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Hype Douglas Costa
09 lug 2015
La nuova puntata di Hype, la rubrica nella quale analizziamo giocatori al confine tra promessa e campione. Il protagonista stavolta è Douglas Costa.
(articolo)
16 min
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Prima di trasferirsi in Ucraina per 5 milioni di dollari, Douglas Costa aveva giocato solo una manciata di partite tra i professionisti, quasi tutte folgoranti. A partire dal Sudamericano Under-20 del gennaio 2009, nel quale ha segnato un rasoterra da fuori contro la Colombia, uno “scolastico” esterno sinistro sul secondo palo contro l’Uruguay, per poi fornire i due assist decisivi nella partita contro l’Argentina. Al termine della competizione un documento tecnico della FIFA lo definisce «rapido, gran dribbling, talento».

All’esordio con il Gremio segna dopo 20 minuti, gol che ha raccontato a Jonathan Wilson così: «Il nostro allenatore, Celso Roth, mi ha chiesto di controllare la palla a centrocampo e poi muovermi a destra e a sinistra lasciandomi guidare dall’istinto. Sul tiro sono stato fortunato perché la palla è passata sotto le gambe di un difensore del Botafogo». In estate parte per i Mondiali Under-20 che il Brasile perderà solo in finale, ai rigori contro il Ghana dei fratelli Ayew. Di quella Nazionale, vincitrice del sudamericano e finalista dei Mondiali, Douglas Costa è l’unico giocatore presente nella recente Copa América—segno che il problema del Brasile non è la mancanza di talento ma la sua dissipazione.

Se la palla fosse entrata, senza stamparsi sulla traversa tornando quasi a centrocampo, non avremmo ricevuto la stessa impressione di forza improvvisa.

Dal 2004 sulla panchina dello Shakhtar Donetsk siede Mircea Lucescu, a cui Akhmetov, l’oligarca proprietario del club, concede totale libertà nelle decisioni sportive. Lucescu ha creato una fitta rete di osservatori e intermediari in Brasile e dal suo arrivo Donetsk si è riempita di brasiliani. Douglas Costa, che nel frattempo si era guadagnato l’etichetta di “nuovo Ronaldinho”, era stato seguito anche da Ferguson, insieme a James Rodríguez, entrambi però giudicati fisicamente inadatti alla Premier. Gli ucraini riescono a prenderlo attraverso una trattativa che all’epoca risultò abbastanza sorprendente: non eravamo ancora abituati all’idea che i migliori talenti sudamericani finissero in campionati marginali di stati ex-sovietici.

Nel 2010 lo Shakhtar ha però in rosa 7 brasiliani: Ilsinho, Luiz Adriano, Fernandinho, Willian, Jadson e Alex Teixeira, compagno di Sub-20 di DC. Il club non a caso ha più contatti Facebook in Brasile che in Ucraina, dove ha perso quasi del tutto il proprio radicamento identitario. Questo elemento, insieme alla possibilità di sfruttare una vetrina come la Champions League, ha convinto Douglas Costa ad accettare il trasferimento: «Ho telefonato in Ucraina e ho parlato con Willian e Luiz Adriano, entrambi di Porto Alegre come me. Mi hanno detto di andare perché lo Shakhtar era uno dei più forti club in Europa».

Prigione dorata

Arrivato all’aeroporto di Donetsk, Douglas Costa ha la testa rasata, le sopracciglia foltissime e le labbra carnose. La faccia è leggermente schiacciata, il fisico molto esile e dimostra ancor meno dei suoi 20 anni. Quando un giornalista gli si avvicina e gli chiede se è contento del suo trasferimento, lui non fa sorrisi di circostanza e mentre risponde non sembra neanche muovere le labbra: «Non sono venuto allo Shakhtar per rimanerci molto, starò uno o al massimo due anni, poi andrò in qualche altra squadra».

