Alla fine Gabriel Fernando de Jesus ha lasciato il Palmeiras per accasarsi alla corte di Guardiola, dopo un lungo corteggiamento estivo che ha coinvolto anche Barcellona e Inter. Va premesso che si tratta di un ragazzo classe ’97 (nato e cresciuto nella periferia nord di San Paolo) che al Manchester City andrà a ingrossare la batteria di trequartisti future-proof: da gennaio dividerà lo spogliatoio col “veterano” Raheem Sterling (nato nel ’94) e col neo-acquisto Leroy Sané (’96); dovrà invece attendere per fare la conoscenza dei ragazzi terribili Marlos Moreno (un ’96 anche lui) e Patrick Roberts (addirittura un ’97) mandati in prestito a farsi le ossa, mentre è ancora incerto il futuro dell’altro classe ’97, Oleksandr Zinchenko. Insomma, il City ha pensato ai prossimi 5-6 anni, con una campagna acquisti insolita se paragonata a quelle roboanti degli scorsi anni: gli unici acquisti senior sono stati quelli di Gundogan (attualmente infortunato), Nolito e John Stones, ventiduenne ma con tre stagioni di Premier League alle spalle.
Parlare adesso di Gabriel Jesus espone ai soliti rischi che comporta analizzare un calciatore che non ha neanche vent’anni. Ciò nonostante, il suo nome ha generato suggestioni forse superiori a quelle che forse avrebbe meritato, dividendosi le attenzioni mediatiche con un altro potenziale fenomeno della prossima generazione, Gabigol, che lo affianca (insieme a Neymar) nell’assalto alla medaglia olimpica. Ma per ora, di che tipo di giocatore sia, non si è ancora parlato sufficientemente.
Iniziamo col dire che al bagaglio tecnico di Gabriel Jesus non manca nulla: raggiunge senza problemi il minimo sindacale che si richiede ad un ragazzo brasiliano per infiammare le fantasie (senza l’intenzione ovviamente di sminuirne le doti). Il suo calcio di destro è secco e pulito e gli consente di colpire il pallone in maniera potente oltre che precisa. Ha un ottimo dribbling, soprattutto se riesce a fermare il pallone e a sfidare l’avversario sul tempo, e un primo controllo favoloso, che gli permette di orientare la corsa nella direzione desiderata con rapidità ed efficacia.
Quello che, però, colpisce di più è la disciplina tattica insolita per la sua età. Di tanto in tanto, nel suo corpo di atleta s’intravedono le vestigia del ragazzino che si è fatto le ossa sull’asfalto delle strade di Jardim Peri: una finta con la spalla destra per sbilanciare l’avversario; un colpo di suola per eluderne l’intervento. Ed è solo in questi frangenti che riesco a intravedere la somiglianza con Robinho, più volte rimbalzata sui media. Ma dura il tempo di un lampo, è come un guizzo sotto una corazza di nuove abitudini costruita in allenamento: il gioco di Gabriel Jesus è essenziale e asservito all’esigenze di squadra.
Senso tattico
Gabriel Jesus è un’ala sinistra schierata a piede invertito e la sua azione preferita parte all’altezza della linea di metà campo: il giovane brasiliano si abbassa per ricevere il pallone, per poi provare a girarsi per scatenare la sua velocità in progressione. A volte, quando il pallone passa tra i suoi piedi, acquista nuova energia, come fa una biglia di ferro toccando una molla di un flipper, e altrettanta velocità guadagna la manovra della sua squadra. Altre volte gioca con un tocco in più, rallentando per aspettare il movimento di un compagno.
Qui sopra c’è un gesto tecnico notevole, ma non è importante il come, l’esecuzione, ma il perché delle scelte che compie Gabriel Jesus, che sono molteplici, complesse e sparse in un lasso temporale davvero breve. Circondato da tre uomini, controlla un campanile orientando il dribbling dall’unico lato libero dalla pressione di un avversario. Rallenta in maniera impercettibile, perché la linea laterale limita la sua corsa. Rallenta e valuta le sue opzioni: due avversari stanno per chiuderlo, di fronte e sul lato interno del campo; proseguendo l’azione sull’out potrebbe guadagnare il fallo laterale nella migliore delle ipotesi o perdere il pallone e favorire il contropiede avversario, nel peggiore dei casi. Nonostante la scelta più sicura sia quella di rigiocare il pallone all’indietro, Gabriel Jesus tocca il pallone due volte e accelera, dichiarando l’intenzione di volersi prendere la fascia. Col terzo tocco consecutivo sterza verso l’interno prima che lo spazio gli venga chiuso e si apre nuove possibilità. Rallenta di nuovo, aspetta che il difensore venga attirato fuori dalla linea per dare il pallone al compagno, nonostante lo scarico fosse già disponibile. Quindi scatta ancora, senza palla stavolta, per fiondarsi nel buco alle spalle del centrale.
