Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
I migliori a calciare le punizioni (2000-2020)
07 mag 2020
Abbiamo scelto i migliori specialisti dei calci piazzati degli ultimi vent'anni.
(articolo)
20 min
Dark mode
(ON)

La serie sui migliori giocatori degli ultimi vent'anni in un particolare gesto tecnico continua con il fondamentale che più avvicina il calcio a uno sport individuale: il calcio di punizione. Dalla lista sono rimasti fuori specialisti come Pjanic e Kolarov, una leggenda come Roberto Carlos, che abbiamo scelto di escludere per motivi temporali (la sua punizione più famosa, quella contro la Francia, è del 1997), e anche Cristiano Ronaldo, che statisticamente ha segnato molto su punizione ma è diventato meno efficace negli ultimi anni. Vale la solita regola: abbiamo provato a essere il più oggettivi e universali possibili, ma il gusto soggettivo in questo tipo di liste è ineliminabile. Come sempre, segnalateci nei commenti chi e perché secondo voi avrebbe meritato di entrare in questa lista se fosse stata più lunga. Buona lettura!

Alessandro Del Piero

Cambiavano i palloni, cambiavano i compagni, cambiava l’assetto geopolitico intorno a lui, ma in 20 anni di carriera Del Piero ha continuato a tirare le punizioni allo stesso modo, di interno collo - quasi di piatto - colpendo il pallone “sotto” per dargli una traiettoria a giro che prima sale per superare la barriera e poi a scende per infilarsi nella zona di porta lasciata scoperta dal portiere. L’alternativa era quella di tirare sul suo palo, colpendo il pallone più forte e secco, ma sempre con la stessa postura, il corpo leggermente piegato all’indietro, il braccio sinistro che si apre per poi richiudersi seguendo il movimento della gamba. Un modo di calciare che possiamo definire quasi “da manuale”, se esistesse un manuale per tirare bene le punizioni, un fondamentale che ogni calciatore interpreta a modo suo.

Del Piero è stato un grandissimo tiratore di punizioni perché sapeva calciare divinamente un pallone (non danno il tuo nome a un modo di tirare per caso). Le sue punizioni erano efficaci perché riusciva a dosare bene potenza e precisione: non erano “foglie morte” ne “bombe”, erano una via di mezzo. Se come ho scritto ha calciato per venti anni punizioni tutte uguali, a guardare nel dettaglio, in tutte quelle vincenti c’è sempre un minimo aggiustamento, una parabola leggermente più stretta se la barriera è piazzata male, un tiro più potente se il portiere è troppo al centro, un guizzo d’astuzia, d’esperienza. Per i tifosi la sublimazione di questa capacità è la punizione segnata contro la Lazio, l’ultimo anno di Del Piero in maglia bianconera, l’anno passato in panchina mentre Pirlo si prendeva il posto di miglior tiratore di punizioni in bianconero. Mentre il compagno sta discutendo con l’arbitro per la distanza, come preso da improvvisa fretta Del Piero calcia d’interno collo facendo passare il pallone sul lato destro della barriera e di Marchetti. Con quel gol contribuì in maniera decisiva allo Scudetto, un gesto d’addio simbolico e speciale.


Juninho Pernambucano

Ridotta all’osso, la capacità di calciare le punizioni consiste nel mettere la palla in un punto in cui il portiere non può arrivare. Quasi sempre, alle spalle della barriera. Non è facile in pratica, ma in teoria è una semplice questione geometrica. Chi non ha fatto passare la palla sopra la barriera almeno una volta in vita sua? La cosa che rende speciali alcuni calciatori di punizioni - oltre alla quantità di calci piazzati che sono stati in grado di trasformare in gol - è la capacità di affrancarsi da questa legge di base segnando anche sul palo del portiere, o da così lontano che in teoria il portiere stesso avrebbe dovuto fare in tempo a coprire tutta la porta. I più grandi tiratori di calci di punizione, poi, un’élite ristrettissima (di cui fanno parte quasi tutti quelli in questa lista), è composta da quelli che segnano grazie alla traiettoria che danno alla palla. Quelli che per far compiere alla palla il tragitto dal punto A al punto B non scelgono un percorso rettilineo, né una curva morbida da goniometro, ma una linea a zig-zag. Quelli che fanno gol perché hanno ingannato il portiere.

