Questa è la quarta puntata di X&Os, la rubrica in cui analizziamo gli schemi più utilizzati e le situazioni di gioco create dalle squadre NBA (ma non solo). Qui potete trovare la prima, la seconda puntata e la terza.
La medaglia d’oro ad Eurobasket della Slovenia è stato il coronamento del sogno di un popolo, il punto più alto della carriera di Goran Dragic e il trampolino di lancio definitivo della carriera del giovanissimo Luka Doncic.
I due assi sloveni sono stati l’alfa e l’omega di una squadra piena di buoni giocatori al loro servizio, macinando per tutto il torneo un basket aggressivo e gradevole forgiato dalla mani sapienti di coach Igor Kokoskov, il quale ha finalmente dato un’anima a una nazionale che ne ha sempre avute molte e pure in contrasto tra di loro, impostandola tatticamente sul concetto del doppio playmaker.
Il dogma secondo il quale il playmaker è colui che porta palla per il campo, chiama lo schema e passa la palla non è solo superato, ma anche limitante; il playmaker moderno ha altre prerogative e mille modi di operare, anche senza avere palla in mano nei primi secondi dell’azione, ma creando gioco e situazioni favorevoli per la squadra. Ecco perchè ultimamente è molto più sensato parlare di portatori di palla primari e secondari, per dare una definizione più precisa a coloro che hanno la responsabilità di gestire il pallone.
Dragic e Doncic - due giocatori molto diversi per struttura fisica, ruolo (nella nomenclatura classica del termine) e maturità cestistica - sono proprio questo, due playmaker moderni che condividono le stesse competenze e responsabilità nei confronti della squadra, ovvero la capacità di generare continui vantaggi attaccando con la palla tra le mani. Esattamente ciò di cui aveva bisogno Kokoskov, ovvero un primary e un secondary ball-handler.
Il gioco prevede una serie di passaggi consegnati centrali - ‘Weave Motion’, come vedremo in seguito - per andare a giocare il pick and roll centrale in movimento tra Dragic e Vidmar. Dragic prova la percussione a canestro ma è accerchiato da quattro difensori in maglia rossa, quindi scarica fuori per Doncic. Scartata la prima opzione, l’attacco della Slovenia non si ferma: Vidmar sale a bloccare per Doncic che riesce a creare vantaggio e dilatare gli spazi per il ribaltamento a Randolph, il cui extrapass fornisce a Dragic un comodo tiro da tre punti.
Allo stesso modo, hanno la capacità di creare spazi ai compagni tenendo sotto pressione la difesa anche quelle poche volte in cui entrambi sono lontani dalla palla.
Sopra vediamo Dragic spingere il contropiede, non trova soluzioni e riapre il gioco per Doncic, che non ferma la manovra e non dà alla difesa spagnola il tempo di riorganizzarsi: attacca provocando un cambio difensivo e innesca la circolazione della palla che finisce a Randolph in angolo. È qui che la Slovenia ottiene il vantaggio decisivo: Dragic e Doncic ora sono fuori dal centro dell’azione ma creano gravità attorno a loro e Randolph ha due metri di spazio per attaccare Pau Gasol in uno contro uno, trovando poi Vidmar solo sotto canestro.
Il piano tattico del coach serbo è stato chiaro: liberare l’area con quattro giocatori perimetrali e favorire situazioni dinamiche di pick and roll che coinvolgessero a turno uno dei leader offensivi della squadra. Kokoskov è il primo assistente di Quin Snyder a Utah, che lo scorso anno usava tre playmaker de facto come George Hill, Gordon Hayward e Joe Ingles senza dimenticare Joe Johnson e Boris Diaw. Non è un caso se ha attinto a piene mani dal playbook dei Jazz.
Con la Slovenia ha ripreso i concetti della ‘Weave Motion’ di Snyder per permettere a Dragic, la prima opzione offensiva, di avere gli spazi giusti per attaccare il centro area e liberare il suo talento nella finalizzazione o nel coinvolgimento dei compagni.
Sopra vediamo un “Hand-off” di ordinanza in sequenza per iniziare il gioco, palla che torna a Dragic che va a giocare il pick and roll centrale con il chiaro intento di attaccare i vertici della lunetta, in gergo “gomiti”, e da lì leggere se si può arrivare fino in fondo, se conviene fermarsi per un palleggio-arresto-tiro, o se scaricare ai compagni in caso vengano innescate le rotazioni difensive.
