Basta guardarsi intorno, entrando al Palais Marcel-Cerdan di Levallois-Perret, per sentire le vibrazioni della rivoluzione in atto da quelle parti. Una rivoluzione che ha un nome e un cognome: Victor Wembanyama, la next big thing che con mesi d’anticipo ha reso la Lottery del prossimo Draft l’appuntamento NBA più atteso del 2023. Ma è anche la rivoluzione di un club, il Boulogne-Levallois Metropolitans 92, che fino al suo arrivo l’estate scorsa aveva una ristretta visibilità (neanche nelle prime dieci per audience su LNB TV), mentre ora catalizza le attenzioni di tutto l’universo cestistico per un paio d’ore a settimana, almeno.
Avevate mai guardato partite di campionato francese sul League Pass, prima di quest’anno? E per quanti prospetti avete sentito parole come quelle che LeBron, Giannis, Curry, Lillard e addirittura Adam Silver hanno speso per la futura prima scelta al Draft? Intorno a “Wemby” si sta creando un’attesa paragonabile soltanto ai mesi che hanno preceduto l’arrivo di LeBron James nel 2003. Semplicemente perché uno come Victor Wembanyama non si è mai visto. A nessuna latitudine e probabilmente neanche nell’immaginario dei più fantasiosi scout e general manager.
E così, dopo settimane in cui non riuscivo a distrarmi dall’idea che non capita spesso di avere un candidato talento generazionale a un’ora e mezza di distanza, domenica ho preso un volo per Parigi. Sfida tra Metropolitans 92 e Nanterre, derby dell’Ile-de-France e tuffo nel passato per Wembanyama, contro quella che è stata casa sua dal 2014 al 2021. Dove si è presentato a 10 anni, già alto un metro e 91, e se n’è andato con gli occhi della NBA addosso.
All eyes on him
Entrato al Marcel-Cerdan mi bastano pochi minuti per accorgermi che sta accadendo qualcosa di irripetibile tra quelle mura. Ogni fine settimana orde di giornalisti, scout e appassionati da ogni parte d’Europa si riversano in un’arena da neanche 4.000 posti a sedere, che fino all’anno scorso si riempiva mediamente per il 60% e ora è costantemente sold out. La smania per vedere l’enfant prodige è tanto febbrile che non importa chi ci sia in campo intorno a lui, o neanche dove giochi: in casa e in trasferta, i biglietti vanno a ruba, il più delle volte dopo qualche minuto (se non meno) dall’apertura delle vendite. E nel 2023 non sarebbe sorprendente, secondo L’Équipe, se i Mets giocassero delle partite alla Paris La Défense Arena, palazzetto da 15.000 posti. Le richieste non mancano, dopotutto.
Sulla lista degli accrediti internazionali, all’ingresso, vedo i nomi di alcuni scout degli Indiana Pacers. Nelle prime file, invece, ne riconosco uno dei Philadelphia 76ers e al suo fianco una parata di celebrità locali tra cui l’ex primo ministro Lionel Jospin e l’ex calciatore Nicolas Anelka. Un paio di settimane prima si è visto persino Michael Douglas, l’attore.
Per dovere di cronaca si dovrebbe raccontare della vittoria dei padroni di casa, la settima consecutiva, e del loro primato in classifica; ma anche dell’ottima prestazione di Tremont Waters, ex NBA, e delle montagne russe di una gara che coach Vincent Collet ha detto di “aver dovuto vincere due volte”. Ma siamo onesti: solo i tifosi di vecchia data della squadra, una ristretta minoranza, sono sugli spalti per questo. Gli occhi sono tutti per the greatest show on court, o se preferite le plus grand spectacle sur le terrain: quel ragazzo di 2.21 metri che “stoppa come Gobert e tira come Durant”, per usare la definizione di Giannis Antetokounmpo, un due volte MVP che di freak ne sa qualcosa.
Sospensione dell’incredulità
La giocata che tutti ricorderemo della serata, ovviamente, ce la regala proprio Wembanyama. E l’istantanea che conservo sono gli sguardi dei miei vicini in tribuna stampa: addetti ai lavori che lo seguono da anni, ma sembrano vederlo giocare per la prima volta dal vivo, come me. Un reporter alla mia sinistra sta montando clip e facendo live tweeting, e durante i possessi successivi non smette di ripetere “irréel, irréel”. È davvero una giocata irreale, o meglio l’espressione di una combinazione irreale di doti fisiche, atletiche e tecniche.
A rubare l’occhio, prima di tutto, è il ball-handling. E non potrebbe essere altrimenti: uno, due, tre, quattro cambi di mano, un paio dei quali tra le gambe, con quella padronanza e quella fluidità, proteggendosi da due difensori e resistendo alla tentazione, che dovrebbe essere automatica per uno della sua taglia, di raccogliere la palla.
Intravista una linea di penetrazione, poi, Victor inizia il terzo tempo. Sì, dietro alla linea del tiro da tre. E lo chiude con la mano destra, appoggiando la palla con il giusto effetto a un punto impensabile del tabellone. Un mix di coordinazione, controllo del corpo e tocco che sembra uno scherzo, per uno che si aggira intorno ai 293 centimetri semplicemente alzando le braccia da fermo.
Diventa più assurdo ogni volta che lo si rivede, specialmente in slow motion.
