Com’è andato il sorteggio delle italiane
Atalanta - RB Lipsia 40%-60%
Non è più il Red Bull Lipsia che metteva a ferro e fuoco i campi della Champions League, ma per la squadra tedesca il calcio è tornato a sorridere dopo una prima metà di stagione piuttosto grigia. A inizio dicembre a Lipsia è arrivato il redivivo Domenico Tedesco, che ha sostituito il tecnico statunitense Jesse Marsch, e le cose sono tornate a girare nel verso giusto: nelle 16 partite giocate in tutte le competizioni con il nuovo allenatore il Lipsia ne ha perse solo due (di cui una contro il Bayern Monaco, e in una partita molto combattuta che è finita 3-2), vincendone ben 11. Risultati che hanno permesso al gioiello della corona Red Bull di risalire la classifica dall’undicesimo posto toccato all’arrivo di Tedesco all’attuale quarto posto, a pari merito con Friburgo e Hoffenheim. Il tecnico nato in Italia sembra aver sbloccato l’energia distruttiva del Lipsia, che è tornata ad essere la macchina da gol che conosciamo: tra i suoi ultimi risultati vediamo ben due 6-1 (contro Greuther Furth e Hertha Berlino), un 4-0 (contro l’Hannover 96, in Coppa di Germania) e due 3-1 (contro Real Sociedad e Colonia). La squadra di Tedesco oggi è meno estrema nell’applicazione del pressing e della verticalità, e si basa su un 3-4-1-2 che cerca di attaccare molto più con il pallone di quanto facesse in passato. Una buona notizia per l’Atalanta, che avrà pane per i denti delle sue marcature a uomo, ma una cattiva notizia per i suoi centrali, che avranno il non facile compito di controllare il fortunato tridente Forsberg-André Silva-Nkunku. L’attaccante francese in particolare è una delle rivelazioni di questa Bundesliga (26 gol e 15 assist in stagione!) e se si dovesse ritrovare in uno contro uno in campo aperto potrebbe lasciare macerie. Un sorteggio complicato, insomma, compensato in parte dal vantaggio (non indifferente dopo l’eliminazione della regola sui gol in trasferta) di giocare la gara di ritorno in casa.
Roma - Bodo/Glimt 65% - 35%
Ci sono due modi di vedere questo sorteggio. Quello razionale, che sottolinea il divario tecnico tra le due squadre; il fatto che il Bodo/Glimt abbia venduto il suo numero nove a gennaio (Botheim, che nelle due partite dei gironi segnò ben tre gol); e l’ultimo faticoso passaggio del turno contro l’AZ Alkmaar, che la squadra norvegese è riuscita ad eliminare solo ai supplementari. E poi c’è quello esoterico, che cerca di dimenticare il 6-1 in Norvegia dell’andata; i solchi lasciati sulla fascia destra dell’Olimpico da Solbakken; e il generale senso di impotenza che la squadra di Mourinho si era inaspettatamente ritrovata a provare contro il Bodo. Se siete tifosi della Roma sicuramente avete sicuramente già abbracciato con scaramanzia e sincera disperazione questo secondo punto di vista, per tutti gli altri invece è inutile nascondersi: i giallorossi partono innegabilmente favoriti. La Roma è una squadra meno naïf della prima metà di stagione, che si difende molto più bassa e cerca di prendersi meno rischi possibile. Questo significa che per il gioco di posizione del Bodo/Glimt sarà più difficile creare pericoli senza che alcuni suoi interpreti, come Solbakken e Pellegrino, alzino molto il livello tecnico. Certo, la squadra norvegese non avrà la fatica di portare avanti un’altra competizione contemporaneamente (il campionato norvegese ricomincia a metà aprile), e potrà quindi concentrarsi solo sul doppio scontro, ma allo stesso tempo la Roma avrà il ritorno in casa, e potrà quindi giocarsi strategicamente le sue carte. Molto passerà dalla partita d’andata, in Norvegia, e dalla capacità di Mourinho di sconfiggere i fantasmi lasciati all’Aspmyra Stadion.
