Conosci la tua squadra di Europa League: Midtjylland
«La mia flotta salpò dalla foce del Reno verso oriente fino alle terre dei Cimbri, nelle quali fino a quel momento nessun romano era mai penetrato né per terra né per mare, e i Cimbri e Caridi e Semnones e altri popoli di Germani di quella stessa regione per mezzo dei loro inviati cercarono la mia amicizia e quella del popolo romano» scrive Augusto, inconsapevole che quello sarebbe stato l’inizio della fine, nonostante la bellissima stufa sacra che i Cimbri gli regalarono come omaggio per la sua gentile visita.
Dei Cimbri non si sapeva nulla, tranne le cose incerte. Un popolo di pirati, si diceva, diventato pirata dopo una grande marea che li costrinse a lasciare la propria terra. Tutte cose difficili da provare. I Cimbri abitavano una terra che allora Ptolemy chiamava Kimbroi e che oggi possiamo considerare la parte centrale dello Jutland. Nei secoli i suoi abitanti hanno trovato sempre un valido motivo per partire e andarsene: il clima troppo rigido, i raccolti che scarseggiano, la mancanza di grandi centri urbani, il richiamo del mare e dei suoi movimenti che possono condurre ovunque, fino in America. A inizio ‘800 il 10% della popolazione delle Jutland è emigrato in Canada e negli USA, e oggi tutti i loro eredi recitano nella serie tv Fargo.
Non è del tutto spiegabile, quindi, che nello Jutland giochino due squadre di Conference League, il Randers e il Midtjylland, rendendola di fatto la Silicon Valley della Conference League contemporanea (che è anche l’unica Conference League a dirla tutta).
Il Midtjylland ha due tratti caratteristici di questa regione: è nato da una fusione, ed è giovane. Fondato nel 1999 da un falegname e un rivenditore di Mercedes Benz, che hanno unito i due club di cui erano proprietari, è diventato subito una potenza del calcio danese. Nel 2000 ha vinto il campionato di seconda serie con un’autorità che ci fa domandare cosa stessero facendo le altre squadre in Danimarca: 24 partite vinte su 30, 14 punti di distanza dalla seconda classificata. Nella stagione 2014/15 il Midtylland conquista il suo primo titolo nazionale. Dopodiché sono arrivati altri due titoli.
Agli origini dei successi del Midtjylland un approccio matematico al calcio che li ha subito associati a definizioni tipo “Il Moneyball danese”. La figura chiave di questa rivoluzione è Matthew Benham: laureato in fisica, ex vice-presidente della Bank of America, trader, esperto di scommesse e milionario grazie a esse. Ha provato a introdurre il suo approccio alle scommesse nel calcio: «Uno scommettitore professionista cerca un vantaggio nel mercato. Nel calcio ci sono diverse meccaniche emotive che portano le persone a prendere decisioni irrazionali». Prima è diventato azionista di maggioranza del Brentford, e poi ha spostato il modello anche al Midtjylland.
La prima decisione di Benham è stata di assumere Rasmus Ankersen, autore di un libro sulle statistiche nel calcio applicate allo scouting, e oggi presidente del club. Già nel 2014, l’anno dell’arrivo di Benham, il club utilizzava metriche avanzate come Expected Goals ed Expected Assist, orientando il proprio calciomercato a seconda dei dati. Niente viene lasciato al caso nel Midtjylland. Viene assunto un allenatore per i tiri in porta e uno per le rimesse laterali, Thomas Gronnemark, che oggi lavora al Liverpool. La cura sui calci piazzati è maniacale e nella scorsa stagione il Midtjylland ha segnato la metà dei suoi gol (il 49%) da calcio d’angolo o di punizione.
Nella stagione 2020/21 il club è riuscito a qualificarsi per la prima volta in Champions League, dove ha incrociato altre squadre con visioni e metodologie avanzate come l’Ajax, l’Atalanta e il Liverpool, con cui mantiene un certo legame spirituale. Quella del Midtjylland è una vera etica neorealista; secondo Ankersen: «Nel calcio ci raccontiamo spesso storie false. Guarda cosa succede quando una squadra attraversa una brutta serie di risultati. I tifosi e i media cercano una narrazione per spiegarli. Succede lo stesso quando una squadra va bene. L’ultima stagione, per esempio, abbiamo vinto il campionato con 14 punti di distacco. Le persone dicevano che stavamo facendo benissimo. Quando guardi i dati, però, non eravamo d’accordo. I nostri rivali stavano solo facendo peggio».
