
Negli ultimi anni, tra settore giovanile e prima squadra, la Juventus ha fatto incetta di una gran quantità di centrocampisti tecnici ed eleganti: Nicolò Fagioli, Fabio Miretti, Hans Nicolussi Caviglia, Nicolò Rovella. Fra questi, Nicolussi Caviglia era senza dubbio quello meno quotato, il giocatore che prometteva il futuro meno brillante. Non aveva la creatività di Fagioli, l’intelligenza offensiva di Miretti, l’intensità di Rovella.
Ciò che lo rendeva speciale era piuttosto qualcosa di anacronistico, e quindi di inservibile ad alti livelli. Quel modo di portare palla a testa alta, sventagliare il pallone per cinquanta metri solo per il gusto di dargli un calcio fatto bene. Un regista un po’ troppo tradizionale in un calcio in cui sono diventati tutti invasori, e pure a centrocampo bisogna strappare e dribblare, mentre Nicolussi Caviglia pare fare tutto quello che facevano i centrocampisti di una volta: cuce, si associa, ha un’idea dolce del calcio, che viene facile associare al suo sorriso candido.
Poi è arrivato l’infortunio al legamento crociato del ginocchio sinistro. Veniva da una promettente esperienza in prestito al Perugia e al Parma aveva di fronte un gradino in più. Un infortunio devastante che gli ha fatto saltare l’intera stagione 2020/21; tornato alla Juventus, gli cede il menisco, e ne deriva un’altra operazione. Il ritorno in campo però è ritardato, la sua figura comincia a essere circondata da un’aura di mistero.
Con un post su Facebook scrive che la sua assenza è durata nove mesi di troppo e che ora sa il perché. Durante l’operazione erano rimasti nel ginocchio alcuni frammenti di fastfix e una barretta di ancoraggio, utilizzati nell’intervento al menisco. È venuto fuori da una risonanza magnetica a cui è seguita un’operazione in artroscopia.
Nicolussi Caviglia aveva appena iniziato a svilupparsi come calciatore e perdere quegli anni spesso può diventare fatale. In quei mesi però emerge, dai frammenti che troviamo sui social, la sua personalità. Nicolussi Caviglia sembra un essere umano completamente diverso da quelli a cui siamo abituati nel calcio.
Parlando del suo infortunio, per non mostrarsi scoraggiato, dice che cerca di "valutare l’interezza delle cose", e sembra voler dire semplicemente che è uno a cui piace guardare il bicchiere mezzo pieno, magari; invece aggiunge una sfumatura di profondità insolita per un calciatore: «Intendo dire che penso non ci sia bene senza male e viceversa». Quando ha detto questa cosa, in un’intervista a Massimiliano Macaluso, Nicolussi Caviglia aveva 21 anni e parlava con l’entusiasmo un po’ naif che tutti abbiamo avuto a quell’età, mentre studiavamo all’università. Che un calciatore maneggi questi concetti però ha un senso diverso. È un mondo i cui protagonisti sembrano tenerci ad apparire superficiali, perché non hanno né tempo né voglia, o forse perché la sensibilità verrebbe scambiata per debolezza; dove leggere libri che non siano manuali di auto-aiuto verrebbe scambiata per una perdita di tempo.
Ha circolato molto un video della Juventus in cui viene chiesto ai giocatori qual è il loro musicista preferito e tutti dicono il nome di un rapper. Poi arriva Nicolussi Caviglia, la faccia da pupo biondo, che dice “Guccini”. Un nome estremo persino se si vuole essere diversi, e magari citare un artista italiano - chessò, Calcutta, Gazzelle - ed estremo persino se ci si vuole rifare ai cantautori. De Andrè, De Gregori, Battiato sarebbero stati nomi più percorribili, ma Guccini è ormai inservibile quasi per chiunque. È un nome da maglioni grossi, sigarette, lettere a Via Zamboni a Bologna. L’idea di una musica colta, politica, che cita Cervantes e gli esistenzialisti. Non esiste un riferimento culturale più lontano dal mondo del calcio di Guccini.
I suoi registi preferiti sono Inarritu e Kubrick. Nel tempo libero suona il pianoforte, anche se si definisce "un amatore". Su YouTube guarda le conferenze di Alessandro Barbero e Umberto Galimberti. Un repertorio, insomma, intriso di novecento. Come qualsiasi millennial che parla all’aperitivo Nicolussi Caviglia non legge ma “rilegge”: «Wisława Szymborska, per la sua ironia e la sua leggerezza».
Va in vacanza in Islanda e ha un buon occhio fotografico, a quanto pare.
In un video girato dal Gran Paradiso Festival Nicolussi Caviglia viene interpellato in quanto “esperto di sogni”. Per quanto vaghe fossero le domande, lui si impegna per non apparire né affettato né scontato. Rivela con orgoglio il suo punteggio alla maturità: 91/100. Parla con la voce ferma ma lo sguardo basso di timidezza, mentre gioca con un ciuffo d’erba.
Come tutti quelli a cui piace un certo tipo di calcio, e che vogliono esibirne il gusto, ha in Cruyff il suo idolo. Per lui indossa la maglia numero 14, o la 41, che è un 14 rovesciato.
Ha iniziato a giocare a calcio grazie a suo nonno, che aveva un campeggio a 1820 metri, a Pont di Valsavrenche. Vicino a un bosco gli ha costruito un campo da calcio per farlo giocare, e lì ha imparato a stoppare e a calciare la palla; il nonno gli piegava la punta della scarpa per costringerlo a calciare di collo.
