Quando parliamo di Henrich Mkhitaryan dobbiamo ricordarci che è uno dei più importanti calciatori dell’est europeo di questo secolo, la sua figura in Armenia è quella di un eroe nazionale. Un calciatore con alle spalle una storia molto peculiare che proveremo a riassumere brevemente.
Da piccolo Mkhitaryan sognava di essere come Kakà e la madre, che lavora per la Federazione Armena, lo ha aiutato mandandolo a fare un’esperienza proprio al San Paolo, la squadra in cui era cresciuto il 22 del Milan.
In Brasile Mkhitaryan va con altri tre armeni, è compagno di stanza dell’allora stella delle nazionali giovanili Hernanes e passa quattro mesi nelle giovanili del San Paolo. Una volta tornato a casa ci mette poco a venir promosso in prima squadra del Pyunik e a risultare troppo forte per il campionato armeno. A 20 anni passa quindi in Ucraina, prima una stagione al Metalurh Donetsk con 13 gol e 10 assist e poi passa allo Shakhtar. Il passaggio allo Shakhtar è fondamentale per la sua carriera perché lì incontra Lucescu, l’allenatore che lo formerà definitivamente:«Non era facile per lui all’inizio, ma la sua integrazione è stata aiutata dall’alto livello di intelligenza calcistica. La sua comprensione del gioco è forse la sua più grande qualità. Quello e la velocità e la tecnica che la natura gli ha donato e che lui ha sviluppato».
Un giocatore verticale
Nello Shakhtar di Lucescu si specializza come giocatore iperverticale, che sfrutta il campo davanti a sé per far valere la sua tecnica in velocità. Parte lontano dalla porta nella fascia centrale del campo e in contropiede è letale, sfrutta benissimo tutto il campo alternando conduzioni palla al piede a scambi veloci con i compagni.
Mkhitaryan è un giocatore dalla tecnica essenziale, che vuole semplificare ogni azione portando il pallone oltre la linea di pressione avversaria. Qui arriva un’altra fase importante della sua carriera, perché queste caratteristiche spingono Klopp a convincersi di aver trovato il giocatore giusto per il suo Borussia Dortmund. Quando quindi Mkhitaryan arriva a Dortmund lo fa con le credenziali del miglior giocatore dell’Est Europa. La cifra è record per le casse del BVB: 27,5 milioni. Il compito è difficilissimo: sostituire Götze passato al Bayern. Di lui dice Klopp: «Possiede un’incredibile combinazione di velocità e tecnica. Sono pochi quelli per cui puoi dire la stessa cosa».
Le cose all’inizio non vanno bene: Mkhitaryan è a tutti gli effetti un attaccante, che guarda davanti e si muove sempre pensando a come arrivare in area di rigore; non offre linee di passaggio per aiutare la circolazione, è troppo verticale persino per la squadra di Klopp. Nella seconda stagione, che è la più problematica di Klopp, viene dirottato sulla fascia per fare spazio a Kagawa e perde il contatto col gioco della squadra: «La prima stagione era andata bene, ma la seconda è stata un disastro, non soltanto per me ma per tutta la squadra. Perdevamo troppe partite e io sentivo di non essere neanche fortunato: non soltanto non segnavo, ma non riuscivo neanche a fare assist, cosa che non era da me».
A salvare la situazione e capirne le potenzialità come esterno è stato però Tuchel, incontrato nella stagione successiva. Il contesto tattico chiede a Mkhitaryan di essere l’attaccante ombra della squadra, partendo dall’esterno per ricevere nel mezzo spazio, e l’armeno si esalta. La sua ultima stagione al Borussia Dortmund è stato a tutti gli effetti il picco della sua carriera. Tuchel decide di utilizzare Mkhitaryan come particolare rifinitore di una manovra calma e articolata fino ai piedi dell’armeno, che con l’accelerazione verticale sfrutta i movimenti senza palla di Aubameyang e Reus. Mkhitaryan gioca indifferentemente partendo come ala sinistra o destra del tridente, alternando sponde di prima a conduzioni verso l’area, mostrando un’impressionante capacità di generare azioni da gol.
Segna 32 gol e serve 23 assist tra tutte le competizioni, è troppo grande a quel punto per il BVB. Arriva quindi il grande salto al Manchester United, che lo acquista per 32 milioni, su richiesta espressa di Mourinho. Appena arrivato, Mourinho lo presenta ricalcando in sostanza le parole di Klopp: «Proviamo ad essere dominanti e dovremo, sicuramente, scontrarci contro squadre dal profilo molto difensivo con la sua capacità di accelerare il gioco. Ha cambio di velocità con la palla e senza, e questo è molto, molto importante per un club come il nostro».
Insomma, gli allenatori che lo hanno avuto a disposizione ne hanno sempre riconosciuto il valore, e il suo talento nel rompere le linee avversarie in conduzione o associandosi con i compagni. Più della velocità di punta è la sua accelerazione da fermo a renderlo imprendibile. Qualche anno fa ha detto che sarebbe potuto essere uno sprinter, pur ammettendo che magari non avrebbe potuto vincere una medaglia olimpica.