A differenza di Dragic, giocatore di uno contro uno molto istintivo che ha bisogno di avere spazio per operare, Doncic si crea il suo spazio grazie a un pazzesca varietà di movimenti, una visione di gioco 5 stelle extra lusso e doti tecniche rifinite con ore e ore di lavoro in palestra. Ed è per questo talento che Kokoskov gli ha affidato in mano la squadra a giochi rotti o come seconda opzione dell’attacco.
Come possiamo vedere, il ventaglio di opzioni che Doncic genera dal pick and roll è sterminato: è rapido di piedi per attaccare il mismatch in caso di cambio difensivo finendo al ferro; sa “danzare” dopo il blocco giocando dalla media distanza e mostrare movimenti old-school come il passo e tiro; può attaccare il difensore in step-back da tre punti; ed ha la capacità di pescare l’uomo libero - che sia il rollante o lo scarico sul perimetro - con i tempi giusti, prevedendo con un secondo di anticipo la rotazione difensiva.
Siamo in piena era del basket positionless, ed anche i playmaker possono essere utilizzati in ambiti diversi da quelle che sono le loro normali funzioni, ovvero da bloccanti. Mandare Dragic o Doncic a bloccare sulla palla induce la difesa a fare delle scelte rischiose.
Nella prima sequenza Doncic è il primo bloccante del doppio blocco sulla palla, si apre in guardia e attacca il recupero difensivo dopo aver ricevuto da Dragic creandosi vantaggio per un tiro. Nella seconda sequenza, il blocco sulla palla di Dragic genera un cambio e di conseguenza un altro recupero che il play degli Heat attacca come di consueto al gomito con un palleggio-arresto-tiro. Infine la “gabbia” con due blocchi sulla palla permette a Dragic di mandare la palla indietro a Doncic sullo show difensivo; il 18enne quindi trova la sponda vincente su Vidmar, che tiene la posizione a centro area e scivola a canestro per un appoggio facile.
Per Goran Dragic situazioni del genere non sono nuove: Erik Spoelstra, riconosciuto come colui che ha sdoganato questa filosofica “senza ruoli” ai massimi livelli, usa molto spesso i talenti del play sloveno come “screener”.
Giocare con il doppio playmaker non solo significa avere più opzioni da sfruttare a difesa schierata, ma poter alzare il numero di possessi, giocare in velocità e ridurre i tempi morti tra attacco e difesa.
Una della qualità migliori di Dragic è infatti la sua capacità di accelerare con la palla in mano, dote che lo rende un contropiedista temibile.
Rimbalzo lungo, Dragic si avventa sulla palla, prende velocità e diventa un proiettile. Oppure, se non trova soluzioni primarie, genera attenzioni che producono sovrannumeri per i compagni.
Doncic a Eurobasket ha viaggiato a 8.1 rimbalzi di media, 4° in graduatoria, unico esterno in top 20 nella specialità. Se il tuo miglior rimbalzista è anche il tuo playmaker e miglior trattatore di palla, il contropiede è servito.
Doncic in contropiede non ha la velocità di Dragic, ma sa usare bene il corpo per assorbire i contatti in volo, sa leggere i vantaggi per i compagni ma soprattutto si gasa, gasa la sua squadra e gasa i tifosi.
Una formula vincente
Per quanto Doncic e Dragic siano stati dominanti e Kokoskov abbia trovato il modo di farli funzionare trovando la ricetta giusta, la Slovenia non ha inventato nulla di nuovo: in Europa e oltreoceano è ormai prassi schierare in campo almeno due giocatori in grado di gestire il pallone.
Ad Eurobasket un assetto simile con il doppio playmaker lo hanno avuti in molti, ed ogni squadra con le proprie caratteristiche specifiche: la Spagna schierava Sergio Rodriguez e Ricky Rubio (ed avrebbe dovuto avere Sergio Llull, il cui infortunio ha pesato molto per le furie rosse), anche se questa conformazione avrebbe dovuto innanzitutto favorire il rifornimento di palloni dentro per i fratelli Gasol; la Turchia schierava contemporaneamente almeno tre ball-handler capaci di creare tra Osman, Korkmaz, Guler, Koksal e Mahmutoglu; la Serbia aveva una struttura più classica, ma in fondo era Bogdanovic a fungere da playmaker con Jovic e Micic di supporto e Milan Mavcan a fare il “playmaking 4”.
