Conosci la tua squadra di Conference League: Bodo/Glimt
Immaginate un uomo entrare in spogliatoi grigi con panche di legno, tutto è pulito ma povero; tenere due maglie della salute mentre si toglie la camicia e si infila la divisa sociale. Una divisa gialla con sopra un fulmine. Immaginatelo cambiarsi battendo leggermente i piedi a terra, espirando forte e creando piccole nuvole di escursione termica. Siamo vicini al Circolo polare artico, a Bodo, un villaggio di pescatori diventato una città di mercanti. Suo nonno faceva il pescatore e lui anche, ma gioca anche a calcio. Suo nonno gli ha raccontato di quando Bodo è scomparsa, diventata un cumulo di macerie dopo il bombardamento della Lutwaffe. Una mattina primaverile di giugno del 1940 gli aerei hanno bombardato tutto il centro cittadino, ospedale compreso; hanno distrutto 420 case su 760 e hanno ucciso 15 persone. Due soldati inglesi e tredici novervegesi. Il giorno dopo una trentina di tedeschi sono arrivati in bicicletta e hanno occupato la città così: come se fosse un movimento ecologista. I soldati alleati e i norvegesi erano stati già evacuati. Ci poteva permettere relax. L’uomo si siede sulla panche tutto intrizzito e infila gli scarpini. Sono praticamente degli stivali con dei chiodi montati sui tacchetti. Dopo la guerra gli svedesi li hanno aiutati a ricostruire tutto, ma non hanno campi coperti per giocare a calcio e a novembre, a Bodo, il campo è ghiacciato, e per correre su un campo ghiacciato servono i chiodi sotto le scarpe.
Sono passati trent’anni e quell’uomo ha ormai sessant’anni ed è sugli spalti a guardare una partita. Tutto è cambiato: i campi coperti, il nuovo stadio, la città di Bodo e la sua squadra, che di recente ha vinto il suo primo campionato norvegese dopo più di cento anni di storia minore. Una cosa non è cambiata: come facevano i tifosi quando andavano a vedere lui, si va allo stadio con uno spazzolino gigante in mano. La tradizione è iniziata negli anni ‘70 ma nessuno sa di preciso il perché. Si dice che il primo fu Finn Olav Jacobsen a tirare fuori uno spazzolino dalla sua tasca per incitare la squadra. Ma in che modo uno spazzolino dovrebbe aiutare una squadra di calcio a giocare meglio? Come per una credenza religiosa, tutti hanno cominciato a portare uno spazzolino allo stadio. I tifosi rivali ci scherzano, spesso provano a rubare lo spazzolino come fosse lo scalpo dei rivali. È stata una delle prime tifoserie norvegesi a comportarsi come tale: un corpo unico riunito attorno al giallo, agli spazzolini. A bordo campo, nelle giornate particolarmente ispirate, puoi comparire una trota gigante.
Non credeva che avrebbe mai visto il Bodo Glimt vincere il campionato. Non solo vincerlo, ma vincerlo in quel modo. La squadra ha vinto 26 delle 30 partite di campionato, perdendone solo una; ha segnato 103 gol e ne ha subiti solo 32. Eppure i giocatori non sembravano così eccezionali, c’erano dei ragazzi di Bodo, qualche calciatore navigato, niente di più. Un allenatore normale, Kjetil Knutsen, nato ad Arna. Era praticamente magia. Il New York Times è arrivato a raccontare cosa diavolo stesse succedendo, e poi la BBC.
