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I 10 giocatori più sottovalutati della Serie A
17 mag 2022
Giocatori di cui si parla troppo poco.
(articolo)
17 min
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Il concetto di sopravvalutati e sottovalutati è uno dei nostri preferiti. È il riflesso della nostra mania nel classificare ed esprimere giudizi sui calciatori e sul calcio in generale. Ma se dire che un calciatore è “forte”, “buono”, “scarso”, “utile” is for boys, ridurre tutto alla dicotomia sopravvalutato/sottovalutato is for men. Certo è un concetto ambiguo. Cominciamo col chiederci: sopravvalutato e sottovalutato da chi? È una domanda stupida ma rispondere non è semplice. Sottovalutato dai club che non lo pagano abbastanza, dalle valutazioni di transfermarkt, dalla stampa e dai media? Sottovalutato dall’opinione pubblica, o dal Pensiero Unico? O peggio, sopravvalutato o sottovalutato da un sofisticato complotto di agenti che ne pilotano il valore per cinici interessi personali.

Il concetto di sopravvalutato/sottovalutato ci affascina perché permette di posizionarci nel discorso pubblico. Addirittura, ci permette di metterci al di sopra di un presunto pensiero medio, è un’autodichiarazione di competenza. È uno smascheramento che, a seconda del caso specifico, è di maggiore competenze, maggiore furbizia, maggiore eticità. Un esempio. A settembre abbiamo pubblicato un articolo dedicato ai giocatori da prendere a uno al Fantacalcio, e ci abbiamo messo Nuytinck. Abbiamo ricevuto molte critiche perché insomma, quale lega di Fantacalcio è così idiota da permettere a qualcuno di prendere Nuytinck a uno? Sottovalutato forse, ma da chi non capisce nulla. (Nuytinck ha avuto peraltro una pessima stagione, forse non era un affare nemmeno prenderlo a uno).

Siccome non sono immune al fascino dell’uso di queste categorie, ho raccolto quelli che secondo me sono i dieci giocatori più sottovalutati del campionato italiano. Sottovalutati da chi? È un giudizio soggettivo, quindi ambiguo e criticabile: sono giocatori che mi sembrano sottovalutati nel discorso pubblico. Di cui si parla poco, poco celebrati e che giocano in squadre non di primissima fascia (o che giocando in squadre di prima fascia vengono criticati come se non dovrebbero). Giocatori che hanno avuto una stagione al di sopra delle aspettative, ma che forse non tutti hanno notato. Non ci sono molti giocatori offensivi, perché sono naturalmente quelli che tendono a essere meno sottovalutati.

Adrien Tameze

Il primo a sottovalutare Tameze è stato il suo allenatore, Igor Tudor, che ha iniziato la stagione lasciandolo in panchina, pensando di poter fare a meno di lui. Tameze col tempo è diventato titolare, e ci mancherebbe. È il segreto meglio nascosto della squadra più sorprendente di questa stagione di Serie A. Abbiamo parlato molto - e giustamente - delle rifiniture alla Baggio di Caprari, dell’eleganza alla Socrates di Ilic, delle giornate di fuoco del Cholito Simeone. Il Verona però è squadra di giocatori sottovalutati, e si parla troppo poco del martellante contributo sulla fascia di Lazovic e della classe da maratoneta di Barak. Il ceco gioca da due anni come uno dei centrocampisti migliori e più atipici del campionato, ma continuiamo a far finta di niente. (Lo avreste mai detto, che Barak è sesto in A per km percorsi?).

Di nessuno si parla poco però come di Tameze, che rende accettabili i rischi che si prende il Verona con un lavoro oscuro fatto soprattutto di corse in avanti e all’indietro, recuperi disperati, pressing scalmanati; ma anche di un lavoro con la palla completissimo. Tameze ha l’aria del mediano fisico, che dà equilibrio in fase difensiva, ma in una squadra sempre proiettata in avanti come il Verona si sgancia in molteplici zone di campo dove mostra un ottimo piede nelle rifiniture, e un abilità in spazi stretti quasi da ala. Completa un dribbling e mezzo per novanta minuti, usando soprattutto la sua reattività sui primi passi. Il suo contributo offensivo è notevole per un mediano: 4 gol e 2 assist.

I suoi numeri difensivi sono d’élite: è fra i migliori centrocampisti per duelli vinti, intercettazioni, blocchi. Copre porzioni di campo ampissime, sempre pronto a tamponare i problemi di un sistema che tende allo squilibrio come quello del Verona. Partendo da zone arretrate, diventa una delle armi più inattese della squadra di Tudor.


