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Il Verona è più complesso di quanto non si dica
14 dic 2020
La partita contro la Lazio ha mostrato l'attenzione tattica scrupolosa dell'Hellas.
(articolo)
9 min
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Dopo aver battuto l’Atalanta e fermato sul pari Milan e Juventus, l’Hellas Verona ha portato a casa tre punti pesantissimi anche contro la Lazio. Questa vittoria permette alla squadra di Juric di insediare in maniera credibile la zona Europa League. Certo è presto di parlare di traguardi dopo meno di un terzo del campionato ma la capacità della squadra di togliere punti a chi sta davanti è significativa in tal senso.

Juric trovava di fronte una squadra in difficoltà: le assenze e le rotazioni, tra turnover per il doppio impegno, infortuni e Covid, hanno tolto alla Lazio quella continuità di prestazioni che l’anno scorso l’ha resa inscalfibile per più di metà stagione. Non è un caso, quindi, se contro un avversario così minuzioso nella preparazione della gara sulle caratteristiche di chi affronta, e che cerca di disinnescarne le fonti di gioco, una Lazio priva di Luis Alberto non sia riuscita a far fruttare la sua manovra. A rendere peculiare la vittoria di Juric non c’è solo il coronamento di una identità definita e in continuo miglioramento, cioè la dimensione che gli riconosciamo più facilmente. Bisogna anche dire dell’efficacia di una scelta tattica interessante.

Il falso nove “difensivo” di Juric

Leggendo le formazioni iniziali, saltavano all’occhio due scelte inusuali: per la Lazio, l’impiego di Parolo come braccetto di destra al fianco di Acerbi - poi sostituito da Hoedt durante il primo tempo per problemi fisici; per l’Hellas, invece, Tameze al posto di Di Carmine in attacco, affiancato da Salcedo e Zaccagni.

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Inzaghi doveva far rifiatare Luiz Felipe e non aveva Patric a disposizione; Juric invece ha fatto una scelta tattica ad hoc, sorprendente. In realtà, non era una novità assoluta. Anche nelle due sfide della scorsa stagione Juric scelse Verre all’andata (1-1) ed Eysseric al ritorno (1-5) con la medesima funzione. Nel corso degli ultimi anni ci siamo abituati a vedere diverse squadre abbozzare tentativi di falso nove, per una o più partite, con risultati più o meno positivi, ma in genere con intenti relativi alla gestione del possesso. Il falso nove di Juric nasce invece da un’esigenza, seppur offensiva, legata alla fase di non possesso.

Lo stile difensivo dell’Hellas si basa sull’idea di contendere il pallone nella metà campo avversaria attraverso una serie di uno contro uno nella zona. A seconda dell’avversario, Juric modifica le scalate e le coperture per tentare di arginare le fonti di gioco principali. I giocatori impiegati nel primo “blocco” di pressing sono sempre tre: la punta e i due trequartisti, che possono cambiare le modalità di uscita in pressione e i cambi di marcatura. Di solito Juric sceglie di usare due giocatori sui due centrali lato palla, facendo partire un trequartista (Zaccagni) addosso al vertice basso avversario, o comunque sul centrocampista di riferimento per l’uscita palla. Dopodiché esce aggressivo sul terzo difensore (o terzino bloccato) che si apre lateralmente per ricevere. A questa giocata segue un cambio di marcatura con la scalata in avanti di uno dei mediani.

Contro la Lazio invece, così come nei due precedenti, Juric ha scelto di utilizzare direttamente un centrocampista in prima linea, per accentuare gli accoppiamenti favoriti dal sistema di gioco speculare e calcare la mano sul pressing in avanti. Ha quindi limitato gli scambi di marcatura e ha forzato l’avversario al retropassaggio verso il portiere o al lancio lungo immediato verso la punta, senza dargli però la possibilità di prepararlo come vorrebbe.

La disposizione del Verona sulla costruzione bassa della Lazio.

Tameze è un giocatore molto aggressivo: quando la Lazio passava la palla all’indietro verso Reina la sua corsa costringeva il portiere al lancio lungo.