I “massimo due anni” sono diventati in realtà cinque, e quella che avrebbe dovuto essere una veloce rampa di lancio si è trasformata in una specie di prigione dorata. Alla fine della seconda stagione Douglas Costa inizia a dare i primi segnali di insofferenza, che si trasformano quasi in rassegnazione quando, recentemente, arriva a dichiarare: «Ho 24 anni e penso a quanto sia difficile convincerli a lasciarmi andare. Willian ha avuto problemi enormi e aveva una clausola di 35 milioni di euro; la mia è persino più alta, intorno ai 50 milioni, potete immaginare che non sarà facile». In un mondo del calcio in cui non si fa che ripetere che i giocatori hanno in mano il proprio destino, non si capisce fino in fondo come lo Shakhtar riesca a mantenere una tale fermezza nel decidere tempi e modi delle proprie cessioni. La carriera di Douglas Costa sembra congelata.

La Nazionale non lo chiama né per il Mondiale del 2010 né per le successive competizioni internazionali, nonostante la concorrenza in attacco non fosse delle più agguerrite. Nella Premier League ucraina gioca bene, ma senza brillare particolarmente. I video che sono riuscito a trovare hanno la qualità delle polaroid anni ’80, restituiscono stadi spettrali, quasi sempre a bordo autostrada. È normale che il brasiliano preferisca concentrarsi sulla vetrina della Champions League: alla prima stagione di DC, lo Shakhtar raggiunge addirittura i quarti di finale, venendo eliminato dal Barcellona (QUEL Barcellona), e il brasiliano gioca una competizione di altissimo livello, arricchita da due gol e tre assist nelle otto partite giocate.

In quel periodo dice: «Ho avuto un inizio di carriera tumultuoso e ho imparato da quell’esperienza. Ora provo a non lasciarmi prendere dall’entusiasmo». Douglas Costa è un tipo introverso, quasi triste, di quel tipo di tristezza che ispirano le persone che hanno rinunciato a una parte più o meno grossa di sé, annullandosi dentro qualcosa: «Mia madre mi ha detto che provavo a giocare a pallone persino nella sua pancia, quando era incinta. Così quando i miei genitori scoprirono che ero maschio non avevano dubbi sul fatto che sarei diventato un calciatore. Non ho ricordi di me senza che calcio un pallone. La palla era il mio gioco preferito. Non posso fare nient’altro; non so neanche ballare la samba». Quando dice di essere andato a trovare Fernandinho non dice: «Sono stato a Manchester a trovare Fernandinho e mi è piaciuta»; ma: «Ho trascorso qualche giorno a casa di Fernandinho e sono stato bene», a indicare una geografia senza contatto con dei veri luoghi, ma ristretta nella ville ai margini di essi.

Già dopo la prima stagione in Ucraina il nome di Douglas Costa inizia a rimbalzare sui siti di calciomercato, accostato a una squadra italiana dopo l’altra, fino quasi a svuotarsi di significato. Prima doveva essere il Milan, poi la Juventus e infine Roma e Inter. Stando alle parole di Lucescu, giallorossi e nerazzurri avrebbero cercato di prendere il brasiliano anche nello scorso mercato invernale, quando sembrava però vicinissimo al Chelsea. DC arrivò a esporsi in un modo quasi definitivo, individuando in José Mourinho il tecnico ideale per la sua crescita. Alla fine, però, lo Shakhtar riesce a mantenere il polso della situazione, rifiutando l’offerta di 20 milioni del Chelsea, che probabilmente avrebbe voluto far leva sulla volontà del calciatore. In tal modo lo Shakhtar ha lanciato un segnale preciso: per prendere DC ci vogliono 30 milioni, e con 30 milioni il Bayern Monaco si è presentato qualche giorno fa.

Nell’ultima partita tra Shakhtar e Bayern Douglas Costa pare abbia litigato con Schweinsteiger. Sembra si sia rivolto al tedesco con un insultante «chi sei tu?» e poi a fine partita gli sia andato a chiedere la maglia (non concessa). Qui credo che Schweini stia rispondendo all’onta a modo suo.

L’erede di Robben?

Dopo l’acquisto Mircea Lucescu ha parlato di lui: «Lo vedo nella posizione di Robben. Ha solo 24 anni e può raggiungere il livello di Robben nei prossimi anni», mettendolo per il momento allo stesso livello di James Rodríguez; ma d’altronde il tecnico rumeno indossa spesso le vesti del mercante costretto a rassicurare sulla bontà della propria merce. Il ruolo è effettivamente lo stesso dell’olandese: DC può essere impiegato sia a destra che a sinistra, anche se con modi molto diversi di essere efficace nella manovra offensiva. Può essere schierato sia in un classico 4-2-3-1, sia in un 4-3-3 con più libertà di dare sfogo alla naturale inclinazione ad accentrarsi e a venire dentro palla al piede.

