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I 10 momenti che ricorderemo del 2022 nel basket
30 dic 2022
Un anno memorabile sotto tanti punti di vista.
(articolo)
11 min
(copertina)
Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
(copertina) Nathaniel S. Butler/NBAE via Getty Images
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La stoppata di Ja Morant contro i Lakers

Ja Morant ha cominciato il 2022 come un giovane intrigante in una squadra interessante e l’ha finito facendo debuttare la sua signature shoe nella partita di Natale contro i campioni in carica. In mezzo c’è stato di tutto, in un turbinio di giocate sensazionali e di delusioni cocenti, di voli incredibili e infortuni nel momento sbagliato come quello che lo ha tolto dai giochi al secondo turno dei playoff. La prima cosa che sono andato a controllare per questa classifica è se fosse stata in una data utile per ricadere nel 2022, e quando ho visto che è del 10 gennaio ho percepito una scarica di soddisfazione attraversarmi il corpo.

Il mio dettaglio preferito: i due passettini che fa all’altezza di metà campo per rallentare e prendere meglio il tempo in vista della rincorsa e della stoppata. Se avesse accelerato subito, non avrebbe avuto la pista di decollo libera per andare a inchiodare la palla al tabellone, e non avremmo mai avuto tutto questo.

Avrei potuto scegliere anche la schiacciata supersonica su Jakob Poeltl o il buzzer beater cadendo fuori dal campo (entrambe avvenute contro San Antonio a distanza di pochi minuti l’una dall’altra!), oppure la schiacciata volando sopra Malik Beasley. Eppure quella stoppata contro i Lakers rappresenta un microcosmo di Morant, che prima perde stupidamente un pallone in attacco e poi rimedia con una giocata che solamente lui e pochissimi altri riescono a fare anche nella lega più atletica del mondo. Una di quelle giocate che puoi mostrare anche a chi non capisce assolutamente niente di pallacanestro per poi sentirgli dire stupefatto: ma davvero l’essere umano è in grado di fare una cosa del genere?

Lo scambio Harden-Simmons

È passata talmente tanta acqua sotto i ponti, sia a Brooklyn che a Philadelphia, tanto da dimenticarsi che lo scambio che ha portato James Harden ai Sixers e Ben Simmons ai Nets è avvenuto quando appena era cominciato febbraio. Uno scambio che, col senno di poi, ha rappresentato più una fine che un inizio: la fine del lungo e tormentato rapporto di Simmons coi Sixers, a seguito di quella gara-7 di playoff contro Atlanta finita nell’ignominia, ma anche di quello durato appena un anno tra Harden e i Nets, mettendo fine alla Più Grande Squadra Sulla Carta nella storia della NBA.

Abbiamo visto assieme Durant, Harden e Irving appena per appena 16 partite tra regular season e playoff sulle 113 possibili, ma in quelle 16 sono sembrati semplicemente ingiocabili nella metà campo offensiva, una macchina capace di rendere del tutto superfluo il fatto che in difesa non fossero la stessa cosa. Peccato però che a livello di personalità non si siano incastrati nel verso giusto, anche perché Harden sembra che non si sia proprio innamorato della vita fuori dalla culla di Houston (e il problema si sta riproponendo anche a Philadelphia, con un rapporto non esattamente decollato con Joel Embiid e Doc Rivers). Nè Sixers né Nets hanno particolarmente goduto dello scambio, tanto che a oggi non si può nemmeno dire chi lo ha vinto per davvero: anzi, sembra che ci abbiano perso entrambe.

I due buzzer beater in fila di DeMar DeRozan

C’è stato un momento all’inizio del 2022 nel quale non era così fuori dal mondo pensare che DeMar DeRozan fosse l’MVP della stagione. In due sere consecutive DeRozan ha segnato un buzzer beater per vincere la partita, prima contro gli Indiana Pacers (con un assurdo tiro su un piede solo) e poi contro gli Washington Wizards (mandando per aria non uno ma due difensori nello spazio di frazione di secondo), allungando a sette la striscia di vittorie dei Bulls (sarebbero poi state nove) e facendo pensare, almeno per un fugace momento, che potessero giocarsi qualcosa.

“DeMar DeRozan Delivers” è una delle miglior frasi in telecronaca dell’anno.

Da lì in poi in realtà il 2022 di Chicago è stato più che altro un disastro fino all’eliminazione al prim turno dei playoff contro dei Milwaukee Bucks che non hanno messo neanche la seconda marcia, e DeRozan, comprensibilmente, non è riuscito a mantenere il livello assurdo dei primi mesi di regular season. Però queste liste di fine anno servono anche a questo: a ricordare alle squadre e alle tifoserie depresse — ora come ora i Bulls hanno un record nettamente perdente e sono fuori anche dalla zona play-in — che un tempo non molto lontano sono stati felici.

