Continua la serie dedicata ai migliori giocatori degli ultimi vent'anni in un particolare gesto tecnico. Dopo aver iniziato con i migliori lanciatori, stavolta è il turno dei migliori colpitori di testa. Vale la solita regola: abbiamo provato a essere il più oggettivi e universali possibili, ma il gusto soggettivo in questo tipo di liste è ineliminabile. Buona lettura!
Leonardo Pavoletti
Con Pavoletti e i colpi di testa va fatto prima di tutto un ragionamento matematico. Pavoletti non è - o non è ancora, ma a questo punto è quasi impossibile lo diventi - un grande centravanti. È arrivato in Serie A a 26 anni, segnando un numero di gol non eccezionale nel cammino (non è quindi uno di quei centravanti di culto delle leghe minori). Anche nel massimo campionato italiano ha segnato con regolarità e costanza, senza però avvicinare i picchi dei migliori attaccanti. Ad oggi in Serie A ha segnato 51 gol, e di questi 26 sono gol di testa: più della metà. In astratto 26 gol di testa non sono tanti, tutti gli altri nomi in questa lista ne avranno segnati di più, ma nessuno - tranne forse Godin - ha segnato più della metà dei suoi gol di testa.
Prendete Higuain e trasformate la metà dei gol segnati in carriera in gol di testa: avremmo il Maradona dei colpi di testa, parleremo di lui come una specie di mostro in grado di rompere il gioco del calcio con la sua forza aerea. Per Pavoletti il colpo di testa è il fondamentale che gli consente di essere un giocatore da Serie A. Da quando è al Cagliari, il rapporto tra gol e gol di testa è poi praticamente esploso, fino a diventare ridicolo. Nel 2017/18 sono stati 9 su 11 totali, l’anno scorso 11 su 16 e chissà cosa sarebbe accaduto in questa stagione con un Cagliari più incisivo del solito almeno nei primi mesi del campionato, se non si fosse rotto il crociato.
In un calcio in cui gli attaccanti devono saper far tutto, la specializzazione di Pavoletti ha un che di anacronistico, ma affascinante. Avevamo già parlato della sua peculiarità in questo pezzo, dove la sua grande abilità con la testa veniva descritta in maniera abbastanza accurata: «Di solito i colpitori di testa si dividono in tecnici (come Icardi) o quelli che usano solo la potenza (come Vieri). Pavoletti è entrambe le cose e racchiude tutte le caratteristiche di un grande colpitore di testa: è grosso, si smarca bene, è difficile da spostare ed è capace di eseguire un colpo di testa in tutti i modi possibili».
Per capire quanto Pavoletti sia forte di testa basta guardare i suoi gol, c’è tutto: potenza, precisione, controllo del corpo, intuito, anche genialità. È curioso perché usare la testa per fare gol è più difficile che usare i piedi, ma per Pavoletti sembra vero il contrario. Il motivo è forse fisico: Pavoletti in tutti questi gol sembra esplodere di salute, essere l’unico giocatore sano in mezzo a tutti avversari con dei malesseri di stagione. Segnare di testa è anche una questione di fisico e l’attaccante del Cagliari fisicamente è una bestia (anche per questo il suo doppio infortunio al ginocchio è davvero un brutto colpo).
Proprio perché il colpo di testa è quello che lo tiene in campo, Pavoletti non si risparmia mai, non lo usa solo per il gol. Nella scorsa stagione ha ingaggiato più duelli aerei di tutti (387) vicendone più di tutti (236), con un rapporto tra vinti e persi praticamente irreale rispetto agli altri attaccanti del campionato. Ogni volta che colpisce la palla di testa, Pavoletti sembra a suo agio. Gli riescono torsioni impossibili, parabole difficili da immaginare. Ovviamente tra i migliori colpitori di testa di questo secolo breve, il suo è il nome che stona, per carriera e blasone. Eppure, probabilmente, tra tutti è il miglior colpitore di testa puro, almeno analizzando le ultime due stagioni in cui ha giocato con costanza, le migliori della sua carriera. Per sapere che posto occuperà nell’Olimpo dei colpitori di testa bisognerà aspettare il resto della sua carriera, ma la strada per la cima è quella giusta.
