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Il bello del giovedì sera 2025 vol. 12
07 mar 2025
Momenti paratassici di due competizioni ipotassiche.
(articolo)
26 min
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CONOSCI LA TUA SQUADRA DEL GIOVEDÌ SERA: DJURGARDEN IF

Fino al sedicesimo secolo il suo nome era Valmundso e la sua origine misteriosa. Un luogo in cui le onde diventano grosse; il grosso atollo vicino al lago Malaren. È un’isola nel cuore di Stoccolma e in un dipinto del 1535 Valmundso è raffigurata come un selvaggio e silvestre masso frondoso; l’isola in sé sembra una grossa chioma d’albero.

Nel 1579 l’isola cambia nome e diventa Djurgarden, cioè “parco dei cervi”, quando il re decide che quella zona deve essere la propria personale riserva di caccia, dove far vivere cervi, renne e alci. È un luogo di morte e tortura per il regno animale. Un secolo dopo viene costruita un’arena in cui gli animali combattono tra loro per il divertimento pubblico. Le persone ridono, scommettono, si divertono. Quanto dura? Per quanto tempo ci si può divertire a vedere le alci combattere l’una contro l’altra?

Un secolo dopo a nessuno interessa già niente, allora Djurgarden diventa un luogo di arte, cultura e riflessione. A guardarla dalla città, non sembra già più un atollo di natura maligna e sregolata, l’uomo vi ha ormai esercitato il proprio controllo. Gli ecosistemi sono ridotti e discreti. Ci sono palazzi, biblioteche, musei. Ora i turisti salgono a bordo del Djurgårdsfärjan, un traghetto pulito come un salotto di casa, e arrivano a Djurgarden sorridenti per capire la storia svedese.

A Djurgarden, indirizzo Alberget4a nel 1891 ci stava un Cafè. Uno di quei cafè in stile parigino, in cui donne vestite con merletti neri cantavano amori disperati. Oggi a quell’indirizzo resta in piedi una villa misteriosa, che si dice sia stata disegnata da Immanuel Nobel - uno dei fratelli. La villa è stata attraversata da troppe vite e troppe tristezze. Troppa gente ha pianto, scherzato e fatto l’amore tra quelle mura. La casa ha finito per assorbire tutte queste vite e ora sembra fradicia di emozioni, sfinita. Rimanda un’aria sinistra, ma fuori ha attaccata una piccola, piccolissima targa che ricorda che lì, in quel luogo, è nata la società sportiva del Djurgarden.

I tifosi del Djurgarden scrivono Alberget4a sui propri striscioni, sulle proprie sigle, come i laziali possono scrivere “Piazza della Libertà” e i romanisti “Via Uffici del Vicario”. A fondare la squadra fu Karl Joan Gustaf Jansson - un nome più perfettamente svedese non è possibile - che radunò alcuni giovani abitanti dell’isola, soprattutto operai navali. Ancora oggi i tifosi del Djurgarden intonano canti dedicati a questa persona - “alziamo i calici e brindiamo a John Jansson” - vissuta due secoli fa, che non hanno mai conosciuto e le cui informazioni che si possono trovare in giro sono vaghe e distanti. Pare gli piacessero le feste, la mondanità, le gite in barca la domenica, gli sci. Il Djurgarden inizialmente si concentra sopratutto sugli sport invernali e l’atletica, e con l’arrivo di Teodor Anderson dal GAIS (squadra storica svedese) nasce anche la squadra di calcio, nel 1899. La prima partita è contro l’AIK, squadra nata 15 giorni prima del Djurgarden. È il primo di tanti derby di Stoccolma e l’AIK lo vince 2-1.

La storia del Djurgarden diventa vincente per la prima volta negli anni ’50, quando la squadra solleva finalmente dei titoli. Questa epoca d’oro coincide col passaggio, titanico, di Gösta Sandberg, soprannominato Mr. Djurgarden. Gambe tozze, busto ampio, faccia da marinaio grezzo dei romanzi di Jean Genet, Sandberg gioca quasi 300 partite con la maglia del Djurgarden e segna 79 gol. È ancora oggi il miglior marcatore della storia del club. Aveva così tante energie che il calcio non gli bastava e faceva parte anche della squadra di hockey del Djurgarden, arrivando a collezionare anche diverse presenze in Nazionale. Giocava anche nella squadra di “bandy”, una variante dell’hockey su ghiaccio. Semplicemente impensabile una vita del genere oggi. Certe persone nate del novecento sembrano aver avuto semplicemente più tempo, di certo più energie. Forse si lavorava meno? Loro giurerebbero di no, figuriamoci. Gosta Sandberg vince in quel periodo 6 campionati con la maglia del Djurgarden; un periodo d’oro che si ripeterà nei primi anni del 2000. Il Djurgarden non fa comunque parte delle Big-3 del calcio svedese, a differenza dei rivali dell’AIK, per esempio.

