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Hype Carlos Bacca
15 lug 2015
La nuova puntata di Hype, la rubrica nella quale analizziamo giocatori al confine tra promessa e campione. Il protagonista stavolta è Carlos Bacca.
(articolo)
13 min
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Parlare in modo sensato di Carlos Bacca, schivare gli artifici sentimentalistici sul passato da pescatore e bigliettaio d’autobus che si stanno tessendo attorno al suo nome da quando è stato ufficializzato il trasferimento al Milan, significa avere la pazienza di far sobbollire il brodo primordiale della retorica dell’umiltà fino a ottenerne un decotto, o se vogliamo una riduzione: il passato di Bacca avrà di certo influenzato il Bacca uomo. Ma che impatto ha avuto sul Bacca professionista? Mi sono fatto due idee.

La prima è che il colombiano scelga le squadre in cui giocare (o si goda la soddisfazione di trovarcisi incluso, come in Nazionale) non solo sulla scorta dell’onorario o della gloria garantita, come è ragionevole che sia, ma anche e soprattutto degli allenatori che vi troverà, o meglio, dell’ideale di allenatore del quale si metterà al servizio. Pinillos, il suo primo tecnico; Pékerman nella selección cafetera; Unai Emery al Siviglia, e ora Mihajlovic al Milan hanno tutti un tratto comune: quello di essere grandi motivatori, capaci di esaltare i calciatori a loro disposizione non in quanto primedonne, ma come ingranaggi di un sistema di gioco caratterizzato, congegnato, specifico.

Carlos Bacca, con quel suo sorriso così triste, ma così felice, suscita l’impressione di essere un uomo divorato dallo struggle intestino tra consapevolezza dei propri mezzi e insicurezza (voglio dire pacifica accettazione) del suo destino. Uno che ha bisogno di sapere qual è il suo ruolo esattamente, e forse neppure soltanto in campo, per dare il meglio.

La seconda idea è che Bacca abbia una pazienza innata, questa sì tipica degli umili, e che gli riesca particolarmente bene galleggiare sul limbo delle fantasticazioni fin quando non si presenta un’occasione da cogliere al volo: in quell’istante, Carlos Bacca, se non c’è si trova comunque davvero nei paraggi.

Puerto Colombia, Barrio La Chinita, incrocio tra Carretera 10 e Calle 4: quello che si intravede dietro le altalene, oltre le palme dal fusto dipinto, dietro tutta quell’atmosfera da Posto Di Vacanza, è la cancha Santander, dove Carlos ha iniziato a giocare a pallone.

Il (suo) vecchio e il mare

Puerto Colombia si trova a mezz’ora di macchina da Barranquilla, e a due ore da Santa Marta. In due ore può capitare di passare da un mare all’altro, dall’Oceano Pacifico al Mar del Caribe. Quella costa colombiana è famosa, oltre che per essere una destinazione turistica di assoluto riguardo, per aver dato i natali a molti calciatori iconici del presente e del passato del fútbol cafetero: a Santa Marta sono nati “el Pibe” Valderrama e Radamel Falcao; a Barranquilla Téo Gutiérrez; l’unico puertocolombiano, invece, è Carlos Bacca.

«Sembra che il Caribe sia una terra di goleador. Avere il mare a cinque minuti da casa ti segna», ha detto Bacca in un’intervista a El País.

In me, per esempio, che in riva al mare sono nato, cresciuto e attualmente vivo, si è radicato il pensamento che la linea dell’orizzonte costantemente in vista possa provocare sentimenti contrastanti: da una parte può invitarti a oltrepassarla; dall’altra, con la sua aura rassicurante, avere un effetto annichilente e spingerti a desistere da ogni intento, semplicemente soffermarti a contemplarla.

Un fotogramma di “Dal potrero al Maracaná: Carlos Bacca, el hijo del pescador” in cui il padre, vestito da rapper con la maglia del Siviglia, rinverdisce i fasti di quando faceva il portiere dilettante parando un rigore calciato da Gilberto Segundo Bacca, fratello di Carlos.

In limine ai Mondiali brasiliani è stata prodotta una serie di documentari sui calciatori convocati, sui futuri protagonisti. Nella puntata su Carlos Bacca l’inviata passeggia sull’arena della cancha Santander, che sembra l’appendice di una spiaggia caribegna: le ballerine della giornalista affondano nella sabbia come quelle di una ragazza che balla a un party estivo.