Quest’anno il Midtjylland ha eliminato il Celtic nel secondo turno di qualificazione alla Champions, ma al terzo si è fatto eliminare dal PSV Eindhoven. In Europa League è uscita a sorpresa da un girone con Ludogorets, Braga e Stella Rossa, pagando un po’ di sfortuna. Il Mitdjylland è stato eliminato pur avendo fatto 9 punti. Decisivo il deludente 0-0 all’ultima giornata contro il Ludogorets, condizionato da una montagna di gol sbagliati.
Cosa dicono gli xG di questa partita?
La stellina della squadra è Gustav Isaksen, cresciuto nel settore giovanile del club, ala destra mancina che si assume sempre tante responsabilità offensive.
La pazza vita di Vito
Il padre si chiama Miki, ha un cognome che potrebbe essere originario di Agrigento, o di Scutari: Miki è nato in Danimarca ma sbandiera volentieri le sue origini italiane, e ha l’allure di Jorge Sampaoli, se Jorge Sampaoli fosse un giornalista d’assalto, d’inchiesta.
La madre, invece, si chiama Maria Krabbe, per vent’anni ha lavorato nell’editoria, si occupava di progetti di sviluppo nei paesi africani, un interesse condiviso con il marito, che in Africa ha condotto due delle sue inchieste di maggior successo, sul traffico di lavoro minorile tra i coltivatori di caffè e di cacao.
Tre anni fa Papa Francesco l’ha nominata Segretario Generale della costola danese della Caritas.
Con due genitori così ti può venir fuori un figlio con velleità da scrittore, magari proprietario di un’enoteca di vini biodinamici a Norrebro, oppure stagista da René Redzepi al Noma, oppure un attivista di Skolstrejk för klimatet.
E invece è venuto fuori calciatore. Gli hanno messo nome Vito, in onore probabilmente di qualche zio lontano, e si è trovato in dote un cognome u-a-u, Hammershøj-Mistrati.
Vito Hammershøj-Mistrati è il capitano del Randers, a Leicester ha coltivato per un po’ il sogno di tenere vive le speranze di qualificazione segnando il momentaneo gol dell’1-1. Poi è finita malissimo.
Ieri in campo sfidava il suo amico d’infanzia Jannik Vestergaard: insieme hanno giocato nell’U-14 dell’FC Copenaghen, con loro c’era anche Cornelius.
Vito è esploso un po’ tardi: oggi è il capitano del Randers, ha 29 anni, per una vita calcistica intera, dice lui, «ho mangiato pollo e broccoli a cena, ma non ce l’ho fatta».
Nel 2017 ha contribuito a portare l’Helsingør - la squadra della città danese che si affaccia sullo stretto che la divide dalla quasi omonima svedese Helsingborg, dove è cresciuto Henrik Larsson - in prima divisione. All’epoca lavorava allo Stick’n’Sushi, insieme a gente che consegnava Glovo, studiava al liceo o faceva il revisore dei conti, il che significa che portava dentro i geni della Conference League ancora prima che la Conference League fosse anche un’idea nella testa dei più visionari sceneggiatori della UEFA.
Ha sempre preso il calcio alla leggera, Vito, forse perché il padre, nel 2010, ha basato una delle sue inchieste più emotivamente impattanti sulle morti sospette di calciatori scandinavi in campo, per lo più dovute a un uso sconsiderato, spesso senza prescrizione medica, di antidolorifici.
«Sono una persona socialmente orientata», dice di se stesso, «se sento che diventa troppo serio non mi diverto. Il calcio non è questione di vita o di morte». Sogna di trasferirsi all’estero, ma in Australia o negli Stati Uniti. Dove ristoranti stellati o enoteche di vini biodinamici non mancano, in effetti.
Le migliori recensioni Google di stadi delle squadre di Conference League: Allianz Stadion
Il Rapid Vienna, come squadra, richiama istintivamente una certa idea di mitteleuropa. Valzer composti, Sigmund Freud in un caffè con la pipa, calciatori con braghe di lana e baffi da sparviero. Ma è un’idea posticcia, perché poche cose sono lanciate verso la modernità come il calcio austriaco. Non avranno la complessità tattica del Salisburgo targato Red Bull, ma il Rapid Vienna ha almeno lo stadio più moderno d’Austria, almeno così dicono loro, terminato nel 2016 e che sembra ancora appena scartato.
L’Allianz Stadion - sponsorizzato come il più famoso stadio del Bayern Monaco - è un posto fatto con tutti i crismi, non troppo dispersivo né così piccolo da sembrare uno stadio di provincia. Ma il suo carattere moderno e plasticoso non rischia di renderlo troppo asettico? C’è il cuore, la passione, le scritte incrociate nei bagni? Vediamo cosa dicono le recensioni su Google (voto, un ottimo 4.6 su 4.583 recensioni).