Il Djurgarden è considerato un po’ la squadra dei ricchi di Stoccolma, ed è per questo che negli anni il club ha spinto su una comunicazione per raccontare una storia diversa, e cioè che il proprio pubblico è sparso fra tutte le classi sociali. Lo scorso anno la squadra è arrivata quarta in Allsvenskan e ha messo in mostra il talento di Lucas Bergvall e Samuel Dahl. Gli allenatori hanno continuato ad alternarsi sulla panchina ma il Djurgarden è comunque riuscito a entrare nel tabellone principale della Conference League, grazie a un sorteggio benevolo e alla doppia vittoria nello spareggio contro il Maribor. Nella fase campionato la squadra ha vinto, per ragioni più o meno ignote, quasi tutte le partite e si è qualificata quinta in classifica. Purtroppo il sorteggio gli ha messo di fronte i giganti del Pafos; dopo la sconfitta 1-0 all’andata ci si gioca tutto al ritorno, nel fortino della Tele 2 Arena.

LO STATO MENTALE DEL TOTTENHAM

Al 25’ il Tottenham è sotto 1-0 contro con l’AZ Alkmaar e ha già dato svariati segni di instabilità mentale. La squadra, del resto, è in un momento drammatico. Falcidiata dagli infortuni, ha inanellato una serie di risultati abbastanza chiari nella loro fisionomia: vince solo contro squadre messe malissimo, come Ipswich e Manchester United, per il resto perde, segna poco e in difesa continua a fare acqua. Un mese fa Alessandro Giura aveva scritto che era “l’ora più buia del Tottenham di Postecoglou”, e mancava ancora un mese di brutte partite, sconfitte e momenti tragicomici. La situazione infortuni del resto è così grave che il club ha pubblicato un annuncio su Linkedin alla ricerca di staff medico.

Al 25’ il Tottenham è sotto contro l’AZ Alkmaar e deve assolutamente fare qualcosa per invertire questa energia nera che lo sta risucchiando verso la palude. Una stagione ormai completamente da buttare. James Maddison è sul pallone e deve provare a far passare la palla sopra la barriera e raddrizzare. «Il Tottenham ha bisogno di un guizzo, di un lampo di creatività» di qualcosa, si scrive su The Athletic.

Maddison invece di calciare la tocca corta per Son, è uno schema. L’inglese si aspetta che la palla gli venga appena sfiorata, così da calciare di seconda. Invece Son gliela restituisce troppo forte. I due si impicciano, la palla torna a Son, costretto a una giravolta in mezzo ai giocatori dell’AZ che ormai gli sono addosso, poi chiede aiuto a Danso con un passaggio all’indietro, e quello la tocca di prima oltre la difesa. A quel punto, per una breve frazione di secondo, abbiamo pensato che fosse tutto studiato, ma non lo era. Guardate che roba.

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Il Tottenham a volte sembra voler andare forte inseguendo un principio astratto. Alza i ritmi senza poterselo permettere, e finisce senza sangue al cervello, a fare cose stupide tipo questa. A giocare il giovedì queste squadre teoricamente nobili finiscono per somigliare alla farsa che le circonda.

Certe passmap, per esempio, odorano davvero di naufragio al giovedì sera.

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LA COREOGRAFIA DELLA ROMA CHE HA COINVOLTO TUTTO L’OLIMPICO

Subito dopo il sorteggio contro l’Athletic Club, la Curva Sud della Roma ha diramato un comunicato in cui invitava tutto lo stadio a partecipare a una coreografia che sarebbe andata in scena il giorno della partita. Un’idea semplice: ogni tifoso della Roma doveva provare a portare una bandiera gialla e rossa: giallo a sinistra, rosso a destra, canalino per il tubo a sinistra.

Prima della partita sono circolate immagini emozionanti sulla preparazione delle bandiere.

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L’Olimpico ha costruito una reputazione sulla magia delle notti europee ma stavolta la resa è stata semplicemente impressionante, uno dei momenti di stadio più incredibili degli ultimi anni. Un mare di bandiere che vibravano al vento come onde giallorosse. Una coreografia retrò ma capace di esprimere un amore puro e senza tempo.

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La Curva Sud ha esposto una pezza con scritto “Finché vedrai” e per i primi dieci minuti, mentre la partita iniziava, scorbutica, i tifosi hanno intonato il coro “Finché vedrai, sventolar questa bandiera, siamo gli ultras della Roma, e per sempre canterem”.

