Nell’estate del 2003 il Real Madrid cede Claude Makélélé e acquista David Beckham: «Perché mettere un altro strato di vernice d’oro sulla Bentley se stai perdendo l’intero motore?», commentò con un pizzico di amarezza Zinedine Zidane. Con quella trasformazione radicale il Real Madrid dei Galacticos passò dalla sua fase gloriosa e vincente a una dorata e dissoluta, come Roma passata da quella invincibile e universale dell’impero a quella decadente descritta da Petronio nel Satirycon.
Con Makélélé in campo i Blancos hanno vinto sette trofei in tre anni, senza di lui non ne vinceranno nessuno per tre anni, regalando però momenti di splendore calcistico forse ancora più assoluto, proprio perché senza scopo. Simbolo di quest’epoca - inaugurata dalla promessa di Florentino Perez di “Zidane y Pavones” - non è stato neanche David Beckham, nella sua versione platinata e con codino, né lo stesso Zinedine Zidane, entrato nella suo periodo ellenista, ma un giocatore minore di cui in quel momento si faticava ad afferrare il senso: José Maria Gutiérrez Hernández detto “Guti”.
Il meno “galattico” dei Galactitos
Nel 2003 Guti aveva le meches e i capelli piastrati all’indietro, raccolti da una coda dall’aria così sfinita da sembrare di paglia. Era sempre abbronzato, con le sopracciglia tirate a lucido e degli orecchini luminescenti.
Si era formato come centravanti e nel 2001 Vicente del Bosque lo aveva fatto giocare al posto dell’infortunato Morientes. Aveva segnato 14 gol, dando l’impressione di poter recitare per sempre il ruolo dell’attaccante spagnolo comprimario (ruolo che poi diventerà istituzionale con Portillo, Callejon, Morata, Borja Majoral). Nel tempo, però il suo raggio d’azione si abbassa, per cercare spazio in una squadra che comprava il miglior giocatore disponibile in ogni ruolo. Guti sembrava quasi essersi rassegnato: «Tutte le porte mi si chiudevano davanti. Sono migliorato come trequartista ed è arrivato Zidane. Sono migliorato come attaccante ed è arrivato Ronaldo. Ora gioco in Nazionale da centrocampista ed è arrivato Beckham».
In un Real Madrid che perseguiva un ideale tecnico estremo, però, c’era posto per Guti vicino a Beckham, in un centrocampo senza compromessi e che pregava che il pallone non finisse tra i piedi degli avversari. A centrocampo Guti poteva essere quello che forse era sempre stato: un giocatore che ama esprimersi attraverso delle rifiniture raffinate e cervellotiche, assecondando uno stile di gioco che a volte lo faceva sembrare un illuminato, altre un dandy parnassiano interessato a giocare per l’arte.
Se scrivete “Real Madrid Galacticos” su Google immagini non ne uscirà nessuna di Guti, che di quella squadra leggendaria rimarrà sempre una figura minore. Un giocatore incompiuto, il cui talento non è forse riuscito a esprimersi all’altezza dei più grandi della sua epoca. Se nel tempo è diventato un giocatore di culto, però, non è solo perché ha sperperato parte del suo talento, ma perché questo talento è riuscito a cristallizzarsi in maniera grandiosa in un unico gesto tecnico: l’assist.
Girovagando su YouTube sono capitato su un video che riassume questo talento unico. Sono “13 assist che nessuno si sarebbe mai aspettato”: un titolo che esprime la capacità ridicola, fuori dal mondo, di Guti di mandare in porta i compagni scegliendo sempre la via più difficile e imprevista.
Ho scelto i miei cinque preferiti, credo sia il modo migliore per celebrare la creatività, l’istinto e il genio di un pittore.
A Ronaldo col sinistro cadendo, arrendendosi alla soluzione semplice
In un’intervista Guti ha dichiarato che amava giocare con i giocatori rapidi, bravi a smarcarsi in profondità, come Ronaldo o Owen: da quest’azione si capisce facilmente il perché. Guti riceve palla dal lato e usa bene il corpo per liberarsi del marcatore e orientarsi verso la porta. Corre in orizzontale senza bisogno di controllare la palla, muovendo solo la testa per guardare i movimenti dei compagni: appena Guti entra in azione, i compagni sanno di doversi muovere in profondità, il pallone gli arriverà.