Brutto fuori ma molto bello dentro servizzo bar buono (5 stelle)
Stadio bellissimo ma squadra scarsissima! (5 stelle)
In una zona residenziale, l '"illuminazione del prato" è irragionevole. Illuminazione del prato = lampade che rimangono accese tutta la notte per aiutare l'erba a crescere meglio (Traduzione Google - 1 stella).
Per fortuna non ci sono mai stato (1 stella)
Tutto fantastico, tranne che per il gioco della Dinamo che è stato un gran niente (5 stelle).
Niente più hot dog durante l'intervallo ... Che peccato. (1 stella)
Giocatori, ma anche cibo: una lista
Wouter Burger
Joseph Chipolina
Bibras Natcho
Timothy Castagne
Cyriel Dessers
Yukinari Sugawara
Declan Rice
Indovina il giocatore della Conference League presente nella seguente frase
"Fica, non figa. Cacare, non cagare".
Che calciatore del PAOK sei
Jasmin Kurtic
Un mese fa una coppia di corvi, padre e figlio, si è seduta sulla ringhiera del tuo balcone. Spiavano dentro la tua cucina con lo sguardo vuoto ma indagativo degli uccelli e ti sentivi nudo. Certi animali quando non capiscono qualcosa inclinano la testa, come per provare a girarne la prospettiva, e i corvi sono fra questi. Le cose possono apparire nuove viste da un altro angolo. Gli hai dato da mangiare dei pezzetti di insalata, briciole di biscotti, scatolette di tonno, una mela, una fettina di manzo che trovavi troppo dura, delle olive, avanzi di carote lesse. Ogni giorno, poco dopo pranzo, tornavano sul tuo balcone e tu cercavi qualcosa di nuovo da dargli da mangiare. I corvi mangiano tutto: lo hai letto su internet. Hai preso a guardarli, ma ti sembrava sempre che erano loro, piuttosto, a guardare te. Trovavi incredibile che si fidassero, ma non era quello il punto. Il punto è che credevi volessero dirti qualcosa, che quei corvi custodissero una qualche risposta ultima sulla tua vita. Ma come potevi estorcergli una risposta, i corvi sono intelligentissimi (lo hai letto su internet) e sembrano poter parlare, ma in quale lingua? Come si fa a capirli? Su internet non si trova niente.
Douglas Augusto
Alla stazione c'è un bel sole come in altri posti
Amore mio dolcissimo, c'è un verme nel caffè
Per punizione c'è l'hamburger
Ci spingiamo, abbiamo barbe, abbiamo fede
Abbiamo sputi, abbiamo buchi sul gilet
Antonio Kolak
Alla stazione di Milano a ora di pranzo cammini già rassegnato. Non si può mangiare un vero pranzo in un posto del genere. Sei sceso da un treno da Firenze, risalirai su un treno per Venezia. Le persone ordinano insalate scondite, toast, panini vegani (pomodori secchi e melanzane), rustichelle. Questi non sono veri pranzi. Sfogli le riviste alla Feltrinelli: riviste che stanno solo a Milano, che leggono solo a Milano, che stanno nelle sale d’attesa dei commercialisti di Milano. Le riviste con le copertine in bianco e nero e uomini vestiti con abiti larghi in copertina. Sono modelli o un personaggi noti che tu non riconosci, escluso come sei dallo star system di Milano? Uscito dalla Feltrinelli hai gli occhi bassi prima di imboccare la scala mobile e vedi una macchia nera per terra, ti chini a raccogliere quest’orecchino di poco valore e te lo metti in tasca. Ti piace conservare questi oggetti solo perché ti piace l’idea che prima appartenessero a qualcuno che non voleva privarsene. Pensi che li stai tenendo solo da parte e un giorno (un’altra vita) quel qualcuno comparirà e reclamarli. Infili l’orecchino nella tasca e non te ne ricordi finché non torni a casa. Lo butti sulla scrivania da lavoro e lo dimentichi. Facendo le pulizie però ne trovi uno identico sotto il tuo letto. Ora possiedi la coppia. Che cosa significa?