Lo stesso MVP di Eurobasket, Goran Dragic, ha vissuto gli anni migliori della sua carriera NBA - a Phoenix con il terzo quintetto All-NBA e l’ultimo in maglia Heat - quando al suo fianco vi era un altro giocatore capace di togliergli responsabilità e l’onere della costruzione di gioco. Lo scorso anno a Miami ha formato con Dion Waiters i cosiddetti “Slash Brothers”, due arieti in grado di sfondare qualunque area NBA attorno al quale Erik Spoelstra ha costruito l’attacco degli Heat mescolando concetti di Princeton Offense, basati su tagli e circolazione di palla, a concetti di Dribble Drive Motion, di “penetra e scarica”. Due filosofie teoricamente agli antipodi, un esperimento talmente estremo e rischioso che rasenta la genialità.
Waiters in uno contro uno è capace di battere chiunque e, una volta schiacciata la difesa, è in grado di procurare tiri ad alta percentuale ad uno dei suoi bersagli preferiti, ovvero Dragic.
Il discorso del doppio playmaker lo possiamo benissimo ad allargare a coppie atipiche come LeBron James e Kyrie Irving, che prima del divorzio estivo si spartivano la maggior parte dei possessi offensivi dei Cavaliers, alternandosi nello spot di playmaker de facto, ovvero creatori di gioco capaci di attirare le attenzioni di ogni difesa, collaborando anche in giochi a due avanguardistici.
Cosa c’è di più letale di un pick & roll con Irving o James? Un pick & roll tra Irving e LeBron James per esempio, in ambo i sensi.
Tirando in ballo i Golden State Warriors, invece, si fa a fatica a non trovare un giocatore in grado di fare il playmaker: Draymond Green, Steph Curry, Kevin Durant, Andre Iguodala, Shaun Livingston e all’occorrenza anche Klay Thompson nell’attacco dei Warriors hanno le competenze del playmaker, e molto spesso 3 o 4 di loro sono in campo contemporaneamente.
Durant porta palla (primary ball-handler), passa a Curry (secondary ball-handler) che sfrutta il blocco zipper ma non trova nessun vantaggio. Palla a Livingston, che di professione fa il playmaker da 12 anni ma qui gioca da bloccante un passaggio consegnato con Durant, rollando a canestro. KD coinvolge come sponda Draymond Green, forse il playmaker più puro tra quelli in campo per i Warriors, che premia il taglio di Livingston. Un tripudio di playmaker che creano spazi per i compagni fino ad ottenere un canestro facile.
Infine occhio a quello che succede a Houston perchè in estate, con una mossa che ha lasciato quasi tutti a bocca aperta, si è formata una coppia in grado di elevare ad arte il concetto del doppio playmaker affiancando a James Harden - miglior assistman dell’ultima stagione, primo non playmaker (classico) della storia a vincere tale graduatoria - uno come Chris Paul, da quasi 10 anni considerato, ogni stagione, una delle prime cinque point guard della NBA per rendimento.
Il loro sodalizio promette fuoco e fiamme: sono due dei migliori creatori dal palleggio dell’intera NBA, forse i migliori al mondo nell’interpretare il pick and roll in ogni sua sfaccettatura, menti cestistiche superiori capaci di segnare vagonate di punti e ricompensare i compagni con assist al bacio.
Clint Capela ci tiene a farci sapere che ha gradito l’arrivo di Chris Paul.
L’integrazione tra due giocatori dalla personalità così forte non sarà facile ed è probabile che si pesteranno i piedi nei primi tempi, ma CP3 fornisce a Mike D’Antoni l’arma che più di ogni altra gli è mancata negli scorsi playoff contro gli Spurs, ovvero un giocatore in grado di essere affidabile dalla media distanza senza snaturare il gioco “analitico” dei Rockets.
Dopo la vagonata di triple nelle prime due partite della serie, Popovich ha deciso restare accoppiato con i tiratori e di piazzare lo spauracchio Pau Gasol sotto canestro a proteggere il ferro. I Rockets da quel momento non ci hanno più capito nulla, e la loro pallacanestro stellare si è inceppata sulla loro loro idiosincrasia a prendere il tiro piazzato dai 5 metri. In una situazione del genere quest’anno i Rockets avranno Chris Paul, da 5 anni buoni uno dei giocatori più precisi del pianeta in palleggio-arresto-tiro dal gomito.
Vi promettiamo già adesso che sui Rockets ci torneremo molto presto.