In questa seconda azione, Gabriel Jesus vince un duello aereo grazie ad un eccellente stacco, che gli permette di colmare il gap tra la stazza del difensore e la sua altezza di un metro e settantacinque centimetri. Il pallone gli rimbalza davanti, sembra contare i passi per una conclusione ormai inevitabile, quando con un tocco passa il pallone lateralmente. È come se avesse fatto un rapido calcolo delle probabilità di segnare un gol da quella posizione e avesse scelto l’opzione più vantaggiosa. Il suo compagno di squadra non è riuscito a valutare l’ipotesi del passaggio, tant’è che resta sorpreso a sua volta e il suo controllo impacciato dà il tempo ai difensori di recuperarlo.
Il suo senso tattico gli permette di posizionarsi sempre correttamente: anche per questo Gabriel Jesus gioca bene da punta, soprattutto in transizione, meglio di quanto riesca a fare Gabigol. Ma c’è qualcosa in più, che sono riuscito a mettere a fuoco solo dopo aver letto le dichiarazioni di Antonio Careca su Gabriel Barbosa, rilasciate pochi giorni fa: «La cosa che più mi piace [di lui] è che pur essendo giovanissimo ha grande personalità. Ha un sinistro fantastico e un tiro molto potente. Ha un difetto, per il momento gioca ancora troppo da solo». Ecco la differenza più rilevante tra i due migliori prospetti del calcio brasiliano: Gabriel Jesus sa che ha bisogno dei compagni per rendere reale il suo potenziale, è consapevole del contesto e non pretende di risolvere la partita da solo, pur avendo più talento di chi lo circonda.
Anche sotto porta Gabriel Jesus è giocatore freddo ed essenziale, ma soprattutto rapido di pensiero. Qui sopra intuisce, non si sa come, le intenzioni del compagno. D’altra parte il passaggio al volo di petto è l’unico modo possibile per metterlo davanti alla porta. Gabriel Jesus si predispone per controllare il pallone e dopo il primo rimbalzo fredda il portiere.
In quest’altra sequenza, invece, il pallone gli arriva dopo un rimpallo fortuito, in maniera quindi completamente impronosticabile. Gabriel Jesus decide di fintare il tiro per ingannare il portiere e aprirsi una porzione dello specchio della porta ancora più grande. Reprimere l’istinto, rinunciare al tiro per cercarsi un’occasione migliore, non è affatto una scelta scontata per un diciannovenne. È il sintomo di una comprensione calcistica e di una consapevolezza circa i propri mezzi superiore alla media.
Salto triplo continentale
È ovvio che un giocatore di questa età e con queste caratteristiche deve nutrirsi di un contesto di squadra organizzato, o altrimenti deperisce. Mi sto riferendo alla rappresentativa olimpica brasiliana: nella prima parte della gara d’esordio, il Sud Africa ha messo in campo tutto quello che il Brasile non aveva, e cioè pattern di gioco preordinati, movimenti senza palla e interscambio delle posizioni. Nell’anarchia della sua squadra, Gabriel Jesus si è trovato presto schiacciato senza rifornimenti tra i difensori centrali avversari, con la dispotica tendenza di Neymar ad essere l’unico raccordo tra i reparti da un lato, e con Gabigol per lo più isolato, tra la linea laterale e il terzino avversario, dall’altro.
Gabriel Jesus deve scontrarsi oggi con una volatilità delle sue prestazioni, che è però caratteristica della sua età. Inoltre, per le peculiarità del calcio inglese, la sua crescita come calciatore deve necessariamente passare da un irrobustimento fisico; oltre che da una velocizzazione del suo processo decisionale, a causa dell’aggressività sul portatore di palla, come da consuetudine britannica.
Niente che il lavoro in allenamento e l’accumulazione d’esperienza non possa correggere. Il Manchester City è una società ricca e all’avanguardia e con alla guida della prima squadra uno dei migliori allenatori del mondo. Ma è anche un’azienda ansiosa di concretizzare in trofei gli investimenti fatti, in uno dei contesti più competitivi al mondo, quello della Premier League odierna. Visto anche il tipo di campagna acquisti, a Gabriel Jesus potrebbe essere richiesto un impatto immediato, quando invece sarebbe lecito credere che possa attraversare un periodo di transizione. Anche in considerazione del fatto che l’inserimento a stagione in corso nei meccanismi di una squadra e di uno spogliatoio è un’operazione molto complicata.
Forse per questo ragazzo era auspicabile un approdo più semplice, come fu il PSV Eindhoven per Ronaldo Luis Nazario da Lima. Proprio il Fenomeno, pochi giorni fa, ha dato la sua investitura a Gabriel Jesus (fattiva oltre che verbale: la sua società di marketing sportivo ne curerà l’immagine), intravedendo in lui le stimmate del futuro campione. E Tite, l’allenatore della Nazionale maggiore, sa quanto ne avrebbe bisogno il calcio brasiliano.