Sergio Ramos
Per quanto banale è difficile non prendere la quantità di gol come punto di partenza per parlare di Sergio Ramos, anche per quanto riguarda quelli segnati di testa. Per la precisione, il centrale di difesa ne ha segnati con la maglia del Real Madrid addirittura 49 su un totale di 91, cioè quasi il 54%. È un numero di cui è difficile farsi una ragione e che deriva un po’ dalla libertà che gli viene concessa di salire in area da seconda punta quando il risultato è ancora in bilico un po’ dalla sua maestria sui calci piazzati, forse la situazione in cui l’arte del colpo di testa arriva al suo apice.
C’è una caratteristica francamente incredibile dei gol di testa di Sergio Ramos, e cioè che in quasi tutti colpisce nell’area avversaria libero da marcature. Un esempio celebre è quello segnato in un recente Clasico, dopo essersi lasciato Mascherano alle spalle (a questo proposito, a ennesima conferma della natura conflittuale di Sergio Ramos, è curioso notare che molti dei suoi gol più belli di testa li abbia segnati al Barcellona, tra cui uno incredibile di nuca con addosso la marcatura strettissima di Puyol). Scartando l’ipotesi che gli avversari siano sempre ignari della sua forza in questo fondamentale, questo dato sottolinea in primo luogo la sua abilità nel muoversi in area, come se fosse una punta a tutti gli effetti (e vale la pena ricordare a questo punto che da piccolo Sergio Ramos sognava di fare l’attaccante). Su YouTube, se siete interessati, c’è addirittura una videoanalisi dei suoi movimenti in area in situazioni da palla inattiva, dove riesce ad essere incredibilmente efficace sia contro le difese a uomo che quelle più puramente a zona.
La caratteristica più iconica dei colpi di testa di Sergio Ramos è però il loro aspetto più muscolare, e cioè l’altezza che riesce a raggiungere con il salto. Il centrale del Real Madrid è un maestro del terzo tempo e spesso l’assenza di marcature deriva semplicemente dal fatto che gli avversari non riescono ad arrivare alle sue altezze. L’aspetto più affascinante, in questo senso, è la rincorsa: Sergio Ramos parte sempre da lontanissimo, al limite dell’area, e arriva sempre all’ultimo momento disponibile, con una rincorsa che sembra veramente quella di un atleta che si sta preparando al salto in alto. L’effetto che produce è quello di sbucare quasi letteralmente dal nulla, come se uscisse all’improvviso da un portale spazio-temporale. In questo senso, trovo decisamente appropriato il soprannome che gli ha affibiato un utente YouTube in un video che raccoglie i suoi migliori gol di testa: The Saviour. Come tutti i salvatori, anche Sergio Ramos arriva dall’alto quando nessuno se l’aspetta.
Tim Cahill
Tim Cahill è alto meno di un metro e ottanta ma più della metà dei gol dei suoi gol in Premier League li ha segnati di testa, 31 su 56. Ha una media di 0,09 gol di testa a partita, solo leggermente dietro i 0,010 di Dwyght Yorke e Alan Shearer, primi in questa statistica in Premier League.
Ci sono quindi diversi giocatori ad aver segnato più gol di testa di Cahill, anche solo all’interno della Premier League, ma in pochi con questo rapporto tra gol segnati, altezza e ruolo. Perché Cahill era un centrocampista, e insomma, 22 gol di testa per un centrocampista sono una cifra enorme. Cahill, quindi, per anni è stata la versione di lusso del mediano difensivo bassetto che segna di testa grazie a tecnica e tempi di inserimento prodigiosi. Un tipo di giocatore che ha i suoi esempi anche nel nostro campionato: Giulio Migliaccio, ma soprattutto Giovanni Tedesco, forse il miglior colpitore di testa di un metro e 70 della storia. Cahill è in questa classifica per rappresentare questo tipo di giocatori.