Il Bayern Monaco lo scorso anno ha dovuto rinunciare per lunghe parti della stagione, spesso quelle decisive, a una o a entrambe le proprie ali offensive. Robben è in realtà a mezzo servizio quasi da sempre: non ha mai superato la ventina di presenze stagionali in campionato e con gli anni che diventeranno 32 sarà richiesta un’economia dello sforzo ancora maggiore (sempre che non vada via…). Ma a destare preoccupazione è soprattutto Franck Ribéry: nel 2013/2014 saltò 1/3 delle partite del Bayern, che sono diventate più della metà nella scorsa stagione, nella quale ha giocato poco più di 10 incontri. Rummenigge si è recentemente lamentato dei troppi stop e il francese ha rilasciato delle dichiarazioni amare: «Questo infortunio mi innervosisce, è una catastrofe. Ho tutto quello che si può desiderare, ma non mi sento un uomo libero. Penso sempre solo al mio piede. Voglio correre e non posso farlo». Ancora adesso è da considerarsi infortunato e non ci sono date sul suo possibile ritorno in campo.

D’altra parte esiste anche un problema Mario Götze, che pare avere ancora problemi nell’assorbire il calcio di posizione e che qualche giorno fa l’agente ha definito «distrutto da Guardiola». L’allenatore non sembra fidarsi di lui e non lo schiera nelle partite più importanti.

Un profilo come quello di Douglas Costa rappresentava allora la prima esigenza di mercato dei bavaresi. Come si scrive qui, Douglas Costa negli ultimi 5 anni ha giocato meno di Thomas Müller negli ultimi 3 e non è escluso che arrivi anche un altro esterno offensivo da affiancare a DC (si parla di Ntep). Ma sostituire anche solo metà di una delle coppie di esterni più formidabili del calcio europeo dell’ultimo decennio sarebbe proibitivo per chiunque. Basta un dato inquietante: Robben ha segnato, solo negli ultimi due campionati, un gol in meno di quelli che Douglas Costa ha realizzato nelle sue 6 stagioni ucraine (29). Diventa legittimo chiedersi se Douglas Costa rappresenti davvero una scelta all’altezza di un contesto di vertice come quello del Bayern.

I limiti

A mio parere, Douglas Costa è rimasto in Ucraina almeno una stagione di troppo. Il giocatore negli ultimi quattro anni non ha compiuto significativi passi in avanti, rimanendo sostanzialmente il coacervo di talento e discontinuità che avevamo potuto ammirare ai Mondiali U-20 del 2009. Non è migliorato nelle scelte di gioco, né nella costanza di rendimento. Indicativo in tal senso il numero di gol e assist collezionato in Ucraina, rimasto quasi identico stagione dopo stagione: sempre tra le 4 e le 6 reti. Nella stagnazione dei progressi di DC incide la scarsa competitività del campionato ucraino, andato anche leggermente peggiorando nell’ultimo anno, quando il conflitto interno ha costretto diverse squadre lontano da casa. Lo stesso Shakhtar è stato costretto a disputare le partite casalinghe fuori dalla Donbass Arena e la squadra ne ha risentito non poco, portando Lucescu ad ammettere: «Capisco che il campionato ucraino al momento non offre un buon livello. Se il livello verrà alzato sarà possibile acquistare giocatori forti, ma fino a quando non avviene è naturale che scelgano altre squadre».

Questo non significa che DC giochi male o in modo troppo egoistico, quanto piuttosto che è ancora un giocatore incostante, umorale: grezzo. Nonostante sia stato il leader tecnico della propria squadra per diversi anni, DC ha faticato a imporsi al centro della manovra offensiva: si astrae facilmente dal gioco, se tocca pochi palloni si immalinconisce come il più classico dei fantasisti brasiliani.

D’altronde il livello del campionato è talmente basso che a un giocatore del talento di Douglas Costa bastano anche poche ed estemporanee fiammate per risultare decisivo.

Decidere di fare gol in un’azione qualsiasi.

