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Guida ufficiosa alla Coppa d'Africa 2015
16 gen 2015
Fabrizio Gabrielli, Christian Giordano e Carlo Pizzigoni discutono delle partecipanti, tra storie di petrolio, lutti e piccoli miracoli.
(articolo)
30 min
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La Coppa d’Africa 2015 si disputerà in Guinea Equatoriale. La Coppa d’Africa 2015 doveva giocarsi in Marocco, poi a novembre i nordafricani hanno chiesto un rinvio per via dell’epidemia di Ebola: la CAF, il massimo organismo calcistico continentale, ha rigettato la richiesta, li ha squalificati e ha lanciato una mini-competizione per capire chi si sarebbe potuto guadagnare l’assegnazione: alla fine (neppure troppo a sorpresa) ha vinto la Guinea Equatoriale.

Fabrizio Gabrielli, Carlo Pizzigoni e Christian Giordano hanno analizzato le partecipanti a questa edizione, la trentesima nella storia del continente africano, che comincerà sabato 17 gennaio. Il pezzo è diviso in tre parti: le squadre che quasi sicuramente usciranno anche se a malincuore (per gli autori sopracitati), le possibili outsider, le candidate alla vittoria finale.

1. LE SQUADRE CHE NON SUPERERANNO I GIRONI

Fabrizio Gabrielli

Magari è un luogo comune ma l’equazione calcio + Africa genera delle distorsioni davvero notevoli. La Guinea Equatoriale, per esempio, si presenta con un allenatore in carica da meno di una settimana, l’argentino Esteban Becker, già tecnico della selezione “Nzalang” (significa raggi) femminile, subentrato a Goikoetxea, quel Goikoetxea (che effettivamente non aveva poi tutti questi meriti). Molti convocati sono esordienti assoluti (i più giovani sono quasi tutti del Leones Vegetarianos CF; c’è anche un Gravesen). Alcuni degli uomini più iconici (mi vengono in mente soprattutto il doriano Obiang e il giovane-seguito-da-tutti Machín del Malaga, scuola Barcellona) hanno respinto la convocazione, convinti di potersi giocare le carte con la Nazionale spagnola, e insomma l’impressione è che ai padroni di casa non basteranno i più esperti (comunque di poco) Emilio Nsue, con un passato nella Liga, e Javier Balboa, canterano del Real, per evitare l’eliminazione al primo turno.

Con buona pace di Sua Eminenza il Presidente della Repubblica Obiang (sì, è lo zio del doriano, ma «in Guinea le famiglie sono molto grandi»). Piuttosto: credo dobbiate sapere che il figlio possiede un guanto di swarowski di Michael Jackson.

Un’altra squadra che a malincuore rientra nella categoria FDCP (Fanalini Di Coda Presunti™) secondo me è Capo Verde. È vero che nel 2013, alla sua prima partecipazione in assoluto, con un (anche fortunato) incrocio di risultati è riuscita a spuntarla sul Marocco e passare al secondo turno, ma insomma. Quest’anno gli “Squali Blu” sono pure stati i primi a qualificarsi, sotto la guida dell’ex attaccante del Benfica Rui Aguas, e hanno qualche prospetto interessante. Come il veterano Héldon, le punte Djaniny Semedo (che è cresciuto nelle Azzorre prima di trasferirsi in Messico) e Garry Rodrigues, o il centrocampista dal nome pretenzioso Platini, al secolo Luís Carlos Almada Soares, l’autore della prima rete di sempre di Capo Verde in CAN, peraltro con un pregevolissimo scavino.

Ciò nonostante, la regola del gruppo B mi sembra la seguente: l’appeal è inversamente proporzionale alle possibilità di passaggio del turno. Ciò significherebbe che Tunisia e R.D. del Congo probabilmente accederanno agli ottavi (la RDC poi ha un biscotto da vendicare, che mi pare un buon motivo in più per avanzare), mentre Capo Verde, invece, no. Che ingiustizia.

Fish, Phil Masinga, Shaun Bartlett e Theophilus Doc Khumalo. Era il Sudafrica a Francia ’98. Novantotto. Significa che sono passati più o meno vent’anni.

Un’altra squadra che verosimilmente finirà per lasciarci le penne già nella fase a gironi, ed è un fatto per il quale provo già un po’ di malinconia, è il Sudafrica. La Golden Age dei “Bafana Bafana” sembra lontana ventènni (in realtà è lontana vent'anni). Nelle qualificazioni ha contribuito all’eliminazione dei campioni in carica della Nigeria, ma un po’ il processo di rinnovamento (la rosa ha un’età media che s’aggira sul quarto di secolo, ed è formata quasi esclusivamente da giocatori della Premier Soccer League; Thulani Serero, uno dei prospetti più cool, che gioca nell’Ajax, è stato tagliato all’ultimo momento), un po’ la tragedia d’aver perso nel pieno delle qualificazioni il portiere e capitano Senzo Meyiwa (ucciso con un colpo di pistola), in aggiunta a un sorteggio davvero sfortunato (che l’ha vista inserita nel Girone Della Morte™, quello C) fanno del Sudafrica una delle squadre a rischio Fuori Subito. E non la potranno salvare i sentimenti, ahimé.