Conosci la tua squadra di Europa League: AZ
Da anni leggete il suo nome e pensate a quello di un dentifricio. Non perché lo evoca, ma perché letteralmente lo è. Che popolo è, quello che chiama le proprie squadre di calcio come quelle di un dentifricio? Ma per tutti questi anni siamo stati distanti dalla realtà. Il soprannome dei giocatori dell’AZ è “teste di formaggio” o “mercanti di formaggio”, e il club si chiama così come abbreviazione di un altisonante Alkmaar Zaanstreek-combinatie, e cioè letteralmente l’unione fra Alkmaar e Zaanstreek, le due società da cui è nato questo club tutt’altro che secondario nel calcio olandese. La scorsa puntata parlavamo del Vitesse, una delle più antiche società d’Olanda, che ha vinto zero campionati. Beh, l’AZ ne ha vinti due, l’ultimo nel 2008/09 con in panchina il grande profeta pazzo Louis van Gaal, che all’AZ ha rilanciato la propria carriera dopo l’annata disastrosa al Barcellona e una parentesi come direttore tecnico dell’Ajax. Questa puntata di “conosci la tua squadra” mi piacerebbe dedicarla solamente a quella splendida annata 2008/09, la cui brillantezza ho l’impressione non sia mai stata abbastanza celebrata. Eccovi un video con le migliori azioni d’attacco dell’AZ di van Gaal quell’anno. Cardine dell’attacco dell’AZ era El Hamdaoui - poi passato alla Fiorentina. In quella squadra pareva Cruyff: segnò 24 gol in 34 presenze. C’è anche un Graziano Pellè giovane, ombroso e ingellatissimo. C’è anche Moussa Dembelé, uno dei principi dei sottovalutati.
Altri giocatori notevoli: Sergio Romero, Hector Moreno, Ragnar Klavan, Jeremain Lens.
Van Gaal era al quarto anno sulla panchina del club. È stata la prima volta dopo 37 anni, dopo quindi il 1981, quando per la prima volta una squadra al di fuori del trittico di potere PSV-Ajax-Feyenoord era riuscito a vincere il campionato. Non era un caso: quell’AZ era una grande squadra: una sola sconfitta, 101 gol segnati, 30 subiti, una finale di Coppa Uefa persa contro l’Ipswich di Bobby Robson.
Queste due vittorie però non sono i miracoli più spettacolari che hanno avuto il piacere di vedere ad Alkmaar, una città in cui notoriamente succedono cose importanti. Nel 1429, per esempio, il sacerdote Folker stava celebrando la sua prima messa nella chiesa di San Lorenzo, quando accidentalmente ha rovesciato il sangue di cristo. Solo che il sangue di Cristo, lo sappiamo, è sangue solo metaforicamente, e invece quando Don Folker lo ha rovesciato sulla pianeta (spero voi sappiate cos’è una pianeta) il vino s’è rappreso e s’è fatto davvero sangue. Scommetto che non ci credete, fate come vi pare. Sappiate però che nel 1433 il vescovo di Utrecht approvò ufficialmente il culto relativo all’episodio.
Se oggi vi capita di andate ad Alkmaar entrate nella chiesa di San Lorenzo e cercate un reliquiario a forma di angelo. Lì è custodita la pianeta sporca di vino, ovvero di sangue, ovvero di sangue di cristo versato in un miracolo eucaristico.
Se state cercando un giorno ideale per andare ad Alkmaar, beh, sappiate che quel momento è arrivato perché il primo venerdì di aprile. Il giorno dell’anno in cui, a piazza Waagplein, si apre il mercato del formaggio ogni anno dal 1365. Arrivano 30mila chili di formaggio, 2200 forme. Tenete conto che Alkmaar è la capitale del formaggio. Durante il mercato inizia la danza degli “zetters” (i collocatori), gli “ingooiers” (i tiratori) e i “waagmeesters” (i pesatori), che coordinandosi danno vita a questo mercato. I re del mercato sono ovviamente l’Edam e la Gouda.
Quale calciatore del Copenaghen sei
Pep Biel
Certi giorni, quando dopo pranzo ti scende la piomba e non riesci a rimetterti al lavoro, il tuo cervello non migra direttamente su Instagram o su Twitter. Da qualche tempo ti capita di visitare strani siti di turismo, applicazioni per prenotare voli o strutture ricettive. Avevi cominciato guardando i paesi baschi, i fiordi norvegesi, qualche isola greca, le midlands. Ma che sognatore modesto, ti sei detto. Ora guardi la polinesia francese, la patagonia, l’Uganda. Guardi i prezzi da un mese, ti fai dei conti vaghi sul tuo conto, ma quanto ci stai realmente pensando? Non ne hai ancora parlato alla tua compagna, temi lei stia dando per scontato che la prossima estate sarà come quella dello scorso anno, e dell’anno prima ancora. Casa di una cugina a Fiumefreddo, messa a un prezzo di piacere. Tutti i giorni alla stessa stessa spiaggia, un paio di cene fuori allo stesso ristorante di pesce. Ti piaceva perché potevi uscire con la canna da pesca qualche sera e startene da solo col mare, a pensare alla vita subacquea dei pesci. Ora però hai 38 anni e hai l’impressione che la tua vita ti stia scivolando tra le dita. Non vuoi essere come tuo padre, che in tutta la sua vita ha pensato solo a lavorare. In tutta la sua vita, fuori dall’Italia, ha visto solo Parigi. L’unica cosa che ricorda è che i panini costavano cari.