Juninho Pernambucano ha segnato 77 gol su punizione in carriera ma, oltre alla costanza con cui ha esercitato il suo talento speciale, è incredibile la fantasia con cui è riuscito a far entrare in porta alcuni palle. Ha calciato da posizioni così proibitive che persino voi avreste accettato di scommettere qualche soldo pensando che avreste potuto parare il suo tiro. Alcune punizioni di Juninho danno l’impressione che il suo vero potere fosse quello di cambiare la materia di cui era fatto il pallone, rendendolo più leggero o più pesante a seconda del punto della traiettoria in cui si trovava. Quando il portiere capiva dove era diretto il pallone era troppo tardi, oppure la palla cambiava nuovamente direzione. Al tempo stesso le traiettorie delle punizioni migliori di Juninho erano incredibilmente precise, finivano esattamente all’incrocio dei pali, se non proprio sulla parte interna del palo stesso.

Juninho destava la nostra curiosità, non c’era solo l’attesa di vedere il pallone entrare ma anche la sorpresa per come era entrato. Le sue punizioni erano un rebus che non avremmo risolto neanche con carta e penna e per cui i portieri non potevano prepararsi in alcun modo (tranne, forse, quelli che con Juninho ci si sono allenati). Più calciava da lontano, più le sue traiettorie erano piene di tranelli. Contro l’Ajaccio, nella stagione 2005/06, ne ha segnata una da più di quaranta metri, qualche metro dopo il cerchio di centrocampo, calciando anche piuttosto centralmente: dall’inquadratura dietro il portiere si vede che la palla cambia un paio di volte direzione e se guardate solo il portiere, i suoi passettini nervosi sul posto, capirete quanto era impossibile leggere quella traiettoria.


Andrea Pirlo

Quando pensiamo ad Andrea Pirlo, per prima cosa pensiamo al modo unico in cui il pallone usciva dal suo piede. Di tutte le sue qualità, il rapporto speciale che aveva con la “sfera” era la più sensazionale. L’ha trattata come l'oggetto di un lungo e metodico esperimento scientifico che non si è mai interrotto. Nel corso degli anni ha calciato il pallone con ogni parte del piede ricavandone sempre il massimo in termini di efficienza e traiettorie, come un golfista abilissimo nello scegliere il ferro più adatto a ogni tipo di colpo. È stato lui, ad esempio, a mutuare il calcio di Juninho Pernambucano fino a creare quel tipo di punizione che Caressa avrebbe ribattezzato “la maledetta”. «La palla andava calciata da sotto, usando le prime tre dita del piede. E il piede andava tenuto il più dritto possibile e poi rilasciato con un colpo secco. In quel modo la palla in aria restava ferma e, a un certo punto, scendeva velocemente verso la porta, girando con l’effetto» così Pirlo ha descritto questo particolare tiro, che per un certo periodo - legato anche a certi palloni - ha avuto tanto successo.

Però limitare Pirlo a un calciatore di punizioni freak, una specie di mago dell’illusione, sarebbe sbagliato. Pirlo ha segnato punizioni prima di giocare nel Milan e soprattutto dopo, con la maglia della Juventus. In bianconero, forse anche perché non aveva compagni a contendergli il ruolo, il suo score su punizione è ulteriormente migliorato. In alcuni momenti sembrava una sentenza. A quel punto tirava quasi con gli occhi chiusi, scegliendo se usare “la maledetta”, un tiro classico oppure se calciare di potenza. A vederlo prepararsi alla battuta sembrava davvero un maestro - il suo soprannome - in uno di quei film sull’arte del karate. In totale in carriera ha segnato 46 volte da calcio da fermo e forse mai per due volte allo stesso modo. Personalmente le punizioni di Pirlo che preferisco, quelle dove mi è sembrato più invincibile, sono quelle con la Nazionale Under-21, quando ancora non era un campione riconosciuto. In un periodo in cui le punizioni venivano tirate forte da lontano e a giro sopra la barriera da vicino, Pirlo sembrava già un innovatore capace di teleguidare il pallone col suo piede magico come avrebbe continuato a fare per molti anni a venire.


David Beckham

Ci sono stati di sicuro tiratori di punizioni più efficaci - 65 gol sono tanti, c’è chi ne ha fatti di più - ma nessuno più elegante di David Beckham. La sua rincorsa iconica, in cui trasformava il suo corpo in una flessuosa catapulta, era perfetta. Due passetti di preparazione, uno leggermente all’indietro, poi la vera rincorsa; il braccio sinistro teso in orizzontale, il corpo piegato all’indietro, infine il calcio, pieno e dolce con l’interno del piede. Quando guardava la porta, fermo con gli occhi stretti e concentrati, sembrava un cowboy. Cristiano Ronaldo è tutta la carriera che prova a replicare lo stesso effetto. A dire il vero tanti hanno provato a imitarlo, nessuno ci è riuscito. La sua tecnica è rimasta unica, ineguagliata. Qui c’è un tutorial però, se in quarantena volete fare un tentativo nel salotto di casa con la pallina da tennis.