Carlo Pizzigoni

La Guinea Equatoriale c’entra, mi pare, poco con questa Coppa d'Africa. E ancora meno con una federazione e un Paese che aspira a crescere. I piani di lettura sono diversi. Tecnicamente, siamo alla barzelletta. Esattamente come tre anni fa, quando insieme al Gabon organizzarono la CAN, hanno licenziato l'allenatore poco prima della competizione: allora cacciarono Henri Michel, dopo una penosa serie di comunicati continuamente smentiti, che uscivano a giorni alterni da un diverso familiare del satrapo Teodoro Obiang (se vi interessa il caso umano, date un occhio a “Pagliacci e mostri : storia tragicomica di otto dittatori africani”, volume scritto da Albert Sánchez Piñol). Oggi tocca a Andoni Goikoetxea, rimpiazzato dal selezionatore della nazionale femminile. Ma questo, se ci credete, è il meno. La Guinea Equatoriale, l'unico Paese africano che parla spagnolo, lo Stato scelto dalla CAF per organizzare la Coppa d'Africa 2015 dopo l'auto-esclusione del Marocco, è lo stesso che è stato squalificato dalla CAF nelle qualificazioni alla Coppa d'Africa 2015. Tutto vero. Causa? Un indegno spettacolo fatto di intimidazione e prevaricazione orchestrato prima e durante la partita contro la Mauritania.

Ritardo nella concessione dei visti per entrare in Guinea, poi la consegna alla nazionale mauritana di strutture totalmente inadeguate, ricerca spasmodica di campi degni di questo nome, con i giocatori spostati qua e là in pullman, rallentati dal traffico e dalla burocrazia. Il teatrino di Guinea Equatoriale vs Mauritania. «L’inferno continua, a Malabo».

Durante il match è proseguita l'indegna farsa, ma nessun giornalista, fotografo o cameraman, salvo qualche indigeno, è stato autorizzato a entrare per testimoniare: allo stadio di Malabo la definizione di “arbitraggio casalingo” va oltre il concetto di eufemismo. L'espulsione dell'allenatore dei portieri della Mauritania è stata eseguita dalle forze armate presenti nell'impianto: giudicate eccessive le sue proteste. I coraggiosi delegati CAF, dopo essersi allontanati dallo spazio aereo ecuatoguineano, hanno riempito chilometri di referti, e l'unica conclusione è stata la squalifica. Siamo a luglio 2014. A gennaio è tutto dimenticato. Dimenticata è pure la lista definitiva della squadra della federazione ecuatoguineana, impegnata in creative naturalizzazioni. Oggi, con gli occhi del mondo addosso, non penso si arriverà a pressioni per portarli al secondo turno, ma pure che da un insignificante tenente germogliasse uno dei milionari indicati da Forbes, pareva dura. E invece Teodoro è riuscito nell'impresa: l'oro nero fa miracoli. Oddio, qualcuno dice che i proventi del petrolio potrebbero essere distribuiti in maniera più equa. Chissà, un giorno...

A proposito di prezzo del petrolio: dato che è in caduta negli ultimi tempi, ecco la sintesi del comunicato della federazione della Guinea licenziato poche ore fa: avevamo promesso di pagare le spese delle trasferte dei 15 paesi ospiti, la crisi congiunturale ci impedisce di compiere tale dovere. Con tante scuse, e migliaia di polemiche. Tranquilli, però i prati per i campi sono arrivati.

Si capisce che non faremo il tifo per loro?

Mi dispiacerebbe, invece, uscisse subito il Congo Brazzaville, che è la storia di queste qualificazioni. Da lustri ormai un deserto di calcio, da sette edizioni lontani dalla CAN, ecco l'arrivo del pifferaio magico, il vecchio Claude LeRoy, che non era finito come molti raccontavano. Idee chiare, grande applicazione, i Diavoli Rossi sono diventati competitivi. E hanno tenuto mentalmente, anche dopo la grande delusione della penultima gara di qualificazione, quando Pointe Noire si era fermata per vedere i ragazzi di LeRoy: bastava un pari contro la Nigeria, un punticino. Troppo superiori, invece, le Super Aquile, che hanno dominato anche oltre il 2-0 finale. Nell'ultima gara però, suicidio nigeriano contro il Sudafrica (fenomenale Tokelo Rantie) e vittoria in Sudan dei Diavoli Rossi. Sono rimasti concentrati, i ragazzi, e hanno vinto la partita chiave, dopo la delusione del match precedente.

Dura tuttavia pensare facciano un ulteriore passo avanti. L'unica è sperare che ogni mattina di gennaio Thievy, l'attaccante dell'Almeria, si alzi col piede giusto: sarebbe già metà, forse oltre, dell'opera.

Dispiacerebbe anche vedere uscire la Guinea, negli ultimi anni davvero uno dei Paesi più martoriati, e non ne farei solo una questione di Africa: mancava giusto la questione Ebola dopo le crisi politiche che hanno diviso lo Stato dove ci sono le più belle ragazze dell'Africa. Girone complicato, con colossi come Costa d'Avorio e Camerun. Il talento giovanissimo non manca: sarà un piacere vederlo all'opera, anche se solo per tre gare.