I gol e gli assist totalizzati nel corso delle sue stagioni sono concentrati in pochissimi incontri. Non combina niente per quattro o cinque partite di seguito, poi magari impila serie di giocate decisive nel giro di pochi minuti. Lui ha detto: «Di solito faccio un paio di buone partite, ma poi la mia forma crolla. Non credo che la gente mi capisca». In certi momenti DC sembra banalmente un giocatore annoiato dalla propria potenziale superiorità: se la migliore delle ipotesi è vincere il campionato e diventare capocannoniere della Premier League ucraina, come Luiz Adriano fa ogni anno, perché sbattersi tanto?

Ma non ci troviamo neanche di fronte a un Denilson, a un qualsiasi brasiliano rivelatosi troppo pigro per l’applicazione richiesta dal calcio europeo. Il fatto che DC abbia giocato molti anni sotto la guida di un maestro come Lucescu dovrebbe rappresentare una garanzia di etica del lavoro, e non è un caso che uno dei pochi aspetti migliorati da DC negli ultimi anni sia quello dell’apporto difensivo. Il mezzo tackle a partita di media della prima stagione si è trasformato in due tackle pieni attuali, superiori sia all’uno a partita di Ribéry che allo 0,5 di Robben. La grande resistenza ed elasticità gli permette di mantenere una certa aggressività anche senza palla, applicata finora in modo incostante, ma che lascia intravedere possibili sviluppi.

Gli esterni di Lucescu sono da sempre abituati ad applicarsi in una grande mole di lavoro senza palla, tanto in fase di primo pressing, in cui tentano di chiudere sempre le linee di passaggio semplici ai difensori, quanto in fase di ripiegamento, spesso anche profondo. Douglas Costa è abituato a giocare su ritmi alti senza palla (o almeno in alcune occasioni, quando l’avversario non è il Vorskla), e questa è senz’altro una caratteristica che ha condizionato la sua scelta da parte di Guardiola.

Quello che manca davvero al momento a Douglas Costa è il nerbo mentale che permette a Robben di essere una continua minaccia alla porta avversaria. Il modo in cui l’olandese scivola conducendo il pallone con l’esterno sinistro, puntando sempre la porta come una slavina, prevedibile e al tempo stesso inarrestabile. Questa furia offensiva, questa attitudine a voler essere decisivo, è quello che attualmente manca di più a Douglas Costa. Eppure, potenzialmente, è un livello che potrebbe toccare.

Il Talento

Stiamo parlando di un giocatore di 25 anni. Alla sua stessa età Robben aveva chiuso la sua ultima stagione al Real Madrid con il proprio record di reti stagionali: 7. Proprio a 25 anni Robben esplose definitivamente, finendo in doppia cifra tutte le successive stagioni. Per ora l’unica certezza è che se DC è un giocatore ancora grezzo, il materiale grezzo a disposizione di Pep Guardiola sembra di primissima qualità.

Per un esterno offensivo che può giocare anche a piede invertito il primo controllo è fondamentale per rimontare il gap di tempi di gioco nei confronti del difensore. Il primo controllo di Douglas Costa non gli permette solo di rimontare il gap, ma spesso anche di saltare l’uomo. La sensibilità del suo esterno sinistro è quasi innaturale, fa venire in mente distese di prato bagnate di rugiada capaci di attutire l'urto di una bomba senza farla esplodere.

La stessa sensazione di lanciare da 10 metri d’altezza una pallina da golf su una moquette.

C’è un video dell’allenamento della Nazionale in cui sta palleggiando indolente insieme a Fred. A un certo punto tocca la palla un numero imprecisato di volte con lo stesso piede senza farla cadere. Nell’uno-contro-uno non c’è solo la devastante velocità di base, ma anche il bagaglio tecnico che gli permette di saltare l’uomo sia con l’interno che con l’esterno, o lavorando attraverso delle finte che esprimono un controllo del corpo prossimo alla Capoeira (finte che comunque ha ridotto rispetto ai suoi primi anni).

Può anche improvvisare complicati elastici minimali in mezzo a due uomini.

Come detto, può giocare sia a destra che a sinistra, Lucescu gli chiedeva di occupare in maniera fluida i due lati, non rimanendo statico, e questa sarà un’altra attitudine che tornerà utile a Guardiola. Il Bayern con tutta probabilità lo userà su entrambe le fasce, ma molto dipenderà dall’eventuale acquisto di un’altra ala.

