Questa serie di articoli intitolata “Il secolo brevissimo” è dedicata ai migliori specialisti di alcuni gesti tecnici dal 2000 in poi. Dopo aver parlato la scorsa settimana dei calci di punizione, proseguiamo con un fondamentale difensivo dalla definizione più sfuggente: il recupero del pallone. Una categoria in cui ovviamente potrebbero spiccare i difensori ma in questo caso però vogliamo premiare i centrocampisti (anche perché per i difensori migliori nell’uno contro uno c’è un altro pezzo).
Abbiamo scelto quei centrocampisti che avevano (o hanno) il compito di proteggere la difesa, che dovevano “interdire” o “fare filtro” come si dice con queste espressioni che suonano male ma che descrivono bene il lavoro sporco dei mediani. In questa lista però troverete anche centocampisti che giocavano più avanti, come Vidal o Nainggolan, che però rappresentano delle vere eccellenze del gesto tecnico puro: il tackle, la scivolata, il contrasto. Tutto ciò che in Inghilterra, per esempio, strappa più applausi di un gol.
Abbiamo fatto scelte personali, privilegiando giocatori che abbiamo visto con i nostri occhi e che abbiamo apprezzato non solo su YouTube. Come sempre, per limitarci a dieci nomi, abbiamo tenuto fuori alcuni specialisti del ruolo a malincuore - Allan, van Bommel, Lucas Leiva, Edgar Davids - e magari manca proprio il vostro preferito. In caso, scrivetelo nei commenti.
Daniele De Rossi
Daniele De Rossi ha rappresentato l’ideale più romantico del centrocampista che recupera i palloni, che si sporca i pantaloncini. Uno che si è tatuato sul polpaccio un uomo che toglie il pallone ad un altro all’interno di un segno di pericolo. De Rossi non è mai stato un giocatore esuberante, di quelli che insieme al pallone ti strappano il cuore, ma è stato tra i migliori di questo secolo nel capire il gioco intorno a lui. Nei suoi mille recuperi in scivolata non è mai più veloce dell’avversario, ma parte sempre prima, il corpo è sempre nella posizione migliore per eseguire un intervento tecnicamente difficile come la scivolata. Non pensiamo mai che sia un fondamentale del gioco del calcio, ma De Rossi ci ricordava che invece lo è, e che bisogna saperla eseguire bene.
Su Youtube è pieno di compilation che amplificano il senso di questa sua giocata, che lo dipingono come un gladiatore, un fighter, un mediano. Si parla addirittura di grinta romana. Mi sembra che però finisca per ridurre un po’ un centrocampista molto più completo di quello che siamo disposti a concedergli. Anche nel recuperare palloni De Rossi era completo. Tante volte lo faceva in maniera poco convenzionale, con il tacco, ingannando l'avversario con una finta per poi attaccarlo in altro modo. Altre volte il pallone finiva tra i suoi piedi in maniera naturale, come se avesse una calamita. Anche per questo in tanti hanno ipotizzato per lui un ruolo da difensore centrale, soprattutto negli ultimi anni di carriera, quando fisicamente era meno in grado di coprire grandi porzioni di campo. Al contrario però mi sembra che la sua capacità di recuperare palloni fosse specifica per il centrocampo, per quella prateria di nessuno davanti alla difesa, una zona di campo dove prima di agire bisogna capire.
Claude Makelele
A Makelele ad un certo punto hanno affidato la croce e gli hanno chiesto di portarla il più a lontano possibile. Appena arrivato al Real Madrid è diventato il simbolo di come si poteva avere una squadra sbilanciata mettendo uno come lui davanti alla difesa. Per uno come lui intendo un giocatore in grado di coprire porzioni di campo infinite, capace di tappare i buchi di una squadra che schierava insieme anche 5 giocatori prettamente offensivi. Makelele arrivava dal Celta Vigo e per tre stagioni è stato titolarissimo nel Real Madrid più stellare di sempre, prima di passare al Chelsea e dimostrare di poter fare la differenza anche in un campionato che stava mettendo il turbo, in tutti i sensi. Al momento della sua cessione per far posto a Beckham, Zidane disse «Perché mettere un altro strato d’oro sulla Bentley quando perdi il motore?». Secondo diversi compagni Makelele era il giocatore migliore di quella squadra, che vinse sette titoli in 3 anni.