Khouma El Babacar
Ti piace leggere qualcosa a colazione. Solo mentre bevi il tuo caffè e mangi il tuo pane tostato la mente è abbastanza lontana dalle preoccupazioni per immagazzinare nuove informazioni. Quel giorno ti alzi più tardi del solito, la tua compagna ha già lasciato casa e sul suo mobile vedi un libro illustrato enorme: Crabs: a global natural history. Lo prendi e lo porti al tavolo, metti su il caffè, tosti il pane, ci metti la marmellata di fichi. Un tempo c’era anche il burro, ma con gli anni sei diventato intollerante. Ti siedi e apri il libro, sulla prima pagina una dedica: «Per il nostro progetto, xxx, Fabio». Non c’è nessun collega, che tu sappia, di nome Fabio. Non ci pensi più, ma davvero più, finché un mese dopo non trovi tra le bollette una lettera con dentro solo un bigliettino con una ‘f’ scritta sopra. Non sei un tipo geloso, e devi forzarti nella testa l’immagine di tua moglie a letto con qualcun altro. La cosa per qualche ragione non sortisce nessun effetto. Cos’hai che non va? Si può amare una persona senza desiderarne l’esclusività? È possibile non essere disturbati dall’idea del tradimento?
Isak Bergmann
Ti piacciono: i biscotti Krumiri, le tazze, quando tua madre dice “beato a chi c’ha n’occhio”, farti l’Aurelia da Roma a Orbetello alla massima velocità possibile ingannando gli autovelox, mangiare i panini cominciando dalle parti meno farcite, la rivista Elle decor, quando finisci di lavare i piatti e accumuli i residui di cibo nel filtro del lavello. Ancora: i libri di Elena Ferrante, fare aperitivo con lo spritz Cynar, le sigarette Winston blu, i fiori che fa la tua bromelia.
Non ti piacciono: i taralli che servono al bar, il prosciutto cotto, le persone che ti ricordano gli impegni di prima mattina, l’uso sbagliato del “piuttosto che”, le persone che dicono di non prendere lo zucchero nel caffè come fosse un particolare talento.
Le migliori foto di Vavro con la maglia della Lazio
Prima di finire a giocare in Conference League, Vavro era considerato un difensore promettente. Da chi, chiederete voi; da Ighli Tare, vi risponderò io. Era arrivato alla Lazio dal Copenaghen: aveva 23 anni, era alto quasi due metri e tirava da fuori come i difensori centrali che vivono la vita indossando un briciolo di follia. Aveva eliminato l’Atalanta dai preliminari di Champions segnando il rigore decisivo, e Gasperini aveva pensato di portarlo a Bergamo. Chissà se le cose sarebbero andate diversamente. La Lazio lo aveva pagato 12 milioni di euro, poi non ha quasi mai giocato. Un anno fa si considerava prigioniero della squadra: «La società ha deciso che devo restare per altri sei mesi. Il motivo erano le regole finanziarie che si applicano agli stranieri in Italia e il fatto che il club avrebbe dovuto pagare per me una certa somma di tasse».
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Con zero gol segnati in biancoceleste, in quale occasione Denis Vavro ha potuto mostrare l’orecchio ai tifosi?
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Questo è il tipo di foto che esce quando sui siti di news dedicati alla Lazio esce qualche nuova dichiarazione di fuoco di Vavro contro la sua vecchia squadra.
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Cosa sono quelle tende? Dov’è?
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Se state cercando un wallpaper di Vavro da usare come sfondo del desktop. Se Vavro per qualche ragione è il vostro giocatore preferito.
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Neanche per Milan Skriniar il primo semestre in Italia è stato facile e voleva tornare, ma poi ha avuto una possibilità e non l’ha lasciata andare. Al contrario, io non ho avuto una seconda possibilità. Ho avuto una partita e non di più.
Al Copenaghen è solo in prestito. A quanto pare a gennaio ha ricevuto diverse offerte da squadre italiane, ma lui non ci pensa nemmeno: «Non ho intenzione di tornare in Italia. Mi hanno chiamato per dirmi che avevo diverse offerte italiane. Ma ho subito detto di no perché è un paese che non mi piace. Voglio restare qui».
La luce nello stadio del Rennes
Le giornate si allungano e il sole stende la sua luce sugli spalti degli stadi del giovedì sera provocandoci una strana vertigine. L’oscurità e non la luce è la qualità delle partite europee. Quando arriva la luce, di solito, vuol dire che le squadre si sono inoltrate fino alle ultimissime fasi di una coppa. La luce è l’elemento degli stadi spagnoli, od olandesi, in una serata di maggio degli anni ‘90 e la finale di Champions League è sui canali Mediaset e al commento c’è Sandro Piccinini. Per questo, ieri, quando al 12’ sono comparse sparute chiazze di luce sugli spalti dello stadio del Rennes, ci siamo un po’ commossi.