Se guardate il replay con attenzione, però, vi accorgerete che Guti sta guardando in un’altra direzione prima di dare la palla lungolinea a Ronaldo, cadendo, come se abbia voluto esplorare fino in fondo un’altra possibilità prima di arrendersi a quella, in fondo, più semplice. Quasi mai, negli altri assist, Guti sceglierà la strada più semplice e lineare.
Per Zidane dietro la difesa dopo aver calcolato al millesimo il vento e i rimbalzi
Una delle cose migliori delle compilation di assist sono quei palloni lanciati calcolando tutte le leggi della fisica coinvolte con precisione scientifica per farli girare intorno agli avversari. Palloni lanciati con effetti complessi calcolati come esperti velisti che misurano il vento, che passano vicini ai difensori, che gli passano letteralmente davanti come in questo caso, che sembrano a portata ma che in realtà sono irraggiungibili.
Forse non sono gli assist più significativi delle caratteristiche di Guti, che aveva una grande sensibilità tecnica ma che non arrivava all’altezza di altri grandissimi rifinitori come Pirlo o, per fare un esempio attuale, De Bruyne.
In questo caso il Siviglia permette a Guti di giocare a palla scoperta, e non è una buona idea. I giocatori del Real Madrid si buttano tutti in profondità e chiamano palla. Ronaldo è in fuorigioco e forse è per questo che Guti sceglie di lanciare Zidane, che però quando parte è dietro a un difensore. È il passaggio di Guti ad armare la sua corsa e a tagliare il gap di svantaggio col suo marcatore. La differenza tra un giocatore qualsiasi che fa un assist e un grande numero 10 è il fatto che il passaggio è impacchettato per permettere a chi lo riceve di essere nelle migliori condizioni possibili per l’azione successiva.
È una lettera d’amore, un mondo possibile gonfio di promesse.
Servendola a Zidane con un tunnel dopo aver scartato tutte le soluzioni più semplici
A guardare il modo in cui eludeva con il corpo gli avversari, cambiava ritmo in mezzo al campo, è evidente che Guti abbia fatto di tutto per far assomigliare il meno possibile il calcio a uno sport e il più possibile a una danza, a una forma d’arte.
Guti sembrava sentirsi stretto nei panni di un semplice calciatore. Forse per questo ci teneva a sminuire l’aspetto professionale del calcio. Secondo Cassano, Guti «un giorno si allenava bene, un altro non si allenava, un altro ancora non c’era e nessuno sapeva cosa stava facendo».
Nel 2010, con un’aria stanca e sempre più decadente, stile Johnny Depp in The Libertine, Guti ha dichiarato che avrebbe voluto cambiar vita, magari fare un viaggio in moto, in Tailandia sulla sua Harley. È quel genere di calciatore che dice queste cose senza paura di sembrare ridicolo (d’altronde un uomo capace di farsi fotografare vestito da Al Pacino ma con i capelli di Avril Lavigne cosa dovrebbe temere?). Quel genere di calciatore su cui girano aneddoti pazzeschi, francamente inverosimili, che però in qualche modo ci dicono qualcosa su come veniva percepito il suo “personaggio”: tipo quello secondo cui un giorno, in un momento difficile, Fabio Capello aveva chiesto a tutta la squadra di farsi trovare intorno al cerchio di centrocampo per un discorso, prima dell’allenamento, e l’unico a non seguire l’ordine è stato proprio Guti, seduto in panchina a prendere il sole a torso nudo.
Guti ci teneva a farsi passare per un’artista prestato al calcio. Quando a fine carriera gli hanno chiesto perché non avesse provato ad andare via dal Real Madrid, in una squadra magari con meno concorrenza, ha dato una risposta in cui non è semplice stabilire i confini tra il suo senso di superiorità e la semplice pigrizia: «Meglio 30 minuti al Real Madrid che 90 in un’altra squadra».