Che dispiacere non essere stati allo stadio proprio in quella stagione. Il Bodo aveva assunto un mental coach, Bjornn Mannsverk, ex pilota dell’aviazione norvegese che ha insegnato ai giocatori di non concentrarsi sul risultato ma sulla prestazione. Devono pensare a giocare bene, non a vincere. Essere creativi, liberi, rilassati. In Norvegia anche i militari sono fricchettoni? Da quella vittoria tutto è cambiato ancora una volta: si tifa Bodo non solo a Bodo, ma in altre parti della Norvegia, persino in altre parti del mondo. Al contempo il club prova a mantenere un forte radicamento locale. Il 40% della rosa viene dal nord della Norvegia, il 15% addirittura dalla zona di Bodo. Vogliono arrivare all’80%, diventare una specie di Athletic Bilbao.
È passato un anno, molti giocatori sono andati via, in particolare i due esterni offensivi, Hauge e Zinckernagel, i due giocatori più veloci e talentuosi. Il Bodo Glimt è rimasto però col suo approccio unico ed è in testa anche all’attuale Eliteserien davanti al Molde, che ha un budget almeno quattro volte più grande. Il loro motto rimane quel misto di zen e anti-ideologia aziendale: «La nostra unica ambizione è non avere ambizioni».
Qualche consiglio per emigrare a Bodo
Andare a Bodo da turisti non vi conviene. L’aereo costa molto, stare lì non ne parliamo nemmeno. Vi conviene direttamente trasferirvi, tanto che state a fare ancora qui in Italia?
Viaggio:
Un volo da Milano per lunedì 1 novembre solo andata vi costerà 215 euro. 10 ore tranquille con due scali. L’alternativa è andare a Oslo - 80 euro - e farvi sedici ore con una macchina noleggiata. Più faticoso, credo non più economico, ma di certo più suggestivo visto che vi toccherà attraversare tutta la Norvegia da sud a nord.
Un lavoro:
Come ve la cavate nel prendervi cura delle persone? Qui c’è un bel posto come infermiere domiciliare. Non sembra male. Se cercate altro potete contattare loro, la più grande agenzia di collocamento del nord della Norvegia. Per lavori di manodopera ecco un altro po’ di annunci, da imballatore o da disinfestatore. Scegliete bene il lavoro: calcolate che il costo di vita medio di una persona a Bodo, senza affitto, è di 1200 euro.
Una giacca e un colbacco:
Totò ci insegna: se si va a nord bisogna vestirsi pesanti. Vi serve assolutamente una giacca pesante, a papà. Eccovi una Helly Hansen arancione gigantesca con cui potrete rotolarvi pure la neve. C’è uno strato imbottito, uno impermeabile e traspirante e uno esterno isolante. In abbinamento ecco un colbacco di Maison Michel di visone per tenere la vostra testolina al riparo.
Una bussola:
Eccovi una bussola per orientarvi tra i boschi della Norvegia che immagino vorrete visitare. Se vi viene nostalgia potete seguire la direzione a sud.
Arthur Cabral è il nuovo “Bufalo” Morelos
Ieri Arthur Cabral ha segnato il suo ventesimo gol stagionale. Il ventesimo in 16 partite quest’anno con la maglia del Basilea. Cabral ha 23 anni, è brasiliano ed è al suo terzo anno in Svizzera. Lo scorso anno, il suo migliore, ha segnato 20 gol in 35 partite, oggi, con la metà delle partite giocate, ha già raggiunto quella quota quindi. Tira quasi 6 volte ogni partita, gioca con la 10 ed è alto un metro e 86; è stempiato e pure un po’ appesantito, almeno a guardarlo con un occhio disattento. Segna diversi gol di testa, diversi altri su rigore. Nel primo controllo è pulito, nella finalizzazione fantasioso. Si muove in area sempre con passo felpato e pesante e ogni gol sembra un piccolo miracolo. Ma quando i gol diventano così tanto evidentemente non lo è. Dopo aver segnato si batte una mano sul petto, bacia lo stemma, mostra muscoli più da lavoratore manuale che da atleta.