La gara-6 di Jayson Tatum a Milwaukee

Esattamente come i punti non si contano ma si pesano, le grandi prestazioni non vanno considerate sotto una teca, ma assumono maggiore valore nel contesto in cui vengono realizzare. Segnare 46 punti in una partita di playoff sarebbe valevole di una citazione in questa classifica quasi da solo, ma farlo con la propria squadra sotto 3-2 nella serie, dovendo giocare in trasferta sul campo dei campioni in carica guidati da un Giannis Antetokounmpo da 44 punti con 20 rimbalzi e con tutta l’inerzia di una rimonta alle spalle, è tutt’altro conto.

Come si suol dire: one for the ages.

La gara-6 da 46 punti (di cui 16 nel solo ultimo quarto) di Jayson Tatum contro Milwaukee è la singola prestazione più importante e impressionante del 2022, una di quelle gare in grado di cambiare da sola la storia di una post-season. Cosa ne sarebbe ora dei Boston Celtics se invece di perdere in finale contro i Golden State Warriors fossero stati eliminati al secondo turno da Milwaukee? E cosa ne sarebbe stato del titolo di Golden State se sulla loro strada ci fosse stato Giannis (magari con Khris Middleton in campo) invece degli acerbi Celtics?

Il meltdown di Phoenix in gara-7 contro Dallas

La storia non si fa solo con i momenti belli, ma purtroppo per i Phoenix Suns anche con quelli brutti. Il modo in cui la miglior squadra della NBA, una capace di vincere 64 partite di regular season, ha perso gara-7 in casa contro i Dallas Mavericks al secondo turno è stato il momento più scioccante dell’anno. Perché ci sta perdere, specialmente contro un avversario del livello di Luka Doncic, ma perdere così — senza mai essere competitivi in una partita di playoff senza domani davanti al proprio pubblico, dopo che l’anno precedente eri arrivato fino alle Finals — è un meltdown con pochi precedenti nella storia della NBA.

E dire che all’inizio del secondo quarto i Suns erano sotto solo di 7 lunghezze; poi hanno alzato la testa e all’intervallo erano sotto di 30 e la loro stagione così promettente era già finita.

Come ci si rialza da una sconfitta del genere? Questi mesi di regular season non hanno ancora dato una risposta: dopo quel ko c’è stata la lunga querelle del contratto di Deandre Ayton, che alla fine è stato confermato, e finché sono stati in salute in questo inizio di stagione i Suns sono riusciti comunque in qualche modo a rimanere ai primi posti della Western Conference. Ma quante scorie emotive ci sono ancora nel gruppo di Monty Williams? La risposta la avremo solamente nel 2023, ma tutto nasce da qui.

La gara-4 (e le Finals in generale) di Steph Curry

Se in questo momento i Celtics sono solo vice-campioni NBA e non campioni è per quello che si è inventato Steph Curry durante le Finals e in particolare in una gara-4 in cui Golden State sembrava morta e sepolta, travolta dall’atletismo e dalla freschezza dei Celtics. Invece Curry nel secondo tempo di quella partita ha ribaltato la serie come un calzino della Befana dal quale sono uscite una grandinata di giocate una più incredibile dell’altra, in quella che a tutti gli effetti passerà alla storia come la sua miglior prestazione ai playoff della carriera.

Oppure, per usare le parole di Steph Curry: “La mia partita preferita della carriera. Perché se fossimo andati sotto 1-3, chissà se avremmo mai avuto l’opportunità di vincere un altro titolo”

Anche qui, il contesto conta: i Celtics si erano presentati a quelle finali con la miglior difesa della lega e il pubblico del TD Garden aveva mandato completamente fuori giri Draymond Green, costringendo Steve Kerr a toglierlo dal campo per la disperazione. In uno scenario senza più alcuna speranza, Golden State come al solito ha acceso un cero davanti all’altare di Steph Curry e ha pregato che li tirasse fuori con la sua Grandezza: la risposta è stata una prova da 43 punti che è entrata di diritto nei libri di storia.

Paolo Banchero prima scelta assoluta al Draft

Purtroppo nel 2022 non abbiamo avuto la conferma definitiva che Paolo Banchero vestirà la maglia dell’Italia nel corso della sua carriera (ma rimaniamo ottimisti: finora non c’è stato un singolo elemento evidente che faccia pensare il contrario), ma in ogni caso vederlo scelto alla prima assoluta rimane un momento memorabile di questa stagione. Anche se non è ancora mai venuto in Italia, è inevitabile che Banchero con la sua storia sia già diventato “uno di noi”, non fosse altro perché con Duke si è affermato come uno dei talenti più intriganti del panorama cestistico statunitense.

E poi diciamocelo: che stile aveva quel completo viola?