È impossibile quindi non leggere negli assist di Guti questo universo di gusto, questa ricercatezza. Nell’azione qui sopra, una delle più barocche di Guti, riceve palla a centrocampo e salta due giocatori con uno scavetto come per togliersela dai piedi. A quel punto la squadra avversaria è spezzata in due. Guti avrebbe due soluzioni da servire in profondità alla sua sinistra, ma è troppo pigro o troppo lento e perde il tempo, a quel punto un avversario rinviene e lui lo salta con un tacchetto a rientrare. Ora si è precluso le due soluzioni più semplici e quella dal suo lato, Zidane, ha dovuto fermarsi per non finire in fuorigioco. È quello il momento, quando non c’è più spazio per le cose semplici, che si esprime il talento di Guti, che d’esterno fa passare la palla in mezzo alle gambe del difensore per servirla a Zidane fuori tempo massimo.
Mettendo in scacco un’intera difesa con uno sforzo minimo
Il piacere che si prova guardando delle compilation di assist è composto anche da quei filtranti che mettono in scacco intere difese inermi. L’estetica dei gesti che comportano uno sforzo minimo per sconfiggere avversari improvvisamente goffi e scoordinati.
Quando riceve palla da Robinho, Guti alza la testa, guarda in area di rigore. Sembra poter servire con un cross Raul, anche per come carica il mancino, invece rallenta il movimento della gamba all’improvviso per servire Robinho con un passaggio di ritorno che passa tra due difensori del Deportivo. In questi gesti tecnici Guti c’è un certo grado di compiacenza. Quella di un giocatore che giocava soprattutto per fare cose belle e a cui non dispiaceva alimentare la retorica del talento a cui non piace correre, che è forte solo quando ne ha voglia, che è troppo bello per riuscire nello sport.
Owen e McManaman, suoi compagni ai tempi del Real Madrid hanno dichiarato che Guti è il giocatore più vanitoso con cui abbiano mai giocato: «Negli spogliatoi era l’unico ad avere uno specchio vicino al suo armadietto».
Di tacco, di controbalzo, spalle alla porta, servendo Zidane dietro una selva di giocatori
Questo è l’assist più famoso di Guti e su internet non si fa fatica a trovare articoli che lo eleggono a miglior assist della storia del calcio. Cosa c’è che ci colpisce così tanto di questo gesto tecnico?
Quando la palla esce dal calcio d’angolo l’azione sembra banale. Guti stoppa il pallone col petto ma gli scappa all’indietro, sembra aver perso l’inerzia per fare qualsiasi cosa, e invece - inatteso, improvviso - arriva questo colpo di tacco di controbalzo che coglie in controtempo la difesa del Siviglia e mette Zidane solo davanti al portiere. Tutto si svolge in una finestra temporale estremamente stretta e la velocità di pensiero di Guti, in quest’azione, fa spavento, non sembra avere niente di umano. Guti gira la testa verso Zidane poco dopo aver toccato il pallone con il petto: è un gesto che dura un microsecondo, sufficiente a quell’epifania.
Nella maggior parte degli assist guardiamo l’azione e individuiamo le sue condizioni di possibilità. Possiamo vedere i movimenti dei giocatori e aspettarci che chi ha il pallone tra i piedi li assecondi o meno. In quest’azione il nostro cervello non ha mai accarezzato la possibilità di un filtrante verso Zidane - anche la telecamera è costretta a una brusca virata verso l’area di rigore - che arriva improvviso. Forse però neanche chi era allo stadio, neanche chi era in campo, aveva avuto quell’idea. Tra le migliaia di persone che assistevano alla partita, e tra le 22 che erano in campo, probabilmente Guti era l’unico ad aver immaginato quella soluzione. E non c’è forse nessuna migliore patente artistica dell’originalità. Dopo il gol Guti corre ad esultare da solo come il vero autore del gol, quando si dice che ci sono giocatori a cui un assist dà più gioia di un gol.
Guardando i video di Guti ho trovato un gol che ancora fatico a spiegarmi ma che contiene quel tipo di scintilla creativa. Il Real Madrid attacca in transizione a sinistra con Roberto Carlos; il terzino crossa al limite dell’area, Guti è abbastanza solo: potrebbe provare ad aggiustarsi il pallone per il tiro, e invece si coordina all’improvviso con una specie di bicicletta per calciare di piatto sinistro. Una traiettoria che scavalca il portiere con una parabola in leggero pallonetto.
