Esclusive per gli abbonati
Newsletters
About
UU è una rivista di sport fondata a luglio del 2013, da ottobre 2022 è indipendente e si sostiene grazie agli abbonamenti dei suoi lettori
Segui UltimoUomo
Cookie policy
Preferenze
→ UU Srls - Via Parigi 11 00185 Roma - P. IVA 14451341003 - ISSN 2974-5217.
Menu
Articolo
I voti al mercato NBA dopo la deadline
09 feb 2018
Cleveland ha cambiato mezza squadra, il resto della lega non tanto: un punto sulla NBA dopo la fine del mercato.
(articolo)
14 min
Dark mode
(ON)

Alla fine di tutto, e mettendo da parte un attimo la situazione di Cleveland, è stata una trade deadline come tante altre: qualcuno ha dato una sfoltita ai salari per scendere sotto la soglia della Luxury Tax; qualcun altro ha dato un colpetto al roster per mettere ordine nella rotazione; qualcun altro ancora ha fatto un tentativo a basso rischio e bassissimo costo su talenti inespressi, senza assorbire contratti scomodi a medio o lungo termine, senza cedere prime scelte e senza rivoluzionare il proprio roster.

Le prospettive poco entusiasmanti per la prossima estate, in cui è previsto che poche squadre abbiano spazio funzionale sotto al Salary Cap per sottrarre free agent alle rivali o provare a farsi carico dei problemi altrui sotto compenso, hanno sconsigliato grandi manovre. Ed è una realtà cui bisognerà abituarsi, dimenticando gli anni dell’Amnesty Clause prima e dell’esplosione del Cap poi perché, premesso che potranno certamente esserci eccezioni, il destino della NBA è quello di tornare indietro di una decina d’anni, quando lo spazio salariale era una pura chimera e il mercato si trascinava a colpi di eccezioni, specialmente la mid-level, le sign & trades e contratti in scadenza ceduti a peso d’oro.

Tutto questo per 29 franchigie, però. Perché come detto sopra un’altra ha dato vita a uno dei più massicci e invasivi restyling di metà stagione visti nella storia della lega o quantomeno negli ultimi 30 anni, arco temporale in cui solo un’altra volta una singola squadra NBA aveva scambiato 6 giocatori alla trade deadline. Anche in quell’occasione furono i Cleveland Cavaliers a farlo, alla disperata ricerca di aiuto da affiancare a LeBron James per cercare di opporre resistenza ai Boston Celtics di Garnett, Pierce e Allen nel 2008. “Certi amori non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano”, per restare in tema di musica italiana, che è pur sempre la settimana di Sanremo.

La rivoluzione dei Cavs

I Cavs dopo Natale si trovavano in una situazione sportiva drammatica e incancrenita, apparentemente rinchiusa in un vortice di autodistruzione impossibile da arrestare che poteva essere ribaltato o corretto solo agendo alla radice del problema – ovverosia letteralmente ribaltando il roster. Koby Altman, il GM dei Cavs, ha ceduto giocatori che avevano utilizzato un terzo (31%) dei minuti dei Cavs, abbassato l’età media del roster (30,7 anni per i giocatori in uscita, 27 in entrata) e aperto nuovamente l’area per LeBron (31% complessivo al tiro da 3 in uscita, 38% in entrata), ma soprattutto ha dato una salutare rinfrescata all’ambiente.

È un chiaro tentativo di fare l’unica cosa che conta per Cleveland e per la squadra, cioè provare a trattenere LeBron almeno per un altro contratto, e che la forza motrice sia stata Dan Gilbert, Altman o LeBron stesso in versione GM che sta cercando di darsi motivi per non cercare un’altra casa è sinceramente irrilevante, almeno per i prossimi quattro mesi. E non interessa a nessuno nemmeno se queste mosse sconfessano quasi in toto (la prima scelta 2018 dei Brooklyn Nets era comunque l’asset principale chiesto e ottenuto dai Cavs, ed è ancora al suo posto) quanto ricavato in estate dalla cessione di Kyrie Irving: che sia stato un errore o meno ormai riguarda il passato, guardarsi indietro non ha senso e non aiuta nessuno, per quanto dal punto di vista dell’immagine e delle pubbliche relazioni certamente non si tratti dello scenario ideale.

