Sono poche le franchigie NBA in grado di identificare la loro storia recente con uno stile ed un’identità precisa: il Grit & Grind dei Memphis Grizzlies, la fluidità dell’attacco dei San Antonio Spurs o ancora il Morey Ball degli Houston Rockets.
Gli Oklahoma City Thunder sono stati concepiti dal General Manager Sam Presti con un’identità precisa: atletismo, stazza, energia e “lunghezza”, ovvero la combinazione di altezza e apertura delle braccia. Proprio quest’ultima caratteristica è quella che forse più di tutte ha sempre caratterizzato le scelte del GM di OKC in fase di costruzione della squadra: pensate a Kevin Durant, un’ala piccola di 2 metri e 10 con un’apertura di braccia di 225 centimetri.
Oggi, dopo due stagioni in cerca di continuità e di certezze a seguito dell’addio di KD, Oklahoma City si è forse ricongiunta definitivamente con la sua natura, la cui espressione più alta è appunto la difesa e quell’ossessiva ricerca nel rendere impossibili le linee di passaggio per gli avversari. E questo grazie all’arrivo di Paul George.
PG13 si è rapidamente affermato nel ruolo di principale stopper difensivo della squadra, nonostante rimanga il terminale offensivo più sfruttato (20.7 tentativi a partita), e in questa stagione strepitosa si sta confermando uno dei migliori two way player in circolazione. Lui e Russell Westbrook non formano solo una delle coppie più complicate da fermare nell’intera lega quando hanno la palla in mano, ma il loro impatto si vede soprattutto nella metà campo difensiva: sono rispettivamente primo e secondo per palle rubate a partita, 2,3 e 2,2 a partita, palloni che vengono poi velocemente trasformati in punti nell’altra metà campo.
Attorno alla strana coppia di OKC, coach Billy Donovan ha formato un gruppo di freak e personaggi da fumetti che contribuiscono a creare la reputazione dei Thunder come una squadra diversa da tutte le altre. Steven Adams, Jerami Grant e Terrence Ferguson sono usciti dal cono d’ombra creato dalle due superstar e si stanno ritagliando un ruolo da caratteristi in un film che sogna la notte degli Oscar. Anche la panchina, che l’anno scorso era uno dei punti deboli del roster messo assieme da Presti, questa stagione porta un cambio di ritmo e una freschezza atletica che si inserisce perfettamente nella ritrovata identità dei Thunder.
Ed è proprio questa identità che ha permesso ai Thunder di essere tra le tre migliori squadre a Ovest nonostante fino alla fine del 2018 fossero la peggior squadra al tiro da tre della lega (32.2% nelle prime 36 partite). Quasi un controsenso per quelle che sono le tendenze attuali della lega.
La difesa asfissiante dei Thunder
Lo scorso anno la difesa dei Thunder era radicata su due concetti molto precisi: avere esterni atletici in grado di mettere pressione al portatore di palla sul blocco e un lungo capace di difendere il pick and roll in fase di contenimento come Adams.
Fino all’infortunio di André Roberson, OKC possedeva una difesa eccellente anche quando c’era Carmelo Anthony. Addirittura, con lui in campo OKC concedeva solamente 96 punti per 100 possessi; la miglior difesa della NBA ad oggi ne concede 103.7.
Senza Roberson, però, la difesa è crollata come un castello di carte al primo scossone. A ottobre Donovan ha sottolineato il fatto che, rispetto alla stagione precedente, la difesa di OKC avrebbe messo più enfasi sulla difesa del tiro da tre, soprattutto in situazione di pick and roll, dove occorre limitare i tiri dal palleggio. Il motivo per cui questo sia fondamentale, soprattutto nella Western Conference, è presto spiegato: 4 dei 5 giocatori che tirano più spesso da 3 dal palleggio sono nella Western Conference.