A rivedere oggi i video delle sue partite, si nota anche che aveva buone qualità sia nel palleggio che in conduzione, aveva iniziato la carriera al Nantes come esterno offensivo, ma ovviamente la leggenda di Makelele recuperatore di palloni ha oscurato il resto del suo gioco. In campo il francese sembrava uno di quei rari esseri umani con un paio di polmoni in più, che in qualche modo si trovavano in tutte le zone del campo. Aveva leve corte che gli permettevano una frequenza altissima e di essere sempre più rapido nei movimenti del diretto avversario a cui riusciva a strappare il pallone come avesse tra i piedi una vanga. Nonostante un peso ridotto era fortissimo nei contrasti, vinceva regolarmente i duelli spalla a spalla contro avversari ben più grossi. Dai video è quasi irreale: gli avversari gli sbattono addosso come se fosse un muro di granito.
Per molti anni Makelele è stato usato come sinonimo per un certo modo di interpretare il ruolo di centrocampista davanti alla difesa, una interpretazione principalmente difensiva. Oggi quello è un ruolo molto più di costruzione, ma quando parliamo di un centrocampista particolarmente capace in fase di interdizione, uno dei primi paragoni che ci vengono in mente è proprio Makelele.
N’Golo Kante
C’è una frase a effetto che prova a restituire l’abilità di Kanté nel recuperare i palloni: “L’acqua copre il 71% della superficie terrestre, Kanté copre il resto”. È stato definito “Il Messi dei recuperi del pallone”; Claudio Ranieri doveva pregarlo di non correre di continuo dietro al pallone. Dice di avergli detto “Un giorno ti vedrò crossare il pallone e andarlo poi a riprendere di testa”.
Kanté è da anni in cima alle classifiche della Premier League in tutte le statistiche che riguardano il recupero della palla e non è difficile capire il perché. Kanté si muove come se avesse un piccolo, invisibile motorino nelle gambe con cui riesce a coprire porzioni di campo immense. Il suo corpo è futuristico nonostante non abbia la potenza che associamo in genere ai calciatori contemporanei. La sua elasticità però è fuori dal mondo. A rendere Kanté devastante davanti la difesa è come riesce ad abbinare queste doti naturali a una razionalità rara, nelle sue letture posizionali e soprattutto nella gestione dell’agonismo quando contrasta l’avversario.
La sua efficacia nei contesti ad alti livelli è testimoniata dal suo palmares fra il 2016 e il 2018: due Premier League consecutive con due squadre diverse, la finale di un Europeo e un campionato del mondo. In tutte queste squadre Kanté era uno dei pilastri portanti, modificandone l’identità in modo sfuggente ma decisivo. Non è un caso se stiamo parlando di tutte squadre dalla forte identità difensiva, bravissime ad attaccare in un campo lungo. Col tempo Kanté si è evoluto anche nella fase offensiva, dando un contributo spesso sottovalutato soprattutto nella conduzione del pallone. I suoi miglioramenti col tempo sono un esempio brillante di etica di un mediano: «A Boulogne pensavano tutti che non potessi giocare a pallone quindi lavoro ogni giorno per dimostrare che si sbagliavano».