Lo sconfitto principale dell’intera faccenda è palesemente Isaiah Thomas, il cui valore all’interno dello scambio con i Lakers è solo ed esclusivamente quello di un contratto in scadenza e non poteva che essere così – perché ad oggi, semplicemente, non è un giocatore di livello NBA. Non è colpa sua se si è infortunato e sta faticando, il rendimento in maglia Cavs non deve e non può modificare a posteriori la valutazione sulla stagione passata e su quanto fatto a Boston, ma vale anche il contrario, perché oggi in campo scende questa versione di Isaiah, non l’ultima o la penultima. Nei 406 minuti giocati da Thomas Cleveland è stata battuta dagli avversari con 132 punti di scarto, anche e soprattutto per colpa delle sue carenze sia in attacco (36% al tiro, 25% da 3 su volumi tutt’altro che marginali) che in difesa (118.6 di Defensive Rating, il peggiore NBA tra gli oltre 200 giocatori NBA ad aver superato i 300 minuti di impiego). Anche il suo Net Rating (-15.1) è stato il peggiore non solo della NBA in questa stagione, ma anche di sempre per un compagno di LeBron, superando il poco invidiabile record (-14) detenuto fino ad ora da Lee Nailon, volto noto ai tifosi over 30 dell’Olimpia Milano.

In più Thomas ha contribuito a devastare anche lo spogliatoio di Cleveland, già diviso in fazioni e minato dall’arrivo di Dwyane Wade a inizio, puntando il dito contro Kevin Love, i compagni che non si impegnavano in difesa (da che pulpito) a differenza di quelli che lui aveva avuto in passato, contro coach Lue che “non fa aggiustamenti” e in generale chiunque gli capitasse a tiro – senza che ci fosse una reale ragione per portare all’attenzione dei media e del pubblico problemi che di norma vanno risolti all’interno del gruppo.

Per sapere se i Cavs escano vincitori o meno da questa giornata occorre ovviamente aspettare, ma sicuramente non ne escono sconfitti, avendo ceduto solamente la propria prima scelta 2018, (protetta 3, ma che presumibilmente si confermerà a fine primo giro) e Crowder (che comunque ha tutt’altro che incantato) in cambio di giocatori di rotazione che siano anche atleti presentabili e non in crisi esistenziale. George Hill non è Kyrie Irving, ma un anno fa prima di infortunarsi e di perdere interesse nel giocare a basket a Sacramento era uno dei segreti meglio custoditi della lega e Rodney Hood, Larry Nance Jr. (il babbo è diventato leggenda a Cleveland) e Jordan Clarkson, in ordine di valore e peso specifico, sono incostanti ma ancora giovani e probabilmente con potenziale inespresso. Se non altro, quasi certamente risulteranno più utili di Shumpert, Frye, del cugino distratto di Crowder, del nonno di Wade, del gemello senza talento di Thomas e della piattola aliena con addosso un DerrickRose-abito visti in questi mesi in Ohio.

I voti al resto della lega alla deadline del mercato

I movimenti delle altre 29 squadre, come accennato, non richiedono una trattazione ampia e approfondita: nessun altra contender si è rinforzata né indebolita e nessuna pretendente ai playoff ha fatto il salto di qualità o ha optato per una ricostruzione, con l’eccezione del trasferimento di Blake Griffin ai Pistons che però ormai sembra storia di un secolo fa. Questo però non significa che non ci siano trionfatori, promossi, rimandati e bocciati e che non valga la pena di capire come e perché siano successe certe cose.

VOTO 30 per i Los Angeles Lakers, con lode.

Creare lo spazio salariale per poter realmente firmare due free agent di prima fascia non è condizione sufficiente a trovarseli in gialloviola a luglio, ma era sicuramente condizione necessaria. Per LeBron James (il cui contratto al massimo partirà da circa 36 milioni, cioè il 35% del Cap) e Paul George (31 milioni, 30% del Cap) o per chiunque altro nel 2018 o 2019 i Lakers non sono più appetibili di un giorno fa, ma un conto è dover cedere D’Angelo Russell per togliersi di torno Timofey Mozgov, altra cosa è ricevere una prima scelta per liberare gli oltre 15 milioni complessivi di Nance (sacrificabile, anche data la presenza di Kyle Kuzma) e soprattutto Clarkson, per di più alla luce del fatto cche tutta l’NBA sapeva fossero in uscita. Senza contare che il nuovo front office ha dimostrato di avere buon occhio per il talento quando si tratta di scegliere con una scelta alla fine del primo giro, come fatto con Josh Hart e appunto Kuzma, e che quindi il giudizio potrebbe anche migliorare. Sapere cosa ne sarà di Isaiah Thomas non è chiaro, ma alla fine dei conti è irrilevante: l’obiettivo era arrivare nei dintorni dei 70 milioni di spazio per i free agent di cui sopra ed è stato centrato in grande stile.

VOTO 29 per l’amore e le operazioni nostalgia

Che Jameer Nelson sia tornato da Stan Van Gundy (a Detroit) e soprattutto che Wade sia tornato a Miami (per la gioia della consorte) sono meravigliose storie di sport. Anche se si tratta di giocatori a fine carriera e che difficilmente potranno avere impatto positivo sui risultati di squadra. Ma. Perché c’è sempre un ma.

