Con poco meno di cinque minuti da giocare nella logorante e decisiva gara-7 tra Denver Nuggets e Portland Trail Blazers, con gli ospiti avanti di quattro lunghezze, Damian Lillard sente l’odore del sangue e attacca uno sfinito Nikola Jokic.
Con mezzo campo a disposizione, il numero 0 arriva al ferro ma senza riuscire a concludere, stoppato da una straordinaria giocata del centro serbo. I Nuggets ripartono immediatamente, consapevoli che con quell’azione potrebbero trovare non solo due comodi punti in contropiede, ma anche la scintilla emotiva per far ripartire il proprio motore in vista della volata finale da giocare davanti al pubblico amico. Jamal Murray aggira Seth Curry e si prepara per il più comodo degli appoggi, quando C.J. McCollum rimonta da dietro e inchioda la palla al tabellone, nel miglior remake visto finora della leggendaria stoppata di LeBron James su Andre Iguodala nelle Finali NBA del 2016.
The Block nella sua versione cosplayer.
Un capolavoro di atletismo, intelligenza e pulizia tecnica, nonché un omaggio enorme per un ragazzo cresciuto nel nord dell’Ohio, a pochi chilometri dalla città natale del Re. Un gesto che spezza sul nascere il fuoco di rimonta dei Nuggets e che da solo potrebbe bastare a segnare la stagione di un giocatore. Non per il 330 kid, però, che nel finale sublima addirittura la sua già eccellente prestazione offensiva con il canestro che permette ai suoi Blazers di tornare alle Finali di Conference per la prima volta dopo 19 anni di assenza.
In questa post-season, C.J. McCollum ha saputo consacrarsi definitivamente come uno degli attaccanti più completi del panorama NBA, rompendo l’epica che lo voleva semplice gregario di lusso in una squadra perdente, prendendosi le copertine principali assieme al gemello tecnico Damian Lillard e mettendo in mostra la profondità delle sue qualità tecniche e fisiche.
Il tiro che ha deciso gara-7. “Good defense my ass!” dirà poi riprendendo il tweet di un giornalista.
Costruito per resistere
Per quanto misuri appena 192 centimetri per 86 chili, infatti, una delle qualità che colpiscono di più del gioco di McCollum è la sua straordinaria fisicità. Magari non nell’accezione spettacolare del termine – quella per intendersi dei LeBron o degli Antetokounmpo – ma la sua resistenza atletica vale tanto quanto una schiacciata altisonante o un pettorale imponente. Basti pensare, ad esempio, all’intervista rilasciata a caldo senza traccia di fatica dopo gara-3 contro i Nuggets (che qualora vi foste dimenticati è finita dopo quattro tempi supplementari!) o a questi due rimbalzi catturati sempre nella decisiva gara-7 contro i Nuggets quando la maggioranza dei giocatori in campo facevano fatica anche solo a reggersi in piedi.
La forza nelle gambe gli garantisce un’ottima elevazione anche da fermo, mentre il baricentro molto basso gli permette di mantenere una linea di equilibrio costante nelle penetrazioni verso il ferro. Sa reggere bene i contatti in area ed è bravo nell’assorbire il contatto col diretto avversario per manipolarne gli angoli di intervento, ricalibrando il proprio peso del corpo in modo da sbilanciarlo e procurarsi un vantaggio.
Come riesce a mantenere il controllo della palla costruendosi un “cuscino” immaginario tra il braccio e il costato - utilizzando un primo passo ampio di potenza seguito da piccoli passi di raccordo, atti a prendere la miglior coordinazione -, ricordano i movimenti di un running back del football americano. E per quanto non sia un giocatore estremamente efficace al ferro, è letale nel resto del pitturato, dove tira col 44.8% su 5.6 tentativi a sera grazie soprattutto a un floater sempre più affinato. Una “lacrima” morbidissima che riesce a far partire anche da grande distanza e che può tranquillamente appoggiare al tabellone.
Una collezione dei più bei floater di McCollum in questi playoff.
Maestro di tecnica
Il saper controllare i tempi dell’attacco è una dota essenziale per un killer completo. Per quanto sia in grado di attaccare anche in transizione, McCollum ama giocare a ritmo controllato, come se avesse bisogno di scansionare il campo prima di poter muovere le pedine secondo la sua volontà. Controllare il tempo significa saperlo alterare, mandare fuori giri le rotazioni avversarie, muoversi a zig-zag cambiando costantemente il livello delle proprie accelerazioni. Allo stesso tempo c’è bisogno di una faretra di soluzioni più ampia possibile: un bagaglio personale fatto di trucchi, contromosse e intagli artistici col quale variare il proprio utilizzo a seconda delle necessità della squadra e scardinare ogni tentativo di arrocco difensivo.
Negli anni la sua connessione con Damian Lillard ha raggiunto un’affinità tale da vederli dividersi gli spazi dell’attacco dei Blazers senza mai pestarsi i piedi, con entrambi in grado di riconoscere quando agire da attore protagonista e quando lasciare il palcoscenico all’altro, riempiendo i vuoti di sceneggiatura. In pochi riescono a ricoprire il ruolo di secondo violino come McCollum, proprio perché è molto di più di una semplice seconda opzione. Non è solo un decoy che le altre squadre devono rispettare, ma il punto d’appoggio da cui far passare il grosso dell’attacco, una valvola di sfogo in grado di giocare con la palla e lontano da essa.