In assoluto, credo che l’aspetto più in risalto guardando una partita di basket dal vivo piuttosto che dentro uno schermo sia senz’altro quello fisico. E nello specifico, il discorso vale doppio se in campo c’è Wembanyama. Assistere a una giocata del genere da pochi metri è onestamente impressionante, come lo sono gli spazi che ingombra, le altitudini che può raggiungere contestando o stoppando i tiri avversari, oppure catturando rimbalzi o lob alzati dai compagni. A questi ultimi, tra l’altro, si concede come target più difficile da mancare che da centrare.
Lo spazio che occupa sopra (molto sopra) il parquet è direttamente proporzionale, nell’altra metà campo, alla deterrenza che esercita sugli avversari. Una palpabile intimidazione su chiunque abbia l’intenzione di far passare un pallone dalle sue parti, che sia diretto a un compagno o verso il canestro. Con lui in campo si segnano 1.26 punti per possesso al ferro e 0.92 nel pitturato, dati consistentemente più bassi rispetto agli standard del campionato. Certo, le dimensioni contano, ma a fare di “Wemby” una presenza difensiva impressionante sono la rapidità verticale, l’equilibrio, il tempismo e le (precoci) letture difensive. Una combinazione che lo rende uno stoppatore più prolifico, da solo, di buona parte delle squadre del campionato: 3.1 di media a partita, con un’irreale percentuale di stoppate sul totale dei tiri avversari dell’11%.
D’accordo, vi potrebbe capitare di vederlo saltare a qualche finta di troppo. Ma è davvero un peccato cadere in tentazione, a 18 anni e con una tale egemonia dello spazio aereo?
Durante il primo quarto, al malcapitato Benjamin Sene capita di dovergli tirargli in faccia allo scadere dei 24 secondi. Wembanyama stoppa il suo tiro da tre con irrisoria facilità, dopo un closeout e un passo laterale, pur staccando da una posizione non ideale. Avete presente i video dei giocatori NBA che maltrattano i bambini nelle scuole? Siamo da quelle parti lì.
Un prospetto ancora da rifinire
Offensivamente, Wembanyama dà la sensazione di poter tirare in testa a chiunque, il più delle volte ravvisandone a malapena la presenza. Se ci aggiungiamo il vasto range di tiro e la naturalezza che mostra anche in situazioni dinamiche, è difficile non finire a cercare metri di paragone in NBA 2K piuttosto che nella realtà. Lo ha fatto Steph Curry di recente definendolo un "cheat code che prende vita”, e lo abbiamo fatto un po’ tutti dopo le due gare di Las Vegas, ad esempio, o le prime uscite con la Nazionale.
In stagione il nativo di Nanterre viaggia 22.4 punti a partita e tirando con il 61% di percentuale reale (59% dal campo, 31.5% da tre e 76.5% in lunetta). In futuro, per confermarsi un realizzatore d’élite anche a livello NBA sarà determinante la capacità di costruirsi il proprio tiro e dunque di espandere il gioco anche dalla media distanza. I flash messi in mostra sono un ottimo biglietto da visita, soprattutto se consideriamo gli spazi più ampi di cui beneficerà negli Stati Uniti. Fluidità dei movimenti, footwork e punto di rilascio sono insensati e senza precedenti.
Come dice Vincent Collet, però, “se fosse già perfetto, non sarebbe così divertente”. E ciò che impressiona sono proprio i miglioramenti di cui è stato protagonista Wembanyama nel tempo, a partire dagli ultimi mesi. “Ha una capacità d’apprendimento fuori dal comune” ha spiegato di recente il coach dei Mets e della Francia. “Non serve ripetergli le cose più volte, impara velocemente. Oltre a tutte le sue doti, questa è una grande risorsa. E credetemi, è molto rara”.
La sua capacità di ascoltare è stato un topic discusso a lungo nel post-gara. Con la partita tornata in bilico nel secondo tempo, l’allenatore ha raccontato di aver chiesto a Wemby di essere più aggressivo nel pitturato, contro una difesa che nel terzo periodo era riuscita con successo a negargli ricezioni dinamiche. Dopo essere parso a tratti un po’ remissivo, nel quarto finale ha segnato 15 punti (su 30 complessivi), tutti nei pressi del ferro e in lunetta. “Il modo in cui ha giocato gli ultimi minuti testimonia la sua maturità”, ha commentato un compiaciuto Collet.
Anche a Pascal Donnadieu, allenatore di lunga data del Nanterre e pure lui nello staff tecnico della Nazionale, alla fine è scappato un sorriso affettuoso parlando del suo Wembanyama. Nel 2019, prima ancora che Victor compiesse 16 anni, aveva detto di lui: “Per come sta in campo, non vedo perché non dovrebbe già giocare con la prima squadra”, cosa poi accaduta nei mesi successivi. Tre stagioni più tardi se lo è ritrovato davanti da miglior giocatore del campionato e da promesso Chosen One della NBA. “L’ho visto in palestra per sette anni, tutto questo non mi sorprende”.
Vogliamo credere a coach Donnadieu. E magari abbiamo davanti solo il prototipo del giocatore NBA del futuro, come suggerito da Antetokounmpo. Per adesso, però, continuiamo a rimanere abbastanza sorpresi. Si può non esserlo, davanti a una rivoluzione?