Christian Giordano

Troppo facile flirtare con il puntino Capo Verde, qualificatasi in extremis, o la RDC, poverissima di tutto ma non di attaccanti (8 fra i 29 preconvocati), che una favola, come il Burkina Faso finalista, l’ha vissuta nell’edizione precedente. E allora, nel gruppo B, scelgo lo Zambia del Ct Honour Janza: il destino nel nome. La sorpresona è stata l’esclusione di Christopher Katongo, la star che nel 2012 aveva guidato i Chipolopolo (i Proiettili, ma nel senso – sic – di “pallottole”) al loro drammatico, unico successo, dopo 120’ e 18 rigori, sulla strafavorita Costa d’Avorio; per di più a Libreville, Gabon, 19 anni dopo la loro Superga e davanti al presidente federale Kalusha Bwalya, scampato per puro caso alla sciagura. Il Ct Hervé Renard dedicò a lui l’impresa degli underdogs assurti a “eroi”.

Anche stavolta al torneo arriva un’accozzaglia di signor nessuno. A guidarla c’è però l’ex direttore tecnico, subentrato a inizio agosto a Patrice Beaumelle con la benedizione di Bwalya. Per il numero uno del calcio zambiano, la nomina di Janza «è una sfida enorme, ma anche l’opportunità per un allenatore locale di mostrare ciò che ha imparato in cinque anni con Renard e il suo staff».

La formazione dello Zambia. Pallottole, magari spuntate, ma che mirano dritto al cuore.

Nel gruppo C ci sono quattro pesi massimi sullo stesso quadrato. Due grandi torneranno subito a casa. Il cuore, qui, può rubartelo solo chi, parafrasando Galeano, saprà donare belle giocate ai mendicanti di buon calcio. Oppure il gigante coi piedi d’argilla, che magari affonda nello stagno dove, novello Narciso, si specchia. Il Ghana, le “Black Stars” di Avram Grant, l’israeliano ex traghettatore del Chelsea post-Mou finalista di Champions battuto ai rigori a Mosca 2008 dallo United, illuminano non sempre a giorno i più importanti campionati d’Europa: i fratelli d’arte Ayew, André (centrocampista esterno mancino dell’OM che piace al ds Riccardo Bigon per il Napoli) e Jordan (attaccante del Lorient), pargoli dell’Abedi Pelé visto al Toro ’94-96; i “nostri” Kwadwo Asamoah (Juve), Sulley Muntari (Milan), Emmanuel Agyemang-Badu (Udinese), Afriyie Acquah (Parma) e la new generation di Christian Atsu (ala in prestito dal Chelsea all’Everton) ma non di Majeed Waris (attaccante del Trabzonspor), che infatti non ci sarà perché infortunato. Difficile non vederli ai quarti, ma nel caso siete avvertiti: le sorprese non mancano mai.

Nel gruppo D sembrano avere il destino segnato Guinea e Mali. Già il girone è tosto: se poi al Mali si spezza la punta di diamante (luogo comune d’obbligo per questo Eldorado che i francesi proprio non vogliono saperne di lasciare), allora i tuoi 2015 e CAN nascono male, Malissimo, ancor prima di cominciare. Intervento al ginocchio «essenziale per il proseguimento della sua carriera», recita il comunicato del Bordeaux, per il 26enne centravanti Cheick Tidiane Diabate. Cruciale nel terzo posto del Mali nelle ultime due edizioni e top scorer stagionale dei Girondins (8 gol e 2 assist in 15 presenze di Ligue1, dove nonostante i dolori al ginocchio da operare ha giocato 1075’), ne avrà per 4 mesi. Bon courage Cheick.

Chi ci scalda il cuore, allora? I due “italiani” in rosa: la stella Seydou Kéïta (Roma), storico primo cambio di Guardiola al Barça, e Molla Wagué (Udinese), difensore nato in Francia e svezzato in Spagna nel prestito al Granada, satellite nell’orbita della famiglia Pozzo.

La corsa, scontata, sulla Guinea andrà quindi fatalmente integrata con almeno un giant-killer a Malobo: Leoni Indomabili (il 20 gennaio) o Elefanti (il 24): Camerun e Costa d’Avorio erano nello stesso gruppo di qualificazione e sono le favorite per andare ai quarti, ma le Aquile maliane (seconde a 9 punti nel girone vinto dall’Algeria) hanno forza e talento per giocarsela con tutte, specie in gara secca.

Il cuore però lo scalda e ruba davvero la “Syli Nationale”, quella degli Elefanti meno nobili e celebrati. Anche la Guinea ha chiuso seconda, ma a quota 10 dietro il Ghana. A una discreta base di talento giovane porta esperienza il jolly Kevin Constant, ex Chievo, Genoa e Milan, da agosto 2014 in Turchia al Trabzonspor. A Milano, più che l’out sinistro di San Siro, ha frequentato l'Antica Osteria Cavallini di via Mauro Macchi, zona stazione Centrale: un must gli uno-due con cotoletta e ossobuco per lui e per il maliano Bakaye “il Talismano” Traoré, altra meteora rossonera finita in Turchia ma fuori dai 23 di Michel Dussuyer, il Ct ex Benin richiamato dopo l’esonero. C’è invece Ibrahima Traoré, ala sinistra del ’Gladbach che in Bundesliga ha un po’ l’idiosincrasia del gol ma in campo aperto regala spettacolo e assist. Vi divertiranno.