Come loro, Cahill sembrava avere più sensibilità tecnica nella testa che nei piedi (e stiamo comunque parlando di uno candidato al Puskas Award con un gol del genere). Qualche mese fa ha spiegato questa abilità con generosità di dettagli tecnici, smentendo il mito dell’istinto naturale per questo tipo di cose: «Prima della partita studiavo quale fosse il difensore più debole, dosavo bene i tempi delle mie corse, e cercavo di corrergli alle spalle». Cahill era un vero studioso del gioco: «Nel calcio bisogna andare dentro i più piccoli dettagli per sfruttare le tue qualità». Cahill ha dichiarato anche che essere cresciuto in una famiglia di rugbisti lo ha aiutato in questo fondamentale; e nell’intervista ha detto un’altra cosa che suggerisce il rapporto profondo che un atleta di quel livello riesce a stabilire con elementi molto specifici di una partita: «Mi piace essere marcato, è una battaglia fisica tra me e il difensore, che però è costretto a guardare sempre la palla. Mi piace sentire le braccia del difensore attorno a me, poi toglierle e muovermi, sfilargli alle spalle».
I gol di testa di Cahill sono molto simili fra loro: hanno tutti il senso dell’imprevisto. C’è un cross che sembra cadere in una zona disabitata dell’area - fra i due difensori, in un corridoio vuoto, o dietro tutta la linea, sul secondo palo, appena prima di morire sul fondo - e in quella zona ci arriva Cahill. Il mio preferito, uno dei suoi più sofisticati, lo ha segnato in un derby contro il Liverpool.
È una specie di piccolo coreografia militare: un’area densissima di gente, attaccanti e marcatori tutti perfettamente accoppiati, poi tra loro sbuca fuori Cahill come se fosse spuntato fuori da una buca, e segna leggermente chinato. Aveva quella misteriosa abilità di nascondere la propria presenza agli altri esseri umani che è tipica dei ninja.
Aritz Aduriz
Alla prima partita di questa stagione, all’esordio della sua ultima stagione da professionista, l’Athletic Club giocava contro il Barcellona e Aritz Aduriz ha segnato in rovesciata. Un gesto tecnico quasi normale per uno come Aduriz.
Certi centravanti, i più specializzati di loro, hanno un rapporto privilegiato con l’aria. Un modo speciale di piegare plasticamente il proprio corpo, aggiustandolo nella forma perfetta per impattare i palloni che piovono in area di rigore. In questo tipo di conclusioni è difficile parlare di “calciare”, a dire il vero. È più una sorta di complesso compromesso trovato in fretta dal centravanti tra la marcatura dei difensori, la traiettoria della palla e l’esigenza di colpirla senza farla rimbalzare. Possiamo metterla anche più semplicemente così: deviare è diverso da calciare.
Aduriz è un maestro delle deviazioni aeree. Ha segnato di testa 63 gol in carriera. Uno di questi, al Real Madrid, lo metterei nel nuovo almanacco calcistico fatto a gif alla voce “incornata”.
Il video che ho messo in cima si intitola “The art of heading” e sintetizza molto della qualità aerea di cui parlavamo prima. Col naso da gabbiano, il pomo d’adamo pronunciato e le spalle ampie pochi giocatori comunicano lo stesso senso di potenza di Aduriz che stacca di testa.
Miroslav Klose
Nella partita che lo ha fatto conoscere al mondo, contro l’Arabia Saudita al Mondiale del 2002, Miroslav Klose segna tre gol di testa. È vero, la partita è finita 8-0 e gli avversari sono mediocri, ma quanto spesso capita di vedere tre gol di testa in una partita? Fatti dallo stesso giocatore poi, in tre maniere diverse? Alla fine di quel Mondiale i gol di testa di Klose saranno 5, più di quanti un attaccante medio ne faccia in una stagione (prima dello stop, in Serie A l’attaccante con più gol di testa era Dzeko, a quota 5).
Klose è stato un attaccante minimale ed efficace, magari non spettacolare, ma elegante. Colpiva il pallone di testa come se fosse un compito importante, qualcosa a cui dedicare il massimo delle proprie attenzioni. Non spaccava mai la porta, al momento dell’impatto cercava sempre l’angolo lontano o comunque di battere i portieri con la geometria più che con la potenza. Paradossalmente erano più i salti mortali che faceva dopo i gol a dimostrare che atleta incredibile fosse, che non i gol di testa stessi.