È un miracolo che questa creatura magica, tenera e sensibile, sia diventato un calciatore professionista nel 2025. E che oggi stia finalmente mettendo in mostra un talento speciale. Specie se consideriamo i guai passati, sei squadre cambiate in sei anni. Su Nicolussi Caviglia avevano perso un po’ tutti le speranze. La Juventus lo ha dato al Venezia in prestito con obbligo di riscatto a 3,5 milioni: una cifra che oggi ci pare ridicola, in rapporto all’unicità delle qualità dimostrate, soprattutto nel girone di ritorno, in cui il suo rendimento è evidentemente cresciuto.
Thiago Motta, alla sua prima intervista dopo l’esonero, ha citato la cessione di Nicolussi Caviglia come l’unica su cui ha nutrito dei rimpianti: «Un giocatore che abbiamo sbagliato a non trattenere è Nicolussi Caviglia, che sta dimostrando grande qualità». Forse una dichiarazione figlia di qualche antipatia personale, o di quel modo ruvido con cui Motta non vuole mai dare soddisfazione ai nemici dietro l’angolo, ma una dichiarazione significativa, perché ci suona vera.
Con la maglia del Venezia Nicolussi Caviglia sta dimostrando doti fuori dal comune. Quelle che ci si aspettavano da lui da inizio carriera: la lettura del gioco, la capacità di dettare i tempi, l’eleganza e la compostezza sotto pressione e, più di ogni altra cosa, la qualità del suo piede destro. Una sensibilità semplicemente eccezionale, che lo pone già oggi fra i migliori in Serie A per capacità balistiche. Contro l’Udinese ha segnato su punizione con tiro forte sopra alla barriera da una distanza considerevole.
Nessuno ha segnato due gol su punizione diretta quest’anno in Serie A. Lui è andato più volte vicino a segnarne un terzo. Contro il Monza, tirando piano da distanza molto ravvicinata, di pura precisione, oppure con un tiro forte quasi vicino al calcio d’angolo; una parabola alta e profonda che ha costretto Turati a smanacciare il pallone sulla traversa.
Per il Venezia il suo piede destro rappresenta una risorsa sia nei calci di punizione diretti che indiretti. Li calcia tutti, angoli compresi.
Pur partendo da dietro, e aiutando sempre la squadra nell’uscita dal basso, Nicolussi Caviglia ha comunque un’interpretazione offensiva del ruolo. Ha il gusto per l’ultimo passaggio, vuole mandare in porta i compagni ed essere influente sulla trequarti. Dice che il suo modello è Kevin De Bruyne. Queste qualità si erano già viste nei mesi giocati a Perugia.
Ma anche nel contesto più alto della Serie A Nicolussi Caviglia è sempre orientato bene col corpo per ricevere, e mentre si orienta già pensa alla mossa da fare. Questo uno splendido filtrante contro la Roma, per esempio.
Questo il suo uso del corpo in una ricezione dal basso, con cui elude la pressione e si apre il campo in verticale. Guardate che pulizia tecnica.
Ciò che colpisce, comunque, è la velocità di pensiero da vero regista. In un’intervista a Michele Tossani del 2022 si definiva così: «Direi che sono un centrocampista che può ricoprire tutti i quattro (tre) ruoli del rombo di centrocampo. Ho capacità di valutazione e lettura, qualità balistiche e di gioco palla a terra, consapevolezza dei momenti della partita».
Forse a volte esagera con i lanci lunghi, come se non riuscisse a resistere all’impulso di calciare il pallone - specie per i suoi cambi di gioco panoramici, bellissimi da guardare. A volte non aiuta la sua squadra a consolidare il possesso, magari su un ritmo più contenuto. Non fa quasi mai giocate semplici, o comunque conservative, cerca sempre di orientarsi verso la porta, guarda i movimenti dei compagni quaranta metri più avanti, prova a essere protagonista.
Questo è il suo pregio - una modernità che emerge sotto la scorza del centrocampista retrò - ma anche il suo difetto al momento. Quando la palla circola al limite dell’area, arriva sempre per calciare, con la caviglia bella rigida e il busto in avanti. È primo fra i centrocampisti in Serie A per tiri provati.
In Serie A è il decimo giocatore con la percentuale più bassa di passaggi corti completati; ed è decimo anche tra i giocatori con la percentuale più alta di passaggi corti sbagliati. Data la sua qualità tecnica, sono problemi di scelte e tempi, talvolta forzati. È decimo anche tra i centrocampisti per palle perse. Il risvolto luminoso è che serve almeno un passaggio chiave a partita. Non pochi, per un mediano della squadra terzultima in Serie A.
Il suo allenatore, Eusebio Di Francesco, lo ha già definito “un professore”. Al Venezia è anche cresciuto fisicamente, perdendo quella magrezza efebica che aveva nei primi anni. Ora è un giocatore strutturato, più a suo agio anche a coprire il campo, che sa pressare con intensità. L'impressione è che le sue qualità potrebbero emergere ancora più chiaramente in una squadra che giochi con continuità nella metà campo avversaria.
Nicolussi Caviglia, a quanto pare, passa le sue serate a riguardare i video delle sue partite per capire dove migliorare. La sua età è indefinibile. Gioca a golf e ascolta Guccini ma deve ancora compiere 25 anni. Non pochi per uno la cui carriera sembra appena iniziata. Tra prestiti e problemi fisici, questa è la prima stagione che gioca da titolare e i suoi margini di miglioramento sono tanti ed evidenti.