Per commemorare quella luce, ecco uno degli stralci più epifanici della Recherche:
«Soli, elevandosi dal livello della pianura e come spersi in aperta campagna, salivano verso il cielo i due campanili di Martinville. Ben presto ne vedemmo tre: un campanile ritardatario. quello di Vieuxvicq, li aveva raggiunti, venendo a porsi con un'ardita giravolta di fronte ad essi. I minuti passavano, andavamo veloci, e tuttavia i tre campanili erano sempre in lontananza dinanzi a noi, come tre uccelli posati sulla pianura, immobili e invisibili al sole. Poi il campanile di Vieuxvicq si scostò, prese le distanze, e i campanili di Martinville restarono soli, illuminati dalla luce del tramonto che vedevo anche a quella distanza giocare e sorridere sulle falde del tetto.
Ci avevamo messo così tanto ad avvicinarci ad essi e pensavo a quanto tempo ancora ci sarebbe voluto per raggiungerli, quando, all'improvviso, dopo una svolta, la carrozza ci depose ai loro piedi; ci erano comparsi così bruscamente davanti che ci restò solo il tempo di fermarci per non finire addosso al portale. Proseguimmo la nostra strada; avevamo già lasciato Martinville da un pò di tempo e il paese dopo averci accompagnato per qualche istante era sparito ma, rimasti soli all'orizzonte a guardarci fuggire, i suoi campanili e quello di Vieuxvicq agitavano in segno di addio le loro cime illuminate dal sole.
A volte uno scompariva perché gli altri due potessero scorgerci un istante ancora; ma la strada cambiò direzione, essi virarono nella luce come tre perni dorati e scomparvero dinanzi ai miei occhi. Ma, poco dopo, quando eravamo già nei pressi di Combray, essendo il sole ora tramontato, li rividi un'ultima volta da molto lontano, e ormai apparivano soltanto come tre fiori dipinti nel cielo al di sopra della bassa linea dei campi; mi fecero venire in mente le tre ragazze di una leggenda, abbandonate in un luogo solitario su cui già scendeva la notte; e mentre ci allontanavamo al galoppo, li vidi timidamente cercare la loro strada e, dopo qualche goffo ondeggiamento dei loro nobili profili, stringersi l'uno contro gli altri, scivolare l'uno dietro l'altro e formare nel cielo ancora rosa una sola sagoma nera, incantevole e rassegnata, poi spegnersi nella notte».
Si parla troppo poco del Braga
Il Braga è la squadra con l’età media più bassa ancora in corsa per le coppe europee. La sua storia con l’Europa League è una storia d’amore. Nella sua storia non ha mai vinto il campionato portoghese, ma ha vinto un Intertoto nel 2008 (la coppa che è stata il prototipo filosofico di questa rubrica) ed è arrivato in finale d’Europa League a sorpresa nella stagione 2010/11. Negli anni sta dimostrando una costanza mostruosa nel giocare questa coppa e ottenere risultati oltre le aspettative fino a perdere solo quando proprio diventa inevitabile. Nel mezzo, giovani lanciati, belle azioni costruite.
Ieri ha ribaltato i pronostici eliminando il Monaco, una squadra in crisi di risultati, è vero, ma con una forza economica imparagonabile a quella del Braga, che a gennaio ha venduto il suo miglior giocatore (Galeno) e ha pensato bene di sostituirlo con, bo, nessuno. Guardate l’azione del gol decisivo di ieri. Abel Ruiz segna con un tiraccio da fuori su cui Nubel commette un errore, ma guardate la qualità con cui riesce a ripartire il Braga, con un cambio di gioco alla Toni Kroos di Rodrigo Gomes.
Contro lo Sheriff è stato un doppio confronto duro, finito ai rigori e aperto nella gara di ritorno da questo gol del capitano Ricardo Horta. Pur avendo giocatori semi-sconosciuti, all’apparenza modesti, il Braga ha comunque costruito una rosa tecnica, con tante mezzepunte brave a dialogare nello stretto. Creano tanta densità in zone centrale per creare triangoli e cercare il terzo uomo. Quel gol di Ricardo Horta ne è un esempio.
Poche squadre attaccano posizionalmente bene come il Braga. In questa rete in campionato contro il Tondela, per esempio, fate caso all’organizzazione con cui vengono occupati i corridoi; e poi ovviamente la palla geniale dell’esterno destro, Fabiano.