Parlando delle traiettorie, pochi riuscivano a dare l’effetto di Beckham: i suoi tiri sembravano diretti verso il centro della porta, poi piegavano all’improvviso verso l’angolo. Per i portieri era un incubo. Non è tanto questione di precisione: era l’effetto a rendere certe punizioni di Beckham semplicemente imprendibili.

Il calcio di punizione che vedete in cima è il più importante della carriera di Beckham. L’ha segnato contro la Grecia negli ultimi minuti di una partita di qualificazione ai Mondiali del 2002. L’Inghilterra aveva bisogno di un gol ed è stato romanzesco che a segnarlo sia stato l’uomo che aveva bisogno del riscatto dopo Francia 98, quando una sua espulsione contro l’Argentina lo aveva reso il capro espiatorio dell’eliminazione inglese.


Leo Messi

Messi è il miglior giocatore della storia da quasi tutti i punti di vista, compreso quello delle punizioni. Come per tutti gli altri aspetti, il suo talento si misura in primo luogo con i numeri: solo nell’ultimo decennio, infatti, ne ha segnate 34, cioè ben 14 più del secondo in questa speciale classifica, e cioè ovviamente Cristiano Ronaldo, fermo a 20. Oggi Messi è considerato unanimemente e a ragione uno specialista, forse lo specialista anche in questo fondamentale - uno dei tanti doni del suo talento sconfinato e onnicomprensivo. Eppure c’è stato un tempo in cui non associavamo Messi alle punizioni, non le consideravamo una sua specialità, fattore che dovrebbe metterci in guardia sulla sommaria contrapposizione tra lui e Ronaldo come il confronto tra la naturalità del talento e la crescita attraverso l’allenamento.

La leggenda vuole che Messi abbia “imparato” a tirare le punizioni da Maradona, quando quest’ultimo era CT dell’Argentina durante il Mondiale sudafricano del 2010. È una leggenda messa in giro dallo stesso Maradona secondo cui durante gli allenamenti dell’Albiceleste gli avrebbe consigliato di tirare le punizioni meno bene, in maniera più imperfetta, rispetto a quanto facesse fino a quel momento: «Messi aveva un problema con le punizioni. Quando finivamo gli allenamenti, gli chiedevo di rimanere così da poterci esercitare, e lui colpiva sempre il palo. Quindi mi ha chiesto come facessi io a segnare. E io ho risposto: “Colpisci la palla al centro”. E lui mi disse: “Ma se la colpisco al centro poi la palla se ne va dove vuole”. Io gli risposi: “Non ti preoccupare, ce la farai. E da quel momento non sbaglia più”.

Come per molte altre cose è difficile credere a Maradona su questo aneddoto, soprattutto guardando le punizioni di Messi, che al contrario di altri specialisti di questa lista (come Pirlo o Juninho), non sfrutta l’imprevedibilità delle traiettorie per ingannare i portieri ma, come in tutti gli altri aspetti del suo gioco, ha raffinato la sua tecnica al punto da sfiorare la perfezione. Eppure, guardando i numeri, sembra esserci un fondo di verità in quello che ha raccontato Maradona: prima dell’estate del 2010, infatti, Messi aveva segnato appena tre punizioni con la maglia del Barcellona. Dopo quell’estate, i gol su punizione sono diventati 40. Ovviamente è possibile che c’entri in primo luogo l’età, la maturazione come calciatore, soprattutto in un aspetto del gioco in cui l’istinto non può aiutarti come nelle situazioni dinamiche, e devi affidarti a qualità più sottili, come la concentrazione. È possibile anche che le parole di Maradona abbiano semplicemente aperto gli occhi a Messi sull’importanza del perfezionamento, anche a partire da un talento come il suo. Come per quasi tutti gli altri aspetti del gioco, sembra che la somma delle due cose abbia portato Messi a un livello inarrivabile per tutti gli altri. Che nel caso delle punizioni significa questo gol segnato al Liverpool nella Champions League dell’anno scorso, contro il portiere migliore del mondo, che sembra meno reale a ogni inquadratura che passa.