Con oltre il 43% da tre su più di sei tentativi di media in carriera in post-season, McCollum è un tiratore micidiale, capace di influenzare le scelte delle difese avversarie data l’impossibilità di lasciarlo da solo sugli scarichi e la facilità nel costruirsi un tiro dal palleggio in ogni momento. Con 0.98 punti per possesso è nell’83° percentile nel gestire il pick and roll da palleggiatore, dove le letture degli spazi e degli uomini attorno a lui si fanno ancora più acute. Spesso gli basta un semplice blocco portato alto nel campo (in questo Jusuf Nurkic e Enes Kanter sono estremamente abili) per prendersi un vantaggio, costringendo i lunghi avversari a scelte difficili, visto che può arrestarsi in pochissimo spazio e aprire il fuoco così come prendere possesso dell’area.
McCollum è eccezionale nello sparare subito dopo aver girato il blocco dei propri lunghi. In questi playoff sta tirando con un terrificante 41.6% dalla zona centrale oltre l’arco dei tre punti: solo Khris Middleton fa meglio tra le quattro squadre rimaste ancora in corsa.
Allo stesso tempo è abile nello scaricare e mettere in ritmo i compagni. I giochi a due con Kanter di questi playoff sono diventati via via sempre più sofisticati, con McCollum che aspettava di attirare i raddoppi difensivi per poi far uscire la palla (spesso schiacciandola a terra) e permettere ai compagni di giocare in superiorità numerica. Ha sviluppato un eccellente uso mano sinistra che gli permette sia di mantenere sempre il controllo nel palleggio che di accelerare l’esecuzione dei propri passaggi, oppure, vista la gravità che lui e Lillard esercitano sulle difese avversarie sul lato della palla, è bravo nel leggere i movimenti degli altri componenti in campo e tagliare il campo con dei passaggi trasversali che raggiungono i tiratori negli angoli opposti.
Skip to my lou.
Custode del mid-range
La capacità di saper manipolare i tempi di esecuzione è forse la sua qualità migliore, che gli garantisce diverse opzioni per le sue soluzioni di tiro. McCollum sa muoversi come un felino a passi felpati, con attenzione mortale, fino a portarsi nella mattonella che gli sembra più indicata per agire e prendersi la conclusione preferita: il tiro dalla media distanza. Tra quelli ad aver tentato almeno quattro tiri del genere in questi playoff solo Kevin Durant e Kawhi Leonard hanno un’efficacia migliore del suo 45.5% e il poter colpire sia in fadeaway che in step-back gli permettono di avere quasi sempre una visuale nitida del canestro.
Da notare come tutti i pattern delle esecuzioni di McCollum siano simili senza assomigliarsi mai, come un jazzista che riesce a improvvisare sempre nuove note sullo stesso spartito.
In una NBA sempre più analitica, dove molte difese accettano di concedere tiri dalla media distanza pur di proteggere le zone più redditizie del campo, McCollum ha saputo trovare la sua dimensione e per i Blazers avere un giocatore in grado di punire con costanza dalla media distanza è un’arma fondamentale, soprattutto nelle sere in cui il tiro pesante non entra o Lillard fatica a prendere ritmo.
Adesso l’ultimo tassello da aggiungere - quello sul quale con molta probabilità lavorerà durante l’estate - è il saper resistere al meglio ai raddoppi. Se nelle prime due serie, contro Thunder e Nuggets, aveva mostrato buone letture riuscendo ad eludere le trappole difensive per poi proseguire le sue penetrazioni fino alla porzione di campo interessata, lo stesso lavoro non è riuscito nelle quattro partite di finale contro i Golden State Warriors. Il tempismo e la ferocia degli aiuti, dei recuperi e delle delle rotazioni difensive della squadra di Steve Kerr hanno finito col limitarne significativamente l’efficacia, facendo crollare le sue percentuali ben sei punti sia dal campo (dal 45.5 al 39%) che da tre punti (dal 41 al 35%).
Quale futuro?
Consapevoli della sua importanza, i Warriors hanno fatto un lavoro eccezionale sia nel raddoppiarlo, indirizzandolo verso una zona di campo per limitarne la visuale del campo e costringerlo a scaricare la palla, sia nel fargli trovare sempre un giocatore pronto ad anticiparne i movimenti in uscita dai blocchi, rendendogli tutto più complicato, soprattutto le tanto amate ricezioni partendo dalla riga di fondo.
Stesso discorso nelle metà campo difensiva, dove Steph Curry e Klay Thompson l’hanno prosciugato di energie portandolo a giro per il campo con il loro continuo movimento, sfruttando l’incapacità di McCollum di passare sopra i blocchi per prendersi vantaggi che hanno portato alle straordinarie balistiche degli Splash Brothers nel corso di tutta la serie. Terry Stotts ha provato (soprattutto in gara-4) a sfruttarlo più da portatore primario principale e questo gli ha permesso di trovare un ritmo migliore come dimostrano il massimo sia per punti, assist che percentuali dal campo e da tre. Purtroppo per Portland, però, anche questo non è bastato ad evitare lo sweep, come era già successo due anni fa.
Nonostante fossero privi di Kevin Durant, DeMarcus Cousins e (nell’ultima partita) di Andre Iguodala, i Warriors si sono dimostrati di un livello ancora difficilmente raggiungibile dai Blazers; soprattutto da questa versione dei Blazers. Ma non per questo la franchigia deve considerare la propria cavalcata ridimensionata. Il GM Neil Olshey non avrà molte carte da giocarsi per migliorare questo gruppo nel corso dell’estate e dopo le grandi risposte arrivate da Damian Lillard, questi playoff hanno confermato come C.J. McCollum abbia raggiunto un altro livello, evolvendosi nel tassello che mancava ai Blazers per programmare il proprio futuro.