Quest’estate lo seguiva la Fiorentina, l’Anversa aveva offerto 13 milioni, ma lui infine ha deciso di rimanere, anche perché gli era da poco nato un figlio. Ha sviluppato un’intesa magnifica con Sebastiano Esposito, che gli ha già servito qualche assist. Dice che sta benissimo a Basilea, gli piacciono i trasporti e le infrastruttura, anche se deve ancora abituarsi al freddo e al tedesco. Possiamo definirlo “Il Bufalo” Morelos della Conference League? Sì.
Al Ferencvaros c’è già nostalgia dello scorso anno
di Marco Dolcinelli
Il Ferencváros sta partecipando per il terzo anno di fila alla fase a gironi di una competizione europea. La potremmo definire una presenza fissa ormai, ma tante cose sono cambiate negli ultimi mesi. L’emozione e l’eccitazione che si respiravano durante le sfide contro Juventus e Barcelona della scorsa stagione sembra abbiano lasciato il posto alla rassegnazione e alla nostalgia. Quei giorni, quando tutto appariva più verde e anche alla vigilia delle partite impossibili si nutriva un po’ di speranza, fanno parte del passato.
La storia recente del Fradi – soprannome che deriva da Franzstadt, il nome tedesco del quartiere dove la squadra è nata – è cambiata in una data ben precisa, il 22 agosto 2018, giorno in cui la dirigenza ha annunciato l’ingaggio di Serhiy Rebrov come nuovo allenatore.
L’ex-attaccante della Dynamo era stato chiamato con il chiaro obiettivo di dare alla squadra una dimensione europea, cosa che il suo predecessore, il tedesco Thomas Doll, non era mai riuscito a fare in quasi cinque anni di permanenza a Budapest, collezionando una serie di precoci eliminazioni nei preliminari estivi.
In tre anni Rebrov ha capovolto completamente l’orizzonte. Il Fradi è passato dal faticare ad affermarsi in patria e dal patire solo delusioni in Europa, a essere dominatrice in Ungheria – tre campionati vinti di fila, l’ultimo dei quali con ben venti punti sulla seconda – e a partecipare ai gironi di Champions League.
Il cambio è passato soprattutto dal gioco. Rebrov ha puntato su uno stile basato sul possesso palla e sulla capacità dei difensori e del portiere di partecipare alla manovra, ma ha anche reso la squadra capace di adattarsi ad avversari più forti e di risalire il campo in modo repentino quando serviva. Pure nelle sfide più difficili, il Fradi dava sempre l’impressione di avere un piano e di essere in partita, nonostante i palesi limiti tecnici.
Sembrava tutto bellissimo, ma purtroppo il rapporto tra Ferencváros e Rebrov si è interrotto bruscamente quest’estate. Alla base del divorzio pare ci siano state divergenze di vedute sulle scelte di mercato. La ricerca del sostituto è stata particolarmente complessa. Tra i papabili sono spuntati anche gli italiani Eusebio Di Francesco e Roberto Donadoni, ma alla fine la scelta è ricaduta sull’austriaco Peter Stöger, un nome che non scalda i cuori, un po’ per il curriculum non proprio esaltante, un po’ perché si tratta di un personaggio molto legato all’Austria Vienna, squadra amica dei rivali cittadini dell’Ujpest.
Quando si è iniziato a giocare, la situazione non è migliorata. Alla prima di campionato è arrivata una sorprendente sconfitta casalinga contro il Kisvarda. In Champions il cammino si è interrotto ai play-off contro lo Young Boys, ma i primi due turni non avevano presentato grosse criticità; il doppio confronto con lo Slavia Praga è stato superato con molta fortuna all’andata e parecchia sofferenza al ritorno.
Al di là dei risultati – dopo il brutto esordio, in campionato sono comunque arrivate cinque vittorie consecutive e il Ferencváros rimane nettamente la squadra più forte del torneo – è l’atmosfera fuori e dentro il campo che sembra cambiata. La squadra ha smarrito la vecchia identità tattica e non ne ha ancora trovata una nuova. Regna un po’ di confusione, sia a livello di moduli, che a quello di uomini.