IL GOL PIÙ GIOVEDÌ SERA

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Virilità: 100
Assurdità: 100
Anti-epicità: 100
Paura della morte: 100


Finora avevamo detto che Afimico Pululu era il CR7 della Conference League in maniera un po’ ironica, ora però tutti i pezzi si stanno incastrando per farla diventare una grande verità. Non solo Pululu è capocannoniere della Conference League, la cosa più CR7 che puoi fare in una coppa, ma ha anche un gol in rovesciata con cui lo ricorderemo in eterno. Ovviamente va tutto livellato, ma è questo il bello no? CR7 ha la sua rovesciata perfetta, con la gamba che arriva a tre metri, la coordinazione di un mistico, Buffon che rimane di sasso, uno stadio che applaude; mentre Pululu ha la sua rovesciata imperfetta, molto più vicina a noi, sia come distanza da terra che come dimensione interiore: il pallone che gli arriva a campanile dopo uno scontro tra due avversari, la coordinazione appesantita dalle gambe corte e il culo grosso, il pallone colpito con lo stinco più che con il collo mentre già sta ricadendo.

Questo gol ci ricorda che l’estetica del calcio del giovedì sera non è oggettiva, esiste intorno a un pensiero comune più intimo. Una rovesciata non come gesto egoista, come propria conferma nel mondo, ma come simbolo di una collettività che comprende Pululu, i giocatori dello Jagiellonia che stanno onorando questa coppa, la gente allo stadio, i tifosi a casa, noi che stiamo scrivendo e anche voi che state leggendo.

IL GOL ANNULLATO PIÙ GIOVEDÌ SERA

Virilità: 180
Ingegno: 78
Illusione: 7
Paura del presente: 123

È ufficiale: il Pafos è la mia squadra preferita di questa stagione del Bello del giovedì sera. Ha il brasiliano forte, quello di origini balcaniche che sembra sempre abbia appena fumato una sigaretta, una storia interessante e un logo con la faccia di un partigiano. Ha anche delle partite in cui succedono cose, cose strane come da tradizione del giovedì sera. Qui ad esempio c’è questo gol.

gol pafos

C’è un cross dalla destra (c’è sempre un cross dalla destra, spesso bucato da qualcuno), il pallone arriva a un calciatore X del Pafos che può calciare da buona posizione. Su di lui escono insieme il portiere e un difensore: il portiere e il difensore si scontrano, vi risparmio il replay ma è un brutto scontro. Il portiere rimane a terra disperato, il pallone arriva a Tankovic. Ora Tankovic potrebbe fare la mossa Di Canio, ovvero fermarsi per far soccorrere il portiere, oppure potrebbe tirare. Tira. Non ci sono eroi in queste storie e non devono esserci. Quello che viene fuori è una specie di gol alla Del Piero al rallentatore, un cross che però è una foglia morta all’incrocio, che passa sopra le teste inerti degli avversari come telecomandata, perché comunque - scusate il francesismo - Tankovic ha un piede di cristo.

Plot twist: il gol viene annullato. In campo c’è perplessità, anche l’arbitro non capisce bene ma esegue quello che gli dicono dalla sala VAR. Ci sono discussioni, proteste, richieste, mentre il portiere rimane a terra. Per capire, anche noi da casa, dobbiamo aspettare questa immagine.

C’è un fuorigioco, o almeno così ci dice l’immagine. Ci vuole un attimo per capire: è Tankovic a essere in fuorigioco lì in alto, e lo è perché il portiere è oltre di lui. Quante volte capita una cosa così? Soprattutto all’interno di una normale azione di gioco? Riguardate l’azione ora: non ha senso quello che succede, il portiere avanza come se fosse un difensore normale, come se dovesse lasciare Tankovic in fuorigioco e non parare un tiro. Non lo so, forse è un caso, o forse qui il portiere del Djurgarden - al secolo Malkolm Nilsson Säfqvist - ha inventato un nuovo modo di fare il portiere. Staremo a vedere.

LE MIGLIORI RECENSIONI GOOGLE DI STADI DEL GIOVEDÌ SERA
Il nome San Mamés incute rispetto e soggezione, anche se è difficile da pronunciare. È uno stadio storico, chiamato anche pomposamente La Catedral per quell’idea che il calcio è un rito religioso, e qui lo è. Quello che non sanno in tanti, però, è che è anche uno stadio nuovo, finito di costruire nel 2013. Il vecchio San Mamés è stato demolito, perché gli stadi l’anima se la portano dietro e farne una questione di resistenza per tenerli in piedi, non vale davvero la pena.