2. LE POSSIBILI OUTSIDER

Carlo Pizzigoni

Per troppo tempo lontano dall'élite del calcio africano, il Senegal pare finalmente tornato: è dal 2004, con i reduci della grande spedizione ai Mondiali nippocoreani in campo, che non c'era così tanta aspettativa a Dakar. Non tutto, è però andato nel verso giusto. La polemica Giresse-Demba Ba ha levato una freccia importante alla faretra senegalese, impoverita anche dall'infortunio di Diafra Sakho. Non sta benissimo nemmeno Sadio Manè, un pezzo chiave del grande inizio di stagione del Southampton, ma ci sarà: l'idea è di farne una pietra angolare di questa squadra, che ha un potenziale offensivo inimitabile. Papiss Cissè del Newcastle, Biram Diouf dello Stoke, Moussa Sow del Fenerbahce e un ragazzo, o ex tale, che avrebbe i cromosomi del fuoriclasse, ma si è sempre dimenticato di mostrarli tutti insieme: Henri Saivet.

Henri Saivet è stato una promessa del calcio francese; poi solo sprazzi di enorme classe. Ma noi non ci arrendiamo: l'attesa qualche volta viene premiata.

Bella scommessa quella di Avram Grant sulla panchina del Ghana. Studioso di football, arriva in una squadra che ormai ha allontanato l'antica ossatura (nessun giocatore sopra i trent'anni) per scommettere sui giovani cresciuti in questi anni proprio alle spalle degli Essien e dei Muntari. “Dedè” Ayew è un vincente nato, l'udinese Badu un piccolo generale di rendimento a metà campo, poi tanti nomi interessanti: Atsu, Wakaso, Baba, e un ragazzo che merita un rilancio, Jonathan Mensah, lui pure controllato in passato dalla famiglia Pozzo. Rimanere competivi e, magari, vincere chiuderebbe anche il ciclo iniziato col Mondiale under 20 conquistato nel 2011, battendo in finale il Brasile: diversi dei ragazzi che hanno sollevato quella coppa, in Egitto, sono oggi “Black Stars”. Con lo stesso intento: vincere.

Occhio al nuovo Sudafrica, una squadra finalmente ricostruita, partendo dalle basi del campionato locale. Contro la Nigeria grande gara di Tokelo Rantier, uno dei pochi che gioca all'estero, nella Championship inglese. Peccato manchi però Thulani Serero dell'Ajax, forse il miglior giocatore sudafricano.

Camerun all'anno zero. Dopo l'autodistruzione del Mondiale brasiliano, il più umiliante della notevole storia dei Leoni Indomabili, la deflagrazione ha portato via i gruppi legati a Eto'o e Alex Song, compresi i capibastone. Il Camerun ha un gruppo di giovani molto interessante, che nelle qualificazioni ha mostrato il miglior football del continente. Sono completi in ogni reparto: dietro, N'Koulou è diventato il leader difensivo nell'OM del Loco Bielsa, e con Mbia rimane una garanzia, davanti Aboubakar desta notevole interesse e Choupo-Moting è un giocatore che a questo livello certamente sposta.

Christian Giordano

Qui bisogna intenderci: per “outsider” la buttiamo più sul senso sportivo stretto (la non favorita che se anche non vince è protagonista) o la estendiamo, in simil-politichese, a chi si farà onore spingendosi così oltre i propri limiti da osare là dove era impensabile potesse?

Nell’accezione più ampia, dovremmo tirar dentro almeno quattro quinti della CAN 2015.

Ad esempio (nel gruppo A) la Guinea Equatoriale, padrona di casa inspiegabile se non con oliate di oro nero e disinvolte naturalizzazioni, e il Burkina Faso miracoloso vicecampione uscente (con Jonathan Pitroipa MVP della CAN 2013 e poi top scorer delle eliminatorie) guidato dal pirata Paul Put.

Put è stato condannato in contumacia per una brutta storia di scommesse: in Belgio non può rientrare, pena la galera.

Oppure (nel gruppo B) i “Diables Rouges” del Congo che tornano dopo 14 anni di assenza, con in panca l’eterno Claude Le Roy, che nel continente ci lavora da trenta; la Tunisia di George Leekens, due volte Ct del suo Belgio e una dei “cugini” algerini, imbattuta nelle eliminatorie e piena di giovani dall’enorme potenziale come Yassine Chikhaoui (Zurigo) e Wahbi Khazri (Bordeaux). O si potrebbe puntare sul bis consecutivo della minuscola Capo Verde (la nazione più piccola ammessa alla fase finale, che torna con mezza squadra del 2013) o sulla Repubblica Democratica del Congo, qualificata come (miglior) terza dietro nientemeno che Camerun e Costa d’Avorio e con l’allenatore Jean-Florent Ikwange Ibengé nominato a sole tre settimane dalle qualificazioni?

Nel Gruppo C invece il Sudafrica, che il 64enne Ephraim “Shakes” Mashaba ha voluto di tutti under 27, ha come priorità il pass mondiale per Russia 2018 e piange l’assassinio del 27enne portiere e capitano Senzo Meyiwa, a cui hanno sparato in un fallito tentativo di rapina. E il Senegal che in nome dei cinque papi re (Pape Camara, Pape Souaré, Papy Djilobodji, Pape Diop e Papiss Cissé) ha le potenzialità per vincere, anche se Sadio Mané (esterno alto di sinistra al Southampton di Graziano Pellé) ha qualche problema di forma (comunque ci sarà); il caso che ha fatto discutere è stata la rinuncia a Demba Ba, autore del tweet a cui accennava Carlo, rivolto al Ct francese Alain Giresse: «Non vedo l’ora di sentirne le scuse e di smontarle una per una».

