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Come Fortnite mi ha fatto capire Haaland
19 feb 2020
L'attaccante norvegese sta portando il calcio nell'era degli esports.
(articolo)
7 min
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Da qualche settimana (o sono già passati dei mesi?) gioco a Fortnite almeno un paio di partite al giorno. Diciamo, anzi, più di un paio di partite al giorno. Ovviamente in modalità “Battle Royale” che, per chi non conoscesse il gioco, significa che atterro su un'isola (da solo o in coppia) con altre cento persone (sole o in coppia) e tutti devono ammazzare tutti. Finché non ne resta uno solo (o una sola coppia). Le armi si trovano sull’isola e nessuno parte avvantaggiato, in teoria, nella realtà dei fatti però mi sono reso conto di avere dei limiti, dovuti in parte anche all’età, un problema di riflessi, di vista, di coordinazione occhio-mano. Sulla mia strada trovo sempre qualcuno il cui avatar sembra muoversi più rapidamente di me, le cui armi sembrano sparare più precisamente delle mie. In poche parole, ho poco talento.

Fortnite sembra un fumetto. Gli avatar hanno i tratti gonfiati (gli uomini le spalle e le braccia, le donne il culo e le tette, con un punto vita stretto come una clessidra) e spendendo dei soldi puoi comprare una “skin”, cioè puoi sostituirli con un personaggio vestito da demone o da qualsiasi altra cosa (ci sono tizi con un costume da banana, ed essere uccisi da una banana è davvero umiliante, ma la maggior parte dei costumi hanno un’estetica tra il manga e il cyberpunk). L’isola è verde e circondata da acque azzurre popolate da pesci, quando qualcuno muore scompare nel vuoto, senza lasciare un corpo o tracce di sangue. Ma la cosa più astratta, più lontana dalla realtà di Fortnite, è il modo in cui si “costruisce”. Con una sequenza di due tasti si possono costruire palizzate o rampe, per proteggerti da chi ti spara o salire verso l’alto e sparargli con un punto di vista privilegiato. Mentre io sto prendendo la mira e sparando preso dal panico, il mio nemico mi costruisce davanti una trincea, o una piccola Versailles in cui mi aspettano come il minotauro aspettava le vergini che gli venivano offerte in sacrificio. Quando guardo i video di quelli forti davvero mi viene la nausea come quando guardo i video di una barca in mezzo alle onde.

Ecco, Erling Braut Haaland gioca a calcio con l’apparente semplicità che hanno quelli migliori di me a giocare a Fortnite. Anche lui sembra un fumetto, con i tratti esagerati dalla fantasia di un adulto infantile: la bocca larga che lo fa sembrare diabolico anche quando ride, gli occhi piccoli da Terminator, le gambe e la braccia lunghe come i mostri di Aphex Twin. Anche Haaland gioca con una freddezza che pare inumana ed esulta come alcuni personaggi di Fortnite mettendosi in posa yoga. E sembra una presa per il culo, quando uno segna 10 gol in 7 partite di Champions League, a 19 anni, corre 60 metri in 6.64 secondi e poi si siede a meditare.

Non c’è niente di riflessivo nel suo modo di giocare a calcio. Haaland pensa solo a correre il più velocemente possibile verso la porta avversaria e a travolgere tutto quello che ha davanti. Il Borussia Dortmund non è la sua squadra. Non veramente. È la squadra di Jadon Sancho, un giocatore che in confronto ad Haaland sembra barocco, poco essenziale. Anche se parliamo di un altro giocatore incredibilmente diretto, anche lui uscito da Fortnite. Ma Sancho porta palla cambiando direzione, si ferma, si guarda attorno, cerca di costruire un’azione con una strategia un minimo complessa. Ecco, in termini di Fornite, Haaland ti viene sotto e ti ammazza letteralmente in un battito d’occhi, Sancho ti costruisce davanti una cittadella che scala sparandoti da angoli ogni volta diversi.

Sancho e Haaland sarebbero una grande coppia a Fortnite e anche in campo non scherzano. Ma non sembrano andare d’accordo. In particolare sembra che Sancho non apprezzi molto Haaland. Contro il Paris-Saint Germain in più di un’occasione avrebbe potuto servirlo sulla corsa ma ha scelto una strada diversa. Invece di prendere il treno (o il motoscafo in Fortnite) è andato a piedi per godersi il panorama. Al tredicesimo del primo tempo il Borussia è partito in contropiede da un angolo contro, Sancho palla al piede e Haaland a testa bassa arando il campo (è l’azione in cui ha corso i sessanta metri in poco più di sei secondi e mezzo). In questo modo sono arrivati a trequarti di campo, Haaland aveva trovato un corridoio ma Sancho ha preferito portarla il più possibile e calciare al lato della porta. In un altro momento Sancho dà la palla sui piedi a Haaland, che si gira e corre verso la porta. Poi il giocatore inglese rallenta, si ferma quasi e aspetta che Haaland calci contro un difensore.