Nella prima giornata di Europa League, contro il Bayer Leverkusen, è arrivata una sconfitta più netta di quello che traspare dal 2-1 finale. Ieri, contro un Betis non brillante, c’è stata forse la miglior prestazione stagionale e per alcuni tratti di partita si poteva quasi fare finta che sulla panchina ci fosse ancora Rebrov.
Ma Rebrov non c’era, è negli Emirati Arabi ora. Il Betis è più forte, ha giocatori migliori, un allenatore decisamente superiore e il Ferencváros non aveva né un piano B, né quel fuoco che aveva aiutato a rimontare due gol alla Dynamo Kiev o ad arrivare a tanto così dal prendersi un punto a Torino.
Il pubblico ha fatto la sua parte per tutta la gara, la Groupama Arena non è stata zitta un secondo, ha ruggito a ogni fischio controverso e ha continuato a cantare anche dopo il 3-1 di Tello. Ma l’umore generale, appena fuori dallo stadio, era ben chiaro sul volto di tutti. Sguardi contenti, perché una serata europea è sempre una festa, ma tanti sospiri, un po’ di rassegnazione, molta nostalgia. Più di questo non possiamo fare. Quanto era bello quando c’era Rebrov.
Tutto quello che è successo in Napoli-Spartak Mosca, tranne i gol
Ieri il Napoli di Spalletti ha conosciuto la sconfitta. Lo ha fatto in un contesto apparentemente semplice, in casa contro un avversario non irresistibile, ottavo nella Premier Liga russa. La partita è stata condizionata dall’espulsione di Mario Rui, arrivata dopo mezz’ora. Ma, lo sapete, non siamo qui per parlare davvero di calcio. Napoli-Spartak Mosca è stata quella che si definisce una partita pazza, partite che onorano l’Europa League con il loro carico di cose strane. Una partita durata in totale 109 minuti più qualche secondo, forse la partita più lunga di sempre (onestamente non ci va di controllare se lo è davvero). Ecco alcuni dei momenti migliori.
Spalletti non riconosce l’allenatore avversario
Prima del fischio d’inizio Spalletti si è avvicinato alla panchina dello Spartak per salutare l’allenatore Rui Vitoria, ma quello non era l’allenatore e ha dovuto indicare a Spalletti chi davvero lo fosse per non rendere più imbarazzante un momento già imbarazzante.
Di Lorenzo is on fire
Your defense is terrified.
L’arbitro rinnega il giallo
Richiamato al VAR dai suoi assistenti, Kruzliak ha osservato con attenzione il fallo di Mario Rui, poi è tornato verso il centro del campo tutto serio. Dopo aver fatto l’ormai famoso segno del rettangolo, sempre correndo, ha tirato fuori il cartellino giallo e eseguito un gesto strano tipo a dire “basta, non c’è più niente da fare”, per poi tirare fuori il rosso. Magari lo sapevate, ma insomma visto che il VAR è qui per prestare è giusto ricordarlo: è il gesto dell’arbitro che rinnega il suo cartellino giallo.
Foto di una quasi rissa che sembra un grandissimo abbraccio
Quincy Promes e Samuel Gigot fanno la loro versione del giudizio universale
Una borraccia che somiglia a una statua dell’Isola di Pasqua
Ci pensate mai a quanto è dura la vita delle borracce?
Trova Meret
Questa cosa di fornire una divisa completamente verde al portiere potrebbe non essere un’idea geniale.
La finta parata
Chiudiamo con il mio momento preferito. Mentre il cronometro sfonda la barriera dei 100 minuti, il portiere dello Spartak Maksimenko fa finta di prendere il pallone in presa alta e poi si butta a terra.