Ivan Provedel

Dove sarebbe lo Spezia, senza Ivan Provedel? Probabilmente in Serie B.

Lo Spezia è la sesta squadra in Serie A con la minor percentuale di tiri convertiti tra quelli concessi; nonostante sia a metà classifica per xG per tiro concesso. Riassumendo, concede diverse occasioni facili da segnare, eppure non è così semplice farle gol; sintomo che in porta c’è qualcuno che tende a fare molta resistenza. Secondo i dati Statsbomb Provedel è terzo tra i portieri di Serie A nell’indice che calcola i gol previsti post-tiro meno gol concessi. È dietro solo a Mike Maignan e David Ospina. Non si tratta solo di dati quantitativi, ma anche dell’impatto che Provedel ha avuto in singole vittorie fondamentali per la stagione dello Spezia. Vittorie che hanno tenuto la squadra fuori dalla zona retrocessione in passaggi molto delicati. Nella vittoria a San Siro contro il Milan la squadra di Thiago Motta è sopravvissuta per miracolo, per un po’ di fortuna ma anche per le parate incredibili di Provedel. Ce ne sono state diverse, ma la mia preferita è questa con i piedi sul tiro incrociato di Rafael Leao. Provedel è forse uno dei migliori portieri della Serie A a parare con i piedi le conclusioni basse e radenti.

Forse non è la miglior prestazione in assoluto di Provedel, che in casa contro la Roma ha compiuto almeno tre miracoli difficili da spiegare a livello fisico. Parate che però non hanno infine evitato la sconfitta della squadra.

Pur non avendo una tecnica di calcio che ruba l’occhio, Provedel è uno dei portieri più influenti nel gioco coi piedi lungo della sua squadra. È quarto in Serie A per lanci completati, per esempio. Dopo diverse stagioni in penombra, Provedel ha conquistato il posto da titolare nella seconda parte della scorsa stagione. Oggi, a 28 anni, è nel momento migliore della sua carriera e sta giocando a un livello su cui forse in pochi avrebbero scommesso una decina di anni fa, quando Provedel è venuto fuori dalle giovanili del Chievo: «Io ho sempre lavorato, e ci ho creduto, anche quando ho subito un brutto colpo e sono stato fermo. All’esordio presi 2 gol in 4 minuti contro la Fiorentina. Non ho pensato a nulla, se non a costruire ed oggi sono realista. Se questa doveva essere la mia carriera, ben venga». Il suo contratto scade tra un anno, si dice che possa andare via dallo Spezia in estate.


Nico Dominguez

Nico Dominguez ci ha messo più del previsto. Quando è arrivato in Serie A, nel 2020, aveva il curriculum perfetto. Il classico centrocampista argentino di lotta e di governo, disposto a farsi a pezzi per la propria squadra, ma al contempo con un piede raffinato quasi da fantasista. Il tipo di calciatore sudamericano che pare nato per giocare in Italia. Il fatto che lo avesse acquistato Walter Sabatini - uno dei suoi pochi acquisti nell’esperienza a Bologna - era un ulteriore certificato di garanzia. Dominguez ci ha messo più del previsto ad ambientarsi e ad assomigliare all’immagine che avevamo di lui, ma ha detto che la vittoria in Copa America gli ha cambiato la mentalità. Questo sarebbe stato l’anno della sua consacrazione, se non fosse stato per quell’incidente fisico all’inizio del girone di ritorno. Un infortunio alla spalla che lo ha costretto a un’operazione, e a saltare due mesi e mezzo densi di partite.

Dominguez si è fermato nel suo momento migliore, e quello in cui di più quest’anno il Bologna è sembrata una squadra in crescita, in marcia verso una direzione. Dominguez era l’anima della squadra. Il primo a correre in avanti e a chiamare il pressing, portentoso dei recuperi sulla trequarti, nell’aggressività con cui toglie l’aria alla metà campo avversaria. I numeri lo confermano. È fra i primi in Serie A per azioni di pressing in avanti, per recuperi palla offensivi, per contrasti vinti. Tutto questo in una stagione di generale flessione di intensità del Bologna, in cui la squadra di Mihajilovic ha abbassato il baricentro e diminuito le ambizioni. L’efficacia in pressing, però, è una delle dimensioni più clandestine del calcio, ed è stato difficile riconoscere l’eccezionalità di Dominguez quest’anno. Magari ci ha colpito qualche suo assist, dove ha messo in mostra piede e visione di gioco.