Tuttavia, soprattutto nella prima parte di carriera, Klose è stato un saltatore di testa eccezionale, nel senso proprio del salto che eseguiva per colpire il pallone. Aveva una elevazione potente e magnetica, che gli permetteva di battere difensori più alti dei suoi 182 centimetri, pochi per un centravanti d’area di rigore come era lui. Klose staccava dritto e composto, rimanendo in aria sempre qualche decimo di secondo in più di quello che ci saremmo aspettati. Più di una volta è arrivato ad anticipare l’uscita alta dei portieri.
Colpiva così bene di testa, come si muoveva bene dentro l’area, come calciava davanti alla porta. Perché la testa è una parte del corpo come un’altra con cui si può fare gol. Klose non era un centravanti da sponde, da spizzata: la testa non era la parte del corpo che sapeva usare meglio. A dirla tutta è difficile stabilire anche quale fosse la parte del suo corpo buona. Klose capiva la necessità per un attaccante di essere affidabile, di saper fare il proprio lavoro. Nei video su Youtube che raggruppano i suoi molti gol di testa (dal 2000 in poi, 57, senza contare quelli in Nazionale) viene chiamato The god of header, ma non c’era niente di divino nei suoi gol di testa. Klose è stato piuttosto l’Henry Ford dei colpi di testa, li ha trasformati in una produzione in serie, spesso simili, sempre precisi, luccicanti, come appena usciti da una fabbrica.
Diego Godin
Per ragioni emotive che credo comprenderete, l’archetipo del colpo di testa di Godin nella mia testa è il gol segnato ai Mondiali del 2014 contro l’Italia. Nel mio ricordo, forse distorto dall’incredibile esultanza successiva più simile alla reazione di un uomo che si sta strappando la pelle con le proprie mani a quella di uno che ha appena segnato un gol (per quanto ai Mondiali), quello era uno stacco imperioso, simbolo del tempismo e della forza aerea del centrale uruguagliano.
Rivedendolo, invece, mi rendo conto che Godin in quell’occasione era stato soprattutto fortunato: si era messo troppo di traverso rispetto alla palla e aveva finito a colpire la palla con la parte posteriore della spalla sinistra. Il fatto che, però, Godin sia riuscito a segnare persino in quel modo ce la dovrebbe dire lunga sulla sua maestria aerea e su quanto spesso quello che chiamiamo tecnica sia un insieme di cose che permette ai giocatori di materializzare le giocate che hanno in mente al di là della perfetta esecuzione dei movimenti.
Ci sono due modi per capire quanto il colpo di testa permea il gioco di Godin fin nelle fondamenta. Il primo è con i numeri: nelle 9 stagioni passate all’Atletico, Godin ha segnato 27 gol. Di questi, 22 erano colpi di testa. Il secondo è con le parole, e per questo mi affido alla penna di Marco D’Ottavi, che nel maggio del 2016 aveva scritto un pezzo che si intitolava eloquentemente Contraerea Godin: «Che sia un duello aereo o l’intercetto di un lancio lungo o di un cross, Diego Godin è sempre lì, pronto a prenderlo di testa. A guardarlo sembra quasi sia dotato di abilità extrasensoriali che gli permettono di sapere in ogni momento dove posizionarsi, come posizionarsi e – soprattutto – quando posizionarsi nella fase difensiva, riuscendo così a sopperire a caratteristiche fisiche non del tutto eccezionali con un tempismo e una conoscenza del ruolo di difensore assolutamente fuori dalla norma».
Peter Crouch
Peter Crouch ha segnato 53 gol di testa in Premier League, ovviamente il record assoluto. Oltretutto è l’unico ad averne segnati più di 50. Ok, direte voi, ma Peter Crouch era letteralmente alto due metri. Giusto. Ed ha anche giocato una cosa come più di venti stagioni - e solo il coronavirus ci ha tolto il piacere di vederlo di nuovo in campo a 39 anni agli ordini di José Mourinho. Quindi ha avuto un vantaggio spaziale, per così dire, e uno temporale. Cose che però lo rendono un oggetto di studio ancora più interessante, più unico. Anche perché Crouch era alto, ma compensava con la quasi totale assenza di muscoli in ogni parte del proprio corpo, quindi puntava davvero tutto il suo gioco sulla possibilità di colpire la palla ad altezze a cui gli altri giocatori non arrivavano. Va da sé che su quella palla doveva arrivarci nel punto e nel momento giusto e questa è la base del talento di qualsiasi attaccante che abbia anche in piccola parte contribuito alla storia del calcio. «Se sei un attaccante deve stare in area pronto per quando arriva la palla», diceva Crouch a fine carriera, lamentandosi degli attaccanti di nuova generazione che si muovevano troppo lontano dalla porta. Quindi c’è qualcosa di assoluto e puro nel talento di uno dei calciatori più strani che abbiano mai giocato.