Andrija Zivkovic
Sulla scia di nuovo di una cameriera
Stacca da bar Elite alle sei la sera
“Guarda la coincidenza, ti ho vista ieri sera
Dimmi come ti chiami, quanti ragazzi chiami
Io non so fare niente, volevo solamente
Chiuderti di sopra su da me forever”
Chuba Akpom
Un giorno non sapevi che fare e ti sei iscritto a un corso di svedese. C’è un mercato per lo svedese? Ti sei iscritto perché non sapevi che fare, e perché ti piace la Svezia. Ti piace il cinema svedese, la musica svedese, la socialdemocrazia svedese, il design svedese. Ti piacciono le camicie color pastello, il caffè nero lungo da bere il pomeriggio, Henrik Larsson, Olof Palme, quella canzone di Peter Bjorn and John dove il mondo è abitato da ragazzi vestiti semplici e che flirtano fischiettando come uccellini.
C’è un mercato per lo svedese?
La partita di Zaccagni
Arrivato l’ultimo giorno di mercato, entrato fra i titolari in sordina, Zaccagni sta diventando il giocatore offensivo più importante della Lazio. E se c’erano dubbi sulla sua consistenza a livelli più alti di quelli col Verona, la partita di ieri - giocata in uno dei campi più difficili d’Europa - dovrebbe togliere ogni dubbio.
Non si tratta solo del gol, anche se cominciamo parlando del gol. Uno schema da calcio piazzato da vecchio Sarri (Mister 33 schemi) che non si erano ancora molto visti quest’anno. Luis Alberto che la mette in mezzo bassa, Zaccagni che se la ritrova un po’ addosso e che per mandarla in porta fa una specie di colpo di tacco anomalo, come un cane che alza la zampa per pisciare su un albero. Si tratta soprattutto delle conduzioni di Zaccagni sull’esterno, che fra le ali è tra quelle che fanno sembrare il loro lavoro un mestiere di fatica alla Sisifo: portare la palla dall’esterno verso il centro, proteggerla, nasconderla ai difensori, portare fisicamente la propria squadra vicina alla porta avversaria. Quando ieri sera Zaccagni aveva la palla tra i piedi, qualcosa poteva sempre succedere.
Protezione palla
Il suo gioco spalle alla porta è sottovalutato. In questa situazione fa finta di andare incontro, lascia scorrere e dribbla il suo diretto avversario senza nemmeno toccare palla, e permette alla squadra di uscire da una situazione di pressione guadagnando diversi metri di campo.
Cambio gioco
In una squadra con meccanismi di uscita del pallone meno consolidati rispetto alla tradizione di Sarri, l’iniziativa individuale ha un’importanza più alta. Zaccagni qui fa un’altra giocata di grande qualità per alleggerire la pressione del Porto, protegge palla col controllo orientato e fa un cambio di gioco splendido di 40 metri. Ne farà un altro paio durante la partita.
Pericolosità in area di rigore
Anche in fase di rifinitura ieri sera Zaccagni è stato il giocatore più sollecitato, lo sbocco di ogni manovra priva di Ciro Immobile. È impressionante pensare a quanto è riuscito a spostare il peso dell’attacco dalla propria parte, dopo un inizio di stagione dominato dalle corse sul binario di Felipe Anderson. Un giocatore che con i suoi dribbling riesce a legare meno il sistema di quanto riesca a fare Zaccagni.
Tunnel
Quest’azione basta di per sé a dare la misura del peso creativo di Zaccagni nella Lazio oggi, la sua capacità di creare pericoli in situazioni statiche, generare superiorità numerica. La sua crescita sta finendo per eclissare Luis Alberto, che da quel lato del campo gioca in modo sempre più evanescente e incomprensibile.
Qualche giorno fa Sarri ha detto che Zaccagni non è ancora al 100%: «Ha avuto un paio di infortuni quando è arrivato, attacca poco la profondità e la porta e oggi ha segnato proprio facendo questo. Ascolta molto, cerca di migliorarsi».
5 foto di Look at this Russian in onore di Jaroslav Rakitskyi
Finché non lo hanno inquadrato da vicino, non ci eravamo accorti che la persona che stava combinando disastri nella difesa dello Zenit San Pietroburgo era proprio lui: Jaroslav Rakitskyi, un sergente dell’armata rossa istruito ai dettami del gioco di posizione. La faccia gonfia, gli occhi color merluzzo, la testa pelata con le pieghe della chioma fantasma che un tempo la abitava. Ve lo ricordate, al centro della difesa dello Shakhtar, a dettare legge coi suoi passaggi taglialinee col piede mancino. Le sue mappe di passaggi erano una serie di lame che infilzavano le linee avversarie. Oggi però è imprigionato in un corpo che non è semplicemente più adatto per il calcio ad alti livelli, e sembra il classico tipo umano che mentre si lamenta per un cartellino giallo può finire sul profilo Instagram di LATR.