Ancora una grande serata di botte per Mattéo Guendouzi
Con quel fiume di capelli mossi che gli scendono dietro la schiena, è difficile prendere sul serio Mattéo Guendouzi. E intendo sul serio per quanto riguarda i suoi atteggiamenti minacciosi in campo, dove sembra giocare a calcio solo nell’attesa di poter litigare con qualcuno. Ha l’aria del figlio maledetto della borghesia parigina; al massimo di qualche personaggio fricchettone di un film di Klapisch. Invece gioca in una squadra pazza per vocazione, l’OM, e di questa squadra pazza ci tiene a passare come il più pazzo. Anche perché la sua reputazione lo precedeva: Arteta lo ha cacciato dall’Arsenal («Non aveva problemi tecnici né fisici, ma il suo modo di comportarsi era un problema»); Pal Dardai lo ha criticato all’Hertha Berlino («È come se fosse in pubertà, ha la ribellione tipica dell’adolescenza»). Forse proprio per questo Jorge Sampaoli - non esattamente una persona “normale” - lo ha voluto all’OM. Lui ce la sta mettendo tutta con litigare. Anche nelle situazioni più fuori controllo, spicca come il più fuori controllo.
Contro il Nizza, per esempio. Con il settore dei tifosi avversari crollato, Guendouzi è andato sotto a minacciare tutti, salvo poi lamentarsi che un tifoso lo aveva preso per il collo. La UEFA ha pensato bene di mettere l’OM nel girone col Galatasaray e la Lazio. Cosa potevamo aspettarci. La partita col Galatasaray a un certo punto è stata addirittura sospesa a causa degli scontri fra tifosi, e quando è ricominciata Guendouzi aveva solo voglia di menare qualcuno. Si è reso protagonista di una simulazione plateale, benché riuscita, almeno in un’epoca senza VAR (quando è stato tolto il rigore Sampaoli ha cominciato ad andare a fuoco). Gli avversari gliele hanno promesse, e a lui non pareva vero e ha cominciato a invitare tutti a ritrovarsi negli spogliatoi dove avrebbero potuto picchiarsi con agio e calma. Quando stava per finire la partita, e lui già pregustava la rissa negli spogliatoi, quella stava partendo direttamente in campo. Lui era distante ottanta metri dall’azione ed è partito sparato per non perdersi neanche un minuto di botte.
Il ruolo del centrocampista violento in Europa rischia di scomparire, in un calcio sempre più imborghesito. Giocatori come Guendouzi, però, tengono la fiamma viva.
Terim vestito da sultano accompagnato da una musichina piacevole
Conosci il tuo sponsor Conference League: Niké - Slovan Liberec
Chi ha visto lo Slovan Liberec si sarà accorto che sulla maglia portavano la scritta Nike senza che fosse davvero Nike. Ci si può scrivere “Nike” sulla maglia senza riferirsi alla Nike? E in cosa consiste questa nuova Nike? Di solito se vedete uno sponsor su una maglia da calcio e vi venisse da chiedervi che cosa produce quell’azienda, il rasoio di Occam prevede una sola risposta: scommesse sportive. Questo fa Niké in Slovacchia. È particolarmente interessante che lo sponsor tecnico dello Slovan sia in realtà Adidas, producendo una strana utopia di branding.
Le migliori recensioni Google di stadi delle squadre di Conference League
Costruito negli anni ‘60, lo Stadio Alashkert (conosciuto fino al 2013 come Nairi Stadium) si trova a Shengavit, uno dei 12 distretti della capitale Erevan ed è - come dice la parola stessa - lo stadio dell’FC Alashkret. Costruito lungo la riva sinistra del fiume Hrazdan e con il lago artificiale Yerevan alle spalle, ha una media di 4.3 stelle su 5 su un totale di 20 recensioni. Voti eccellenti (il Ferraris, ad esempio, arriva a 4.1) che cozzano un po’ con le condizioni dello stadio, che come si può vedere da questo recente video ha passato giorni migliori.