In panchina, con la classica fascia al braccio, siede Carlos Carvalhal. Magari non vi dirà niente ma è un allenatore d’esperienza, che a un certo punto sembrava a un passo dal poter allenare un top club. Nel 2003 è diventato il primo allenatore portoghese a portare una squadra, il Leixoes, dalla terza serie nazionale alla qualificazione in Europa. Ha fatto miracoli col Vitoria Setubal, e ha fatto un suo piccolo giro, tra Turchia e Inghilterra. Ha studiato da allenatore insieme a Rui Faria e Josè Mourinho, ma in una scuola che produce continuamente nuovi esponenti di Carvalhal si parla poco, e al Braga sembrava arrivato soprattutto per svernare. Il suo lavoro però è sempre di alto livello. Lo scorso anno ha vinto la Taca de Portugal e in estate il Flamengo ha provato a portarlo in Brasile, ma avrebbe dovuto pagare una clausola di dieci milioni di euro considerata troppo alta. Al Braga, oltre ai risultati, ha costruito questo stile di gioco spettacolare e al contempo difficile da affrontare. Sergio Conceicao lo scorso anno - più o meno quando il Braga è stato eliminato in Europa League dalla Roma di Paulo Fonseca - ha definito il Braga “la migliore squadra portoghese in questo momento”. In un’intervista all’Independent ha parlato del proprio gioco peccando un po’ di personal branding, ma per capire il personaggio: «Abbiamo creato la nostra idea, che è qualcosa di diverso. Non seguiamo nessuno. Penso che siamo un passo avanti e saremo il futuro». Il Braga gioca col 4-3-3, col 4-2-3-1, o più spesso col 3-4-2-1. «Non prepariamo la squadra a giocare con un sistema ma a giocare con più principi». Considera la squadra un organismo olistico: «Tutto riguarda lo spazio, i principi, come muovere la palla e creare lo spazio che vogliamo. Non c’entra la formazione».
Così, senza senso
Conosci il tuo sponsor del giovedì sera: Burger’s Zoo
Vi sarà capitato di leggere la scritta “Burger’s Zoo” sulla maglia dei giocatori del Vitesse e magari avrete pensato che si trattasse dell’ennesima stramba catena di fast food. Lo zoo degli hamburger, neanche troppo male come creatività. Questa mini-rubrica esiste proprio per questi piccoli debunking. Il Burger’s zoo è infatti lo zoo di Arnhem, non uno zoo qualsiasi ma uno dei più affascinanti d’Europa. A fondarlo il signor Johan Burgers. Vale la pena conoscere la sua storia. Di origini modeste, è diventato un agricoltore e ha portato i suoi talenti in giro per l’Europa. tornato a Heerenberg si è sposato e ha aperto una macelleria. Nel frattempo a casa ha dato sfogo alla sua passione per gli animali. Ha cominciato con i cani e i faggiani, per poi sbizzarrirsi su altri animali. Presto ha finito lo spazio e gli è toccato comprare un altro pezzo di terra. Affascinato dai parchi di Amburgo, ha deciso di aprirne uno lui stesso, mettendoci dentro volpi, lupi e fenicotteri; poi leoni e orsi. Aprendo al pubblico è diventato il primo zoo privato in Olanda, portato avanti fino a oggi dalla stessa famiglia. Lo zoo possiede otto zone tematiche.
Ogni zona ricrea gli ecosistemi ideali per gli animali presenti, alcuni dei quali oggi praticamente estinti e presenti solo in cattività. Per dirvi di questo posto fantascientifico: nell’acquario i coralli crescono grazie alla stimolazione di una luna artificiale. Vi consiglio di visitare il sito dello zoo, che offre diversi contenuti d’approfondimento sulle varie specie presenti. Da quelli più seri - comesull’allevamento dei granchi - ad altri più teneri e ironici.
Orsi che giocano con una zucca gigante: proprio quello che stavate cercando su internet oggi.
Tutta la classe di Riechedly Bazoer
Sbucato come centrocampista del futuro all’Ajax, il declino di Bazoer ad alti livelli è stato tanto rapido quanto indolore. L’abbiamo perso di vista e ok: è andata così, amen il mondo è pieno di giovani a cui affidare le proprie speranze. Lui però resisteva, una carriera sotto le aspettative, un giro qui, un altro lì. Ieri l’abbiamo visto guidare la difesa del Vitesse in un dolorosissimo pareggio con la Roma. Con la 10 sulle spalle, i calzettoni abbassati e l’andatura di chi sembra scocciato di stare lì è sembrato forse il difensore meno difensore mai visto. Eppure ha giocato una grande partita, sempre in controllo, sempre pronto a dettare i ritmi del gioco, lanciare lungo, scambiare corto. Ecco alcuni dettagli della sua classe compassata.
Da terra contro Zaniolo
Bazoer non ha neanche lontanamente la fisicità o la velocità di Zaniolo, ma è bravissimo a coprire la profondità partendo prima. Quando il giocatore della Roma lo spinge a terra, si tiene la palla tra le gambe per impedire all’avversario di togliergliela: forse un’azione scorretta, ma guardate che eleganza nel farlo.