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Il Verona spinge all’indietro il palleggio della Lazio. Partendo da centrocampo, la squadra di Inzaghi non ha il tempo e la resistenza al pressing per cercare di risistemarsi, così quando la palla arriva a Reina, portando con sé l’attacco di Tameze, che correndo verso il portiere copre con la sua “ombra” un possibile triangolo con Acerbi e lo costringe al lancio.

Poteva capitare che a correre verso Reina dovesse essere Salcedo o Zaccagni, però il senso dell’utilizzo di Tameze si può leggere facilmente nell’ottica di volere un reparto quanto più intenso possibile, per effettuare un tipo di pressing molto rischioso.

La Lazio non è stata molto mobile negli smarcamenti in costruzione, però la sensibilità delle marcature degli uomini di Juric ha raggiunto un grande livello. Nell’azione qua sotto, per esempio, Acerbi corre in avanti per portare via Tameze, la palla passa da Parolo a Radu, che, pressato da Salcedo, fa un retropassaggio verso Reina. A questo punto è Salcedo ad attaccare Reina, costringendolo al lancio.

Questa scelta ha pagato non solo per i suoi effetti diretti, ma anche per ciò che ne seguiva. Juric ha arretrato Barak in mediana, col delicato compito di seguire Lucas Leiva. A questo punto, il resto degli accoppiamenti era ruolo su ruolo: Veloso con Akpa Akpro, Dimarco con Lazzari, Faraoni con Marusic, Magnani con Immobile, Dawidowicz con Caicedo. L’unica eccezione era rappresentata da Matteo Lovato, che doveva sganciarsi dal trio arretrato per attaccarsi a Milinkovic. Una responsabilità enorme, che forse ha messo un po’ di pressione su un classe 2000 alla terza partita dal primo minuto in Serie A, tant’è che dopo qualche impaccio nei primi dieci minuti, Juric aveva già fatto togliere la casacca a Ruegg e sembrava pronto a operare la sostituzione. Col passare dei minuti, però, la prestazione di Lovato è andata in crescendo.

L’uso di Tameze al posto di una punta più convenzionale ha accentuato la fluidità del Verona nella partecipazione all’attacco dell’area. Con l’ex Atalanta che spesso restava fuori, gli inserimenti di Dimarco e Faraoni diventavano essenziali per riempire l’area. Il primo gol nasce con Tameze che si defila sulla destra, Faraoni che attacca lo spazio in profondità, arriva sul fondo e crossa per il rimorchio di Dimarco sul lato debole, ma anche nelle altre occasioni offensive il Verona ha dimostrato di padroneggiare bene le rotazioni.

Palla a Zaccagni, Tameze è fuori ma Dimarco, Faraoni e Salcedo vanno dentro.

La palla lunga bisogna guadagnarsela

La tendenza contro le squadre che pressano molto forte in avanti è quella di sfruttare lo spazio che concedono alle spalle, nella metà campo difensiva, attraverso una verticalizzazione diretta, magari dal portiere, cioè quello che è il “giocatore in più” nella fase di possesso. Chiaramente un portiere che lancia lungo, in sé e per sé, non è certo innovativo, ma è un aspetto che sta avendo un senso specifico calcio di oggi, dove è sempre più integrato all’interno di un ecosistema tattico complesso.

Il pressing avversario non si attira per caso: bisogna avere una certa mobilità nella disposizione dei giocatori; le linee di passaggio corte e medie vanno comunque preparate. Gli smarcamenti devono essere puntuali e funzionali alla costruzione dell’azione, che poi può avvenire attraverso una verticalizzazione profonda, più o meno rapida. Per esempio anche quando gli avversari portano il pressing a un’altezza media ci sono squadre che fanno salire il portiere a ridosso dei difensori, evitando che la squadra avversaria accorci in avanti durante un retropassaggio lungo.