Patrick Vieira
Il rischio di ridurre questa «categoria tecnica» a qualcosa di «poco tecnico» e dimenticare gli altri aspetti che rendevano unici i giocatori in elenco vale per tutti, ma quando parliamo di Patrick Vieira rischiamo di commettere un errore particolarmente grave. Non solo perché parliamo di un giocatore di quasi due metri che nei suoi anni migliori partiva dalla posizione davanti alla difesa e finiva a fare l’attaccante, con un tempismo negli inserimenti senza palla dietro la difesa e una freddezza sotto porta (con entrambi i piedi) che non era da meno di molti centravanti veri e propri; ma anche perché per recuperare palla sono necessarie molte qualità che non sono solo la forza fisica. Anzitutto bisogna saper leggere bene l’azione, per poi coordinarsi in modo da non essere saltati e fare una brutta figura. Va da sé che è molto più complicato controllare un pallone vagante, o che è nella piena disponibilità di un altro giocatore, rispetto a uno che viene passato da un compagno. Non basta mettere il corpo o, come si dice, non togliere la gamba, devi essere in grado di trasformare il tuo corpo nello strumento più adatto in quella specifica occasione, come un coltellino svizzero. Devi allungarti per coprire più spazio possibile e sbarrare la strada a un avversario che sta cercando di aggirarti, oppure devi infilare la gamba in mezzo a quelle avversarie come un chirurgo che mette le mani tra gli organi vitali di un paziente. Nel corpo a corpo devi saper cercare lo spazio per l’intervento come un liquido che deve cercare la fessura in cui continuare a scorrere. E nessuno come Vieira riusciva ad usare il proprio corpo in questo modo.
Marcel Desailly ha detto che Patrick Vieira era «due giocatori in uno». La cosa più eccezionale era quella tecnica che gli permetteva di rubare palla e mandare in porta Henry, oppure di uscire palleggiando da un punto del campo congestionato - in un calcio immaginario in cui la palla non deve mai essere giocata rasoterra Vieira avrebbe vinto almeno un paio di Palloni d’Oro - ma riguardandolo quindici anni dopo forse la cosa più incredibile di Vieira era la precisione con cui eseguiva ogni piccolo compito. Non era mai più duro del dovuto, anche se poteva essere «duro come le unghie» (un modo di dire inglese che ha usato un altro ex, Arsenal Paul Merson, per definirlo); né rischiava di perdere palla per dribblare, anche se sapeva dribblare e partire in conduzione palla al piede. I suoi passaggi erano precisi e puliti e non rallentava mai il gioco, se aveva spazio davanti portava palla ma se era chiuso scaricava palla e si muoveva per riceverla dietro la linea di pressione. Con quella testa piccola e tonda e le leve lunghe solo lui poteva essere chiamato «ragno» o «piovra» senza rischio di sembrare sciatto. Ma sarebbe stato un grande giocatore anche se non avesse avuto quel corpo che lo rendeva unico. Vieira era il migliore nel prendere rimbalzi e seconde palle, quando proteggeva palla era inaggirabile ed era impossibile uscire dal suo raggio d’azione quando cercava l’uno contro uno difensivo. Prima ancora che esistesse un calcio in cui i calciatori devono saper fare più o meno tutto, Vieira è stato un centrocampista difensivo capace di contendersi un posto nel nostro immaginario con trequartisti ed attaccanti come Zidane e Henry. Ma anche paragonato agli altri specialisti del ruolo - Roy Keane, Makelelé - la sua unicità gli assicura un posto nella storia.
Arturo Vidal
Arturo Vidal è di certo il centrocampista che più nel calcio contemporaneo si è avvicinato alla definizione di “calciatore totale”, Santo Graal del dibattito calcistico che senza la sua carriera sarebbe rimasto privo di un contenuto reale. Vidal, infatti, sa fare bene talmente tante cose che sembra quasi riduttivo metterlo in una lista di recuperatori di palla - lui che, nelle sue stagioni migliori, ha invece rappresentato un’arma offensiva formidabile per le squadre in cui ha giocato attraverso il suo grande tempismo negli inserimenti in area, la qualità di calcio sopraffina, l’istinto creativo. Basti pensare che sono diverse le stagioni in cui è andato abbondantemente in doppia cifra sia per i gol che per gli assist (per esempio alla sua seconda stagione alla Juventus, nel 2012/13, quando arrivò a 15 gol e 12 assist in tutte le competizioni), cosa tutt’altro che scontata per quello che era di fatto una mezzala.