In passato ha detto che il suo modello di ispirazione è uno dei centrocampisti di culto più sfortunati del calcio argentino: «Vorrei essere un centrocampista alla Fernando Gago, un modello assoluto: negli ultimi miei sei mesi di Velez abbiamo giocato assieme. Lo stop già orientato verso lo sviluppo dell’azione l’ho appreso da lui, o il passaggio filtrante».


Emil Bohinen

Semplicemente, una delle chiavi più evidenti del grande finale di stagione della Salernitana. Con lui in campo la squadra di Nicola ha perso solo contro la Roma, la sua prima da titolare. Da quel momento in poi se ha tenuto un andamento da qualificazione europeo lo si deve ovviamente a molte cose, ma Bohinen forse è il singolo giocatore che più ha cambiato tatticamente il volto della squadra, e ci si chiede perché non giocasse fino a quel momento. Forse perché è arrivato solo l’ultimo giorno del pirotecnico mercato sabatiniano di gennaio, e per un norvegese che arriva dalla Russia può non essere immediato ambientarsi nella costiera amalfitana.

Una volta titolare, però, si è mosso fra i campi della Serie A come a casa sua. Bohinen resta fermo davanti alla difesa permettendo a Ederson e Coulibaly di giocare più proiettati in avanti. Gestisce il gioco con un sinistro delicato, buono anche per angoli e calci piazzati, ma non tocca poi molti palloni, anche per la manovra piuttosto asciutta e diretta della squadra di Nicola. Difensivamente sfrutta le leve lunghe per schermare passaggi e strappare palloni dai piedi avversari. Ha giocato così poche partite che è forse la scelta più azzardata di quest’articolo, ma sarebbe stato di cattivo gusto non sottolineare il suo spettacolare finale di campionato, nella squadra più spettacolare di tutte.


Maxime Lopez

Maxime Lopez sembrava una fissa di Roberto De Zerbi. Un giocatore estremamente singolare: un centrocampista di nemmeno un metro e settanta che non sembra saper fare niente di eccezionale, se non portare palla molto bene. Un mini-centrocampista a cui è impossibile togliere il pallone, ma che con quel pallone non sembra poter fare niente di troppo interessante. Insomma, un giocatore fumoso, utile in ciò che è inutile. Un fenomeno a resistere al pressing in un campionato in cui non si pressa. Quest’anno, con un allenatore diverso da quello che l’ha acquistato, e un gioco più diretto - teoricamente meno in linea con le sue caratteristiche - Maxime Lopez ha giocato una grande stagione.

Il modo in cui porta palla rimane la parte eccezionale del suo gioco. Col baricentro basso, muove la palla a piccoli tocchi, sterza e controsterza in spazi in cui agli altri giocatori è concesso un unico movimento. A volte pare troppo piccolo per coprire un campo da calcio nella sua interezza, ma pochi legano centrocampo e attacco come lui, in pratica trasportando fisicamente la palla negli ultimi metri; è un giocatore che sbaglia poco, un centrocampista preciso. Eppure il suo contributo difensivo è sottovalutato, forse perché fatichiamo ad accettare l’idea che un centrocampista così minuto possa essere così determinante nel recupero palla.

https://twitter.com/StatsBomb/status/1519998652864991233


Mario Rui

Con gli occhi spiritati, l’aria sempre stressata e un'attitudine polemica da avvocatuccio, Mario Rui sembra sempre sul punto di una crisi di nervi. Simbolo suo malgrado della cervellotica delusione vissuta dal Napoli in questa stagione - una squadra partita per arrivare in Champions che ha trovato il modo più drammatico possibile per dare l’impressione di aver buttato il campionato. In questa stagione, come in quelle precedenti, Mario Rui si messo la croce sulle spalle, quella del giocatore delle mancate ambizioni, della nostalgia per Faouzi Ghoulam, della catena di sinistra d’oro dell’ultimo decennio di Serie A.

Tutte colpe non sue, certo. Perché Mario Rui in realtà è un ottimo terzino, stranamente diventato capro espiatorio dei sogni mancati della sua tifoseria. La sua stagione è stata sottovalutata.