Per una squadra come il Verona, che ha l’intenzione di giocare più tempo possibile nella metà campo avversaria, quest’ultimo scenario è particolarmente invitante proprio perché dà modo di alzare il baricentro del proprio pressing, creando i presupposti per un recupero palla in zone molto avanzate. Reina è un portiere abile col gioco con i piedi, e la Lazio è una squadra che ha costruito le sue fortune delle ultime stagioni in primis grazie all’abilità nell’allungare l’avversario e liberare i suoi giocatori offensivi nello spazio. Contro il Verona, però, tutto ciò non è stato sufficiente.

Nelle azioni in cui Reina cercava direttamente le punte, la Lazio non è quasi mai riuscita a rialzarsi, grazie a una straordinaria prestazione dei difensori di Juric. Ma anche nelle azioni in cui la Lazio riusciva ad avere più tempo e spazio per preparare l’attacco in verticale attraverso l’uso del terzo uomo, modulando quindi il movimento del pallone, il Verona ha dimostrato di aver memorizzato la partita, riconoscendo le situazioni in cui era meglio fare una copertura preventiva piuttosto che una marcatura stretta e aggressiva.

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Nell’azione qua sopra il rinvio arriva a Milinkovic-Savic, che spizza di testa, Immobile giunge sul pallone prima del suo difensore, sfruttando lo spazio lasciato da Lovato che era uscito in marcatura su Sergej. In questo frangente si può apprezzare l’atteggiamento di Faraoni: invece che attaccarsi a Marusic lascia la sua marcatura molto larga, pur controllando il suo uomo, capendo che avrebbe avuto una funzione difensiva più utile attraverso una corsa preventiva all’indietro per coprire l’uscita di Magnani su Immobile. Allo stesso modo, anche Veloso si porta in anticipo all’indietro, correndo così verso l’area. La verticalizzazione immediata di Sergej verso Marusic, così, viene raggiunta facilmente dal numero 5 del Verona, grazie alla sua copertura preventiva.

Sicuramente ha pesato molto, per la Lazio, l’assenza di Luis Alberto. La squadra di Inzaghi ne ha risentito nella gestione dei tempi di gioco, e al contempo anche i movimenti di Immobile da “seconda punta”, atteggiamento frequente quando gioca in coppia con Caicedo, hanno cambiato un po’ il volto della manovra offensiva di Inzaghi. La partita della Lazio non è stata certo disastrosa, ma alla fine dei giochi il Verona è stato più efficace nel suo piano gara, e non si è neanche lasciato abbattere dal grandissimo gol del pari di Caicedo.

Si parla spesso dello stile difensivo del Verona di Juric come di un inno all’individualità difensiva, allo strapotere fisico e alla grinta con cui mettono in salita la partita ad avversari più quotati. In realtà dietro un grande spirito di sacrificio individuale (anche contro la Lazio è stato impressionante vedere Zaccagni raddoppiare sistematicamente in fascia e fare diagonali decisive fino agli ultimi minuti), ci siano molte più sfumature collettive.

Un buon esempio è proprio la scelta di Tameze come punta: non sono solo le caratteristiche del singolo giocatore a favorire un atteggiamento (le pressioni al portiere, come abbiamo visto, le portavano anche altri giocatori, al bisogno), ma dentro una scelta singola possiamo vedere l’attitudine collettiva al piano gara. Allo stesso modo, è semplicistico dire che il pressing Verona funzioni grazie alla capacità di attaccarsi all’uomo e alla grinta individuale, quando in realtà ogni azione è scomponibile in tanti piccoli istanti in cui ogni difendente deve compiere delle micro-scelte, deve riconoscere subito se quell’azione ha bisogno di bilanciamento o di accelerazione, se deve attaccarsi all’uomo o coprire la zona.

Insomma, Juric sta dimostrando giornata dopo giornata di aver creato un ambiente flessibile e sempre più maturo. I risultati e i piazzamenti che seguiranno saranno più o meno utili a registrarne l’impatto storico, ma intanto possiamo goderci il gran livello tattico raggiunto da un’altra “piccola” squadra della nostra Serie A.

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