O infine, nel Gruppo D, la Guinea, presente contro tutto e tutti, più forte del virus Ebola e le conseguenti precauzioni sfociate, secondo il 55enne Ct, francese pure lui, Michel Dussuyer «in discriminazioni». Con il divieto di ospitare le avversarie, la “Syli Nationale” ha giocato le gare “interne” a Casablanca, in Marocco, come fossero a porte chiuse. E le autorità sanitarie hanno disposto ai giocatori la misurazione coatta della temperatura corporea due volte al giorno.

Dovendo scegliere, la puntata andrebbe sulla rinnovata voglia di grandeur di una superpotenza dell’Africa centrale ricca di petrolio: il Gabon. A Libreville, come in tutto lo stato, nessuno ha dimenticato il 5 febbraio 2012. Uno di quei pomeriggi di un giorno da cani in cui capisci quanto il calcio sappia essere crudele: le “Panthères” avevano in mano la loro prima, storica semifinale nel torneo, co-organizzato con la Guinea Equatoriale. Contro il Mali del loro ex Ct Giresse ai ragazzi di Gernot Rohr bastava difendere l’1-0 di Éric Mouloungui. Invece, sfumato il raddoppio 3’ dopo con il palo di Daniel Cousin, a 7’ dalla fine beccarono il pari di Cheick Diabaté, appena entrato. Ai supplementari, altro palo con Bruno Mbanangoyé. Ai rigori, l’inutile cucchiaio del centralone Bruno Ecuele Manga (ex Lorient, da settembre al Cardiff City), l’errore decisivo di Pierre-Emerick Aubameyang e lacrime per tutti. Di delusione per l’ex flop milanista, ai tempi al Saint-Étienne e oggi devastante in campo aperto nel Dortmund. Liberatorie per l’allora blaugrana Kéita, che dopo gli oltre venti morti in 48 ore di scontri tra governo e separatisti, lanciò al paese un appello di pace: «Tutto ciò non è normale, fermatevi, siamo tutti maliani. Noi giocatori celebriamo la vittoria, ma siamo affranti. Il Presidente della Repubblica faccia di tutto perché questa guerra finisca».

Il “periodo no” è continuato con il successore di Rohr, Paulo Duarte, durato diciotto mesi. All’arrivo di Jorge Costa, altro ex difensore centrale portoghese, nell’agosto 2014, il Gabon era 102º nel ranking FIFA, peggior piazzamento dal 2007. In quattro mesi, l’ex capitano del Porto vincitutto mourinhiano ha restituito alla squadra anima, identità di gioco e un posto tra le prime 65 al mondo. Comunque vada, lui il cuore ce lo avrà già scaldato.

Fabrizio Gabrielli

La nazionale del Burkina Faso porta un soprannome impegnativo e, nell’ottica del discorso che voglio fare, foriero di presagi dal manto lucido: gli “Stalloni”. Ciò significa che il ruolo di dark horse, in un modo o nell’altro, finirà per donargli meravigliosamente, e i burkinabé non vorranno rinunciare di certo a cavalcare questa suggestione. Dopo una manciata di partecipazioni mediocri alla Coppa d’Africa, e un picco raggiunto nel ’98 (quarti classificati, ma giocavano in casa e quando si è padroni dei campi lo si è anche un po‘ di più del proprio destino) è successo che nel 2013 ridendo e scherzando gli “Etalons” sono arrivati in finale, messi in ginocchio soltanto dalla Nigeria. Dez Altino ha anche ideato un inno alternativo, una specie di hit calcistica à la Shakira, peraltro molto coinvolgente: io un po’ di tifo per i burkinabé lo farò, anche perché mi è dispiaciuto un sacco quando non sono riusciti a qualificarsi ai Mondiali brasiliani (dopo aver battuto l’Algeria per 3-2 a Ouagadougou hanno perso la gara di ritorno per 1-0: peccato, mancava tanto così amici burkinabé).

La formazione, per buoni sette-otto undicesimi, è la stessa del 2013: il belga Put potrà ancora una volta contare su Aristide Bancé, soprannominato Guinness per via dell’acconciatura color crema sull’incarnato color stout, (per gli amanti del gossip, Banché è il cognato di Aruna Dindane); sul filiforme centrale difensivo Bakary Koné del Lione (che qua intorno a 0.50 anticipa con un colpo di kung-fu un Ibrahimovic che la prende discretamente bene); sul giovanissimo e talentuoso Bertrand Traoré, che il Chelsea ha parcheggiato in Olanda, al Vitesse, per fargli fare le ossa, come si dice; ma soprattutto su Jonathan Pitroipa, una leggenda locale - non ha ancora neppure trent’anni e già due canzoni rap dedicate, questa e quest’altra, è nel giro della nazionale da quasi dieci anni ed è stato nominato MVP dell’ultima edizione della CAN.

Jonathan Pitroipa, ovvero The African Giovinco. Lanciamo una sfida ai lettori di Ultimo Uomo: guardiamo tutti la Coppa d’Africa e cerchiamo insieme The African Cossu?