Crouch era ridicolo come un uomo disegnato con le stecche da un bambino e al tempo stesso spaventoso come il mostro che nel video di Come to Daddy usciva da un TV (disco pubblicato nel 1997, giusto un anno prima che Crouch esordisse tra i professionisti: un caso?). Non era credibile che un uomo così alto, con le braccia e le gambe così lunghe e il resto del corpo come un pezzetto di Lego rettangolare, fosse anche un calciatore professionista. Eppure Peter Crouch aveva l’abilità di sfruttare la sua, ehm, peculiarità, al massimo. Ed era una questione di sensibilità e intuito, ma anche tecnica.
Peter Crouch aveva due problemi principali. Il primo era che, essendo tanto alto, spesso dove colpire la palla ingobbendosi o tuffandosi per prendere la palla ad un’altezza normale. Quindi, se la maggior parte dei colpitori di testa sfruttano la propria elevazione per dare forza alla palla e sorvastare gli avversari, Crouch arrivava dall’alto verso il basso, piegandosi come un giunco. Oppure - e questo era il suo secondo problema - i compagni pensavano solo a mettergli la palla molto in alto, in modo che ci potesse arrivare solo lui, ma spesso erano cross lenti, perché nessuno evidentemente sapeva come crossare per uno come Peter Crouch. La tecnica dei colpi di testa di Crouch, quindi, combinava due aspetti separati: prendere posizione e disarticolare il proprio corpo per arrivare sulla palla e poi colpirla con la fronte nel modo opportuno per mandarla in rete, dandole forza con delle frustate o disegnando parabole angolate.
I gol più belli di Crouch sono quelli in cui se ne sta sul secondo palo come un lampione che aspetta di essere colpito da un ragazzino, tiene sotto di sé il marcatore e in punta di piedi colpisce la palla mandandola sul palo opposto, scavalcando il portiere. Quando poi il cross era teso e alto, come un cross normale insomma solo ad un’altezza in cui Crouch poteva arrivare saltando, riusciva a dare anche frustate imperiose e bellissime. Insomma, avrà anche segnato la metà dei suoi gol di testa nell’area piccola ma - fermo restando che alcuni difensori non erano poi così più bassi di lui e che sapeva segnare anche con i piedi - Peter Crouch aveva il dono che hanno tutti i grandi colpitori di testa, che ho sentito spesso riassunto con la frase: «Ha uno scarpino al posto della testa».
Patrick Kluivert
C’è una foto scattata appena dopo il colpo di testa di Kluivert contro il Brasile che sembra finta, photoshoppata. L’olandese ha le gambe larghe come un ballerino e il fisico asciutto e potente di un calcio che sta nascendo. Il suo tiro di testa non è preciso, ma praticamente piega le mani di Taffarel per la sua potenza.
Per come era iniziata, forse ci si poteva aspettare di più dalla carriera di Kluivert. Nei primi anni all’Ajax sembrava dovesse travolgere come un ciclone il calcio europeo, come una forza della natura. Il colpo di testa era solo una delle mille cose che faceva meglio degli altri, quando i difensori sembravano giocare con dei sacchi di sabbia sulle spalle quando lo marcavano. Dei 9 gol segnati col Milan in una stagione da dimenticare, 3 sono di testa, tutti simili a quello contro l’Olanda. Kluivert frustava il pallone con la testa come se volesse romperlo.
Kluivert nel corso della carriera si è specializzato nel trasformare i cross in gol. Lo faceva su quelli bassi, di piatto al volo, e su quelli alti, colpendo di testa con violenza. In un Barcellona più iconico che vincente, buttava dentro cross di Figo, Rivaldo, Luis Enrique, Giovanni Van Bronckhorst.