Insomma, stadio nuovo, spirito vecchio. Le quasi 30mila recensioni su Google ci raccontano di un luogo che è più di un campo da calcio, quasi un monumento, sicuramente un posto dove la gente va a cercare la vera anima della città basca, trovandola spesso tranne per una brutta questione di animali impagliati. Ecco le migliori.

Stadio spettacolare, moderno e bellissimo. La valutazione negativa deriva dal leone impagliato al suo interno. Nel 21° secolo vantarsi di un animale morto nelle proprie strutture è di pessimo gusto. (1 stella)

Immenso... incantevole🤪 pulito😊 consiglio di visitarlo 😀 bar ristorante top .consiglio personale gentile prezzi modici … (5 stelle)

Uno stadio spettacolare, ma perdi assolutamente tutto quando all'improvviso trovi un ANIMALE di pezza. Nel 21° secolo è disgustoso che sia i BAMBINI che gli ADULTI debbano vedere un animale morto esposto come una sorta di trofeo. (1 stella)

Uno stadio di calcio: cemento e sedili (1 stella) (recensione veramente letterale di cos’è uno stadio)

Stadio che noi a Napoli non vedremo mai! (5 stelle)

Atmosfera speciale, tranquillità e condivisione alla base delle partite dell'Athletic Bilbao (5 stelle)

Uno Stadio PAGATO da tutti i cittadini di Bizkaia affinché SOLO A.Bilbao possa usarlo. (1 stella)

E ALLA FINE ARRIVA JURI CISOTTI
Juri Cisotti si guarda intorno un po’ spaesato: un momento così forse non poteva neanche sognarlo. Lo stadio con oltre 50mila persone che sventolano bandiere, una maglia da titolare in una sfida a eliminazione diretta in Europa, gli avversari: il Lione di Cherki, Tolisso, Matic e Fonseca in panchina. Appena 3 anni fa Cisotti giocava nella Serie C rumena, prima ancora a Malta, e ancora prima si sbatteva nel calcio provinciale italiano senza trovare sbocchi. A 31 anni Cisotti, nato Tolmezzo, quella parte di Friuli-Venezia Giulia che è quasi Slovenia, ha risalito la piramide del calcio in maniera lenta e non lineare, ma alla fine ce l’ha fatta ad arrivare a questa partita. La sua carriera: Triestina (2010-2011, Serie B) Chievo Verona (2011-2013, Serie A, senza mai giocare) Latina (2013-2014, Serie B) Spezia (2014-2015, Serie B) Rijeka II (2015-2016, 3. HNL Ovest) Vicenza (2016, Serie B) Spezia (2016-2017, Serie B) Casertana (2017, Lega Pro) Mosta (2018-2019, Premier League maltese) Sliema Wanderers (2019-2021, Premier League maltese) Oțelul Galați (2021-2025, Liga III, Liga II e Liga I) e ora FCSB.

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Con uno dei primi palloni della sua partita Juri Cisotti fa un sombrero a Maitland-Niles. Per il resto la sua partita è stata quella da terzino sinistro aggiunto, lui che sarebbe un trequartista, o esterno alto, un giocatore dalla tecnica individuale piuttosto impressionante.

cisotti

Cisotti è uscito a fine primo tempo con il Lione in vantaggio per 1 a 0, il suo sostituto ha segnato il gol del pareggio (poteva essere lui a segnare? Chissà) poi però i francesi hanno segnato due gol portandosi molto avanti nel discorso passaggio del turno. In ogni caso la sua storia è proprio uno dei motivi per cui questa rubrica va avanti da così tanti anni: una piccola storia periferica di riscatto, il calcio come realtà non lineare, il talento che riesce a emergere anche nelle situazioni più improbabili.

I MIGLIORI TIFOSI DELL’FCSB
Come accennato, ieri all’Arena Națională per vedere l’FCSB c’erano oltre 53mila persone. La loro squadra ha perso, ma certo non è mancata la passione. Un coinvolgimento di tutto lo stadio che ha toccato il suo picco dopo il gol del pareggio di Baluta. Ecco i migliori tifosi, almeno tra quelli inquadrati.

- QUESTI QUATTRO

tifosi1

Andavano a scuola insieme, ora vanno allo stadio insieme. Uno è informatico, uno lavora col padre, uno è disoccupato e quello col cappellino della Ferrari sogna di lavorare a Maranello, ma ha studiato giurisprudenza. Tra loro non c’è invidia sociale o umana, si vogliono bene davvero, quell’amicizia che insomma non ce n’hai tante. Dopo la partita andranno a bere una birra al solito posto. Hanno un gruppo Whatsapp che si chiama “Quelli del *nome della piazza dove si incontravano da piccoli*”.