La difesa in contenimento del lungo - ovvero quando il giocatore che marca il bloccante rimane dietro il blocco e spesso qualche passo dentro la linea dei tre punti - viene messa in crisi da questo tipo di soluzione, soprattutto se chi marca il portatore di palla non riesce a “passare” sul blocco.
Pessima esecuzione sia di Westbrook che non forza il blocco, sia di Carmelo, che lascia troppo spazio a Mitchell, ritardando il closeout.
Gobert “droppa” troppo, Rubio si incaglia sul blocco di Adams, George ha fin troppo spazio per sbagliare (e anzi rischia il gioco da quattro punti).
Molte squadre, inclusi i Thunder nella stagione 2015-16 conclusasi con le finali di conference, usano i cambi sistematici per ovviare al problema specialmente in ottica di playoff.
In alcuni casi può andare bene:
Roberson cambia su Green, prima sporca un passaggio poi ne costringe un altro forzato.
In altri meno bene:
Dopo il cambio, Ibaka concede il centro a Barnes che conclude in sottomano. Ancora, gli interpreti fanno la differenza.
Blitz & Read
Donovan non è un allenatore che ama le convenzioni o i trend. La tendenza della lega è verso le due soluzioni presentate qui sopra, eppure, il coach dei Thunder ha basato i suoi schemi su una soluzione diversa, quasi completamente abbandonata negli ultimi anni (in attesa che Jason Kidd torni prima o poi ad allenare).
Fare blitz sul pick and roll significa mandare il difensore del bloccante molto in alto per togliere spazio al portatore di palla ed evitarne sia una penetrazione che un tiro immediato. Questa difesa si basa su due concetti: il movimento appena descritto e le rotazioni, a partire dal lato debole, che coinvolgono tutta la squadra per sopperire al 4 contro 3 che inevitabilmente si crea.
Adams sale alto e contiene la penetrazione di Lillard costringendolo al passaggio. Buona la rotazione di Grant, Westbrook un po’ pigro non contesta la tripla di Aminu.
Una difesa di successo e sostenibile impone scelte all’attacco, cioè toglie letture semplici forzando quelle più complesse e limita al massimo le scelte dei difensori, puntando su poche regole ben precise.
Quanto visto nella clip sopra sposa certamente il primo principio in quanto limita le possibilità di Lillard, costretto a passare in angolo. Ma è ciò che di più lontano ci sia dal secondo, poiché richiede sforzo a tutti i membri della squadra. Già così è tutto piuttosto difficile da eseguire con precisione, ma poi le cose si complicano ulteriormente. Adams, vero regista difensivo della squadra, “chiama” le coperture ai compagni mescolando i tre concetti visti sopra a seconda di chi sia il palleggiatore.
Nella clip qui sopra rimane leggermente più basso perché Middleton non ama concludere da 3 da situazioni di pick and roll laterale, mentre Grant sale alto per limitare Brogdon. I Thunder ruotano alla perfezione costringendo Milwaukee a un tiro contestato del peggior esterno in campo, Sterling Brown.
L’anello debole
«Sostituiscilo! Non sa come difendere. Giochiamo pick and roll ogni volta. Sostituiscilo»
Steven Adams a David Fizdale
È con queste parole che Adams sotterrò Enes Kanter nella partita giocata al Madison Square Garden qualche settimana fa. Eppure, nella freddura del neozelandese verso il suo amico si cela una grande verità: l’efficacia difensiva di una squadra è sempre legata al suo peggior elemento. E nelle ultime due stagioni, OKC ha sempre avuto almeno un pessimo difensore stabilmente in rotazione - prima Kanter, poi Carmelo Anthony. Non a caso, nella serie contro gli Utah Jazz, OKC ha subito circa due punti per possesso quando Melo è stato attaccato direttamente o in situazioni di pick and roll: una tragedia.
Quest’anno, il quintetto titolare dei Thunder non ha pessimi difensori e questo lo deve, oltre all’inserimento di Grant al posto di Anthony, al miglioramento inaspettato di Terrance Ferguson. Il nativo di Tulsa, reduce da una stagione da matricola con più ombre che luci (-6 il Net Rating con lui in campo), ha completamente invertito la rotta nel suo secondo anno tra i professionisti.
Ferguson, dopo aver iniziato la stagione tirando con il 22% dall’arco nelle prime 10 partita, ha aggiustato la mira. Nelle restanti 33 partite sta tirando il 40,5% su ben 4.1 tentativi a partita per un totale annuale appena sotto il 37%. Finalmente si è realizzata la preghiera espressa dalla dirigenza dei Thunder la notte del Draft quando, tra lo stupore generale, scelsero con la ventunesima chiamata assoluta questo diciottenne che aveva preferito andare giocare in Australia piuttosto che in NCAA. Dopo una lunga e infruttuosa ricerca di un vero 3&D, passando tra le Scilla e Cariddi di Thabo Sefolosha, Kevin Martin, Andre Roberson e Anthony Morrow - tutti soggetti imperfetti, ottimi da un lato del campo e pessimi dall’altro - forse i Thunder hanno trovato l’uomo che fa al caso loro.
La recente produzione dietro l’arco di Ferguson ha salvato le spaziature della squadra di Donovan, che nell’altra metà campo non poteva permettersi di rinunciare alla sua versatilità difensiva. La rapidità nel difendere i blocchi e nel contenere le penetrazioni in uno-contro-uno sembra essere quasi copiata dal suo compagno di squadra Roberson (attualmente infortunato), con il quale ha lavorato su questi fondamentali per tutta l’estate. Con mentori come André e Paul George a insegnargli i trucchi del mestiere, non stupisce la crescita verticale di un pezzo sempre più importante sullo scacchiere della squadra dell’Oklahoma e del suo eterodosso sistema di gioco.
Ferguson in difesa sul probabile MVP James Harden.
Qui in difesa su Butler, “navigando” tra i blocchi di Embiid.
Lui e Grant sono le sorprese più liete dell’incubatrice di Billy Donovan, che ha sempre privilegiato lo sviluppo interno dei giocatori piuttosto che cercarli in giro per la lega. L’ex Sixers è una batteria Duracell tutta gambe e braccia che arriva come una piovra dal lato debole per spedire le conclusioni avversarie nel pubblico e naviga la linea di fondo come uno squalo. Tra i sessantatre giocatori con almeno duecento tiri difesi al ferro è, Grant si classifica al tredicesimo posto per percentuale concessa (54,2). È il perfetto complemento a Steven Adams: uno denso e marmoreo, l’altro elastico e gommoso.
Entrambi rendono molto difficile la vita agli avversari nel pitturato, mettendo spesso e volentieri delle toppe dove l’aggressività sul perimetro apre buchi. Il loro costante dinamismo sotto i tabelloni avversari garantisce ai Thunder grappoli di extra-possessi ogni partita: quasi il 30% delle conclusioni sbagliate finisce nuovamente nelle mani dei giocatori di OKC, più di 12 a partita.
Russ & PG
«Il mio compito è fare in modo che rimanga aggressivo, sia che segni o che sbagli. Io mi prenderò curo del resto»
Per chi fosse poco avvezzo al personaggio Westbrook, queste parole possono sembrare un banale cliché, una frase fatta detta ai media tanto per dire qualcosa. Russ, invece, ne ha fatto la missione personale della stagione con la solita ferocia che lo contraddistingue.
Due stagioni fa il numero 0 sollevò il trofeo di MVP della lega seppur dopo un’amara esclusione al primo turno. L’anno dopo, pur riducendo l’assurdo numero di possessi utilizzati (il più alto di sempre nel 2016-17), i Thunder sono comunque rimasti “la squadra di Westbrook”: sensazionali con lui sul parquet, terribili quando era seduto in panchina.
Per Westbrook realizzare che una squadra con se stesso come primo e a volte anche secondo violino non sia in grado competere ai massimi livelli è una rivoluzione copernicana. Renderlo realtà mettendo in discussione il proprio gioco, mutuandolo per far fiorire il talento di Paul George, è qualcosa che si riteneva semplicemente impensabile.
Eppure le cifre non mentono. Lo scorso anno, George si attestò a 25.7% di Usage (la statistica che indica la percentuale di possessi usati da un giocatore mentre è in campo), mentre Westbrook concluse con il 34.1% (secondo Basketball Reference). Quest’anno, entrambi sono attorno al 30%, con Westbrook appena avanti.
Nel crunch time, ovvero gli ultimi 5 minuti di quarto periodo e overtime con uno scarto nel punteggio tra le due squadre inferiore ai 5 punti, lo scorso anno Westbrook finì al 48.1% in tali situazioni, con George fermo al 18%. Anche perché PG13 non ha mai avuto il ghiaccio nelle vene.
Due anni fa uscì uno spot pubblicitario di Gatorade che vedeva Paul George ancora in maglia Pacers decidere una partita all’ultimo minuto sotto il beat dei Souls of Mischief, strappare una bottiglia del celebre integratore dalle mani di un tifoso in estasi sportiva e sussurrare “Ball Game”. Il video diventò velocemente un meme in quanto nella sua carriera in Indiana George non era mai riuscito ad infilare un singolo game winner e le compilation dei suoi clang sul ferro nella vita reale facevano da ironico contraltare a quel spot così finto.
Prima di questa stagione George era 0/14 nei tiri del sorpasso per vincere le partite. Poi lo scorso dicembre sul possesso decisivo di una gara a Brooklyn, dopo una furiosa rimonta, George ha ricevuto il pallone da Westbrook raddoppiato e ha avuto tutto il tempo di mandare a segno il canestro della vittoria. Liberato da questa “scimmia sulla spalla” che gli impediva di tirare bene nei finali tirati, PG13 è diventato un closer di primo livello - tanto che anche Westbrook, solitamente un divoratore di possessi, non ha avuto problemi ad affidarsi a George con la partita in bilico.
Difatti in questa stagione la tendenza si è completamente invertita: è l’ex-Indiana a guidare i Thunder quando la partita è agli sgoccioli con 33% di Usage contro il 31% di Russ, per di più con un ottimo 62% di percentuale reale.
Il mese successivo, con Westbrook fuori per falli e Oklahoma sotto di due in casa di Philadelphia, George è uscito da un blocco granitico di Steven Adams e ha completato il gioco da quattro punti che ha regalato la vittoria ai Thunder.
Il capolavoro arriva contro i Jazz, dove dopo due overtime, George chiude i conti con un floater dalla parabola improbabile contro il candidato numero uno a difensore dell’anno, Rudy Gobert.
Negli anni George ha costruito il suo gioco offensivo aggiungendo ogni stagione qualcosa di nuovo fino ad arrivare quest’anno con la cartucciera piena, un arsenale in grado di colpire l’avversario in qualsiasi modo. È una costante minaccia sia in situazioni di catch & shoot, quando Westbrook attrae la difesa su di sé e trova lo scarico sul perimetro; ma soprattutto possiede una quantità di movimenti con il pallone in mano che lo rende imprendibile quando comincia a danzare. La semplicità con la quale sbilancia l’avversario con una serie di crossover prima di prendersi la conclusione da tre è un inno alla leggerezza, quasi se giocasse galleggiando sul pelo del mare. Sfrutta tutta l’estensione delle sue braccia per spostare la palla da una parte all’altra, piegandosi in avanti in modo innaturale, come se avesse una coda a bilanciarlo. Un velociraptor da parquet che disseziona gli avversari con sadica lucidità. George è anche cresciuto come passatore: se è vero che è ancora Westbrook a gestire il pallone nella maggior parte dei possessi offensivi, non è raro che i ruoli si ribaltino.
Outlet pass di PG per Russ, che è già sopra il canestro avversario.
Russ va a bloccare per PG, una rarità, e poi si apre per un tiro da 3 piedi per terra.
I meriti di George sono indiscutibili, ed è quasi paradossale pensare che sia lo stesso giocatore che meno di quattro anni fa si spezzò la gamba in un’amichevole estiva della nazionale USA. Ma per comprendere la dinamica che ha portato PG a essere un candidato al premio di MVP bisogna partire dal rapporto che lo lega a Westbrook.
Giocare con Russell non è cosa da tutti. Lo standard richiesto dall’ex MVP non è cosa semplice da gestire e non è un segreto che l’uscita di scena di Durant abbia gettato ombre su Russ e sul suo modo di gestire le relazioni con i compagni. Eppure, per un KD che parte c’è un Oladipo che attribuisce parte del suo cambiamento e successo all’aver passato un anno con Westbrook. E, soprattutto, c’è Paul George che sceglie di rimanere a OKC per giocare con lui.
Il rapporto creatosi tra i due va oltre i 48 minuti spesi sul parquet, dove insieme portano i Thunder a un +12 di Net Rating che li vedrebbe in cima alla NBA su base stagionale. Lo scorso anno, ad esempio, George (o qualunque altro essere umano legato alla vita) non si sarebbe mai permesso di urlare a Russ «Sei stato fortunato a essere in squadra con me all’All-Star Game, altrimenti ti avrei distrutto». Eppure tanto è successo dopo il Draft televisivo della partita delle stelle di Charlotte. Il fatto che PG sia ancora vivo e vegeto la dice lunga.
Per Westbrook, questo legame si traduce in una sfida e un supporto continui, un desiderio di portare George al massimo livello in carriera. Non più tardi di qualche settimana fa nella vittoria dei Thunder su Portland, sia a Westbrook che a George mancava un assist per finire la serata con una tripla doppia. Westbrook si è avvicinato a Paul George sfidandolo a finire la partita con la prima doppia-tripla doppia della storia di OKC. E ovviamente nel possesso successivo George ha segnato una tripla su passaggio di Westbrook. Ma, cosa meno usuale, il play ha ricambiato il favore pochi possessi dopo: un momento unico nella storia di OKC condiviso dai due nuovi leader della squadra.
Le due triple che hanno sigillato le due triple doppie
Questa stagione ha definitivamente ribaltato la narrazione che per anni ha descritto Westbrook come un egomaniaco buono solo a riempire le proprie caselle distruggendo ogni tentativo di alchimia di squadra. La convivenza con George invece ci restituisce un altro Westbrook, forse cambiato dalla paternità o dagli infortuni alle ginocchia, che ha imparato a condividere i risultati con la sua squadra.
Playoffs
È doveroso però chiedersi se questo idillio sia destinato a durare e quanto il successo dei Thunder sia traducibile in chiave playoff. Per quanto George stia giocando una stagione stellare e sia a pieno merito uno dei candidati MVP insieme a Giannis Antetokounmpo e James Harden, è difficile prevedere che i suoi numeri al tiro (41% da 3 su 9.5 tentativi a partita) rimangano su questi livelli. E senza questa versione di George, le cose cambiano radicalmente per OKC.
Per quanto la stagione di Westbrook sia sensazionale in ogni aspetto eccetto il tiro, le sue percentuali e le scelte sono talmente pessime che potrebbero rappresentare uno scoglio insormontabile contro una difesa organizzata. Sempre più spesso infatti, le difese trattano Westbrook alla stregua di giocatori come Ben Simmons, incapaci di tirare fuori dal pitturato. Addirittura, alcuni coaching staff hanno messo in campo una zona per limitare le conclusioni al ferro (58% di percentuale al tiro) e forzarlo alla conclusione dal palleggio, chiudendo il più possibile le linee di passaggio. Il 29% con cui Westbrook tira oltre i 3 metri suggerisce che tale strategia possa rivelarsi vincente.
Nonostante questo però, i Thunder ad aprile potrebbero avere qualche freccia al loro arco. André Roberson, ancora in fase di recupero dopo la rottura del tendine rotuleo, potrebbe essere disponibile giusto in tempo per la post-season e fornire minuti di qualità come riserva, visto che la chimica del quintetto sembra intoccabile. Per tutto l’anno OKC ha faticato a trovare alternative a George e Grant: Patterson fino ad oggi ha reso ad intermittenza e, dopo la dipartita di Abrines, le alternative rimaste sono Nader e, probabilmente, Burton.
Il problema è che il primo è quasi impresentabile in difesa mentre il secondo, pur avendo giocato molto bene contro Portland e Houston su entrambi i lati del campo, non ha ancora un contratto vero con i Thunder. Roberson potrebbe stabilizzare la difesa della second-unit fungendo da stopper sulla prima opzione offensiva avversaria fornendo anche un buon apporto a rimbalzo, ma va inserito in un contesto tattico che ne mascheri le limitazioni al tiro.
Affare non semplice se a completare il quintetto sono Noel e Schröder, entrambi tiratori ben poco affidabili. Nonostante ciò però, entrambi i giocatori hanno portato un apporto alla causa difficile da pronosticare ad inizio anno. Su Schröder si era arrivati al punto di affermare che fosse preferibile usare la stretch provision su Carmelo Anthony e pagare 9 milioni di “dead money” che ingaggiare il playmaker tedesco.
Durante le partite in cui Westbrook è rimasto in tribuna a causa di un infortunio, Schroöder ha guidato OKC ad un record di 5-3 e la starting unit con lui in cabina di regia è il miglior quintetto schierato dai Thunder in questa stagione, con un +26 di Net Rating.
Ai Thunder piacciono questi progetti di recupero talenti: da Dion Waiters, ad Enes Kanter fino ad arrivare a Noel che dopo la disastrosa esperienza di Dallas era alla ricerca di una situazione che potesse mettere in luce le sue abilità senza esporre troppo il suo rendimento intermittente. Fare da riserva ad un lungo come Adams non è facile, eppure Nerlens ha ritrovato la sua identità da protettore del ferro e difensore estremamente versatile in grado di cambiare anche sugli esterni, come ad esempio Damian Lillard.
A Billy Donovan è sempre piaciuto testare soluzioni durante la stagione regolare e tenere molte cose che funzionano per la post season. Durante la sua prima stagione giocò con Serge Ibaka da centro per un centinaio di minuti in stagione regolare, per poi utilizzare moltissimo quella strutturazione nei playoff. Stesso dicasi per i quintetti con Adams e Kanter sfoggiati contro gli Spurs, sempre quell’anno.
Quest’anno, i quintetti con George da ala grande sono stati usati con il contagocce, così come il pick and roll centrale con Adams, marchio di fabbrica delle stagioni precedenti. Può darsi che il coaching staff di OKC si stia tenendo da parte questa soluzione in vista della primavera, in attesa anche di capire come si inserirà nelle rotazioni il nuovo arrivo Markieff Morris, pescato dal mercato dei buyout e alle prese con un infortunio al collo.
Golden State rimane la favorita assoluta per la conquista non solo della Western Conference ma anche del titolo NBA. Ciò nonostante gli Oklahoma Thunder vogliono imporsi come la più titolata tra le sfidanti alla gioiosa macchina da guerra della Baia. La loro combinazione di atletismo, lunghezza e identità difensiva potrebbe mettere in seria difficoltà i campioni in carica e le altre squadre che affronteranno sull’arco delle sette partite. Perché giocare contro OKC è fastidioso e poche squadre sono preparati all’intensità che gli uomini in blu e arancio mettono in campo per quarantotto minuti. E poche squadre in NBA possono contare su due stelle come Russell Westbrook e Paul George, capaci di vincere da soli una partita sulle due metà di gioco.
Ma soprattutto mai come questa stagione i Thunder possono finalmente contare su un gruppo coeso e un’identità definita - due qualità che fanno molto comodo da metà aprile in poi.