Se Mario Rui è sempre stato un pupillo di Maurizio Sarri, è soprattutto per un’abilità da regista basso di ottimo livello. Mario Rui ha un ottimo piede sinistro, ma soprattutto è un giocatore con letture di gioco non banali, soprattutto in fase offensiva. In questi anni è stato usato come una specie di coltellino svizzero: largo in una posizione più tradizionale, o stretto da falso terzino per sfruttare la sua capacità di palleggio in zone centrali - e per avere più schermo difensivo in caso di perdita del pallone. Mario Rui ha sempre dimostrato movimenti e tempi di gioco da centrocampista, e col tempo è diventato stranamente influente sulla manovra del Napoli. Forse anche per questo i suoi tifosi hanno cominciato a sviluppare una certa intolleranza nei suoi confronti. Mario Rui tocca sempre molti palloni, troppi palloni, e sembra una perversione del Napoli, dare sempre la palla a questo piccolo terzino portoghese molto nervoso. Mario Rui in effetti è nel 94esimo percentile per passaggi tentati fra i terzini dei cinque maggiori campionati, quindi uno degli esterni bassi che gioca più palloni. Lo fa sempre però con molta qualità, sbagliando raramente una scelta, e con un contributo offensivo troppo trascurato. È sesto in Serie A per passaggi chiave fra i terzini. Ogni estate sembra che il Napoli debba sostituirlo - è troppo lento, è troppo basso, è troppo antipatico, si dice - ma ogni anno resta al suo posto, nessuno sembra in grado di fregarglielo.

Magari non sarà Trent Alexander Arnold, ma è la versione che possiamo permetterci in questa Serie A.


Petar Stojanovic

Restando tra i terzini, forse nessuno vive la sproporzione più assurda tra quanto ha giocato bene e quanto poco se ne è parlato, di Petr Stojanovic. Arrivato in estate dalla Dinamo Zagabria in prestito, è diventato uno dei migliori terzini destri della Serie A senza che sostanzialmente nessuno se ne accorgesse. Quando è stato presentato ad agosto ha fatto una conferenza stampa nel silenzio più generale, e ha spiegato che gli piace più attaccare che difendere, ma che insomma, lo sapeva che quella era la Serie A. (Se fate caso si sente distintamente il fruscio del nulla).

Stojanovic si è adattato, giocando un’ottima fase difensiva, ma è col pallone che ha mostrato delle qualità speciali. Per una squadra che gioca con un rombo stretto come l’Empoli gli esterni bassi diventano essenziale per regalare ampiezza alla manovra, e a destra Stojanovic ha fatto un lavoro enorme, soprattutto nelle conduzioni del pallone e nei passaggi in diagonale con cui innesca le azioni sempre ben codificate della squadra di Andreazzoli. Stojanovic è un dei migliori del ruolo per passaggi progressivi, ed è il terzino della Serie A che completa più dribbling. Ha un frequenza di passo notevole e una tecnica non banale nell’uno contro uno. Nei suoi dribbling è essenziale, di certo non ruba l’occhio e ogni volta che salta l’uomo è sempre un tantino sorprendente. Con le sue corse può andare sul binario per cercare la rifinitura, oppure correre in diagonale verso il centro come i terzini contemporanei. Nei cross non ha un piede particolarmente sensibile, ma ha una dote notevole: sa quando e dove crossare.

A 26 anni gioca titolare nella Nazionale slovena e ha accumulato già esperienza nelle coppe europee col Maribor e con la Dinamo Zagabria. In un ruolo cronicamente carente di interpreti di livello, Stojanovic può essere uno dei terzini più ambiti in Italia della prossima estate.




Sasa Lukic

Tra i vari meriti di Ivan Juric c'è quello di aver trovato un senso alla carriera e al talento di Sasa Lukic, centrocampista serbo di cui si parla bene da anni anche se finora nessuno aveva capito bene il perché. Nei piani satanici di Juric, Lukic si è imposto come una vera e propria belva da pressing. Un centrocampista dal fisico asciutto, potente nei duelli corpo a corpo e con un'inclinazione spietata al fallo. Nella squadra che commette più falli in Europa, Lukic è il principe: con 84 falli commessi in stagione, troneggia in questa classifica calcolando i cinque maggiori campionati europei. Non ha il passo da carrarmato del compagno di reparto Pobega, ma fra i due Lukic è quello che si è assunto più responsabilità da regista. Non in senso tradizionale. Lukic non è certo tra quei centrocampisti che amano dirigere le operazione fermi dalla torretta di comando: è un regista dinamico, che organizza il gioco della squadra soprattutto portando palla (è nel 91esimo percentile per corse progressive nei cinque maggiori campionati) e trascinando la sua squadra negli ultimi metri. Ha uno stile diretto e verticale, ma nelle sue scelte è anche incredibilmente lucido. Perde pochi palloni e anzi il suo problema, a volte, è quello di prendere scelte eccessivamente conservative. Un aspetto, comunque, su cui è sembrato crescere lungo il corso della stagione, come dimostra lo splendido filtrante contro lo Spezia su cui Brekalo ha poi guadagnato il calcio di rigore.

