La fine del duopolio Cristiano Ronaldo-Messi non è ancora arrivata, ma il suo declino è in corso da almeno un paio di stagioni. Se loro due hanno dato la forma al calcio degli ultimi quindici anni, chi lo farà per i prossimi quindici? Pur senza avere certezze, guardandoci intorno sembrano essere due i giocatori che incarnano più di altri un’idea di futuro, almeno per quanto riguarda la moneta che abbiamo imparato a considerare più valida per misurare la grandezza: i gol. Non si tratta solo dei gol, però, Mbappé e Haaland suggeriscono il futuro per la loro presenza in campo, lo stile di gioco e per dei corpi eccezionali. Ma da chi ci aspettiamo di più? Daniele Manusia e Marco D’Ottavi in questo articolo difendono, rispettivamente, le posizioni di Erling Haaland e di Kylian Mbappé.
La bestia Haaland
Erling Braut Haaland non sembra veramente un essere umano. Si muove come una simulazione, sorride sempre con la sua bocca gigantesca, cammina un po’ ingobbito e rigido sotto il peso della sua stessa struttura ossea, salvo poi farsi affilato correndo a velocità da felino. Persino i suoi tiri sono troppo forti, la palla si stacca dal suo piede con una velocità un pelo più forte di quello che ci si aspetterebbe, come se dentro le sue gambe ci fossero dei piccoli motori a scoppio. In generale ogni suo movimento, espressione, comportamento, confermano l’impressione, ovvero che Erling Braut Haaland - come il cugino Albert Braut Tjaaland - possa essere in realtà un robot. Mentre la Boston Dynamics ci abitua all’idea di robot sempre più umanoidi e abili, spaventandoci ma non troppo, mostrandoceli come creature sempre un po’ goffe, imitazioni mal riuscite di uomini in carne e ossa, qualche altra azienda, o perché no direttamente il governo norvegese, hanno creato un calciatore-robot quasi indistinguibile dal resto dei calciatori contemporanei, di loro già vagamente robotici. È solo un’impressione, per carità, ma Haaland non fa nulla per smentirla.
Ad esempio si fa riprendere, e poi condivide sui social, mentre calcia al volo una palla di sinistro, in ritiro con la nazionale norvegese. Il tiro è di una potenza così fulminante che il portiere mette e non mette la mano, il suo saltello laterale sembra frutto dello spostamento d’aria e il corpo gigante di Haaland (anche per questioni di prospettiva) sembra avere l’elasticità di una fionda. Dopo aver colpito la palla lui si gira verso il telefono che lo riprende e ride, perché persino a lui sembra ridicolo avere un corpo del genere.
In questo senso Haaland rappresenta il futuro, la nostra idea di futuro apocalittico, invivibile, infernale, in cui sopravviveranno solo i più forti e indistruttibili tra noi. Haaland sembra indistruttibile anche sul piano mentale, trovatemi un altro essere umano così pieno di salute e di buon umore, così felice di trovarsi nel proprio corpo, in questo mondo in fiamme. Figlio di un calciatore e di una campionessa nazionale di epthatlon, sembra un capolavoro di eugenetica, e ormai ci abbiamo fatto fin troppo l’abitudine: il suo futuro è diventato il nostro presente. Ci sembra, perdonatemi l’ossimoro, stranamente normale vedere Haaland fare Haaland.
A dire il vero, il suo corpo continua ad avere su di noi un effetto di irrealtà, ed è una cosa che ha in comune con Kylian Mbappé. Come ha scritto Emanuele Atturo su Rivista Undici: «Quando li vediamo dal televisore e accelerano i nostri occhi non riescono ad afferrare completamente quello che succede, il piano di realtà sembra non coincidere con lo spazio-tempo che siamo abituati a conoscere». Rispetto a Mbappé, però, Haaland non sembra semplicemente un giocatore molto dotato fisicamente o tecnicamente, non sembrava un predestinato, anzi pareva sulla strada giusta per diventare un attaccante magari forte ma sempre un po’ goffo, impreciso.