Haaland dei due è quello che sembra avere più fiducia nell’altro, o quanto meno rispetta l’autorità di Sancho in campo. Magari sa anche di essere uno specialista di alcune cose e preferisce che siano gli altri ad occuparsi del resto. Più di una volta Haaland ha lasciato la palla a Sancho ed è andato in area di rigore ad aspettare che gli venisse restituita. Perché lui che è alto quasi due metri ed è spigoloso come il secondo Terminator, quello di acciaio liquido che poteva trasformare le sue braccia in lame, che è più rapido, con una mira più precisa e una coordinazione occhio-piede migliore anche di difensori come Thiago Silva e Kimpembé, sa che il suo compito è vincere i duelli. In un’azione del primo tempo, Sancho ha messo una palla in area per il giocatore che era dietro Haaland, una palla che quindi era imprecisa per lui. E quando Haaland la tocca lo stesso togliendola da quello dietro (che non ha visto), Sancho si è lamentato. Sono complementari, ma non parlano la stessa lingua calcistica.

Il calcio di Sancho è fatto di sensibilità ed equilibrio, di mossette e microsterzate, di finte a cento chilometri all’ora e di passaggi complessi, raffinati. Il calcio di Sancho è una porzione da ristorante stellato del cibo più buono che abbiate mai mangiato in vita vostra. Quello di Haaland è un calcio di sfondamento, dove la forza è la legge di natura, dove si calcia in porta dritto per dritto con l’intenzione di buttarla giù o ferire il portiere. Haaland è illimitato, instancabile, perserverante, fa venire il mal di stomaco. Passa sopra i difensori. Che più che togliergli la palla provano a fermarlo, a farsi ostacolo. Lo raddoppiano, lo triplicano, sperando che gli vada a sbattere contro (come succede con Mbappé, che nell’assist per Neymar sorvola sopra Zagadou che aveva momentaneamente perso di vista la palla mirando al bersaglio grosso). Sancho pensa, nutre, ciba; Haaland è affamato, fiuta, sbrana.

In comune hanno la capacità di far sembrare vecchi, obsoleti, passati, come mi sento io quando gioco a Fortnite, i calciatori che li hanno preceduti anche di pochi anni. Anche Mbappé è accompagnato da questa sensazione. E forse dovremmo apprezzare un po’ di più il talento di Neymar, che regge così bene il confronto con fenomeni di circa dieci anni più giovani di lui. C’è una differenza però col mondo dei videogiochi che vale la pena indagare. Quando io sparo o vengo colpito a Fortnite, non provo nessuna sensazione. Anche se il rumore delle armi è realistico è sempre lo stesso e io non ho mai sentito il loro rinculo, non sono mai stato colpito da una pallottola, la mia carne resta insensibile. Quando invece sento il rumore della palla colpita da Haaland, riesco a fare il confronto con il rumore che sento di solito quando qualcuno “normale” colpisce la palla. Quando vedo che il difensore che lo insegue viene schiacciato a terra dalla sua forza so cosa significa, so cosa si prova a farsi spostare da un braccio troppo duro. So anche cosa si prova quando non fai in tempo a muovere le gambe che un giocatore come Jadon Sancho ti ha già dribblato: senti di essere fatto di legno, ma senti anche di poter andare in pezzi se solo provi a muoverti più velocemente di così.

Tra le ragioni del successo di Fortnite come esport e come spettacolo da guardare in streaming c’è il fatto che non esistono momenti di pausa, che va tutto velocissimo e che succede sempre qualcosa. Si sa anche che il calcio vero è meno appetibile al confronto dei videogiochi perché è più noioso, l’erba è meno verde di quella dei prati finti e gli esseri umani si muovono generalmente con più impaccio nello spazio. Vedendo PSG-Borussia Dortmund, però, in alcuni momenti ho avuto l’impressione che non ci fosse tutta questa differenza. Come se qualcosa di generazionale stia rendendo il calcio di Haaland, Sancho e Mbappé competitivo con i videogiochi. Il senso di impossibilità, lo stupore, sono gli stessi, ma le sensazioni che provo in quanto essere umano sono più intense. Il talento atletico di Haaland - che tutt’oggi detiene il record di salto in lungo da fermo nella categoria “bambini di cinque anni”; che si dice, notizia dell’ultima ora, sia stato concepito in uno spogliatoio di calcio, forse per immacolata concezione - è tanto reale quanto la mia difficoltà a infilarmi i calzini senza sedermi.

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