La scelta di Banchero alla uno da parte degli Orlando Magic si è poi portata dietro una carica drammatica che sarebbe stata notevole anche senza il nostro coinvolgimento emotivo: fino a poche ore dal Draft tutti gli “insider” erano concordi nel sostenere che Jabari Smith Jr sarebbe stato scelto alla uno, anche se i movimenti degli scommettitori si erano già spostati in maniera strana sul nome di Banchero per la numero 1. Sembrava un buco nell’acqua, invece avevano ragione loro: lo stesso Banchero dice di essere rimasto sorpreso quando gli hanno mostrato tutte quelle scommesse su di lui e che la conferma definitiva della sua scelta da parte dei Magic gli è arrivata solo pochi minuti prima della chiamata effettiva, in uno dei colpi di scena della storia del Draft.

La vittoria dell’Italbasket contro la Serbia

Prendiamoci una posizione di pausa dal mondo della NBA per celebrare il singolo momento più esaltante per la nostra pallacanestro nel 2022, l’ottavo di finale contro la Serbia di Nikola Jokic e Vasilije Micic. Già nel 2021 l’Italbasket aveva fatto un’impresa vincendo a Belgrado per qualificarsi di nuovo alle Olimpiadi 17 anni dopo l’argento di Atene, ma quella volta non c’era in campo Jokic. Questa volta invece uno dei tre migliori giocatori del mondo era regolarmente in campo e anche in una versione da 32 punti e 13 rimbalzi, alla guida di una squadra che aveva chiuso i gironi dando ampiamente segnali di poter vincere anche l’oro.

Invece la squadra di Gianmarco Pozzecco (e guidata da Edoardo Casalone dopo l’espulsione del coach) è stata in grado di rimontare da -14 e vincere il secondo tempo 49-35 con enorme merito. L’Italia non ha rubato niente: è stata la squadra migliore in campo contro una delle nazionali più forti d’Europa e contro uno dei migliori giocatori al mondo, punendo sistematicamente ogni loro mancanza ed eccesso di sicurezza. E regalandoci un ricordo che sinceramente fa venire la pelle d’oca ogni volta che lo si riguarda.

La sequenza stoppata di Melli su Jokic più tripla in step back di Polonara rimane una vetta ineguagliata di questo 2022 dal punto di vista emotivo.

Il pugno di Draymond Green a Jordan Poole

Forse tra qualche anno ricorderemo il titolo di Golden State come il canto del cigno di una dinastia che ha fatto la storia del gioco, raggiungendo sei finali NBA in otto anni e vincendo quattro titoli. Ma se dovremo indicare l’inizio della fine, ci sono buone possibilità che sarà il pugno di Draymond Green in allenamento contro Jordan Poole. Forse il singolo momento più assurdo del 2022 in NBA, anche e soprattutto perché di quel pugno abbiamo poi anche avuto le immagini, in una fuga di notizie che non sembrava possibile a quel livello di organizzazione.

Tra i tanti dettagli incredibili di questo video — dall’atteggiamento dei compagni che rimangono per lo più fermi (e forse nemmeno sorpresi?) alla violenza con cui Green mette tutto il peso dei suoi oltre 100 chili in quel pugno — l’atteggiamento dell’assistente Ron Adams è quello che mi uccide ogni volta. Lui c’era arrivato prima di tutti che qualcosa stesse per succedere ma non è riuscito a evitarlo, e dopo l’incidente rimane con le braccia sui fianchi come a dire: ‘Questa è la fine della nostra dinastia’.

Per la verità Green e Poole in questo scorcio di stagione sono stati molto bravi a non tornare sull’episodio, anche perché Poole ha avuto un 130 milioni di buoni motivi per non farlo dopo la sua estensione di contratto, ma non mi stupirebbe se tra qualche anno — o tra qualche mese, visto che Green può uscire dal suo accordo con gli Warriors a fine anno — la scatola nera di questo episodio venisse resa pubblica. D’altronde Steve Kerr lo ha definito come «il momento più difficile da gestire da quando sono qui agli Warriors», e rappresenta un microcosmo delle difficoltà che Golden State sta avendo anche in campo a mescolare i Cavalieri dello Strenght In Numbers (Green, Curry, Thompson e Iguodala) con il gruppo dei Wannabe Grandi Warriors del Futuro (Poole, ma anche Wiseman, Kuminga e Moody).

L’anno in cui ci ha lasciati Bill Russell

Il 2022 rimarrà anche l’anno in cui la NBA ha perso il suo padre fondatore. Perché Bill Russell era l’anima della lega afro-americana per eccellenza, e non è un caso che per la sua morte ci siano state una serie di celebrazioni e di onorificenze quali il numero 6 su tutte le maglie e su tutti i campi della lega, il ritiro del numero per le 30 squadre (tranne per i giocatori che lo indossano già, che potranno tenerlo fino alla fine delle loro carriere — come nel caso di LeBron James) e un ricordo che rimane vivido per tutto quello che ha rappresentato. Da quest’anno la NBA ha associato il nome di una leggenda a tutti i suoi premi individuali, ma quello per l’MVP delle Finals era intitolato a lui già da tantissimo tempo, precursore anche in quello. Il 2022 è solo l’anno in cui Russell non è più fisicamente tra noi, ma il suo ricordo rimarrà per sempre non solo nella NBA, ma nella storia dello sport.

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