Se Mbappé è tutto talento - gioca, in fondo, probabilmente, come giocava quando aveva otto o dieci anni - per Haaland non è solo in questione la formidabile macchina biologica che gli è capitata in sorte. Ma anche il modo in cui sta lavorando da ormai tre anni (da quando cioè ne aveva diciotto), limando la propria tecnica per farne uno strumento sempre più preciso. Era già forte quando giocava nel Salisburgo, quando segnava 28 gol in 22 partite (o quando ne segnava nove nella stessa partita con la Nazionale norvegese) ma continua a migliorare, apparentemente partita dopo partita. Se i primi anni della sua carriera è stato paragonato a un cavallo e a un orso adesso la componente più animalesca, per così dire, del suo gioco, è molto più sotto controllo. È sempre velocissimo, e anche piuttosto caotico, ma sembra scivolare sul campo con una leggerezza da fantasma, persino la sua agilità negli spazi stretti è sorprendentemente migliorata. Anche il modo in cui di muove nello spazio è sempre più sapiente e teso a manipolare i difensori che ha davanti, come quando contro l’Olanda, in transizione, con Odegaard che porta palla nella fascia centrale del campo, Haaland da sinistra finge di stringere la propria corsa salvo allargarsi subito, spostando de Vrij e creando lo spazio per il passaggio del compagno, da cui ricava un tiro di prima intenzione che finisce sul palo.
I suoi progressi tecnici e tattici spiegano, almeno in parte, la quantità mostruosa di gol che continua a fare - sono già 68 gol in 67 partite da quando è al Borussia, di cui 11 nelle ultime 7 partite giocate in questo breve scorcio di stagione, a cui vanno aggiunti i 5 gol nelle 3 partite con la Norvegia di qualificazione al prossimo Mondiale - ma c’è sempre qualcosa che va oltre, qualcosa difficile da spiegare razionalmente, o a parole. Mbappé sembra aver già toccato il suo “tetto”, e al limite può migliorare il contesto intorno a lui, può essere sfruttato meglio da una certa squadra o da un certo allenatore, può essere ancora più vincente; Haaland invece non ha ancora fissato il limite, l’asticella continua ad alzarsi pur essendo andata già parecchio oltre quello a cui siamo abituati.
Diciamo che la finalizzazione non è mai stata un problema per Haaland.
Forse c’è in Haaland qualcosa di più puro, che non è una purezza “tecnica”, ma un rapporto più puro con il gioco del calcio. Se prendiamo i primi due gol segnati contro Gibilterra vediamo subito che il primo controllo in area di rigore, con il corpo orientato per preparare il tiro, è di una sensibilità notevole. Ma se prendiamo, sempre per restare sulle sue partite più recenti, il gol segnato contro l’Olanda, allora quello che vediamo diventa difficile non solo da spiegare ma anche da capire.
Haaland raccoglie un pallone alto al limite dell’area, alle spalle della difesa olandese che ha sbagliato la linea del fuorigioco. Mette giù il campanile e si gira un po’ a fatica, van Dijk riesce a recuperarlo prima che metta in moto la sua meccanica di tiro, eppure, come se ci fosse un fotogramma mancante nel video, la palla finisce comunque all’angolino. Nei replay si vede che van Dijk in scivolata riesce ad arrivare per primo sulla palla, ma che la tocca una frazione di secondo prima che ci arrivi anche il collo del piede sinistro di Haaland, che cioè riesce a calciare e ad andare a contrasto al tempo stesso. Fortuna? Magari, ma c’è anche quel legame speciale che solo alcuni grandissimi centravanti hanno con il gol.