Mkhitaryan è praticamente ambidestro e può ricevere e scattare da qualunque parte gli arrivi il passaggio. Secondo Michael Carrick: «Puoi giocare contro giocatori che hanno talento ma non ti danno veramente fastidio. Possono avere tutto il talento del mondo ma non sono poi così complicati da giocarci contro perché non ti mettono veramente in difficoltà. Henrikh lo fa e non è facile giocarci contro perché vuole infilarsi negli spazi, dove si muove e gira e scatta in avanti».
Stop, conduzione e filtrante per mettere ordine alla transizione dello United.
Allora perché l’Arsenal se ne è disfatto?
Quello che però non ha fatto mai decollare del tutto la carriera di Mkhitaryan in Premier League è proprio il fatto che il suo impatto atletico si è affievolito sempre di più col passare del tempo.
Il suo passaggio all’Arsenal nello scambio con Alexis Sánchez non ne ha cambiato le sorti: la perdita della brillantezza fisica ha scalfito il cuore stesso del suo talento tecnico. A quel punto Mkhitaryan riesce a fare una delle sue giocate solo un paio di volte a partita, e non più con continuità.
Ma anche con qualche difficoltà fisica, rimane un giocatore che può sempre creare calcio dal nulla, per capirci la scorsa stagione ha comunque fatto segnare 2,7 passaggi chiave per 90’. La sua influenza nel gioco dell’Arsenal, però, è diminuito talmente tanto da risultare non indispensabile per il gioco di Unai Emery. L’ultimo gol di Mkhitaryan risale al 27 febbraio contro il Bournemouth; in tutto il percorso in Europa League fino alla finale di Baku (che com’è noto non ha potuto giocare) non è arrivata neanche una rete e un solo assist.
Avendo perso un po’ di velocità, sono usciti fuori alcuni problemi di natura tecnica prima non presenti: Mkhitaryan ad esempio ora fa più fatica ad attaccare la porta senza palla, preferendo aspettare lo sviluppo dell’azione e sfruttare le sue letture per capire dove intervenire. Sembra poi aver perso parte della sua capacità di controllare a piacimento il pallone. È sempre stato un giocatore la cui tecnica nel controllo andava tarata sulla velocità dei movimenti, e ora i movimenti più lenti lo portano a sbagliare o a risultare prevedibile. L’esatto opposto di quello che l’aveva reso un creatore di gioco tanto efficace. Quando è spalle alla porta ora preferisce giocare di prima, con sponde laterali, non controllando quindi il pallone. In questa fase della sua carriera è più utile se riceve sempre fronte alla porta, possibilmente in uno dei due mezzi spazi.
Nella Roma di Fonseca
Fino all’improvviso annuncio del suo imminente arrivo a Roma il rapporto tra Henrikh Mkhitaryan e l’Italia sembrava legato unicamente al concerto privato che Albano ha fatto al suo matrimonio a Venezia del passato giugno, uno dei momenti più random degli ultimi mesi. Mkhitaryan ha giocato da titolare la prima partita in Premier contro il Newcastle e, anche se era diventato una riserva con l’arrivo di Nicolas Pépé, nulla aveva fatto presagire un suo trasferimento in uscita. La Roma ha però riconosciuto un’occasione del mercato: Mkhitaryan non avrà più nelle gambe i ritmi della Premier League, ma la Roma ha deciso di scommettere sul fatto che il suo calcio possa impattare meglio con quelli della Serie A.
Nella Roma di Fonseca vista in questo inizio di stagione Mkhitaryan può trovare una collocazione in due ruoli: trequartista o esterno (destro o sinistro è indifferente). Come trequartista avrebbe il vantaggio di potersi muovere nei pressi dell’area di rigore, la zona del campo in cui è più utile alla squadra. Nella Roma il trequartista si divide con la punta Dzeko la ripartizione degli spazi, alternandosi nell’altezza in campo. La specificità dell’interpretazione del ruolo di punta di Dzeko - che viene molto incontro a fare da regista avanzato - porta il trequartista ad essere il giocatore che deve finalizzare, con tagli in area necessari. Da questo punto di vista Mkhitaryan sarebbe una sicurezza di letture sopraffine nei movimenti in rapporto a Dzeko e alla porta avversaria, proprio quello che servirebbe alla Roma vista fino ad ora, dove ad esempio Pastore ha fallito.
Una delle complicazioni può arrivare però dal fatto che il suo gioco spalle alla porta non è di grande livello, deve quindi essere perfetta la sua simbiosi con Dzeko per evitare di chiedere all’armeno di giocare troppo il pallone lontano dall’area ricevendo di spalle.
In questo senso forse la posizione dove sarebbe facilitato il suo inserimento è come esterno. Fonseca chiede nello scaglionamento in campo ai suoi esterni di occupare i mezzi spazi (dando ampiezza con i terzini). Lì Mkhitaryan può ricevere spesso fronte alla porta e avere più opzioni per associarsi vicino all’area di rigore senza ricevere spalle alla porta, e senza dover attaccare troppo la profondità.
Nelle prime partite Kluivert si è trovato spesso a ricevere nel mezzo spazio, andando però in difficoltà nelle letture. Mkhitaryan può allora essere inserito anche immediatamente lì. Non sarà più il giocatore devastante di qualche anno fa, ma è un rifinitore esperto, tecnico e con grandi letture: tutte caratteristiche che possono fare molto comodo alla Roma.