Anche per questo l’FC Alashkret è costretta a giocare le proprie partite di Conference League allo Stadio di Vazgen Sargsyan. Tuttavia ci sembrava sgradevole non parlarne solo perché non giocheranno lì. Di seguito le 4 recensioni più utili a farvi un’idea se, prima o poi, volete andare a tifare in questo stadio.
- Ha bisogno di riparazione, ha bisogno. Il posto è molto buono se l'infrastruttura è riparata, sarà un grande stadio.
- Lo stadio di casa per Alashkert FC
- Mi aspettavo di vedere qualcosa di insolito, purtroppo le mie aspettative non sono state soddisfatte.
- Grande esperienza. Grazie per i ricordi. I Celtics hanno giocato una grande partita qui.
Indovina il giocatore della Conference League presente nella seguente frase
Con il mio nuovo lavoro da chef guadagno circa 1200 euro al mese.
Lolo Soler piange
Poco dopo il 50’ di Copenaghen-Lincoln Red Imps Lolo Soler riceve un pallone. Lolo Soler è un brutto nome, e infatti quello vero è Manuel. È nato a Torremolinos, nella provincia di Malaga, sul mare. Una specie di Torvajanica andalusa. Ha girato tutti i campi di categoria delle squadre di Malaga e provincia. Quando riceve quel pallone vuole fare una cosa semplice: toccarla con l’interno del piede e lanciare lungo. Soler, però, che nella vita in teoria farebbe il “tecnico” - non si sa di cosa - e non il portiere professionista, scivola. Mentre cade per terra spara le mani in avanti e guarda davanti a sé forse in un estremo tentativo di telecinesi. Jens Stage - un giocatore del Copenaghen che si chiama proprio così - deposita il pallone in rete. E ora provate a mettervi nei panni di Manuel Soler detto “Lolo” da Torremolinos.
Where's Waldo, tifosi dello Zorya edition
Giocatore più Europa League di cui forse avevamo già scritto, ma va bene dai: Lazar Markovic
Quanto ci abbiamo creduto: 10
Quanto è stato realmente forte: 7
Quanto è caduto in disgrazia: 10
Quanto sembra depresso: 10
Stempiato, imbolsito, scazzato. Ieri Lazar Markovic ha segnato due gol nel giro di una ventina di minuti, ma non sembrava lui. O, almeno, non sembrava la versione ideale che avevamo di lui, quella eternamente giovane e fenomenale. Era leggero come una piuma, oggi i suoi passi sono pesanti come magli. Qui a Ultimo Uomo, per dire, gli avevamo dedicato un Innamorati quando era passato al Liverpool, che si era innamorato di Markovic come tanti altri spendendo 25 milioni di euro per prenderlo dal Benfica.
Prima ancora del Benfica, Markovic aveva esordito con il Partizan, una delle migliori accademie d’Europa, non ancora maggiorenne. Con i capelli lunghi perennemente bagnati, il numero 50 sulla maglia bianca, una corsa eterea e un dribbling fulminante è stato facile dire a bruciapelo che sarebbe diventato un fenomeno. Dopo un Inter-Partizan Belgrado di Europa League, Stramaccioni lo segnalò alla dirigenza, ma non se ne fece nulla. Anche i tifosi della Juventus, probabilmente, se lo ricordano: in una semifinale contro il Benfica, sempre di Europa League, Markovic fece letteralmente le fiamme, soprattutto all’andata.