Contro l’Union Berlin, nell’ultima giornata di Bundesliga, ha segnato il suo secondo gol personale (in una partita finita 4-2) con un pallonetto di sinistro da fuori area, sfruttando un’indecisione del portiere avversario, uscito fino a quasi il limite dell’area prima di decidere di tornare indietro. Solo che Haaland, per come corre con il difensore addosso e gli occhi sul lancio lungo che gli arriva dalla difesa, non può aver visto il portiere, o la porta, se non con la coda dell'occhio, quando l’azione comincia. Il pallonetto stesso è assurdo, un campanile alto che finisce fuori inquadratura e ricompare sul secondo palo (e che ricorda un po’ quello di Ibra contro l’Inghilterra, fatto da centrocampo). Solo un giocatore con un rapporto speciale con quello che succede in campo - posizione della palla, degli avversari, del proprio corpo, capacità di scegliere una soluzione originale, capacità di eseguire tecnicamente gesti difficili che richiedono forza e sensibilità al tempo stesso - può segnare un gol del genere.
Mbappé sembra legato in qualche modo alla storia del calcio per come la conosciamo: all’evoluzione muscolare e tecnica che da Ronaldo passa per Cristiano Ronaldo e arriva a lui. Una versione migliorata di qualcosa che già conosciamo. Haaland da parte sua non sembra solo il miglior finalizzatore dei prossimi dieci anni, ma anche l’unico calciatore in grado di spingerci una montagna, dentro la porta. Il tutto con quel buonumore, quel divertimento da post-adolescente che sta giocando alla playstation con il proprio corpo, che fa cose sempre sorprendenti, strane, ma a cui ci stiamo comunque abituando, adattando, come a un futuro che non sentiamo pienamente nostro ma che non ci lascia scelta.
Il proiettile Mbappé
Se Erling Braut Haaland rappresenta un futuro distopico e imprevedibile, Kylian Mbappé è quello certo e rassicurante. È vero che il francese ha un carattere di novità minore rispetto al norvegese, che è pronto a farci credere che - domani - potrebbe staccarsi da terra e iniziare a giocare come giocherebbe a calcio una creatura mitologica o un angelo. Ma la realtà ha dei limiti, contro cui prima o poi si scontrerà anche lui. Mbappé in qualche modo ha già definito il suo potenziale. Sappiamo chi è, cosa fa, dove vuole andare: il suo talento è sì in espansione, ma in modo sereno, che non prevede scossoni. Non credo sia un difetto essere l’evoluzione di qualcosa che già conosciamo, perché quello che conosciamo è il meglio del meglio.
Guardatelo accelerare su un prato verde, prendere il vento all’improvviso trasformando gli avversari in statue di sale. I siti di tutto il mondo fanno a gara per ritoccare i picchi di velocità toccati da Mbappé. Chi dice 36 chilometri orari, chi 37, chi addirittura 38, più di Bolt. Queste classifiche non sono mai molto interessanti o attendibili, è molto più interessante vedere Mbappé sverniciare avversari atleticamente sempre più affilati. Su l’Equipe hanno interpellato esperti in vari campi per cercare di capire cosa rende il francese così veloce su un campo da calcio. Teddy Tamgho, ex campione del mondo nel salto triplo, lo ha paragonato a un canguro: «La sua corsa è equiparabile a quella di un piccolo canguro: è come se rimbalzasse sul campo, ed quel rimbalzo che determina la sua incredibile rapidità». Piqué, forse, vi direbbe piuttosto che inseguire Mbappé è come essere un coyote che prova a prendere uno struzzo.
Ma più che la pura velocità, è la tecnica che ci abbina a renderlo un enigma irrisolvibile. Puoi saper correre molto veloce, ma sai correre molto veloce con un pallone tra i piedi? Sai farlo con undici avversari che provano a impedirtelo? Come ha scritto Daniele qui sopra, Mbappé è un naturale proseguimento di Ronaldo (il fenomeno), il primo a essere arrivato a sconvolgere il calcio con questa combo di velocità e tecnica. Se siamo tutti d'accordo che - senza infortuni - il brasiliano sarebbe stato nei discorsi per il miglior calciatore ogni epoca, Mbappé potrebbe essere una sua versione più fortunata, se non altro. Forse i suoi dribbling non sono geniali come quelli di Neymar e le sue conduzioni mancano di quella melliflua eleganza à la Pogba, ma quanti giocatori ti danno la sensazione di non poter mai essere al sicuro in qualunque zona del campo ricevono? Mbappé, con o senza pallone, è un pericolo sempre, come un felino che punta una preda: non sai quando arriverà l’attacco, ma sai che arriverà. Gli basta un primo tocco dei suoi - forse non parliamo abbastanza della qualità del suo primo controllo orientato - per mangiarti la terra sotto ai piedi.