VOTO 28 per Pat Riley

L’altra faccia della moneta dell’amore ha i lineamenti scavati di uno squalo del business come Gordon Gekko – pardon, del Presidente degli Heat, che riabbraccia il figliol prodigo alla sue condizioni, cioè con un contratto al minimo salariale. Ha avuto ragione quando ha lasciato andare Wade di fronte a richieste irragionevoli dal punto di vista sportivo, si bea della situazione ora. Implacabile.

VOTO 27 per Koby Altman

Perché che le idee siano state sue o meno non conta: mettere in piedi un simile capolavoro di gestione e logistica richiede abilità non comuni, degne di un grande giocatore di scacchi o almeno di Forza 4. E serviva rialzare la media, perché l’unico voto presente sul libretto fino a questo punto non era eccellente, anche se le sue colpe nella gestione di Kyrie o del rapporto tra James e il proprietario Gilbert sono assolutamente marginali.

VOTO 26 per LeBron James

Nel giro di qualche ora ha migliorato la situazione attuale sua e dei Cavs, la situazione futura di Cleveland e la situazione futura di una delle sue possibili squadre future. Ruota tutto intorno a lui, che piaccia o meno.

VOTO 25 per gli L.A. Clippers

Ragionevolmente parlando, il massimo che Lou Williams poteva ottenere in estate era la MLE più corposa, quella riservata alle squadre sopra il Cap che non pagano la Luxury Tax, e che su 3 anni corrisponde a poco meno di 30 milioni complessivi. I Clippers lo avevano messo sul mercato, ma non erano contenti delle offerte ricevute, quindi lo hanno firmato con un triennale da 24 milioni che date le condizioni assomiglia ad un biennale da 18 e sono quindi riusciti a prolungare la finestra in cui provare a ricavarne qualcosa, anziché perderlo in cambio di nulla. O anche quella in cui sfruttare il suo momento di grazia, perché sono pur sempre in corsa per i playoff a Ovest contro ogni pronostico. Neanche per DeAndre Jordan sono arrivate le offerte sperate, ma è il giocatore che più di tutti potrebbe avere bisogno di una sign & trade per accasarsi dove vuole e alle condizioni che desidera – e la dirigenza di LA è convinta, probabilmente a ragione, che questo possa garantire un discreto ritorno in estate, simile a quello che si sarebbe ottenuto ora.

VOTO 24 per gli Utah Jazz

Rodney Hood è più giovane di Crowder e in questa stagione gli è stato superiore, ma sarà free agent e i Jazz non avevano alcuna intenzione di gestire il suo rinnovo, probabilmente perché stanchi della sua incostanza e della poca propensione a giocare sui piccoli dolori e inconvenienti fisici che per uno sportivo professionista sono all’ordine del giorno. L’ex Celtic ha un contratto estremamente vantaggioso per la squadra e la presenza in panchina di Quin Snyder assicura buone probabilità che il suo rendimento torni positivo in un sistema di tagli e movimenti – che è tutto ciò che Utah chiede a questo scambio.

VOTO 23 per i Portland Trail Blazers

Riuscire a scendere sotto la soglia della Luxury Tax a costo zero è sempre un risultato soddisfacente. E Noah Vonleh, pur avendo ancora margini di crescita, era chiaramente di troppo: è tempo di dare spazio a Zach Collins.

VOTO 22 per i New Orleans Pelicans

Dopo quella di Cleveland, la seconda situazione più disperata ed urgente della NBA, complicata dall’infortunio a DeMarcus Cousins e scandita dal conto alla rovescia verso la scadenza del contatto di Anthony Davis. Roba che per richiederebbe la presenza di Jack Bauer o John McClane, non di Dell Demps. Non a caso i Pelicans sono stati l’unica altra squadra oltre i Cavs ad aver ceduto una prima scelta, per trasformare il contratto di Omer Asik in quello di Nikola Mirotic, sostanzialmente equivalente dal punto di vista del salario, ma che se non altro si accompagna a un giocatore di impatto. Ed è un sacrificio che era doveroso compiere, perché raggiungere i playoff in questa stagione è al momento l’unico obiettivo che questa franchigia possa porsi per evitare l’auto-distruzione. La cessione di Dante Cunningham e la firma di DeAndre Liggins – che pare destinato a prendere un posto da titolare con conseguente retrocessione di un Rajon Rondo sempre meno rilevante e sempre più ai margini –, sono movimenti di contorno che non risolvono alcun problema, ma che se non altro non ne creano di nuovi, sperando che qualche soluzione arrivi dal mercato dei giocatori tagliati con buyout (dopo aver bucato Greg Monroe, finito a Boston).