Il passaggio al Liverpool dopo un anno eccezionale al Benfica sembrava dover segnare la sua rapida ascesa all’Olimpo del calcio europeo. Markovic che illumina una Premier ancora non ricca di talento come oggi. Era però la versione dei Reds disfunzionale, con Balotelli, Borini e Ricky Lambert. In quella squadra il talento di Markovic è svanito come lacrime nella pioggia. Il successivo peregrinare è stato solo un grande dolore per chi ci aveva creduto. In cinque stagioni, prima del ritorno al Partizan, Markovic ha giocato appena una trentina di partite, senza mai incidere. Dove è finito tutto quel talento? È il tipo di domande alla base di rubriche come questa, sempre in bilico tra nostalgia e malinconia. Come ha fatto Markovic a non rispettare le nostre aspettative? Sembrava così facile il calcio per lui. Queste domande non hanno mai delle risposte: alcuni talenti a un certo punto diventano calciatori Europa League, si fanno andare bene la nebbia e la periferia e chi siamo noi per contraddirli?
Tifoso della settimana
Cosa c’è di meglio di un tifoso in trasferta a oltre seimila chilometri da casa indossando abiti tradizionali? In testa un Kalpak, la tunica detta Shapan e nel cuore una passione.
Un fiore tra il cemento
Anche nelle notti di Europa/Conference League può accadere un momento così puro e bello che dovrebbe stare conservato in un museo, in mezzo ad altri momenti altrettanto belli. Questa settimana a deliziarci è stato uno stop di Florian Wirtz, uno bravo.
I gol che illuminano il giovedì
È stato un giovedì di gol che una volta chiamavamo Europa League. Alcuni sono stati segnati effettivamente in Europa League, altri però in Conference League. Vuol dire che finora vi avevamo mentito? No, perché l’Europa League non è una cosa come il motorino o una pannocchia arrosto, l’Europa League è piuttosto una sensazione come l’aria che ti scivola sul corpo mentre sei in motorino in una sera d’estate oppure quell’odore di abbrustolito quando c’è una pannocchia sul fuoco e tu hai un po’ di fame. Per questa settimana avremmo potuto scegliere l’autogol ridicolo del poliziotto gibilterrino Roy Chipolina, oppure il brutto infortunio del portiere Lolo Soler, sempre per il Lincoln Red Imps. Avete mai visto più paura della morte di così? O magari avremmo potuto optare per la disastrosa costruzione dal basso del HJK, oppure l’incredibile momento di blackout del difensore del Celtics nel primo gol subito dal Bayern Leverkusen. Abbiamo però deciso di scegliere il gol di Zahavi in Strum Graz-PSV perché - per qualche motivo - prima c’è qualche secondo del trailer del nuovo film di Superman. Cosa potevate volere di più?
Virilità: 10
Assurdità: 10
Anti-epicità: 10
Paura della morte: 10
Prossimo centravanti Europa League?
Dopo Dabbur e Sporar, e altri centravanti minori di culto, è arrivato il momento di Mahir Emreli? Nel tour de force che è stata l’Europa per il Legia Varsavia (già 10 partite giocate prima che inizi ottobre), la stella del centravanti azero ha iniziato a brillare. Ieri ha segnato il gol decisivo nella storica vittoria contro il Leicester di Brendan Rodgers arrivando così - già - a 10 marcature stagionali. Passare dal campionato azero a segnare a una delle squadra più importanti d’Inghilterra: è questa l’Europa League.
Emerli era spiritato. Non solo il gol, ma anche una continua spina nel fianco dei difensori avversari. Nel finale, mentre il Legia cercava espedienti sempre più raffinati per perdere tempo, si è rifiutato di uscire. È dovuto arrivare l’arbitro ad accompagnarlo fuori. Ovviamente ne è nata una rissa. Mahir Emerli da Baku che litiga con James Maddison da Coventry, dove altro può accadere? A fare da paciere è arrivato il turco Söyüncü. Tra turchi e azeri c’è un ottimo rapporto, grazie all’odio comune per gli armeni (l’Europa League è anche geopolitica). Ma forse l’informazione più strana e interessante è l’unica riga che compone la biografia del suo profilo Wikipedia italiano, che riporto integralmente: “Ha cambiato il suo cognome nel maggio 2019 disapprovando il nuovo matrimonio del padre”.