Marcos Assunçao

Marcos Assunçao è sicuramente il nome che, per carriera e legacy, è più strano trovare in una lista sui migliori giocatori di un periodo così vasto come i primi venti anni di questo nuovo millennio. Eppure forse, proprio per il suo percorso minore all’interno del calcio contemporaneo, non esiste giocatore che più associamo a un singolo gesto tecnico di Marcos Assunçao alle punizioni. C’è qualcuno davvero in grado di ricordare come giocava Assunçao al di fuori dei momenti in cui era in procinto di tirare?

Su YouTube esiste un video che racchiude quello che penso siano tutte le punizioni segnate in carriera (non esistono statistiche precise a riguardo), comprese quelle all’Al Shabab, in Arabia Saudita, o nella sua lunga coda di carriera in Brasile in un club via via più piccoli. In tutto sono 70, che mi sembra un numero incredibilmente alto per un fondamentale tecnico in cui l’incidenza della competitività di un campionato o di una squadra si riduce quasi allo zero. Mi ricordo che già alla Roma si era arrivati al punto in cui Assunçao, un giocatore estremamente compassato e che non è mai sembrato troppo a suo agio con il gioco e l’intensità della Serie A, si era ridotto a uno specialista più che a un calciatore vero e proprio, e c’era chi proponeva di farlo entrare solo nel caso di punizione dal limite. Come si fa negli sport in cui non ci sono limiti di cambi, come il basket o la pallavolo.

D’altra parte, rivedendo le sue punizioni, si può capire facilmente perché: Assunçao aveva un bagaglio tecnico vastissimo (parliamo sempre esclusivamente delle punizioni) e sapeva tirarle praticamente in qualsiasi modo: di potenza con le ultime tre dita del piede, dolci sopra la barriera, con il piatto forte dalla distanza, e così via. Purtroppo per lui nel calcio l’incidenza delle situazioni statiche non era così grande come in altri sport. Magari, se nel calcio le punizioni avessero avuto lo stesso peso che ha per esempio il servizio nel tennis, lo avremmo ricordato come un giocatore diverso, una specie di Andy Roddick. Sempre monodimensionale, ma con un peso diverso.


Sinisa Mihajlovic

Quando partiva per tirare una punizione dalla Curva Nord si alzava il coro «E se tira Sinisa è gol». Pochi calciatori hanno trasmesso lo stesso senso di onnipotenza da calcio piazzato, ma soprattutto pochi calciavano il pallone con quella tecnica, che rendeva in sostanza imprevedibile il tipo di soluzione avrebbe scelto.

Dalla rincorsa di un giocatore un portiere può capire come e dove calcerà, ma con Mihajlovic questo non era possibile: «Le tiravo in tutti i modi ma la rincorsa era sempre la stessa. Decidevo all’ultimo passo dove tirare». Dice di essere stato il migliore, invita a chiedere ai portieri. Sostiene di aver sbagliato più calci di rigore che calci di punizione. I numeri gli danno ragione: con 28 gol è il migliore di sempre per gol su punizione in Serie A. Un primato a cui tiene e che mal sopporta di dover dividere con Pirlo: «Ha avuto una carriera più lunga della mia».

Guardando la compilation completa delle sue punizioni in Serie A si capisce che non c’era una meccanica troppo rigida nella rincorsa e nella battuta. L’efficacia sembra derivare più che altro dalla sensibilità del suo piede sinistro. Ha segnato in tutti i modi e da tutte le distanze. Era uno dei pochi giocatori che riusciva a tirare a giro sopra la barriera anche da 30 metri facendo sembrare i portieri sempre in ritardo. C’è un record che più degli altri sarà difficile togliergli: è l’unico giocatore, insieme a Beppe Signori, ad aver realizzato una tripletta su punizione in una singola partita di Serie A. È stato contro la Sampdoria, in un folle 5-2 per i biancocelesti. Fun fact: quella sconfitta fu fatale per la panchina di Spalletti. Tra le sue punizioni una di quelle che preferisco l’ha segnata al Piacenza con la maglia della Lazio che portava col colletto alzato; la palla colpisce il palo interno ed entra: guardando il replay si capisce che il portiere non ha avuto mai neanche la più lontana sensazione di aver visto il pallone. Delle sue punizioni una cosa colpisce più di altre: la quantità di punizioni segnate sul palo del portiere. Questo dipende probabilmente dall'illeggibilità della rincorsa di Sinisa. Il portiere faceva un passetto a coprire l’altro palo e lui gli tirava sul suo, come si fa nei calci di rigore.