Se dovessi restituire l’essenza di Vidal al di là delle sue singole qualità tecniche, però, non potrei fare a meno di parlare della sua incredibile elasticità fisica che gli permetteva di volare sul campo ed essere quasi letteralmente ovunque - di recuperare palla in modi che di solito associamo alle arti marziali o al ballo. C’è un video su YouTube che si chiama eloquentemente The Brutality of Arturo Vidal che raccoglie alcuni dei suoi migliori interventi difensivi e gran parte sono scivolate volanti o spaccate per recuperare palla o per bloccare tiri che, se si potesse eliminare il pallone e gli avversari, potrebbero davvero essere inserite in una coreografia di danza moderna. In questo senso, il termine brutalità mi sembra fuori luogo per Vidal, che per quanto irruento è quasi sempre stato piuttosto pulito nei suoi interventi e riusciva ad arrivare al pallone in modi a volte davvero inspiegabili (al minuto 1.50, ad esempio, con la maglia del Bayern Monaco riesce ad anticipare Démbélé, in area e da terra, CON LA TESTA). Se c’è brutalità nel gioco di Vidal è quella psicologica di togliere la disponibilità del pallone agli avversari senza che nemmeno se ne accorgano. Una violenza paradossalmente quasi senza contatto.
Casemiro
Nelle più grandi squadre del calcio contemporaneo - se escludiamo forse il Barcellona di Guardiola, che si era davvero avvicinato all’utopia di potersi difendere esclusivamente attraverso il controllo del possesso - è ricorrente la figura di un singolo giocatore sulle cui spalle grava l’intero equilibrio difensivo. In nessuna squadra, però, questa immagine è stata più chiara che nel Real Madrid di Zidane, la cui ascesa da allenatore è generalmente fatta partire proprio dall’intuizione di mettere Casemiro da vertice basso di centrocampo con continuità senza scontentare il pubblico delle “merengues”, storicamente allergico agli incontristi. Nel Real Madrid, infatti, Casemiro è talmente specializzato nel recupero del pallone da essere quasi del tutto esonerato da compiti creativi in fase di possesso, togliendosi dai piedi, a volte letteralmente, quando c’è da portare il pallone nella metà campo avversaria.
Il fatto che Casemiro sia di fatto l’unico preposto a recuperare il possesso in una squadra di artisti del pallone porta spesso al fraintendimento di considerarlo un giocatore poco tecnico o monodimensionale. In realtà, come aveva già notato Emiliano Battazzi anni fa, è paradossale notare che il centrocampista brasiliano non sia un giocatore particolarmente dinamico o fisico, è che la sua qualità principale sia in realtà “la capacità di leggere le azioni” cioè, in sostanza, la comprensione del gioco. Spesso si dice, banalizzando, che il Real Madrid di Zidane sia semplicemente una squadra molto offensiva e che, quindi, per bilanciare, abbia bisogno in campo di un giocatore molto difensivo, un giocatore come Casemiro, per l’appunto - come se stessimo parlando di cariche elettriche. Questa immagine nasconde quella che in realtà è l’essenza del Real Madrid, e cioè la libertà estrema lasciata a praticamente tutti i suoi giocatori, e la conseguente capacità di quest’ultimi di adattarsi uno all’altro in maniera naturale. Da questo punto di vista le qualità di Casemiro vanno oltre alla distruzione del gioco avversario, e hanno a che fare con la previsione del gioco - della propria squadra e della squadra avversaria - con il continuo ripensamento della propria posizione rispetto a quella dei propri compagni, con la modellazione del proprio gioco su quello degli altri. Battazzi, non a caso, nel suo pezzo lo chiama precog, quel personaggio che in Minority Report di Philip K. Dick riesce a vedere le cose prima che appaiano.
Per giocatori come Casemiro si è tentati spesso di utilizzare la figura di Atlante, quel personaggio della mitologia greca che, piegato dalla fatica, tiene sulle spalle l’intera volta del cielo - la perfetta rappresentazione metaforica di uno sforzo fisico titanico fatto per tenere in piedi qualcosa di sublime e etereo. Prima che un uomo che tiene sulle spalle un peso gigantesco, però, Atlante era un re della Mauritania considerato il primo ad aver mai studiato l’astronomia. “Diodoro Siculo”, si legge sulla sua pagina Wikipedia “scrive che Atlante fu il primo a rappresentare il mondo per mezzo di una sfera e per questo motivo si diceva che portasse il cielo sulle spalle, alludendo alla sua invenzione”. In realtà, quindi, la sua figura non dovrebbe essere associata alla fatica ma a una maggiore comprensione della realtà. Con le dovute proporzioni, penso che con Casemiro dovremmo fare lo stesso.