Forse a Praga hanno un problema
Lo Sparta Praga affrontava un turno con lo stadio a porte chiuse a causa degli insulti razziali che i suoi tifosi avevano rivolto ad Aurelien Tchouameni del Monaco. La squadra ceca aveva chiesto alla UEFA, richiesta accolta, di poter far entrare allo stadio circa 10 mila bambini sotto i 14 anni. Durante la partita questi hanno rivolto buuu razzisti a ogni tocco di palla di Glen Kamara, che nella scorsa Europa League era stato pesantemente offeso in maniera razziale da Ondrej Kudela dello Slavia Praga. Abbastanza deprimente.
Sai riconoscere Riku Riski da Roope Riski?
Ieri nella bellissima partita tra Alashkert e HJK hanno segnato sia Riku Riski che Roope Riski. Roope ha anche assistito il gol del fratello Riku e, insomma, è stata una grande giornata per la famiglia Riski. Identificati come Ri.Riski e Ro.Riski il loro giocare insieme - sono alla terza esperienza nella stessa squadra - è un po’ una gag («così è più facile per nostra madre che deve seguire una squadra sola» è stata la loro spiegazione). Noi però non siamo la madre e, se vogliamo seguire il loro percorso in Conference League, dobbiamo imparare a riconoscerli. Ecco quindi un quiz, che tanto almeno uno ve lo dovevate beccare.
1 Chi è Riku e chi Roope?
2 Chi tra Riku e Roope ha giocato in Serie A?
3 Chi tra Riku e Roope ha rifiutato una convocazione in Nazionale per motivi etici?
4 Chi tra Riku e Roope scrive poesie d’amore?
5 Chi tra Riku e Roope ha l’overall più alto a Fifa 21?
6 Chi tra Riku e Roope è nato il 16 agosto?
Risposte
1) Riku è quello a sinistra, Roope quello a destra.
2) Roope: il 19/03/2011 ha giocato 21 minuti nella sconfitta del Cesena contro la Lazio subentrando al posto di Fabio Caserta (qui una sua combinazione con Santon).
3) Riku: convocato per la partita tra Finlandia e Svezia da giocare in Qatar, Riku ha rifiutato additando motivi etici in riferimento alla condizione degli operai impegnati nella costruzione degli stadi per il Mondiale del 2022. Da quel momento non è stato più chiamato.
4) Roope: ispirato dal poeta Tommy Tabermann, Roope ha iniziato a scrivere poesie d’amore. Dice di aver scritto un libretto di un centinaio di pagine che ha regalato alla sua fidanzata, scegliendo di non pubblicarlo. Non abbiamo trovato poesie di Roope, ma di seguito trovate la sua poesia preferita.
Olisipa kaipaus viiniä,
ympäripäissäni
minä odottaisin sinua.
6) Roope e Riku: forse la cosa più incredibile di una storia non poi così incredibile (i fratelli nel calcio non sono poi così pochi). Entrambi sono nati il 16 agosto pur non essendo gemelli. Riku è infatti nato nel 1989, mentre Roope nel 1991.
Cose che accadono solo il giovedì
È sempre giovedì nella nostra testa. Questo giovedì, in particolare, ha portato in dono tantissimi doni sotto forma di gol pazzeschi, vittorie improbabili, parate incredibili e altre cose che di solito nobilitano il gioco del calcio. Ma lo sapete, a noi, specialmente in questa rubrica di chiusura, ce ne frega il giusto. Ci interessano i gesti di rottura, momenti vuoti svuotati di significato, persone che fanno cose improbabili su campi sempre più brutti. Eccone alcuni.
Un momento di Europa League che poteva stare in una coreografia di Michael Jackson
Annie, are you okay? So, Annie, are you okay? Are you okay, Annie? Annie, are you okay?
Un momento di Conference League in cui il calcio sembra una condanna a morte
Un momento di Conference League che sembra una brutta storia di traverse
Ciao a tutti!