo volentierissimo sul trono l'amico Suárez e passando a giocare nelle zone e nelle situazioni di un fantasista centrale, esattamente quelle in cui lo vede il Tata Martino. Infatti è stato il miglior assistman del 2016 nei 5 principali campionati d'Europa. Ora c'è solo il dubbio sulla sua schiena ammaccata, però Messi in questa Copa America vuole fare all-in. Specialmente dopo aver visto Ronaldo prendersi la Champions…
Fabrizio
Il rapporto tra Messi e lo status di Most Valuable Player sembra avere qualcosa di endemico, sono inscindibili l’uno dall’altro, come se il primo fosse una precondizione per l’esistenza del secondo e viceversa, e non credo gli faccia troppo bene, alla fine, quando ha la maglia della nazionale addosso.
Invece anche secondo me sarà el fideo l’uomo che sposterà gli equilibri, senza l’incombenza (che invece mi pare avverta Leo) di dover per forza rimettere in equilibrio i piatti della bilancia cosmica, di pareggia con un titolo importante in albiceleste l’incetta di trofei in blaugrana.
Andrea
Siccome io penso che alla fine vincerà il Messico (credo in maniera smisurata nel ct colombiano Osorio), voto per Javier Hernández. Il Chicharito è reduce da una grandissima stagione in Germania e sembra arrivare all’appuntamento con le lame ben affilate. L’ex attaccante dello United per me è uno dei grandi misteri del calcio mondiale, dato che un giocatore del genere avrebbe potuto (e dovuto) raccogliere ben di più in carriera. Chissà che questa manifestazione non si riveli il trampolino di lancio per consacrarlo definitivamente.