Questa Mbappé-cam è abbastanza indicativa su cosa sia l’esperienza affrontare Mbappé (concentratevi sugli avversari).
È così influente sul gioco offensivo di una squadra da poter essere schierato praticamente in ogni zona dell’attacco. Serve un centravanti? Mbappé è - per numeri e talento - uno dei migliori finalizzatori di sempre. Attacca la profondità come nessuno, ma è grosso abbastanza da giocare in area di rigore, fare a spallate con i difensori, segnare gol da centravanti d’area (volendo si può già predire che, quando il suo fisico non gli consentirà più di vivere di corse a 50-60 metri dalla porta, potrebbe avvicinarsi alla porta, diventare più un “Cristiano Ronaldo”). Serve un esterno che faccia risalire il pallone? Mbappé può spezzare le linee avversarie come grissini e portare il pallone da area a area, se è quello che ti serve. Serve invece un’ala sul lato debole per giocare in isolamento? C’è sempre Mbappé. Quando Neymar voleva giocare a sinistra, Mbappé giocava a destra; quando invece il brasiliano si è spostato al centro, il francese è andato a sinistra.
Haaland invece ha sempre giocato in squadre a sua disposizione, non gli è mai stato chiesto di adattarsi, di cercare altri spartiti nel proprio gioco. Il RB Salisburgo e il Borussia Dortmund sono stati dei contenitori ideali per il suo gioco, e in un certo senso lo hanno formato in quel modo. Ma questo non può succedere all’infinito. Haaland gioca già in una grande squadra, ma dobbiamo essere onesti e ammettere che tra giocare nel PSG o nel Borussia Dortmund c’è una bella differenza. Un conto è avere Neymar, Icardi e Messi come compagni di reparto; un altro è avere Reus, Malen e Moukoko. Bisognerà vedere se Haaland sarà capace di essere efficiente anche in un sistema diverso da quello che gli calza a pennello, e in cui magari dovrà convivere con altre stelle, in un calcio in cui il talento è sempre più concentrato in poche squadre. Prendiamo invece la recente partita contro il Lione di Mbappé, che con il PSG ha segnato finora 136 gol in 178 partite. Mancano pochi minuti alla fine e Pochettino lo ha piazzato con i piedi praticamente sulla linea laterale, come fosse un terzino. Eppure, anche da lì, è lui a essere decisivo. A Mbappé non serve neanche avere un piano, ma gli basta lasciarsi guidare dall’istinto. L’azione con cui serve a Icardi il gol vittoria potrebbe farla anche chiudendo gli occhi.
Vista la varietà del suo gioco è difficile anche intuire se per lui è prevista un’evoluzione - ricordo che ha solo 22 anni - o se siamo davanti alla sua miglior versione possibile. L’anno scorso ha segnato 42 gol stagionali, ma è così improbabile pensare che possano diventare 60 o 70 tra qualche anno? Dopotutto sono i numeri dei migliori Messi e Ronaldo. Per quanto possa sembrare assurdo, oggi il francese gioca insieme a due calciatori più influenti di lui sull’attacco del PSG, due giocatori che hanno bisogno di avere il pallone tra i piedi, di fermare il gioco. Ma domani, se magari accettasse la corte del Real Madrid, potrebbe avere una squadra più a sua immagine e somiglianza. Mbappé mi sembra infatti un calciatore che ha bisogno di alti volumi di gioco per rendere al meglio, di un calcio più scompigliato che ordinato. Non di giocare da solo, ma di avere compagni che ne assecondano il respiro.