Anche se può sembrare che il documentario non ci dica nulla del Bacca calciatore (ci mostra i luoghi in cui si è forgiato come uomo, dove «la sofferenza si mescola con l’allegria tipica delle persone della costa») ascoltare le testimonianze dei genitori e degli insegnanti delle elementari ci aiuta a capire un aspetto fondamentale della sua carriera: la perseveranza. In senso stretto, e poi più ampio.

«A cosa ti dedicherai dopo il collegio?», chiedeva la maestra in classe. «Al calcio!», rispondeva Carlos Bacca. Da piccolo lo chiamavano El Peluca perché aveva una testa di capelli così folta da sembrare posticcia: i compagni ridevano, i professori scuotevano la testa, perché non era neppure sicuro che avrebbe superato l’anno scolastico. Nessuno credeva che potesse arrivare così lontano. Per essere promosso, infatti, gli era toccato lavare per terra, pulire le pareti, dipingere le finestre.

Il padre, che indossa sempre una maglia del Siviglia o della Colombia, non si vergogna a dire che fa il pescatore, e che quando c’è stato bisogno di dare una mano in famiglia anche Carlos si è messo a vendere il pesce, “come uno qualunque”.

Per una proficua battuta di pesca ci vogliono pazienza e compagni giusti

La carriera di Carlos Bacca è fuori dai canoni nella misura in cui somiglia più di molte altre a come dovrebbe essere fatto un canone. In un contesto fagocitante, in cui i talenti si formano in età sempre più verde, esplodono prestissimo e salgono alla ribalta ancora ragazzini, Carlos ha esordito tra i professionisti quando aveva già ventitré anni, che a pensarci bene sono un bel po’.

Questo non significa che non abbia compiuto la classica trafila delle giovanili. Nell’FC Barranquilla, società satellite del più quotato Atlético Junior (squadra per la quale sono passati tra gli altri lo stesso Valderrama, Juan Verón senior, addirittura Garrincha, e per la quale fa il tifo Shakira, con tutto quello che possa voler dire), Carlos divideva il reparto avanzato con Luis Carlos Ruiz, talento un po’ dilapidato con una carriera spesa quasi tutta in Colombia, e con Téo Gutiérrez.

In campo i tre si scambiavano le posizioni, si cercavano, si complementavano. Si alternavano nei ruoli di punte e fantasista: in quel contesto Bacca ha realizzato di aver bisogno di qualcuno con le giocate nei piedi, capace di innescarlo: di essere il braccio del pragmatismo al soldo della creatività.

In questa azione di Colombia - Stati Uniti del novembre scorso il terzetto è composto da James che lancia, Téo che imbecca telepaticamente Bacca e Carlos che calcia sul palo. Mi viene difficile immaginare Honda nei panni di James e Bonaventura in quelli di Gutiérrez.

Mentre Teófilo era un “crack” già quando aveva quattordici anni, a Bacca era servito più tempo per maturare. Nel frattempo aveva fatto esperienze di vita più umane, aiutando i familiari a vendere il pesce o lavorando come bigliettaio sulla linea di bus della Expreso Colombia Caribe, tratta Puerto Colombia - Barranquilla. «Anche se avevo consapevolezza delle mie abilità», ci tiene a precisare Carlos.

David Pinillos è stato l’allenatore di quella squadra giovanile. Quando Carlos stava quasi per mollare, per scoraggiarsi di fronte alla mancanza di opportunità, è stato lui a dargli una chance. «Quando sono arrivato all’FC Barranquilla c’era già Téo, ma nella squadra riserve si allenava Bacca. L’ho promosso in prima squadra, anche se gli ho detto che c’era da lavorare duro». In due, Téo e Carlos, hanno segnato 25 gol, regalando la promozione alla squadra.

Valderrama ha scelto di portarsi dietro al Junior solo Téo, mentre per Bacca l’unico spiraglio che si è spalancato è stato quello di un’esperienza di sei mesi al Minervén, Serie B venezuelana. Fin quando nel 2009, con Comesaña sulla panchina dell’Atlético, è giunto il momento della redenzione.

01.03.09: Júnior vs Pasto, il primo gol di Carlos Bacca tra i professionisti. Trenta secondi dopo, nel video, il secondo con un tiro al volo di prima intenzione, sempre nella stessa partita. Sì, doppietta alla prima partita, así es.