Sinisa Mihajlovic era le sue punizioni, al punto che non ricordiamo neanche di preciso che tipo di difensore fosse. E questo nonostante abbia giocato in alcune delle difese più forti della storia recente della Serie A.

In un’intervista di qualche tempo fa Mihajlovic ha indicato i calci di punizione come la ragione stessa della sua carriera calcistica. «Se non ci fossero state le punizioni avrei giocato a basket».


Rogerio Ceni

Il calcio è uno sport in equilibrio tra organizzazione collettiva e talento individuale, si sa, ma non c’è un aspetto che più dei calci di punizione può mostrare quanto queste due dimensioni siano slegate tra di loro. I calci da fermo sono il fondamentale che più di ogni altro avvicina il calcio agli sport individuali, un momento di rottura anche dal punto di vista narrativo, che sembra calato dall’alto come i deus ex-machina che risolvevano le tragedie greche. E se la punizione la calcia - e la segna - il portiere l’effetto è ancora più strano e irreale.

Eppure, anche se sembrerebbe una possibilità remota, un’eventualità statistica - tra le tante cose che possono succedere nel calcio ci sarà stato senz’altro anche un gol segnato da un gabbiano che volando basso ha deviato un tiro - di portieri che hanno costruito la propria fama (anche) attorno alla loro abilità su calcio di punizione e/o rigore ce ne sono almeno due che conoscono tutti: José Luis Chilavert (portiere paraguaiano che ha segnato una sessantina di gol in carriera, giocata però quasi tutta nel secolo scorso) e Rogerio Ceni, che ha speso 25 anni al San Paolo, giocato 1237 partite, di cui più di 850 con la fascia da capitano al braccio e segnato 131 gol: 60 su punizione, 70 su rigore e 1 su azione (alcune fonti riportano che le partite sono 1238 e anche sui gol dobbiamo accettare la possibilità che i numeri differiscono da quelli che riportiamo noi di una o due unità: d’altra parte l’alternativa è rivedersi tutte le partite giocate da Ceni in 25 anni al San Paolo).

Un portiere che corre sessanta, settanta metri di campo per avvicinarsi alla palla dopo che l’arbitro ha fischiato la punizione crea nel pubblico calcistico la stessa attesa e suspense che deve creare nel baseball un grande lanciatore che nel sale sul monte di lancio con l’obiettivo di eliminare tutti i battitori che gli si parano davanti. È una rarità ma non può essere neanche caso, anche perché il rischio di calciare male e ritrovarsi così lontano dalla propria porta è troppo grande. L’allenatore che per primo ha permesso a Ceni di provare a calciare dal limite dell’area, Muricy Ramalho, ha detto che in realtà in quel periodo il San Paolo non segnava mai su punizione e tanto valeva far tirare «l’unico che le provava in allenamento». Rogerio Ceni ha detto di essersi allenato per sei mesi, calciando 1500 punizioni, prima di provare in partita. Quella punizione, segnata contro l’Uniao Sao Joao nel 1997, Ceni l’ha calciata sul palo del portiere, forte e bassa, per sfruttare un errore nel piazzamento del suo collega (questo forse è l’unico tipo di vantaggio che un portiere può avere per cui sia un minimo logico che calci una punizione).

Quindi, da una parte c’è una forma di sanissima pazzia che il calcio europeo ammette meno frequentemente di quello sudamericano (Barney Ronay sul Guardian ha scritto che non ci sarebbe mai potuto essere un Rogerio Ceni inglese per ragioni «culturali»), dall’altra però un aspetto ossessivo e meticoloso che se non toglie poesia all’idea di un portiere che ha segnato punizioni per tutta la sua carriera, le ultime quando ne aveva più di quaranta, aggiunge una sfumatura perversa alla cosa. Ceni incarnava alla perfezione questa contraddizione: dribblava senza ragione, anche per pura e semplice provocazione, e aveva l’aria di un banchiere (d’altra parte lavorava in banca prima di decidere per la carriera da calciatore) che la sera torna a casa troppo stanco per giocare coi propri figli, stempiato, con la faccia cascante, la pancia come se l’area di rigore fosse stata la sua scrivania. Ha calciato punizioni in tutti i modi, da tutti gli angoli e distanze, passando sopra e sotto la barriera, sul palo del portiere o sul palo lontano, ma sempre con quell’interno destro che ha tenuto caldo calciandone 80 ad allenamento.