Insomma, chissà che la cavalcata degli “Stalloni” non si spinga su prati oltraggiosi anche quest’anno. L’altra potenziale outsider potrebbe essere il Mali di Seydou Kéita, non foss’altro perché il loro passaggio del turno significherebbe, automaticamente, eliminazione di una tra Camerun e Costa d’Avorio: così su due piedi, oltre a entusiasmarmi per gli ultimi epici exploits di Seydoublen (che qua sorridente riceve la bandiera per la delegazione da parte del presidente della Repubblica maliana) fuori e dentro il campo, trovo pure plausibile che il Mali possa spingersi un po’ più in là del terzo posto, appannaggio delle “Aigles” da due edizioni consecutive.

La verità è che il meccanismo di Indovina Le Outsider, alla fine, secondo me, in questa edizione della Coppa d’Africa, si inceppa troppo facilmente. Bisognerebbe ribaltare il concetto semantico di sorpresa, e capire se ci saranno più sorprese di quelle che stupiscono piacevolmente o sorprese di quelle che ti lasciano l’amaro in bocca.

Tipo l’eliminazione, da subito, di Ghana e Camerun, per buttarla là alla chetichella.

3. LE FAVORITE

Christian Giordano

Altissimo, qui, il rischio-figuraccia. Sarebbe comodo indicare l’Algeria, più alta africana nel ranking FIFA (#18) e fresca reduce dal suo ottimo mondiale brasiliano. E difatti nessuna sorpresa se alla fine dovesse farcela, ad alzare il trofeo che ha vinto solo nel 1990. Nonostante il cambio di allenatore post-Brasile 2014, dal bosniaco Vahid Halilhodžić al francese Christian Gourcuff, sarebbe stata la favorita se, come nei piani pre-Ebola, si fosse giocato nel confinante Marocco. La storia però racconta che nei tornei a sud del Sahara le verdi “Volpi del deserto” raramente sono state all’altezza.

Invertire il trend toccherà al 59enne papà d’arte del flop milanista Yoann, una vita in quattro atti al Lorient (uno da centrocampista, tre da allenatore). Gourcuff senior ha un contratto fino al termine del prossimo mondiale, il che gli garantirebbe l’incarico per altre due Coppe d’Africa (2015 e 2017), una delle quali l’Algeria spera concretamente di poter ospitare. Non occorre essere iscritti alla Royal African Society, per capire come funzionano le cose nel calcio, specie nel continente: il Ct si gioca molto, se non tutto, in questa.

Con chi lo farà? Su tutti il trequartista esterno Yacine Brahimi, Giocatore africano del 2014 secondo la BBC e rivelazione in Champions League col Porto (memorabile la tripletta all’esordio nel 6-0 sul derelitto Bate Borisov). I suoi uno-due con Sofiane Feghouli (in Liga al Valencia) saranno la chiave d’innesco in attacco per il 26enne Islam Slimani, che gioca anche lui in Portogallo, ma allo Sporting Lisbona. Là davanti farà coppia con El Arbi Hillel Soudani, dal 2013 in Croazia alla Dinamo Zagabria. Tanta panca, anche qui, per Ishak Belfodil, floppone nell’Inter mazzarriana presto rientrato al Parma. Il punto debole sembra tra i pali: il titolare Raïs M’Bolhi (Philadelphia Union, USA) è l’unico dei tre portieri convocati che gioca all’estero, alle sue spalle scalpita più Azzedine Doukha che Mohammed Zemmamouche. In difesa la leadership è passata a Rafik Halliche, con il napoletano Faouzi Goulam che spinge a sinistra; mentre al totem Majid Bougherra che sverna negli Emirati (Al Fujaïrah) resta il ruolo di leader carismatico – o di capitano non giocatore – del gruppo. Curiosità: riguardo al fantomatico 4-2-2-2 “alla Maturana”, la Colombia, e in particolare quella, è molto lontana.

I piani B e C sono Camerun e Costa d’Avorio. I “Leoni Indomabili” (tali anche nelle rivendicazioni logistico-economiche verso dirigenti impresentabili... eufemismo) vengono da un Mondiale troppo brutto per essere (tutto) vero: dispute sui premi, scontri tra ego sconfinati, gioco violento. Un gol fatto, tre sconfitte con due cappotti (1-0 dal Messico, 4-0 in dieci dalla Croazia, 4-1 dal Brasile) e ritorno a casa immediato col rosso (anche di vergogna) al centrocampista Alex Song che ha dato l’addio alla nazionale ma solo dopo aver saputo che non sarebbe rientrato nei 23 di Volker Finke. Nelle eliminatorie però la squadra s’è come magicamente ritrovata: capolista imbattuta nonostante pericolosi compagni di viaggio come “Elefanti” ivoriani, “Leopardi” democratico-congolesi e altri “Leoni” ma della Sierra.

Poliglotta (madrelingua tedesco, fluente in francese e inglese), 66 anni, nominato Ct dopo tre lustri al Friburgo, il biennio giapponese agli Urawa Red Diamonds e quello al Colonia (prima ds, poi in panca ad interim), Finke non può più fallire. Il suo biennale scadrà a giugno 2015 e forse neanche la coppa potrà valergli la conferma.