«Il giorno del mio esordio mancavano 20 minuti e eravamo ancora 0-0; Comesaña mi ha fatto entrare, i tifosi mormoravano perché non capivano il cambio. Nessuno mi conosceva, ma le prime due palle che ho toccato le ho messe dentro. Quel giorno mi ha cambiato la vita». «I valorosi non sono quelli che rimangono con i piedi nella melma, ma quelli che si rialzano più forti», ha aggiunto tempo dopo, ripensando alle difficoltà della sua gioventù calcistica. «Da piccolo quello che ti emoziona di più è fare gol. Ma poi lo sa il calcio come metterti al posto più giusto per te».

Il posto che il calcio ha scelto per Bacca è quello di finalizzatore: un giocatore che partecipa poco alla manovra, alla preparazione dell’azione. Ma che galleggia, come una piroga stancamente sull’oceano, fin quando non arriva il momento di colpire, o di tirar fuori dall’acqua il barracuda.

(Piccolo inciso) Quello che Bacca non è.

Un gol abbastanza rappresentativo di Carlos Bacca è questo segnato in un’amichevole invernale, giocata in gennaio sul campo neutro di Marbella, in Spagna, tra il Club Brugge e il Feyenoord: un gol che ci mostra esattamente quello che Bacca non è.

Riceve palla non si sa bene da dove né da chi, stoppa con il ginocchio sinistro, palleggia con il destro compiendo una torsione a 360° e calcia con lo stesso piede una tiro assurdo che si infila in maniera assurda nella rete del portiere del Feyenoord. Un gol più Quagliarell-ish che à la Bacca.

Cosa ci dice questo gol di Bacca del calciatore Bacca? Niente, è mendace, non è neppure puntualmente didascalico del momento che stava passando.

In quel frangente Bacca era già in Belgio da due anni; alla prima stagione non aveva trovato granché spazio e aveva segnato solo 3 reti. Mentre nella stagione 2012-13, quella inframezzata da questo goal, finirà per laurearsi capocannoniere della Jupiler League con 25 reti. Ma se andassimo a rivederci tutte le reti con i nerazzurri delle Fiandre non troveremmo neppure un gol così fantasticamente spettacolare: Bacca è opportunista, letale, ficcante, la sua cifra è l’accelerazione, il tempismo, il senso del gol, non il colpo a sensazione. Tutte caratteristiche che diventeranno evidenti quando il Siviglia punterà su di lui per sostituire Álvaro Negredo, trasferitosi in Premier League. A Siviglia, Bacca incontrerà Unai Emery.

Maestri (o continuando con la metafora della pesca: i suoi Gyoshin)

Di Pékerman Bacca ha detto: «Quando parla rende i concetti molto semplici. E fuori dal campo ci dà i migliori consigli da applicare in campo». L’allenatore del cuore di Bacca sembra essere quello che sa trovare le motivazioni, sa dare consigli, ma mai scontati, che sa valorizzare le caratteristiche dell’individuo in funzione dello stile di gioco che vuole adottare, e mai il contrario. Un po’ come Mihajlovic. Un bel po’ come Emery.

L’intuizione di Unai è stata quella di affiancare a Bacca non uno ma due Teófilo Gutiérrez, vale a dire Reyes e Rakitic (e nella stagione appena conclusa Denis Suárez): uomini capaci di verticalizzare, di imprimere alla manovra l’accelerazione giusta, lo strappo tra le linee che permette a Bacca di segnare gol come questo contro l’Espanyol.

In questa circostanza Bacca parte in posizione arretrata (l’intercambiabilità ai tempi dell’FC Barranquilla gli ha insegnato il senso della posizione) e con un’accelerazione delle sue prende il tempo a tre quarti della difesa catalana, prima di concludere con freddezza.

Nel 4-2-3-1 di Emery (ma anche nell’alternativo 4-4-2 in cui si spalleggiava a vicenda con Kevin Gameiro) Bacca ha trovato il contesto ideale per imporsi come terminale implacabile (10 gol nelle prime 20 partite con gli andalusi) ma anche come assistman (sempre nelle prime 20 partite 5, al pari di Benzema e meglio di Iniesta o Ander Herrera).

Ha dato dimostrazione che quando viene schierato in tandem, con un’altra punta al suo fianco, il profilo del giocatore perfetto per affiancarlo somiglia più alla silhouette di un Téo che a quella di un Luiz Adriano. Ma anche, in ultima istanza, che attaccanti capaci di gettarsi nelle spazi creati da difese disattente come sa fare lui ce ne sono pochi altri.

Che Bacca vedremo nel Milan?