Un paio di anni fa, Kluivert ha ripreso il primo gol del figlio piccolo Shane nelle giovanili del PSG. Un colpo di testa molto bello in tuffo, un gesto tecnico che per un bambino di 9 anni è quasi inspiegabile, se non tirando in ballo la genetica. Il commento del padre sotto al video è stato «that’s my boy».
Luca Toni
In uno dei due gol segnati con la maglia della Juventus, Toni colpisce il pallone di testa dal limite dell’area di rigore. Salta fuori ed atterra appena dentro, mentre il portiere prova disperatamente ad intercettare una conclusione potente e precisa, vagamente a giro, che tocca il palo interno prima di entrare. Certo, Toni è alto 193 centimetri e nel fondamentale del colpo di testa essere così alti equivale un po’ a barare, ma basta per segnare praticamente da fuori area uno dei più bei gol di testa che vedrete in vita vostra?
Quando pensiamo ai gol di Luca Toni pensiamo sempre a qualcosa di scoordinato eppure inarrestabile, come una valanga o un fiume in piena, qualcosa a cui non si può credere davvero. In carriera Toni ha segnato tantissimo, in tutti i modi, con l’unico cruccio di aver iniziato tardi («si è coordinato tardi» disse di lui Cavasin). Nella sua mastodontica produzione, che gli ha fatto vincere anche la Scarpa d’Oro nel 2006, i gol di testa rischiano di perdersi, proprio perché da uno così grosso ci aspettiamo quelli, non le mezze rovesciate, i pallonetti, i tiri incrociati. Eppure in pochi avevano la sua tecnica in aria, nonostante da giovane dicevano che segnasse poco. Non saltava in alto come Ronaldo, non aveva l’eleganza di Klose, ma sapeva sempre come colpire il pallone, spizzarlo al punto giusto per metterlo all’”angoletto”.
Nei suoi momenti migliori, tra Palermo e Firenze, sembrava che ogni pallone crossato dalla trequarti dovesse incrociare il suo cammino e finire in porta. Spesso non doveva neanche saltare, anzi piuttosto abbassare il busto verso il pallone (come nel gol all’Ucraina nei quarti di finale del Mondiale del 2006). Gli bastava prendere posizione, tenere lontano il difensore con le braccia oppure svincolarsi dalla marcatura e colpire il pallone di testa coi capelli lunghi e bagnati che si muovevano a ritmo del suo slancio. L’anno dei 31 gol in Serie A più di un terzo li ha segnati di testa, quelli che non ricordiamo.
Ha continuato a segnare di testa anche quando la sua carriera sembrava arrivata ad un punto morto, ma invece col Verona è tornato a segnare con impressionante regolarità. Di testa ha segnato i primi due gol con la maglia giallo e blu, al Milan, prima da calcio d’angolo sfruttando tutti i centimetri e i chili, poi schiacciando un cross lungo sul primo palo, con un rimbalzo beffardo che ha ingannato Reina. Il pallone sembrava troppo alto, ma Toni in qualche modo è riuscito ad arrivarci, pur saltando in maniera scoordinata.
In quell’epoca - l’epoca di Toni - la Serie A ha prodotto molti buoni colpitori di testa, ma Toni li ha sovrastati tutti. Pazzini, per citarne uno, colpisce di testa meglio di Toni, ogni volta che lo fa sembra nato per quello. Toni pur non essendo un talento naturale, con l’impegno ha cesellato tutte le proprie qualità, diventando un colpitore di testa implacabile. Forse per questo è arrivato tardi: ha dovuto lavorare molto sulle proprie possibilità, ma è stato un ottimo lavoro.
Cristiano Ronaldo
A maggio dello scorso anno, contro il Torino, Cristiano Ronaldo ha siglato il centesimo gol di testa della sua carriera con i club. Sommando anche quelli di quest’anno, e quelli segnati in Nazionale, si arriva a 127 gol di testa. Una cifra ridicola: solo Pelè pare abbia superato quella soglia, ma i numeri di Pelè, lo sappiamo, sono distanti e hanno un peso quanto meno diverso. Fra i calciatori del ventunesimo secolo - quello in cui abbiamo cominciato a calcolare anche queste cose più o meno sceme come i gol segnati di testa - Ronaldo è avanti anni luce a qualsiasi altro giocatore. Dire che è il miglior colpitore di testa della storia del calcio magari ha poco senso, ma riuscite a trovare un argomento per smentrlo?