Rogerio Ceni (che in Brasile chiamano «O M1to» e che nel 2001 pare abbia rifiutato un trasferimento all’Arsenal di Wenger) è stato un evento unico e irripetibile nella storia del calcio, una pazzia calcolata così bene ed esercitata così a lungo che alla fine ci è sembrata quasi una cosa normale. Ma adesso, a mente fredda, dobbiamo riconoscerlo: non c’è niente di normale in un portiere che segna più di 13o gol in carriera. Sono più del doppio di quelli che ha segnato, a quasi trent’anni, Mattia Destro. Per dire.


Ronaldinho

In questa lista Ronaldinho è il giocatore che meno associamo al fondamentale del calcio di punizione. Vi sorprenderà quindi scoprire che stiamo parlando del terzo miglior realizzatore di sempre da calcio di punizione, alle spalle di Juninho e di Pelè.

C’erano aspetti più appariscenti del suo gioco, caratteristiche che lo rendevano più unico, ma Ronaldinho era una sentenza su calcio di punizione. Le sue rincorse erano diverse a seconda della soluzione scelta. Più strette e laterali in caso di traiettorie arcuate sopra la barriera; più lunghe e frontali quando c’era da aprire il tiro o cercare soluzioni più beffarde, come quella trovata nella punizione forse più importante della sua carriera, quella che lo rivelò al mondo.

Contro l’Inghilterra, con in porta il vecchio Seaman, Ronaldinho tira fuori dal cappello una traiettoria di interno che vola alta e poi ricade all’improvviso sotto l’incrocio dei pali. Dalla prospettiva di Seaman è facile immaginare, come in Holly&Benji, un momento in cui il pallone e il sole si sovrappongono l’uno sull’altro oscurando gli occhi del portiere.

È una punizione significativa perché nel modo di battere di Ronaldinho sembra esserci sempre una forma d’astuzia. Non batteva sempre i portieri con la particolare forza e precisione delle esecuzioni - come Mihajlovic, o Beckham - ma cercando la strada più sorprendente. A volte sembrava tirare male apposta, ma cercando traiettorie difficili da parare, come quelle che rimbalzano appena davanti le mani dei portieri.

Ronaldinho, insomma, faceva parte della categoria dei tiratori “sporchi”. Non cercava la traiettoria più pulita ed esatta possibile, qualsiasi modo andava bene: sotto la barriera, sopra, sul palo del portiere, sull’altro. Con un effetto esasperato, con traiettorie dritti e veloci o lente e beffarde.

I calci di punizione di Ronaldinho erano solo uno dei riflessi della sua straordinaria tecnica e creatività.


Pierre van Hooijdonk

Forse pochi di voi sanno che Pierre van Hoijdonk non si chiamava “Pierre”, che era il soprannome che gli amici avevano trovato stufi di non capire neanche da dove cominciare per chiamarlo. Il suo nome completo era Petrus Ferdinandus Johannes van Hooijdonk. Già a partire dal chilometrico nome, un animale strano: quanti centravanti boa vi vengono in mente che erano anche specialisti dei calci di punizione? E qui non stiamo parlando di un giocatore che si limitava a tirare delle bombe secche e violente sul palo del portiere; ma di uno che aveva rifinito una meccanica di tiro dolce e precisa con cui batteva barriere e portieri come in teoria fanno i numeri 10.

Quando Van Hoijdonk era al suo prime, negli anni dei quintali di gol con la maglia del Feyenoord, noi filtravamo la realtà attraverso le statistiche di PES. Il 97 di van Hoijdonk sui calci di punizione era eloquente e rappresentava uno di quei dettagli gustosi e inspiegabili del gioco, tipo l’elastico di Wilhelmsson. Van Hojdonk era proprio stano da veder calciare: enorme, mezzo gobbo, con dei capelli femminili. Percorreva i passi di rincorsa con una strana fretta che non si addice in genere ai migliori calciatori di punizioni. A un certo punto nella sua rincorsa ha aggiunto anche un piccolo vezzo: tre scalciate equine al momento della partenza. Dice di essersi interessato alle punizioni dopo aver visto Platini. Secondo lui la differenza dei suoi calci di punizione la faceva il fatto che provava cose ambiziose: «Mi prendevo sempre il 100% del rischio».

Di solito i centravanti tecnici sono eleganti, ma van Hoijdonk non lo era, aveva solo una straordinaria dolcezza nel piede destro, come se un dio benevolo gli avesse dato dei superpoteri su quella parte del suo corpo.


Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura