Se i Toronto Raptors sono riusciti a rimanere imbattuti nelle NBA Finals è stato grazie a una grande prestazione corale contro i campioni in carica di Golden State, confermando le previsioni degli scommettitori e dei modelli statistici ma ribaltando clamorosamente tutta la narrazione che ha sempre accompagnato la squadra canadese ai playoff. A differenza di quanto successo nel recente passato, però, questa cavalcata di Toronto sta confermando come il gruppo di Nick Nurse sia maturato e cresciuto, riuscendo a gestire anche il bailamme delle Finali e un avversario livello leggenda. Gli Warriors rimangono ancora i favoriti nella corsa al terzo anello consecutivo e al quarto negli ultimi cinque anni, ma se c’è una cosa che abbiamo imparato è che la gara di stanotte ha subito messo in chiaro come questa corsa non sarà una passeggiata di salute.
D’altronde Toronto si è guadagnata il pass per queste Finals vincendo serie durissime, contro avversari estremamente competitivi e non la solita scampagnata per la Eastern Conference degli anni passati. È arrivata all’appuntamento caricata a molla da un pubblico ormai in pieno delirio collettivo, che si è ammassato nei vari Jurassic Park lungo il confine nord-occidentale (si, perché ora non c’è solo quello fuori la Scotiabank Arena: John Hammond sarebbe orgoglioso) ed è apparsa più in palla degli Warriors, che sono rimasti fermi per ben nove giorni dopo aver completato lo sweep ai danni di Portland.
Toronto ha iniziato subito forte, alzando anche inaspettatamente un ritmo di gioco che dovrebbero - teoricamente - provare ad addormentare il più possibile, trovando però canestri importanti da Danny Green e Marc Gasol mentre la difesa di Golden State cercava in ogni modo di togliere la palla dalle mani di Kawhi Leonard. Una scelta che ha funzionato sin dall’inizio e che ha trovato i giocatori di ruolo di Toronto pronti ad assorbire una gara nella quale Leonard e Kyle Lowry hanno tirato un combinato 7/23 dal campo.
La strana coppia
A prendersi quindi i riflettori del primo episodio delle Finals è stato un lungo e dinoccolato ragazzo camerunense che meno di dieci anni fa studiava per diventare prete e invece è finito nelle sacre scritture della NBA con una prestazione statisticamente unica. Nel terzo quarto Pascal Siakam ha preso in mano le sorti della partita segnando 14 punti senza sbagliare un tiro, inanellando una serie di undici realizzazioni consecutive che hanno piegato le scelte difensive di Golden State e contribuito ad alimentare quel piccolo vantaggio che Toronto è riuscita a conservare per tutto il secondo tempo.
La consacrazione di Pascal Siakam.
Siakam ha segnato in ogni modo possibile: convertendo al ferro l’ottima circolazione di palla della squadra; finendo con angoli impossibili al tabellone dopo essere sgusciato in mezzo alla difesa di Golden State orientata su Leonard; mettendo quelle triple così fondamentali per l’attacco Raptors, sia dagli angoli che frontali. Una prestazione maiuscola impreziosita ancor di più dal suo fondamentale apporto difensivo, dove ha aiutato a limitare i punti avversari in area (solo 32 con 34 tiri) allungandosi come una gomma da masticare per coprire i buchi lasciati dai suoi compagni. Un motorino sempre acceso pronto a correre il campo in contropiede ad ogni occasione, l’unico ad alzare il ritmo in una squadra che preferisce la camminata veloce al jogging.
Ma è soprattutto l’intesa trovata con Marc Gasol ad aver sbloccato l’attacco di Toronto: lo spagnolo, autore dell’ennesima grande prestazione di questi playoff, è la valvola di sfogo deputata quando Kawhi viene raddoppiato e la sua sapienza nel trovare il tagliante è esaltata dalla mobilità di Siakam.
Tutta la bravura nel muoversi in assoluto silenzio sulla linea di fondo di Spicy P. L'attività e l'intelligenza anche quando è confinato nel dunker spot rendono la circolazione di Toronto dopo il raddoppio molto più fluida e efficace.
Golden State non ha trovato una vera risposta quando la prima linea di difesa è stata bucata negli short roll di Gasol e dalle sue letture in post alto. Non fatevi ingannare dal solo assist a tabellino: l’intero passing game di Toronto è transitato dalle mani dello spagnolo e molte delle triple aperte costruite dai Raptors passano dalle scelte del lungo catalano. Gli Warriors in questi playoff hanno ucciso i centri avversari, costringendo gli allenatori a confinarli a fine panchina: Zubac, Capela e Kanter sono diventati dei non-fattori quando andava bene, altrimenti dei veri e propri punti deboli da attaccare in ogni possesso. Gasol è di un’altra pasta e, nonostante abbia passato il suo picco sportivo, è ancora in grado di muoversi sul campo grazie all’intelligenza cestistica, ritrovandosi a suo agio sia quando deve proteggere il ferro sia incredibilmente quando si è trovato a cambiare due o tre passi oltre la linea dei tre punti.
I 20 punti segnati rappresentano il massimo nella sua post-season e sono un bonus che i Raptors accettano volentieri, specialmente perché derivano dallo sfruttamento delle debolezze strutturali della difesa degli Warriors, che concedono spesso il pop al lungo quando raddoppiano il palleggiatore.
L’umanità di Leonard
Kawhi Leonard era il pericolo numero uno per i campioni in carica e nel prepartita coach Steve Kerr aveva subito focalizzato l’attenzione sul numero 2 dei Raptors, che arrivava nuovamente alle Finals dopo aver demolito l’intera Eastern Conference. E in effetti Golden State ha cercato in ogni modo di limitarne l’efficacia con il pallone in mano semplicemente forzando la sfera lontano dalle sue mani raddoppiandolo in ogni occasione possibile.
Iguodala si è preso l’iniziale accoppiamento con Leonard in una bellissima sfida tra ex MVP delle Finals, entrambi acciaccati e evidentemente lontani dal 100% ma con grande voglia di darsi battaglia. Ma mentre nelle precedenti sfide ad Est le squadre avversarie hanno preferito droppare il pick and roll con Kawhi, Golden State ha usato l’approccio opposto, prima raddoppiandolo per impedirgli di girare l’angolo, poi decidendo di cambiare specialmente quando il gioco a due coinvolgeva l’uomo di Kevon Looney. Il prodotto di UCLA ha confermato la grande crescita mostrata in questi playoff con un eccellente lavoro una volta lasciato uno contro uno contro Kawhi, concedendo solo il tiro dalla media distanza sopra le sue lunghissime braccia estese. Condizionato dagli infortuni sui quali sta giocando ormai dalla seconda metà della serie contro Philadelphia, Kawhi - seppur ancora efficace - non ha più quell’efficienza robotica che sembrava arrivata da un altro pianeta. Questo potrebbe diventare un bel grattacapo per Nick Nurse e assistenti quando la difesa di Toronto non sarà in grado di gestire le mareggiate dell’attacco Warriors.
Gli Warriors nella neve
La strepitosa prestazione del supporting cast di Toronto e la concomitante brutta partita dei colleghi di Golden State ha consegnato la vittoria casalinga al Canada, ma già in gara-2 Steph Curry & Co. proveranno a strappare il fattore campo per poi amministrare alla Oracle Arena. Il figlio di Dell, la cui maglia viola profondo è stata indossata da Drake a bordo campo, è stato l’unico a tenere a galla i campioni in carica con 34 sudatissimi punti. Curry ha dovuto strappare questi punti a mani nude contro la granitica difesa di Toronto, in particolare di Lowry e VanVleet, un trattato di abnegazione e resistenza quando hanno dovuto rincorrere la maglia numero 30 per tutti i lati e i blocchi del campo. FVV quando si è trovato a marcare Curry, gli ha concesso solo 2 punti su 29 possessi, dimostrando a Drake come si gestisce una paternità. Il risultato è che Golden State ha segnato solo 0.84 punti per possesso nell’attacco a metà campo, di gran lunga il peggior risultato della loro post-season. Con Iguodala e Green a secco dall’arco (0/6) e un non-tiratore come Looney o Bell sempre in campo, Toronto si è potuta dedicare quasi esclusivamente a Curry e Thompson, uscendo forte su ogni passaggio consegnato e contenendo i pick and roll di Green aiutando in pre-rotazione, fiduciosa di poter recuperare in tempo.
Curry in versione maratoneta riesce a trovare finalmente lo slip sul lato libero di Iguodala ma la rapidità di Kawhi e la bravura di Gasol nello scegliere la posizione tra aiuto e ferro evitano due punti.
Ora Golden State senza Durant ha un record di 32 vittorie e 2 sconfitte nelle ultime 34 ed è definitivamente arrivato il momento di stracciare tutti quei discorsi secondo i quali sarebbero meglio giocare senza il miglior realizzatore offensivo del mondo. Un fuoriclasse capace di segnare su giochi rotti e isolamenti è fondamentale per affrontare una delle difese più competenti e flessibili in NBA: Kerr dovrà fare i conti con quelli che ha ora a disposizione, misurando con il bilancino anche i minuti di un DeMarcus Cousins apparso (giustamente) fuori ritmo dopo il lungo infortunio, e trovando delle contromisure ai quintetti con VanVleet, che hanno ucciso gli Warriors in Gara -1. Golden State ha perso tutte le tre partite stagionali contro i Raptors: toccherà ai i campioni in carica invertire il prima possibile questo trend negativo.