La stellina in ascesa è Eric Maxim Choupo-Moting, nato ad Amburgo e messosi in luce l’anno scorso nello Schalke 04, esploso in questa prima metà di Bundesliga. Sarà lui a cercare di coprire – ma fatalmente in parte – l’incolmabile vuoto del post-Samuel Eto’o in attacco, dove il suo naturale successore è Vincent Aboubakar (Porto) mentre la sua leadership dovrà shiftare a centrocampo su Stéphane Mbia (Siviglia) se non addirittura in difesa su Nicolas Nkoulou, due giocatori chiamati all’ultimo, più difficile passo: passare da buoni a campioni. La scena però potrebbero rubarla i novellini: il portiere Joseph Ondoua (Barcellona B) e la punta Clinton N’Jie (Olympique Lione).

La Costa d'Avorio, favorita “cronica”, invece viene da cinque edizioni di storiche scoppole. Dalle qualificazioni sono arrivate più domande che risposte, al punto da convincere il 46enne Ct Hervé Renard a richiamare due storiche ma scricchiolanti colonne come Kolo Touré e Didier Zokora (anche se poi nei 23 è stato confermato solo il centralone, oggi impresentabile ai massimi livelli come d’altronde il compagno di reparto Ousmane Viera).

Subentrato a Sabri Lamouchi, Renard ha dovuto prima sistemare i cocci del mondiale e poi traghettare la squadra verso un difficile ricambio generazionale.

Persa per raggiunti limiti di stimoli e di età la leggenda Didier Drogba, trascinatore vero in campo ma totem più per i media che in spogliatoio, la superstar assoluta – pure del torneo – è Yaya Touré (Manchester City). Oggi, no contest, il centrocampista “totale” più completo e più determinante al mondo. Più bravo a seminare avversari che le orde di donne che a suo dire lo perseguitano di stalking, letale al tiro sia in azione sia sui calci da fermo, il fratellone di Kolo è il braccio e la mente degli Elefanti.

I due Touré e Siaka Tiene (laterale sinistro del Montpellier) sono alla sesta fase finale consecutiva, il romanista Gervinho e Salomon Kalou (eterno incompiuto al Chelsea, poi al Lille e ora all’Hertha Berlino) alla quinta. In porta, dopo un decennio, ha perso il posto Boubacar Barry. Scalzato dalla nuova gerarchia che vede Sylvain Gbohouo (l’unico ancora in patria, al Séwé Sport) davanti a Sayouba Mande (in Norvegia allo Staebek) e a un altro Barry, Coppa (in Belgio al Lokeren).

L’attacco, al solito, resta la vera forza di un 4-2-3-1 assai sbilanciato in avanti. Protetto dai “cagnacci” Serey Die (ruvido Nainggolan del Basilea, e non solo per la cresta ossigenata) e Cheick Tioté (Newcastle United), pupillo che Guardiola voleva già un anno fa al Bayern, il quartetto magico dovrà regalare magie con Kalou-Yaya-Gervinho dietro uno tra Lacina Traoré (Monaco) o Wilfried Bony (Swansea City). O magari Seydou Doumbia (CSKA Mosca). Che non è né mai sarà Drogba, ma in Champions segna. Gervinho lo sa.

Fabrizio Gabrielli

In Coppa d’Africa l’esercizio di identificare le favorite alla vittoria rischia di trasformarsi con una facilità disarmante in una gigantesca trappola per topi: il nome, il lustro e la tradizione esercitano un forte potere d’influenza, ma il più delle volte finiscono per fuorviare.

Si può tenere fuori dal novero delle potenziali vincitrici il Camerun? E la Costa d’Avorio? Anzi: c’è stato un periodo in cui la Costa d’Avorio è stata sfavorita, negli ultimi dieci anni? In qualsiasi competizione, dico. Eppure una generazione di fuoriclasse (non c’è bisogno di fare i nomi, alcuni sono top player da quanto, da un lustro almeno?) senza precedenti non è riuscita a produrre più di un secondo posto, manca alla vittoria dal 1992 (Serge Aurier, difensore del PSG in rosa con gli Elefanti, non era ancora nato, per dire) e niente: ogni competizione in cui è coinvolta gli si presenta con l’aroma agrodolce dell’Ultima Chiamata.

La mia impressione è che la squadra che alzerà la Coppa uscirà dal gruppo C. E che non sarà il Ghana. L’Algeria potrebbe provare a ripetersi ai livelli stratosferici, in termini di intensità e garra (si può dire che l’Algeria è un po‘ l’Uruguay d’Africa?), dei Mondiali brasiliani. Con l’Egitto non qualificato e il Marocco squalificato, il Maghreb ripone tutte le sue speranze sulle “Volpi del deserto”.

Ma se dovessi puntare un nichelino, ecco, io lo punterei sul Senegal (una specie di Costa d’Avorio minore).

Una recente formazione del Senegal. Se l’Algeria è l’Uruguay d’Africa (e assumendo che la Costa d’Avorio sia il Brasile d’Africa) posso azzardare che il Senegal è il Cile d’Africa?