I candidati per questo pezzo nel Torino erano diversi, e oltre a Lukic bisogna per forza menzionare Tommaso Pobega e Josip Brekalo, almeno fino a quest'estate: il croato ha fatto sapere al Torino che non vuole restare e probabilmente in estate il Wolfsburg lo metterà sul mercato e vedremo quanto sarà valutato.


Jakub Kiwior

Quello del mediano difensivo sembra un ruolo estinto. Di certo è difficile trovare interpreti giovani di alto livello, anche perché forse è difficile capire cosa si richiede al ruolo, in che modo una squadra ricerca il suo equilibrio difensivo. Jakub Kiwior è entrato fra i titolari dello Spezia a gennaio, e dopo qualche partita di rodaggio lo Spezia ha cambiato il proprio rendimento. In quel mese ha messo insieme 4 risultati utili consecutivi - fra cui una vittoria a San Siro - che sono stati decisivi poi per la promozione.

Kiwior ha esordito a dicembre contro l’Inter da difensore centrale, il suo ruolo naturale, quello in cui si è rivelato con la maglia dello Zilina. È lo stesso club di Milan Skriniar, che fu portato in Italia da Pecini, che oggi è ds dello Spezia. È stato Thiago Motta a spostarlo mediano con grandi risultati. Certo, la sua interpretazione del ruolo è brutalmente difensiva. Con la palla combina davvero poco, ma è attento a non perderla, a fare l’essenziale. Tocca palla talmente poco che è anche difficile giudicare: durante la costruzione del gioco lo Spezia lo aggira come se fosse un ostacolo fisico, come giocare con un palo in mezzo al campo che ostruisce la visuale. Su di lui Thiago Motta ha detto cose belle: «Avevamo bisogno di un giocatore che desse equilibrio e l’abbiamo trovato con Jakub. Ha giocato poco all’inizio, ma si è allenato molto bene. Ha giocato a San Siro la sua prima partita, da centrale che è il suo ruolo. In allenamento lo abbiamo provato a centrocampo: è intelligente e lavora tantissimo e penso sia un ruolo difficile ma riesce a farlo con capacità. Ci dà equilibrio e noi lo cercavamo».

Mettiamola così: tecnicamente Kiwior è troppo povero per essere un centrocampista, ma è ottimo per essere un difensore. In Nazionale Under-21 polacca gli è capitato anche di giocare terzino. I suoi numeri difensivi, da mediano, sono mostruosi. È nell’eccellenza assoluta per intercetti, blocchi, contrasti, pressing. Uno dei giocatori più peculiari della Serie A, ma anche dei più interessanti in prospettiva.




Cristiano Biraghi

Sinceramente non so se Cristiano Biraghi si possa davvero definire un sottovalutato. Ha giocato in una grande squadra come l'Inter, ora è nella Fiorentina e poco tempo fa ha battuto la fascia sinistra della Nazionale italiana. Tuttavia, forse, non si è sottolineato abbastanza il livello della sua stagione. Escluso Theo Hernanez, non esiste un terzino così influente per il gioco della propria squadra. La Fiorentina esce preferenzialmente dal suo lato e infatti è, fra i giocatori con più di duemila minuti giocati, dietro solo Milenkovic per passaggi completati. Biraghi però è tutt'altro che conservativo palla al piede, e sebbene il suo sinistro non sembra sempre dolcissimo, ha una visione di gioco notevole e una capacità sottovalutata di trovare traiettorie velenose nei suoi passaggi in diagonale. Il suo output statistico, del resto, è mostruoso; secondo i dati Statsbomb è fra i migliori terzini nei cinque maggiori campionati per azioni che portano al tiro (96esimo percentile), xA (85esimo) e tiri (87esimo). In un calcio in cui la capacità balistica dei terzini è una qualità sempre più ricercata, un po' a sorpresa Cristiano Biraghi si sta affermando come uno dei migliori interpreti del ruolo.


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