- QUESTO PUGNO

Cos’è la felicità se non un pugno stretto insieme ad altre 50mila persone?

- IL TIPO CON UNA MAGLIA DI TRAE YOUNG

Tutta questa fila è particolarmente bella, e i bambini allo stadio sono sempre un pezzo di cuore, perché insomma: se vuoi passare una cosa di generazione in generazione quella è il tifo. L’eroe è però quello alla destra del bambino (non sembrano parenti, ma non saprei) che ha una maglietta di Trae Young, ma non una da basket, una tipo che Trae Young è un cantante rap negli anni di Tupac.

- LUI

L’FCSB ha segnato, ma la vita rimane un enigmatico vuoto cosmico. Lui è qui per ricordarci che la felicità è un inganno del capitalismo, che tutto quello che siamo, poi non saremo, che niente accade davvero: siamo solo lacrime nella pioggia (o, forse, non è un tifoso del FCSB).

I FOLLI MINUTI DI RECUPERO DI LAZIO-VIKTORIA PLZEN
Se l’ottavo della Lazio sembrava semplice sulla carta, chi ha seguito le partite del giovedì sera negli ultimi 2 anni sa che il Viktoria Plzen, soprattutto in casa, è squadra tosta, col suo allenatore-sargente, un gioco intenso e diretto, i centravanti giganti e Pavel Sulc, uno dei beniamini di questa rubrica (che dopo 2 minuti aveva segnato un gol spettacolare, annullato per fuorigioco molecolare).

Proprio per questo, con un uomo in meno dal 77’ per l’espulsione di Rovella per un calcione in faccia a Sulc (involontario ma violento), e un ritorno da giocare in casa, alla squadra di Baroni il pareggio 1-1 sembrava andare bene. L’idea per gli ultimi 10 minuti di partita era di abbassarsi per difendere il risultato e poi ci si pensa al ritorno. Per un po’ ha funzionato: il Viktoria ha girato intorno al blocco centrale della Lazio, creato qualcosa da calcio da fermo, ma la Lazio sembrava in controllo. Poi, nel recupero, è successo un macello, perché comunque che controllo vuoi avere il giovedì sera? La Lazio comunque ne è uscita alla grande e noi siamo qui per raccontarvelo.

- 90’: UN GOL ANNULLATO

Come se aspettassero una sveglia, appena superato il 90’ il Viktoria Plzen segna. Lazzari lascia uscire un pallone sulla destra pensando la rimessa fosse sua, ma non è così. Mentre è distratto, i cechi battono velocemente, arrivano sul fondo e sul cross sbuca dal nulla Kopic, entrato da pochi secondi, che controlla in corsa e segna. Il controllo, però, è nettamente con la mano. L’arbitro annulla.

gol plzen

- 92’: L’ESPULSIONE DI GIGOT
Avevamo già parlato qui degli interventi pazzi di Gigot, ma questo onestamente è oltre il pazzo. Su una ripartenza veloce, il difensore della Lazio entra a piedi uniti sul povero Cadu, che fa una capriola tipo stuntman in un film di pagliacci.

gigot

Un’entrata pazza e non necessaria, visto che c’erano modi più gentili per fermarlo e comunque non andava in porta. L’arbitro non può far altro che tirare fuori il rosso, lasciando la Lazio in 9. Gigot non si capacita, gli fa il segno universale del pallone, ma il pallone non lo ha preso. Alle sue spalle Isaksen si mette le mani nei capelli. Non sa che sta per diventare l’eroe del giorno.

- 93’-96’: ALCUNE OCCASIONI PER IL VIKTORIA PLZEN
A quel punto i cechi sentono come l’urgenza di provare a vincere, dopotutto hanno 2 uomini in più. Prima un cross sbilenco finisce sotto l’incrocio, ma Provedel ci arriva, poi sul calcio d’angolo successivo Vydra avrebbe l’occasione giusta di testa. Ci arriva bene ma non è facile da quell’angolo inventarsi qualcosa, nonostante Vydra sia un fenomeno di testa, e Provedel salva di nuovo con una parata poco ortodossa ma efficace.

vidra

C’è ancora un’altra occasione, in mischia, non pulita per Adu Prince. Sembra il tiro che chiude la partita che rimanda tutti a casa, visto che stanno finendo i 6 minuti di recupero.