Javier Mascherano
Javier Mascherano è stato molti giocatori diversi e ha avuto molte vite in campo, ma in ognuna di queste la scivolata finiva per essere sempre per essere il tratto distintivo. Anche quando nel periodo finale della sua carriera a Barcellona era stato reinventato con successo come centrale di difesa abile in impostazione (in un ruolo “nobile”, quindi, per così dire), Mascherano di fatto continuava ad essere associato alle sue scivolate. Scivolate lunghe, stoiche, provvidenziali con cui legittimava l’autorità che proveniva dal suo soprannome (cioè jefecito, ovvero letteralmente piccolo capo) e che derivava proprio da quella disponibilità a sacrificare se stesso che poi alla fine la scivolata simboleggia. A volte in maniera letterale.
Questo è il famoso caso in cui Mascherano per bloccare il tiro di Robben ai Mondiali in scivolata si ruppe l’ano, come raccontato da lui stesso.
In questo senso, Mascherano più che un recuperatore di palloni si ergeva, in qualsiasi posizione di campo e in qualsiasi situazione, a ultima difesa della propria squadra, come se da ogni suo intervento dipendessero davvero le sorti della partita. Questo spiega anche perché fosse così irruento e a volte addirittura rovinoso sugli avversari, con uno stile non a caso molto apprezzato in Inghilterra, quando al Liverpool era ancora un centrocampista. Per Mascherano, insomma, sembrava che ogni singolo pallone valesse tutto - compresa l’integrità fisica degli avversari e la propria. Un’idea estrema di difesa della squadra, che in realtà va molto oltre la semplice mansione tattica di dover recuperare il pallone.
Radja Nainggolan
Qualcuno potrà obiettare che Nainggolan rispetto ad alcuni giocatori in questa lista ha avuto una carriera meno longeva e meno vincente. Ma Radja Nainggolan ha sublimato forse più di tutti gli altri calciatori qui presenti il gesto tecnico più rappresentativo e spettacolare della categoria, cioè il tackle, facendone una forma d’arte. O davvero come la mossa speciale del personaggio di un videogioco, «l'hadoken» di Ryu e Ken o la «scossa» di Blanka in Street Fighter. La scivolata di Nainggolan è qualcosa di più di una normale scivolata, è un gesto a parte che non abbiamo neanche bisogno di rivedere per ricordarlo con precisione: Radja insegue un avversario - anche rapido, anche esplosivo - gli arriva da dietro, sul lato sinistro, quando lo ha quasi raggiunto si proietta in avanti e gli chiude la strada colpendo il pallone col tacco. In purezza, è un gesto in cui non c’è neanche aggressività, ma semplice superiorità fisica e tecnica, adatto al pubblico di tutte le età (infatti Nainggolan piace molto ai bambini).
Che Nainggolan non sia solo un giocatore aggressivo come molti sostengono lo dimostra la sua importanza sulla trequarti di campo, ma anche la sua importanza in questi ultimi anni va oltre la bellezza delle sue scivolate. Nainggolan ha un dinamismo, un’elasticità, un equilibrio in conduzione e un dribbling da trequartista esterno (e salvo poche brillanti eccezioni la scuola calcistica belga ha sfornato soprattutto giocatori di questo tipo) e proprio per questo è particolarmente adatto a un calcio in cui i giocatori offensivi più tecnici solitamente partono da posizioni esterne per venire a giocare al centro. I centrocampisti difensivi non possono più limitarsi a tenere la posizione come un vecchio cow-boy a guardia di un fortino, se a puntarli non c’è più il centrocampista difensivo opposto ma un giocatore come Eden Hazard o Sadio Mané (devono - scusate la banalità - diventare dei ninja). In questo senso Nainggolan è uno dei prodotti più particolari e rappresentativi di un calcio intenso e verticale, in cui non esistono ritmi bassi e con l’uomo davanti non si può temporeggiare.