Dettare i ritmi con la sigaretta in bocca
Retropassaggio al portiere, retropassaggio al portiere, poi quando la pressione della Roma si ammorbidisce, tac: passaggio tra le linee per mandare avanti il gioco. Metri corsi: pochi.
Ma anche corricchiando
In alcuni momenti il Vitesse è riuscito a fare minuti interi di possesso. Certo, l’atteggiamento della Roma ha aiutato, con i giallorossi in attesa, ma guardate quanto è bello un possesso sterile quando la ragnatela viene tesa da Bazoer. Il lancio finale è la chicca.
Neanche la regia gli sta dietro
Bazoer avrà fatto 30 lanci ieri, non tutti precisi, ma tutti rilassanti. Qui addirittura prende in controtempo la regia su una punizione fischiata a centrocampo. Il suo lancio per Openda a la precisione di quei video che contengono la parola satisfying dentro.
Anche quando sbaglia
La classe si vede soprattutto quando sbagli. Una spazzata svirgolata diventa un lancio preciso per il compagno.
La prestazione di Bazoer non è bastata per il Vitesse, però magari qualcuno in Serie A l’ha notato, le nostre difese a 3 avrebbero bisogno di lui.
Giocatore più giovedì sera: Martins Indi
Quanto ci abbiamo creduto: 7
Quanto è stato realmente forte: 3
Quanto è caduto in disgrazia: 7
Quanto sembra depresso: 5
Vi ricordate quando non si poteva giocare a pallone senza Martins Indi? È stato un momento breve, durato forse un paio di settimane, a cavallo della vittoria per 5-1 dell’Olanda sulla Spagna ai Mondiali 2014 e l’eliminazione in semifinale. Martins Indi come terzo difensore in una difesa a tre, mentre questa lentamente recuperava il suo rispetto nel mondo del calcio che per anni l’aveva vista con sospetto. Con un bel mancino, un passo svelto, quella posizione ibrida toglieva a Martins Indi l’incombenza di scegliere se essere un terzino o un difensore centrale. In quel Mondiale gli era successo di tutto: abbastanza pazzo da discutere con Diego Costa, finito in ospedale per uno scontro aereo con Tim Cahill (la testa più dura del gioco del calcio?), diventato un meme, tra una scena in cui sgrana gli occhi, un siparietto in cui si toglie la schiuma dello spray dalle scarpe, e questi 4 secondi.
Forse abbiamo pensato che dal quel momento avremmo avuto molto più Martins Indi nelle nostre vite. Eppure, appena finito quel Mondiale se l’era accaparrato il Porto, e magari poteva sembrare un passaggio di mezzo prima di raggiungere l’élite mentre già guardavamo altrove. Poi che è successo? La realtà si è scontrata con il sogno, quel mesetto estivo in cui tutti possono sembrare dei fenomeni. Due stagioni deludenti al Porto e poi Martins Indi diventa una colonna dello Stoke City. 137 presenze in uno spazio di 5 stagioni e due gol. Tra Premier e Championship, in un posto conosciuto per il suo clima inadatto al gioco del calcio, Martins Indi scompare dalle nostre vite, come quella fidanzata incontrata al campeggio un’estate che forse era il 2004 o il 2005.
Qui a casa, forse, del ds dello Stoke, in uno dei pochi giorni belli.
Nel 2020 è tornato in Olanda, alla fine non si sta male lì. Gioca nell’AZ Alkmaar e se lo beccate in una partita di Europa League ripensate subito al 2014. Com’era la vostra vita a quei tempi? Quella di Martins Indi poteva sembrare migliore, ma chi lo sa: ieri ha contribuito a regalare almeno un gol al Bodo/Glimt che ha eliminato la sua squadra. Chi lo dice che non è meglio di segnare un gol alla Spagna campione del Mondo?
Il gol più giovedì sera
Virilità: 1
Assurdità: 10
Anti-epicità: 10
Paura della morte: 10
Vi ricordate quando in Ghostbusters - Acchiappafantasmi Gozer prende le fattezze dell’Omino del Marshmallow venuto in mente a Ray per distruggere New York? Ecco, la stessa cosa sta succedendo con quello che era “il gol più Europa League”, una cosa pensata da noi e fatta per rimanere tra le quattro mura di questa rubrica. Con la Conference League l’anti-epicità delle reti si è allargata troppo, è scappata dalle maglie della realtà per diventare un mostro gigante dalle fattezze coccolose, gol che accadono in maniere sempre più assurde e surreali. Prendete questo gol. È già fuori di testa il fatto che esista - il 18 marzo 2022 - una partita LASK Linz-Slavia Praga 4-3, pensateci davvero a quanto è assurdo. Provate a entrare nella testa di Philipp Wiesinger, un passato al Red Bull Salisburgo, un presente in Conference League. Doveva appoggiare un pallone in una porta vuota, ha creato un casino. Certo, merito anche del campo, ma quella è una condizione necessaria se vuoi giocare un giovedì sera di fine inverno a Linz. Comunque poi il gol l’hanno dato a lui, è infatti il suo l’ultimo tocco di quel mischione, col ginocchio mentre è carponi per terra, più disperato che intenso. L’hanno dato a lui, ma forse dovevano darlo alla Conference League come idea.