- 98’: IL GOL DELLA LAZIO
In mezzo però c’è stata l'interruzione per il rosso a Gigot e allora si continua. Il rilancio lungo di Provedel arriva proprio sui piedi di Isaksen, spostato a sinistra. Con un grande controllo orientato verso il centro si crea lo spazio, taglia il campo e serve Guendouzi (autore di una partita incredibile) a destra. Il francese potrebbe andare verso la bandierina, far scorrere il tempo e non rischiare di subire un contropiede 9 contro 11, invece prova un coraggioso passaggio di ritorno, che Isaksen nobilita così:

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È il gol vittoria della Lazio, segnato in 9 uomini, circa due minuti dopo il recupero. È la giocata individuale di un calciatore a cui Baroni sta dando fiducia, ma anche una rappresentazione simbolica di questa Lazio, che non si tira mai indietro e che in questa stagione ha già segnato 19 gol negli ultimi 15 minuti, di cui ben 8 - OTTO - nei minuti di recupero.

TEAM TALK, LETTERALMENTE

Eccoci.

LA FIORENTINA CONTINUA A NAVIGARE NEL CAOS

Il Panathinaikos non è più quello di una volta. Terzo nel campionato greco, ha segnato solo 30 gol in 25 partite. Per dare una proporzione, l’Olympiakos ne ha segnati 14 in più. Nel derby contro i biancorossi, un paio di mesi fa, non sono riusciti a vincere nonostante una superiorità numerica durata per un’ora.

Eppure anche questa versione ridotta del Panathinaikos è bastata per battere una Fiorentina che sta attraversando una stagione indecifrabile. Una squadra che vive alti e bassi vertiginosi, e che pur avendo espresso grandi momenti di forma, e con una classifica in Serie A positiva, oggi è una squadra impaurita, stanca, disorganizzata. Una squadra strapiena di problemi tecnici e tattici, di cui ha scritto Gianmarco Porcellini in settimana. La Fiorentina si regge su alcuni compromessi che reggono sempre meno, fra le idee di Palladino e i giocatori a disposizione. Il tecnico è sempre più in confusione, e cambia assetti e undici in modo a volte illeggibile.

Ieri, come sempre nelle coppe, in porta ha giocato Pietro Terracciano, facendo pagare in modo salato al tecnico la scelta di non giocare con De Gea titolare. L’errore sul secondo gol del Panathinaikos - un tiro di Djuricic respinto sui piedi di Maksimovic - è costato il doppio svantaggio. La Fiorentina è riuscita poi a pareggiarla nei successivi cinque minuti, ma è come se quello sforzo avesse esaurito le ultime risorse.

Per tutto il secondo tempo il Panathinaikos ha attaccato nella metà campo viola, e in fondo solo per un caso è arrivato un solo gol, quello di Tetè.

Un risultato frutto di tutte le contraddizioni su cui si regge oggi la Fiorentina. Una squadra che sa difendersi solo vicina alla propria porta, ma che d’altra parte fatica a battere il pressing avversario, e con un gioco sempre più scheletrico, anche a causa degli infortuni che hanno impoverito l’ossatura della squadra. Aver chiuso l’andata in svantaggio di un solo gol è l’unica buona notizia della serata.

UN UOMO CON LA FACCIA DI GOMMA

Volete vedere un uomo felice con la faccia di gomma? Kristian Eriksen (da non confondere con Christian Eriksen, quello dello United) è il classico centrocampista norvegese del Molde: biondo-rossastro, fisico coriaceo, faccia senza tempo. Ieri ha segnato contro il Legia Varsavia è ha messo su questa faccia:

Non so, magari sono io, ma mi ha ricordato le facce di Joan Cornellà, l’illustratore spagnolo diventato mega-famoso sui social per il surrealismo delle sue vignette. Se non avete capito, ecco un esempio.

LA FISSA DI MANU KONE PER I LUPI: UNA CRONISTORIA

Nel suo primo post su Instagram da giocatore della Roma, Manu Koné ha scritto una caption che in quel momento non avevamo capito: “in missione 🐺”. Non avevamo capito, cioè, che il lupo non era la Roma ma Koné, che una volta trasferitosi alla Roma è diventato, letteralmente, un lupo.

Ci sono voluti un po’ di mesi, ma dopo una sconfitta con l’Inter Manu Koné ha finalmente completato la sua trasformazione in un lupo. Questo lupo si veste con jeans neri, cinta e un giubbotto smanicato proprio sopra il corpo palestrato e peloso. Ha un grosso orologio al polso e beve del tè freddo da un bicchiere di plastica di quelli dei bar scrausi in cui ci si imbenzina prima delle serate. Il suo sguardo è determinato, “il viaggio è ancora lungo” scrive il lupo Koné.