La fascia destra è quella dove risulta più efficace e, in alcune occasioni, davvero simile a Robben. La precisione e la rapidità con cui tocca la palla d’esterno gli permette di sviluppare una grande velocità quando punta la porta, a quel punto può tirare di collo sul primo palo o cercare la soluzione à la Robben con il piatto a giro sul secondo che (come quello di Robben) ha contorni asciutti e diretti.

Old but gold.

Questo tipo di azione, che Robben ripete fino alla nausea, DC sembra volerla centellinare. Ha già segnato diversi gol così, ma manca quello che dicevamo prima: la voglia di puntare sempre la porta e trasformarsi in una minaccia offensiva costante. DC è un giocatore meno lineare di Robben, più istintivo e creativo.

Quando da sinistra si accentra e arriva in velocità sulla trequarti, oltre al tiro DC possiede anche una visione di gioco che gli permette un ultimo passaggio che, seppur non sempre perfetto nell’esecuzione, non sfocia sempre nella soluzione più banale. Ciò nonostante, anche qui la soluzione più naturale è anche la più praticata: DC spesso ama premiare il taglio diagonale senza palla dell’attaccante ad allargarsi.

Sarà interessante vedere come questo movimento potrà combinarsi con la capacità di Müller di muoversi senza palla e di dettare il passaggio negli spazi più fertili.

Il piede destro non è totalmente assente come per Robben, ma mostra comunque una qualità diversa. Ogni tanto prova anche il cross d’esterno sinistro da destra, ma è una soluzione che non sembra amare particolarmente. Soprattutto quando è schierato a destra non è un giocatore che offre grande profondità sugli esterni.

Schierato a sinistra Douglas Costa diventa un giocatore molto diverso. Potendo giocare col piede preferito dal lato “naturale”, il brasiliano non si accentra quasi mai, puntando il più delle volte la fascia verso il fondo, dando grande profondità. Da sinistra può sfruttare il suo incredibile piede sinistro per mettere palle tese nel mezzo, ma non crossa mai in maniera cieca, riesce sempre a osservare il posizionamento dei compagni e a mettere cross “ragionati”.

Voglio aprire un tumblr intitolato CROSS FORTI.

La qualità del sinistro di DC è impressionante. A volte sembra giocare con una palla più piccola, che può domare a piacimento, alternando tocchi dolci e scariche violente. Quando è a destra può rientrare sul sinistro e tirare di interno, ma se è a sinistra può tirare tranquillamente di esterno.

L’altro aspetto che va considerato è la pericolosità di DC negli spazi aperti. Istruito da Lucescu a interpretare ripartenze con cui arrivare alla porta avversaria in meno di dieci secondi, DC può condurre una transizione interamente da solo anche per sessanta metri.

L’ottima visione di gioco, abbinata al sinistro fantascientifico, fa sì che saltuariamente DC tenti anche dei lanci lunghi, raramente cambi di gioco, più spesso tentativi di ultimo passaggio. In ogni caso non stiamo parlando di un’ala dribblomane, come si potrebbe essere portati a pensare guardando i suoi video su YouTube. Douglas Costa è un talento completo, naturalmente predisposto al calcio associativo e con dei mezzi tecnici che lo rendono un giocatore potenzialmente molto incisivo a livello offensivo.

In questo terzo anno di panchina Pep Guardiola si gioca molto e i 30 milioni spesi per l’acquisto di DC sono un investimento forte, a cui in parte è legato il riscatto dell’allenatore catalano. DC non è un acquisto così “naturale” per Pep Guardiola, che finora ha sempre preso giocatori già affermati (Lewandowski, Benatia) o giovani col suo stesso background calcistico (Thiago Alcantara). DC rappresenta per certi versi un azzardo, o un ammissione dello stesso Guardiola della necessità di cambiare qualcosa nelle proprie strategie.

Difficile immaginare come DC possa riuscire a compensare l’apporto di Robben e Ribéry nell’immediato, soprattutto per quanto riguarda i numeri offensivi. Ma i Robben e i Ribery finiscono, e c’è bisogno di crearne di nuovi. Se con Douglas Costa Pep Guardiola non ha comprato il nuovo Robben ha senz’altro acquistato la pasta migliore per modellarne uno.

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