Angolo tifosi
I tifosi del Bodo vanno pazzi per gli hot dog
Tanto da dedicargli uno striscione.
La coreografia più brutta del giovedì
Non lo so, avevate i telefoni scarichi o cosa?
Tifosi del Braga che non stanno più nella pelle
Chi tifa Braga non perde mai.
Chi è il nuovo Mitroglou?
Kostas Mitroglou, centravanti greco dalla carriera lunga e la barba ancor più lunga. Non è stato uno di quei bomber implacabili della storia dell’Europa League, attaccanti benedetti che segnavano gol a grappoli spuntano dalla nebbia, ma ha lasciato un ricordo indelebile con il suo stile unico, tradizione ortodossa che si mischiava con una cultura urbana. Chi mantiene vivo il suo spirito oggi? Ecco tre possibili contendenti.
3° Eran Zahavi
Eccoci qui, avreste immaginato di star a leggere di Eran Zahavi nel 2022? E che sarebbe stato uno dei migliori giocatori di una competizione europea? Ma non siamo qui per questo. Zahavi, tratti mediorientali, afflato del mondo. La sua somiglianza con Mitroglu? Va cercata nelle pieghe, nello spirito levantino che lo guida, nel tocco quasi sensuale del suo calcio e nell'indifferenza per la sofferenza altrui che ti spinge a esultare facendo due pistole con le dita in questo momento storico. Mitroglu e Zahavi, forse diversi, ma entrambe perfetti come eroi negativi di un romanzo storico ambientato nel 1400 dopo Cristo.
2° Borja Iglesias
Fisicità simile, barba praticamente uguale, a Borja Iglesias, bomber del Betis Siviglia manca però quello sguardo strafottente di chi è cresciuto alla periferia dell’impero. Se Mitroglou dà l'idea di avere un odore pungente di tabacco e cibo di strada, Borja Iglesias, detto “Il panda” sa di cioccolato e sandalo.
1° Vangelis Pavlidis
Stesso passaporto, stesso ruolo, stessa sfumatura nel taglio dei capelli. Pavlidis incarna alla perfezione lo spirito greco-ortodosso della Conference League, il necessario contrasto con la predominanza mitteleuropea, come in ogni buon piatto che si rispetti. Da non confondere con Vangelis Pavlidis, il fumettista.
Dove ho già sentito il nome Hincapie?
Dove ho già visto l’assistente dell’allenatore del Vitesse?
Festeggiamo San Patrizio
Ieri era San Patrizio, un santo ma anche una festa irlandese. Cosa si fa a San Patrizio? Si beve birra o si gioca in Europa League (o in Conference League). Cosa altro si fa? Si indossa qualcosa di verde, almeno così fanno vedere nelle serie tv americane. Ci interessa qualcosa di San Patrizio? No, noi eravamo a casa a guardare la tv. In tv però c'erano delle cose verdi, ecco quindi cose verdi del giovedì sera.
I campi
Più o meno i campi sono verdi.
Daniele Verde
5 presenze in Europa League, due con la Roma, tre con l’AEK.
La Conference League
Di base tutta l'estetica della Conference League è verde.
Andre Green
Uno dei primi lasciti della Conference League: attaccante inglese da 6 presenze e 4 reti con la maglia dello Slovan Liberec.