Pochi giorni dopo la Roma batte la Dinamo Kiev in casa e il lupo si toglie la maglia, a petto nudo guarda in camera, seduto su una poltrona tra le montagne. “Remus Lupin” scrive Kephren Thuram, citando il tragico professore di Harry Potter che si trasformava in un lupo mannaro.

Il 7 dicembre la Roma batte il Lecce 4-1 e inizia a sistemare la propria stagione. Il lupo in missione di Koné è più in forma che mai. Non più seduto in poltrona ma in azione nelle città, famelico, spaventoso. Indossa una felpa col cappuccio (tagliato deliziosamente per far uscire le orecchie) e gira per le strade di quella che sembra una grossa metropoli asiatica - forse Shanghai, forse Taipei. La missione di questo lupo è aiutare la Roma, anche se sembra molto distante dal campo di calcio. La sua sembra più un’influenza mistica esercitata da lontano attraverso Manu Kone.

«Devi essere un lupo per catturare un lupo» si dice in uno spezzone cinematografico che anticipa il video di Manu Kone che segna contro il Lecce. Manu Kone e il suo patronus imperversano tra boschi e prati in cui si gioca a calcio.

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Il lupo sparisce per qualche settimana, ma dopo una vittoria in Europa League contro l’Eintracht Francoforte riemerge dall’umido di una foresta rendendola incandescente. È vestito come un gladiatore e direttamente dalla sua pelle si indovinano i simboli eterni di Roma: la lupa, ASR, lo sponsor Ryadh Season.

La Roma pareggia contro il Napoli in casa all’ultimo minuto grazie al gol di Angelino. Tempo per il lupo di andare dal barbiere.

La Roma batte il Porto e la festa si sposta fino alla Lupo Trattoria, dove il lupo cucina spaghetti pomodoro e basilico semplicemente perfetti. Mentre gira la pasta guarda in camera arrabbiato, determinato, in una parola: in missione.

Qualcuno deve aver pensato: “Occhio, così questo lupo si ingrassa, a forza di carboidrati, e a quel punto come farà a compiere la sua missione?!”. Quei muscoli ipertrofici non si mantengono da soli, e allora Lupo Trattoria diventa Lupo Fit, pronto a fare esercizio.

La missione continua.

IL GOL DI ELDOR SHOMURODOV CHE HA REGALATO LA VITTORIA ALLA ROMA ALL’ULTIMO MINUTO

Dopo la partita su Sky si sono affrettati a dire che la Roma aveva meritato la vittoria contro l’Athletic Bilbao, come se avessimo assistito a una partita sbilanciata sul piano delle occasioni da gol. In realtà la sfida è stata, al contrario, molto equilibrata. L’Ahtletic ha imposto all’Olimpico la propria ferrea organizzazione senza il pallone: 4-4-2, densità centrale, lavoro incessante sulle linee di passaggio. Di fatto la Roma è rimasta tutto il tempo a palleggiare tra i propri difensori e Svilar, incapace di qualsiasi uscita dalle linee avversarie. Quando la pressione diventava insostenibile, la Roma lanciava, e i non perfetti difensori dell’Athletic ogni tanto concedevano qualcosa.

Con verticalizzazioni improvvise la Roma ha creato i presupposti più pericolosi della partita.

Nicolò Pisilli ha fatto il lancio più preciso: di prima, forte, a lato del difensore, sulla corsa di Dovbyk. È la prima grande occasione della partita, Dovbyk finta di calciare col sinistro per portarsela sul destro, ma poi scivola. Poi c’è stata la traversa di Dybala, nata sempre da un lancio lungo, stavolta di Cristante, e una svirgolata del difensore su cui recupera palla Baldanzi, che poi protegge palla, scarica per Dybala che coglie la parte interna della traversa.

La Roma ha sofferto l’intensità fisica, la densità dell’Athletic, che restringeva il campo fino a rendere impossibile qualsiasi combinazione centrale della Roma. La partita si è spostata sugli esterni. A destra la Roma ha mosso grandi risorse per contenere Nico Williams - preferendo Rensch a Saelemaekers per esempio; a sinistra, invece, Angelino è rimasto solo nel mismatch atletico contro Inaki Williams. Anche quando rientrava Baldanzi in aiuto l’attaccante dell’Athletic riusciva a trovare facilmente la strada per diventare pericoloso.

Anche dopo il gol del pareggio di Angelino, nato da un grande spunto di Celik, l’Athletic stava in campo meglio della Roma. Non era molto pericoloso, ma sembrava avere il controllo territoriale della partita; e sebbene Nico Williams sia stato più o meno neutralizzato, la squadra spagnola dava l’impressione di poter sempre creare qualcosa in modo sporco, facendosi anche bastare qualche cross.