Un giochino divertente che si può fare con le statistiche e la fantasia è quello di confrontare Bacca con i predecessori al centro dell’attacco, che sono poi in buona parte i compagni di reparto che lo affiancheranno nella prossima stagione, e poi con un centravanti vero, osservato in Italia l’anno scorso, inserito in un contesto di gioco simile a quello del Siviglia di Emery: per il mio giochino ho scelto Higuaín, anche perché mi è dispiaciuto molto non vederli l’uno contro l’altro nella finale di Varsavia di Europa League.

Nell’ultima stagione, quella della consacrazione e della competitività ad altissimi livelli del suo Siviglia (nonché della seconda Europa League consecutiva, vinta grazie a una sua doppietta) Bacca ha segnato 20 gol ne La Liga e realizzato 6 assist, rispettivamente 2 in più e 2 in meno rispetto a Gonzalo, e poi 4 e 2 in più del calciatore più performante in senso offensivo dei rossoneri, vale a dire Jérémy Ménez. Se entrambi riuscissero a mantenersi a questi livelli, probabilmente a San Siro andrebbe in scena una specie di dagherrotipo europeo dell’accoppiata Téo-Bacca osservata a Barranquilla e in Nazionale: il francese ha i numeri e il profilo di gioco più simile a quello di Téo che mi possa venire in mente, oggi, in Serie A, per supportare l’attaccante colombiano.

Un altro dato interessante è che mentre Ménez ha realizzato quasi il doppio dei suoi passaggi chiave (una caratteristica che non è nelle corde di Bacca proprio nella misura in cui partecipa poco allo svolgimento della manovra) e il triplo dei dribbling per partita (altra skill che non sembra interessare troppo lo stile di gioco del puertocolombiano), Bacca ha tirato in porta per un numero di volte che galleggia a mezz’aria tra quello di Ménez e di Bonaventura, cioè di due giocatori che per quanto offensivi non sono propriamente dei centravanti. Per dire: Higuaín ha tirato verso la porta avversaria quasi il doppio delle volte di Bacca. Credo sia eloquente di quanto Bacca sia più un opportunista, uno sciacallo della rete, un chirurgo mai inopportuno, uno che sa come ottimizzare tutte le occasioni avute.

Uno che a Milano ci metteranno trenta secondi a paragonare a Inzaghi, se prenderà a segnare gol del genere.

El Shaarawy, per esempio, ha avuto una media di chances-per-match più alta di quella di Bacca, che evidentemente le chances da rete non le crea: però sa come sfruttarle. Mi fa venire in mente un passaggio dei Cor Veleno quando cantavano non sappiamo come venderti un disco / ma sappiamo come cazzo riscaldarti i transistor.

La verità è che l’unico paragone che regge per l’estetica delle reti realizzate, il calciatore che Bacca più mi ha ricordato nella storia recente del Milan, è Marco Simone: un po’ per conformazione fisica, un po’ per attitudine in campo. Il campionario delle reti segnate dai due è simile sotto molti aspetti: nel loro repertorio ci sono palombelle sul portiere in uscita, esterni in corsa sul palo opposto, accelerazioni al NOS che lasciano di sasso i centrali avversari e soluzioni geniali, perché estremamente concrete, in mischia. E poi entrambi hanno l’arroganza guascona di andare a rubare palla a un compagno per segnare: oggi come ieri un simbolo di furbizia, scaltrezza, ma anche forte determinazione.

Marco Simone ha avuto la sfortuna, logorante fino all’ingenerosità, di trovarsi la strada verso la consacrazione bloccata da uno come Marco van Basten. Ma di cigni di Utrecht, a Milanello, non ne sono passati—né sembra possano passarne, in un futuro vicino e lontano—molti altri, e di certo non con le fattezze di Luiz Adriano.

Per Carlos Bacca la trasfigurazione da crisalide a farfalla, o da avannotto a barracuda, la definitiva esplosione come uno dei migliori attaccanti d’Europa se non del mondo, sembra a portata di mano: il Milan ha bisogno di un trascinatore offensivo come Bacca di un modulo di gioco che sappia metterlo nelle condizioni di fare quello in cui riesce meglio: galleggiare, nell’attesa che l’amo arrivi a portata di morso, per affondare il colpo e tirare il mulinello.

I cerchi nel tronco delle querce si formano inesorabili, con lo scandire del tempo; di attendere con gli occhi rivolti all’orizzonte dell’Oceano Atlantico, di certo, Carlos non ha più tempo, né voglia.

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