Geopolitica della coreografia della Stella Rossa
Uno dei posti al mondo dove il rifiuto della UEFA e più in generale del calcio moderno si è più saldato con l’antagonismo nei confronti dell’ordine politico occidentale è la curva della Stella Rossa, che ha una lunga storia di polemiche contro la confederazione calcistica europea soprattutto per via dei numerosi provvedimenti presi contro gli episodi di razzismo e omofobia (più numerosi) della tifoseria serba. Con la coreografia esposta ieri al Marakanà, però, il trollaggio degli ultras della Stella Rossa nei confronti delle istituzioni europee ha raggiunto un livello ancora superiore. A un primo sguardo, infatti, lo slogan di John Lennon “All We Are Saying Is Give Peace a Chance” potrebbe sembrare un messaggio coerente con la campagna contro l'invasione russa dell'Ucraina portata avanti dal calcio europeo. A un occhio poco attento basterebbe questo, se non fosse che i tifosi serbi, più in piccolo, hanno messo sopra una lunga lista di conflitti degli ultimi settant’anni circa, con scelte e omissioni che dicono quasi tutto sulle opinioni della curva del Marakanà. Ci sono molti interventi militari statunitensi (Corea 1950, Vietnam 1961, Grenada 1964, Panama 1989, Iraq 1991, Afghanistan 2001), alcuni tentativi controrivoluzionari supportati dalla CIA (Cuba 1961, Nicaragua 1981), diversi regimi militari appoggiati dal blocco occidentale (Brasile 1964, Grecia 1967, Argentina 1976) e una riscrittura della storia dei conflitti balcanici molto generosa nei confronti della Serbia (si legge ad esempio Republika Srpska 1995, come se la parte serba della Bosnia fosse stata aggredita e non il contrario, e Yugoslavia 1999, dimenticando le atrocità commesse in Kosovo). Insomma, ancora una volta il conflitto sull’Ucraina ci ha ribadito che ognuno ricorda le guerre che gli fanno più comodo, e alla fine la coreografia sembra dirci proprio questo. All’interno di una lettura della storia molto orientata, però, non mancano le scelte originali e difficilmente spiegabili da qui: manca ad esempio la guerra in Iraq del 2004 (forse per questioni stilistiche non si voleva ripetere il nome del Paese mediorientale) e invece a sorpresa è presente il conflitto in Siria del 2011, in cui la Russia ha avuto un ruolo sostanziale. D’altra parte la Serbia, sta avendo un ruolo ambiguo nei confronti dello storico alleato russo: da una parte è uno dei pochi Paesi in Europa ad aver mantenuto aperte le tratte aeree verso Mosca, dall’altra però ha preso anche decisioni a sorpresa come quella di votare a favore della risoluzione ONU che chiede a Putin di ritirare immediatamente le sue truppe dall’Ucraina. Grande è la confusione sotto al cielo, si direbbe, figuriamoci sotto a quello dei Balcani.
Un momento troppo enfatico per non citarlo
L’Europa League è la competizione delle emozioni relative. Alcune squadre vincono, altre perdono, l’importante è che ci siano momenti divertenti, errori scemi, qualche squadra improbabile che fa un upset. In questo panorama il calcio inglese, coi suoi prati perfetti, i tifosi ricchi e le sterline sonanti è spesso escluso. Il West Ham però rappresenta una convergenza da questo punto di vista: una delle squadre con una delle tifoserie più calorose, un fascino proletario e uno stadio effettivamente meraviglioso. Ieri all’equazione si è aggiunto Yarmolenko, segnando la rete che ha permesso al West Ham di eliminare il Siviglia nei supplementari.
Yarmolenko è ucraino, cresciuto a Černihiv, una delle città più colpite in questi giorni. Era rimasto fermo per tre settimane, poi domenica era entrato e aveva segnato contro l’Aston Villa, scoppiando a piangere. Ieri dopo il gol è rimasto impassibile - è difficile pensare ad esultare per lui - mentre i compagni lo sommergevano di abbracci. Intorno lo stadio eruttava in manifestazioni di gioia. Le classiche bolle di sapone hanno invaso lo spazio, bandiere dell’Ucraina sventolavano, più che per un gol, la gente sembrava esultare per un futuro migliore.
Martin Hinteregger è la persona che vorresti essere
Alla fine hanno dato autogol a Gonzalo Rodriguez, ma forse meglio così. Quello che rimane è la volontà ferrea di Hinteregger di esserci, contribuire. Chi più di lui è l’icona delle notti europee del giovedì, giocatori che fanno della resistenza il loro modus operandi? Hinteregger che mette - letteralmente - a rischio il proprio corpo per toccare l’ultimo pallone della partita, quello che può evitare una dolorosissima lotteria dei rigori.
Guardate i compagni come lo strattonano, lo abbracciano, ricoprono d’amore il loro capitano, l’ultimo a lasciare la nave, l’eroe senza macchia e senza paura. Chi non vorrebbe essere come Martin Hinteregger?
Cose che accadono solo il giovedì
“È sempre giovedì nella mia testa”, cantava Jovanotti nel 1999, in una canzone che non esiste. Questo giovedì in particolare è stato il giovedì del tutto può succedere, ma non succede niente. Ecco quindi il vostro niente settimanale, tipo quello con cui Seinfeld è diventato ricco, ma non divertente.
L’Europa League, ma come se fosse una sitcom su Gasperini
L’Europa League, ma è fare un finto colpo di testa mentre i giocatori fanno dei veri colpi di testa
L’Europa League, ma è riflettere sulla propria esistenza mentre Muriel sta per battere un calcio d’angolo
Ci annusiamo dopo.