Mettiamola così: vi vengono in mente altri giocatori in grado di essere così perfettamente in controllo di una partita, anche sbagliando, non essendo sempre perfetto, accettando l’improvvisazione? Forse non è il calcio ideale per voi, se siete ancora legati ai talenti che risolvono le partite con le pause, ma è - e sarà - sempre più importante avere giocatori che riescono a cavalcare il caos, piuttosto che controllarlo, per risolvere le partite di alto livello, in uno sport in cui è sempre più difficile trovare spazi.
Non è un caso che Mbappé sia spesso decisivo nelle partite che contano, quelle più difficili e che il suo caminetto sia già stracolmo di trofei. Per ora ha vinto: una Coppa del Mondo, quattro Ligue 1, tre Coppe di Francia, due Coppe di Lega, tre Supercoppe di Francia e se vogliamo metterci anche i trofei giovanili bisognerebbe aggiungerci un campionato europeo under 19. Per quelli individuali, vi rimando alla sua pagina Wikipedia. Questo sarebbe già un bottino ragguardevole per un giocatore prossimo al ritiro, ma Mbappé ha 22 anni (so che l’ho scritto almeno tre volte, ma sono io il primo a non crederci).
In tutte queste vittorie, Mbappé è stato sempre decisivo. Nella stagione del titolo col Monaco ha segnato 26 reti e servito 14 assist, prima ancora di prendere la patente. Quando, poi, ha vinto il Mondiale, di anni ne aveva 19. La sua prestazione nei quarti contro l’Argentina rimarrà storica, una delle più incredibili viste nella storia della competizione. A distanza di tre anni, se chiudo gli occhi, posso ricordare perfettamente l’azione con cui si è guadagnato il rigore, prima di segnare 2 gol. Come se non bastasse, poi, è diventato il secondo più giovane marcatore nella storia della Finale dei Mondiali dopo Pelè.
Avete mai visto una cosa del genere?
La precocità del francese, non solo nel segnare, ma anche nel vincereda protagonista non può essere esclusa da qualunque paragone che si voglia costruire con altri calciatori. Rispetto a Haaland, Mbappé non ha solo vinto tutti quei trofei, ma è già passato in tutte le fasi che un calciatore deve attraversare per dirsi certo di poter funzionare in cima al mondo. Ha vinto, perso, incantato e deluso. Ha litigato con la stampa, con i tifosi, con la squadra che gli paga lo stipendio. Mbappé ci ricorda anche che il talento è quasi una colpa, che aver dato tutto e subito è una maledizione. Ogni passo falso è una critica feroce, ogni giocata decisiva è data per scontata.
In questo è più avanti di Haaland, che sta ancora vivendo la sua luna di miele col mondo del calcio. Non scommetterei mai contro l’attaccante norvegese, ma quando andrà in una squadra con più pressioni rispetto al Borussia Dortmund riuscirà a tenere questa media gol? A essere così risolutivo? Già oggi le poche partite in cui ha fallito sono state quelle di alto livello (è rimasto a secco nella partita contro il Liverpool che poteva qualificare agli ottavi di Champions League il Salisburgo, e più recentemente nel doppio confronto contro il Manchester City nei quarti. Il suo score contro il Bayern Monaco è fatto di gol, ma sempre dentro sconfitte). Credo, anzi sono sicuro, debba solo adattarsi al tipo di concentrazione richiesto da questo tipo di competizioni e trovare una squadra in grado di sostenerlo, ma è un passo che deve ancora compiere.
Il futuro, comunque, appartiene a tutti e due in maniera quasi scontata. Non saranno Messi e Ronaldo, ma sarà bello seguire la loro rivalità, vedere quanto si spingeranno avanti l’uno con l’altro (sperando non finiscano compagni di squadra per un sogno di qualche miliardario). Kylian Mbappé mi sembra più avanti (anche perché sono qui a difendere la sua causa). Perché più grande di due anni, certo, ma anche perché più tangibile, più provato. Certo, fossi in lui, avrei paura di Haaland: non sembra una persona che voglia farsi fermare da niente e da nessuno, neanche da uno che può correre a 38 chilometri orari.