Il Senegal non ha mai vinto, nella sua storia, la Coppa d’Africa. In una recente intervista Giresse, il tecnico, è stato molto polemico: «I media senegalesi rivendicano obiettivi, dicono che si è un grande paese di calcio. Ma non si può dire di essere un grande paese di calcio quando poi c’è un palmares che è praticamente vergine». Non che ambisca a prendere le parti della stampa senegalese, ma credo anch’io che ci siano un paio di sospetti che questo sia l’anno giusto. E che il Senegal sia un grande paese di calcio. Alain Giresse è un tecnico che da dieci anni allena in Africa, ha la scorza dura e il pugno di ferro abbastanza allenato per gestire situazioni surreali e delicate al contempo: Giresse è quello che ha avuto lo stomaco di tenere fuori capitan Momo Diamé, uno che tutto gli si può dire tranne che non ci metta il cuore, e l’ex Chelsea Demba Ba per il semplice fatto che non avevano mai disputato una gara di qualificazione (aveva fatto lo stesso con Keita escluso dalla Nazionale maliana nel 2012 perché avrebbe minato lo spogliatoio). Giresse è uno che crede molto nel collettivo, nella squadra, nelle abitudini del gruppo.

Giocherà con un 3-4-3 in cui bisognerà tirare a sorte ogni partita per capire chi giostrerà nel tridente offensivo: Sadio Mané, strepitoso alle Olimpiadi del 2012 che però come hanno già detto Carlo e Chrstian è acciaccato; Papiss Cissé uno che in quanto a metterla dentro non deve pigliare ripetizioni da nessuno; e poi Sow, e Biram Diouf: gli si rimprovera solo di assentarsi, a volte, dal vivo del gioco. È fatto così: dopotutto anche nei giorni immediatamente precedenti le sue nozze non è che si fosse capito bene che fine avesse fatto.

I “Leoni della Teranga”, insomma, possono contare su una generazione nel fiore degli anni, un po’ come la Costa d’Avorio in limine ai mondiali sudafricani del 2010, in cui sembrava, infatti, che avrebbe fatto sfaceli. Ma non è che tutte le aspettative, poi, alla fine, debbano per forza essere sempre mal riposte.

Carlo Pizzigoni

Finalmente un tecnico preparato, che conosce l'Africa e la rispetta, allenando con professionalità e competenza. Ecco quello che mancava alla Costa d'Avorio! Questo pensavo di Hervé Renard, forte di convinzioni maturate anche frequentando l'ambiente della Selephanto, la nazionale che ha avuto la miglior rosa africana dell'ultimo paio di lustri senza mai vincere nulla - anche per, immagino, errori di gestione.

Errore, grosso errore almeno se dobbiamo giudicare questi primi, complicati mesi dei nuovi Elefanti. Renard è arrivato con la volontà di sterzare completamente, e per questo ha preteso ampi poteri. Via la vecchia guardia (segnatamente, il primo giro di academiciens, i prodotti della più incredibile scuola calcio africana voluta da Jean Marc Guillou e Roger Ouegnin, l’ASEC Mimosas), largo alle sperimentazioni. Che partono con Franck Kessie (uno dei migliori giocatori al Mondiale under 17 del 2013), un classe '96, al centro della difesa, dove è stato poi provato anche Serge Aurier, terzino destro che ha bene impressionato ai Mondiali brasiliani.

La stampa ivoriana è spietata, e con i risultati che non arrivavano Renard è finito presto nel tritacarne. È quindi venuta meno la credibilità e l'autorevolezza, anche di fronte ai giocatori. Si è rischiato pure di non qualificarsi. La squadra, necessariamente è costruita attorno a Yaya Touré, che è però un giocatore atipico, e dopo gli anni manciniani al City, è ormai più che altro uno straordinario giocatore offensivo, ma ha perso molto della sua universalità delle origini. Mai il nuovo undici sperimentale ha trovato una definita identità. Renard ha fatto parziale retromarcia, ha richiamato Kolo Tourè, ha provato a conversare anche con l'altro academicien Zokora e con Drogba, senza trovare un accordo per il rientro. Sembra poco una squadra di Renard, addirittura si era sparsa la voce che il tecnico campione d'Africa con lo Zambia non sarebbe arrivato alla CAN 2015 (Yaya Touré ha certamente fatto il nome di Mancini, allenatore che adora). Motivi per buttare via anche questa Coppa d'Africa ne abbiamo a mazzi, quindi, ma la rosa rimane di primissimo piano.

Un “best of” abbastanza epico delle “Volpi del deserto” in azione a Brasile 2014, dove hanno messo in mostra una rosa completa e un’idea di calcio propositiva. I veri favoriti sono loro?

L'assenza dell'Egitto, il suo inabissamento è davvero qualcosa di forte impatto. La squadra che dominava il continente (7 CAN vinte), quest’anno è riuscita nell'impresa di non qualificarsi. Troppo legata a un sistema oggi contestato, i “Faraoni” sono oggi poco amati dalla maggioranza del popolo egiziano. Ma le altre squadre del Nord Africa stanno vivendo un buon periodo. La Tunisia rimane sempre una squadra solida, complicata da affrontare, l'Algeria è l'africana che meglio ha figurato al recente Mondiale.

Vahid ha fatto un super lavoro, soprattutto sulla testa dei giocatori. Passato il turbolento bosniaco, pare azzeccata la scelta di Gourcuff senior. Testa superiore per idee di calcio, quelle che discendono giù dalla Francia del '58, dallo Stade Reims, dal grande Nantes degli anni Settanta. Il progetto di un calcio propositivo continua con i Fennecs, che hanno una profondità di rosa forse unica, in questa CAN. Solidità e capacità di giocare di squadra, con un'anima un po' più offensiva rispetto al passato recentissimo.

I veri favoriti, secondo me, sono loro.

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