VOTO 21 per i Chicago Bulls

Sono stati l’unica squadra in grado di farsi pagare con una prima scelta, appunto. E il contratto di Asik è in scadenza 2020, ma con soli 3 milioni (su 14) garantiti nell’ultimo anno e quindi tra 12 mesi potrebbe anche risultare comodo. Soprattutto, non hanno fatto danni. Data la tendenza recente è un trionfo.

VOTO 20 per i New York Knicks

Difficilmente Emmanuel Mudiay potrà coesistere con Frank Ntilikina, ma un tentativo a costo zero (la cessione di McDermott è totalmente indolore) su un giocatore con pedigree è esattamente quello che squadre nella situazione dei Knicks dovrebbero fare appena se ne presenta la possibilità. Ora c’è una stagione e mezza per valutarlo, mentre si piange sui cocci di Kristaps Porzingis (sigh).

VOTO 19 per i Phoenix Suns

Vedi sopra, con la differenza che del destino di Elfrid Payton si dovrà decidere già in questa off-season.

VOTO 18 per i Sacramento Kings

Hanno risparmiato quasi una decina di milioni tra questa e la prossima stagione e al “prossimo Steph Curry” (Buddy Hield, parole del proprietario Vivek Ranadive) hanno affiancato “il Kevin Durant Brasiliano” (Bruno Caboclo). Però hanno tagliato Georgios Papagiannis, “il prossimo Marc Gasol” (parole del GM Vlade Divac), scelto a fine lotteria appena due anni fa con una decisione che fuori dalla stanza dei bottoni della squadra era sembrata totalmente insensata a chiunque già al tempo, perché di un giocatore NBA non ne aveva neanche le sembianze. Poi hanno regalato Malachi Richardson, altra prima scelta recente. Tutto sommato mosse irrilevanti, senza infamia e senza lode, ma i Kings rifiuteranno il voto, perché sono convinti di aver fatto tutto a modo.

VOTO 17 per gli Oklahoma City Thunder

Servivano uno swingman, possibilmente anche titolare, e il cambio del lungo. Per fortuna il prossimo appello arriva a breve grazie ai buyout: per passare l’esame basta poco.

VOTO 16 per i Memphis Grizzlies

Il GM John Wallace si è rifiutato categoricamente di ragionare sulla possibile cessione di Marc Gasol e non ha concretizzato la stagione del riscatto di Tyreke Evans, per il quale non c’era solo generico interesse, ma offerte concrete basate su un paio di buone seconde scelte. Niente di drammatico, ma sono occasioni che andrebbero sfruttate, specie quando si è a corto di speranze e di asset.

VOTO 15 per i Denver Nuggets

Dovevano fare di tutto, non hanno fatto praticamente nulla. Bocciati per aver distrutto il valore di Mudiay , ma non è nemmeno colpa loro: il giocatore è quello che è, e giudicare a posteriori una scelta lascia sempre il tempo che trova, anche perché al tempo aveva senso eccome. Se non altro hanno trovato quel che cercavano: Devin Harris è una point guard di esperienza e che vive di tagli backdoor, con Nikola Jokic si troverà a meraviglia.

VOTO 14 per gli Orlando Magic

Vedi sopra, però considerato che Payton è stato regalato tanto valeva tenerlo a fine stagione e poi lasciarlo scadere, perché se l’idea è dedicarsi al tanking c’è il rischio che cedendolo la situazione sia peggiorata, cioè che la squadra sia migliorata. Sì, è stato veramente disastroso, specie in difesa.

VOTO 13 per Dan Gilbert

Perché LeBron ha vinto anche questa volta. E perché gli scambi di ieri gli sono costati ulteriori 10 milioni di dollari tra cash speso, contratti in entrata e Luxury Tax. E almeno 15 nella prossima stagione, in cui confermando LeBron e prima ancora di valutare il rinnovo di Hood si sforerà quota 200 milioni tra salari e tassa.

VOTO 12 per Derrick Rose

La lista delle persone disposte a dargli un’altra occasione è sempre più corta. Per le squadre bastano le dita di una mano. I prossimi pare possano essere Tom Thibodeau e i Minnesota Timberwolves, ma puzza di ultima spiaggia.

RINUNCIA AGLI STUDI per il Draft 2015

D’Angelo Russell (scelto alla 2) è stato scaricato dai Lakers. Jahlil Okafor (3), Mario Hezonja (5), Emmanuel Mudiay (7), Cameron Payne (14) scelti in lotteria sono ai margini della NBA, se non con un piede già fuori. Rashad Vaughn (17) ha cambiato tre squadre in una settimana. E tutti sono ancora nel contratto da rookie, a costo controllato. Un disastro.

Attiva modalità lettura
Attiva modalità lettura