Gennaro Gattuso
Poche cose piacciono agli italiani come le specializzazioni dei ruoli, e in particolare la divisione tra il lavoro artistico dei numeri 10 e quello faticoso e materiale dei mediani che devono recuperare i palloni da portargli. È lo specchio di un’idea di mondo semplice e a portata di mano. In pochi hanno incarnato meglio di Gattuso l’ideale del mediano: una persona grezza come i suoi piedi, ma energica e generosa come il suo cuore. Ancelotti - che Gattuso definisce il suo “padre calcistico” - ha parlato di lui in termini di talento naturale «Aveva applicazione, attenzione, perseveranza, volontà, impegno. Puoi mantenerla, certo, ma devi averla dentro quando nasci». Lo ha definito un giocatore “unico” e “indispensabile” nel contesto del suo Milan ricco di trequartisti sublimi. L’unico insostituibile. Gattuso se ne andava in giro come una specie di cane basso, potente e perennemente incazzato. La foga e la fretta con cui si buttava sull’avversario col pallone tra i piedi faceva sul serio paura. Ma cercava sempre palla: non risparmiava qualche “stecca” sui polpacci avversari, ma non era mai violento, non entrava “per far male”. Eppure il suo gioco conteneva una certa violenza per l’invasamento con cui percorreva il campo. Sembrava davvero ovunque.
Forse non ricordate uno spot Nike che Gattuso ha girato con i Sanchez Boys. I protagonisti di una serie tv in cui facevano cose da stunt pazze. In questa serie di spot i Sanchez Boys avevano il compito di trovare “il più potente calciatore al mondo”, quindi vanno a trovare Gattuso che si allena su un campo deserto solo col suo pitbull. Poi si fanno tirare delle pallonate violentissime mentre cadono giù chiusi in un pneumatico con Wagner in sottofondo, oppure mentre corrono in motorino e una donna canta la lirica a bordo di una biga (?). Va bene, era per farvi capire che per l’idea che avevamo di lui, su cui anche il marketing ha marciato, Gattuso in questa lista ci sta di diritto.
Esteban Cambiasso
La completezza di un giocatore come Cambiasso rischia di farci dimenticare quando fosse uno specialista della fase difensiva. A differenza di molti nomi di questa lista non eccelleva nel gesto tecnico del recupero puro, spesso inteso come tackle, perché non aveva doti atletiche all’altezza di Vidal, Nainggolan o Kanté.
Cambiasso però era un centrocampista straordinariamente intelligente, Mourinho diceva di lui «Cambiasso è uno dei giocatori più veloci che abbia mai avuto. E quando dico veloce dico dove serve di più». Cambiasso leggeva il gioco difensivo in modo sempre impeccabile e riusciva sempre a portare l’uno contro uno nel suo territorio, quello del tempo e non dell’atletismo o del contatto. Aveva un modo di contrastare pulito, che cercava sempre il pallone e manipolava poco il corpo dell’avversario. Quando l’avversario lo puntava nell’uno contro uno sembrava non sapere mai bene che fare, il pallone finiva quasi sempre tra i piedi dell’argentino.
Cambiasso usava la razionalità per tenere nascosti i propri limiti fisici, ed è stato questo a renderlo una pedina essenziale dell’Inter del triplete. Una squadra in cui, stando alle sue parole, avrebbe giocato anche difensore centrale. Cambiasso, tra i recuperatori di questa lista, forse non è il più efficace (le sue statistiche sono notevoli, ma non d’elite), né il più spettacolare (anche rispetto a un escluso di questa lista come Allan). Però valeva la pena inserirlo per il suo modo pulitissimo ed elegante di recuperare il pallone: una specialità unica e che aveva raffinato fino a diventare una specie di numero 10 dei mediani.
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