Poi un altro lancio lungo, e un’altra volta i difensori dell’Athletic in affanno. È una squadra dall’alto livello fisico, ma i difensori per qualche ragione non sono all’altezza del resto. Shomurodov prende posizione su Yeray Alvarez, che lo trattiene ingenuamente. Cinque minuti in superiorità numerica non sono molti, la Roma ha poche energie e ci prova, sembra, per burocrazia. Ci prova soprattutto dal lato destro, dove Soulé e Saelemaekers sono freschi e particolarmente elettrici; si associano, creano un lato forte difficile da gestire per l’Athletic. Il gol è un’invenzione di Saelemaekers, che fa partite schive, dai volumi bassi, ma trova spesso giocate estemporanee e decisive. Stavolta è un passaggio di prima, di piatto sinistro, verso Shomurodov che si è inserito. Il passaggio è così improvviso che l’uzbeko nemmeno se lo aspetta, lo controlla per modo di dire, con la sua tecnica approssimativa, e l’azione sembra compromessa. Anche lui, però, ha un guizzo, e riesce a girarsi e col piede debole e a colpire con un tiro lento ma velenoso.

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Incredibile che una vittoria tanto importante sia stata regalata da un giocatore che stava per andare in prestito al Venezia nel mercato di gennaio.

LA PARTITA EMOTIVA DI FONSECA
Ieri Paulo Fonseca si è seduto in panchina ad allenare poco dopo aver saputo di essere stato squalificato 9 mesi. Il fatto è che la squalifica vale in Ligue 1 e non in Europa League, quindi praticamente Fonseca può allenare solo il giovedì. Valutate voi l'impatto di questa cosa su un essere umano. Fonseca era evidentemente scosso. Dopo il primo gol, i suoi giocatori sono corsi ad abbracciarlo, tutti insieme, come a certificare la loro vicinanza, la difesa di un allenatore che sta pagando un prezzo troppo alto.

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Fonseca si è commosso fino alle lacrime e insomma, che aggiungere?


UNA COSA PICCOLA MA BUONA
Adam Marušić sembra sempre dover perdere il posto nella Lazio, ma poi invece gioca sempre. A quest’aura da giocatore-soldato che convince tutti gli allenatori: tu lo metti terzino a destra o sinistra e lui fa il suo. Preciso, affidabile, senza guizzi o rischi. Col fisico scolpito nella pietra e ottime doti atletiche, non è però quel tipo di talento che può stupirti. E invece il calcio è così: sono le 21:30 di sera di un giovedì qualunque e quando tu non ti aspetti più niente dalla tua giornata, Marusic fa una cosa così:

marusic

Un sombrero e giravolta, una giocata con vaghi echi zidaneschi, un momento piccolo ma buono. Quel non-so-cosa che nel calcio ci frega sempre, facendoci credere che è la cosa migliore del mondo.


UN’ALTRA COSA PICCOLA MA BUONA
Se il Chelsea in Conference League è un errore del sistema, un glitch del capitalismo, lo United in Europa League è semplicemente una cosa tra il triste e il decadente. A Manchester si portano dietro questa storia gloriosa in uno stato di mediocrità e spesso in questa rubrica li trattiamo come degli scemi. Ieri però insieme alla Real Sociedad è stata protagonista di un momento di rispetto religioso. Le due squadre si sono accordate con l’arbitro per interrompere il gioco al 20’ e far interrompere il loro digiuno a Nayef Aguerd e Noussair Mazraoui. Entrambi i giocatori celebrano il Ramadan ed erano scesi in campo a stomaco vuoto, dato che non possono mangiare prima del calar del sole.

Non è una novità nel mondo del calcio, ma spesso i giocatori che celebrano il Ramadan sono costretti a farlo di corsa durante le naturali pause del gioco. Manchester United e Real Sociedad hanno invece concordato una pausa insieme: un bel gesto.

COSE CHE ACCADONO SOLO QUI
Rieccoci qui, con l’unica rubrica che aveva previsto il riarmo dell’Europa e lo aveva scritto tra le righe delle varie puntate. Spero che anche voi, come me, abbiate investito in armi e in certificati di malattia.

- LA CONFERENCE LEAGUE, MA HAI PARCHEGGIATO IL PULLMAN DIETRO LA PORTA E NON DAVANTI COME SI DOVREBBE FARE

bus

- L’EUROPA LEAGUE, MA È UN COMIZIO DI MUSK

musk

- LA CONFERENCE LEAGUE, MA QUANTO CAZZO CI VOGLIAMO BENE

abbraccio


Un saluto e pregate per noi, che tra 7 giorni ci ritocca questo strazio.

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