Il gol al Torino è all’apparenza banale, ma dietro ci si può vedere la tecnica superiore di Ronaldo in questo fondamentale.
Ronaldo qui non ha bisogno di fare una grande elevazione, quanto basta per arrivare al punto d’impatto ottimale con la palla. Tiene il busto ben eretto e i piedi che scalciano un po’ all’indietro staccandosi da terra.
Nessuno stacca di testa con questa pulizia tecnica: trasformando il proprio corpo in una specie di sponda ergonomica fatta per mandare il pallone in porta.
Ma soprattutto nessuno stacca con quell’elevazione. Nel 2011 uno studio dell’università di Chichester notava che Cristiano Ronaldo era in grado di saltare più in alto di un giocatore della NBA. I suoi gol dopo stacchi di testa semplicemente mostruosi sono stati diversi. C’è per esempio questo contro il Galles a Euro 2016 dove rimane inspiegabile la forza che riesce a imprimere al pallone a quell’altezza. Spiegabile solo perché Ronaldo non stacca solo in alto, ma riesce a rimanere sospeso in elevazione come se davvero volasse: ci sono due o tre secondi in cui Ronaldo non va né giù né su, appeso a una specie di filo divino invisibile. Le parole di Seamus Coleman dicono su quel gol più di quanto non facciano tutti i dati e le misurazioni: «Non puoi difendere contro uno che salta a quell’altezza».
Poi c’è quello di quest’anno contro la Sampdoria, forse il più ridicolo nel suo portfolio di gol di testa ridicoli. Bloccando il replay, in una certa prospettiva, Ronaldo sembra essere a un’altezza superiore a quella della traversa. Dopo questi gol i marcatori sbragano a terra come rottami, investiti da una specie di fenomeno naturale incontrollabile.
Il giorno dopo i giornali sono impazziti, scrivono solo di questo gol di testa, generando il fastidio dei tifosi insofferenti alla continua celebrazione dei prodigi di Ronaldo. Ma quello che fa Ronaldo in elevazione è a tutti gli effetti un prodigio, “un fatto che in sé ha qualcosa di meraviglioso e insolito”. I gol di testa dopo salti assurdi li ricordiamo ancora come alcuni dei momenti più memorabili della storia del calcio: attimi in cui le leggi della fisica sembrano sospese e gli attaccanti riescono invece a obbedire a forze superiori. Uno dei gol più famosi di Pelè è proprio quello stacco di testa irreale contro l’Italia ai Mondiali del ‘70. Pelè che nelle sue dimostrazioni atletiche, nel calcio di 50 anni fa, sembrava un alieno. In molti ricordano ancora il gol di Omam-Biyik a Italia 90, in Argentina-Camerun.
Nel film di culto Santa Maradona Dolores, Anita Caprioli, dice «C’è uno che sta sull’angolo e tira verso l’area… dove c’è un sacco di gente, ma c’è uno, un attaccante… che salta, altissimo. La palla è ancora più alta e sembra sicuro che non ci arriverà mai, e invece lui resta in aria, come fermo, più in alto di tutti, un istante contro la forza di gravità. E poi colpisce di testa, la palla non può che arrivare lì e finire in rete. Nessuno poteva pararla perché nessuno poteva pensare che in una partita potesse succedere una cosa del genere».
C’è ovviamente una metafora forte nel salto in alto: di un essere umano che si eleva verso il divino, che sfida la legge inappellabile della gravità. Nei migliori gol di testa di Cristiano Ronaldo c’è quel tipo di stupore magico. E sono forse gli unici momenti in cui un talento così materiale come quello di Ronaldo - visibilissimo ai nostri occhi nelle sue gambe potenti, nella sua superiorità atletica a volte persino violenta, nella cura maniacale per sé stesso - raggiunge una dimensione immateriale.