Il talento nell’assist è uno dei più misteriosi del calcio. Se nel gol il riferimento è la porta avversaria, cioè un oggetto statico e invariabile, nell’assist le variabili da calcolare sono aumentate dal fatto che si serve un altro essere umano, in movimento, in previsione di un’azione successiva. Nel gesto tecnico dell’assist c’è quindi una pre-visualizzazione estremamente complessa, che richiede anche una sorta di coinvolgimento empatico: bisogna mettersi nei panni di chi riceverà il pallone. In più bisogna capire il tempo con una sensibilità profonda, e per questo quella dell’assist è soprattutto un arte del tempo. In un certo senso Guti guardava nel futuro.
Guti è stato spesso interrogato sulla sua visione di gioco, e il fatto che sia un argomento a lui a cuore lo si nota dal fatto che riesce quasi a dare forma a un’arte così intangibile. «Alzavo la testa prima che mi arrivasse palla. Già sapevo dove erano posizionati tutti. Quando ricevevo il pallone sapevo già come dovevo giocarlo». Ma la parte più interessante, perché contiene sfumature esistenzialiste, è quella dopo: «Per questo ero così rapido nelle decisioni. E per questo a volte chiedevo palla con urgenza: perché stavo vedendo il gioco e quel gioco poteva sparire in qualsiasi momento». Come se nella ricerca dell’assist - come arte del tempo - ci fosse il tentativo di voler per un attimo entrare in comunione profonda, toccare con mano prima che sparisca, una realtà dinamica e continuamente sfuggente. Come quei fotografi ossessionati dall’idea di imprigionare l’attimo, tipo Henry Cartier-Bresson.
Per Benzema, quando ormai nessuno se lo sarebbe aspettato
Arrivati a questo punto del pezzo dovreste averlo capito. Una peculiarità degli assist di Guti è il fatto che, appena prima che serva l’assist, è difficile immaginare la soluzione che poi effettivamente sceglierà. Questa forse è la caratteristica che distingue Guti da altri grandi rifinitori come Totti o Laudrup. La differenza con loro non è nella visione di gioco ma nella controintuitività della giocata, nel fatto che quella giocata non è la più logica in quel momento, forse neanche la migliore. Ed è poi ciò che rende Guti un giocatore così estetico: il fatto che la sua creatività si esprima anche nello sperpero, nel rischio che contiene il lusso. È un concetto espresso alla perfezione dal suo assist per Benzema contro il Deportivo.
Anche quest’assist, arrivato nel periodo finale di Guti al Real Madrid, quando la sua arte dell’assist era sempre più rarefatta, è stato definito “il miglior assist di sempre”. Forse perché è la sublimazione dell’idea di un giocatore che a segnare preferisce far segnare gli altri: quest’azione ce lo dice in maniera fin troppo didascalica. Al punto che fa il giro: dovremmo capire a questo punto che il colpo di tacco in quel momento era l’unico modo per Guti per mettersi al centro dell’attenzione in modo eccentrico. Dando una sfumatura ancora più sovrannaturale al proprio talento nell’ultimo passaggio.
Ora Guti fa l’allenatore delle giovanili del Real Madrid e durante l’estate sembrava il successore più accreditato di Zidane sulla panchina della Casablanca. Di lui parlano tutti bene, con una punta di stupore tra quello che era stato il Guti calciatore e quello che è adesso. Lui non ci vede niente di strano: «Tutti cambiamo» ha dichiarato, con l’appagamento di chi ha lasciato al mondo del calcio giocato l’esatta immagine su cui ha lavorato. Non è difficile immaginare Guti guardare i video dei suoi assist con la soddisfazione di un grande pittore che ammira la sua tela più riuscita.
Antonio Cassano ha dichiarato che Guti avrebbe potuto essere “uno dei migliori al mondo”, ed è il genere di riconoscimento vacuo per cui Guti sembra aver lavorato tutta la vita.