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Giocatore più giovedì sera: Miha Zajc
Quanto ci abbiamo creduto: 8
Quanto è stato realmente forte: 7
Quanto è caduto in disgrazia: 10
Quanto sembra depresso: 10
Il padre spirituale di tutti i trequartisti dell’Empoli, il giocatore feticcio, l'acquisto hipster al Fantacalcio, quando era ancora di moda parlare di acquisti hipster, ma anche il primo a disunirsi, a essere ceduto in maniera brutale in Turchia dopo appena mezza stagione brillante in Serie A per ricordarci che il calcio è soprattutto mercificazione. Chissà perché ci ricordiamo tutti il Micha Zajc dell’Empoli e nessuno quello del Genoa, seppure abbia giocato più partite in A con la seconda squadra rispetto alla prima. Zajc all’Empoli è stata una breve epifania, l’idea che finalmente il nostro campionato si era aperto ai giocatori come lui, trequartisti gracilini con un gusto spiccato per il gioco del calcio e, in fondo, è stato così: dopo di lui sono arrivati i Djuricic, i Bajrami, si sono affermati gli Zielinski.
Zajc è arrivato, ha conquistato il nostro cuore e poi è partito direzione Fenerbahce per 6,5 milioni di euro più il cartellino di Salih Ucan, se ci pensate un anticipo di fallimento così palese da essere scontato. In Turchia Zajc si è adagiato direttamente sulla periferia, senza neanche passare dal centro, senza affermarsi meglio, avere la sua occasione in una squadra davvero buona e poi sprecarla. Forse, se fosse nato qualche chilometro più a ovest - a Gorizia, Italia, e non a San Pietro di Gorizia, Slovenia, - se fosse nato cioè da questa parte della cortina, l’avremmo trattato meglio. Non l’avremmo svenduto a un campionato riconosciuto per essere un cimitero degli elefanti, l’avremmo tenuto con noi, avremmo sognato di vederlo in Nazionale con la 10, pur sapendo che non sarebbe mai successo. Invece Zajc se ne è andato via, ce lo siamo scordati, almeno fino a ieri sera, schierato trequartista in un turno di spareggio della Conference League contro lo Slavia Praga, davanti a lui Enner Valencia, alle sue spalle il Principito Sosa. È andata così così: il Fenerbahce ha perso 2-3 in casa, in quella che dovrebbe essere la sua fortezza, dove il pubblico ruggisce all’avversario ed è difficile pensare possa ribaltare tutto al ritorno. Zajc è apparso spaesato, impaurito. Il calcio è diventato un mestiere, la trequarti un ufficio, con le finestre che non si possono aprire e la moquette grigia.
Spalletti vi augura un buon weekend
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I migliori errori di Ferran Torres
È inutile nascondercelo: se il Napoli è ancora in corsa per il passaggio di questo playoff buona parte del merito è di un uomo con la maglietta blaugrana. Ieri Ferran Torres, da solo, ha gettato tra le fiamme 1.47 Expected Goals, contro gli 0.86 totali del Napoli, e lo ha fatto in quel modo ridicolo che hanno i giocatori che incappano in una di quelle serate in cui non riuscirebbero a segnare nemmeno se fossero gli ultimi uomini rimasti sulla Terra. Ferran Torres è apparso emotivamente distrutto a fine partita, quando era diventato solo la facciata di un uomo che non aveva più nulla dentro - e per la verità va detto che alla fine anche la facciata iniziava a cadere a pezzi, se pensiamo che lo stemma del Barcellona per qualche ragione è caduto dalla sua maglietta come un cornicione marcio. Ecco i peggiori errori sotto porta della sua partita - o migliori, dipende dal punto di vista, non solo se siete tifosi del Napoli, ma anche perché per sbagliare certi gol sembra volerci davvero un talento a parte.
Tiro a giro da fuori che assomiglia a un gatto morto
Ok, questo non è un vero errore sotto porta: quanti altri giocatori riescono a mettere questo tiro al giro di prima da quella posizione? A parte Berardi, ovviamente, che dall’altro lato del campo sembra poter segnare in questo modo con una combinazione di tasti del joypad. Troppe partite a calcetto in Calabria ti mancano per segnare un gol come questo, Ferran.
La disperazione fatta tiro
Tra il tiro di prima e questo è passata tutta una partita di disperazione e morte: lo si vede da come Ferran Torres arriva sul pallone e da come lo manda nello stesso identico punto della curva alle spalle di Meret in cui ha mandato tutti i suoi tiri prima di questo. Avete presente Boyhood, il film di Linklater in cui si segue la crescita di un bambino per 12 anni? Ecco, adesso concentratelo in poco più di 90 minuti e applicatelo a un uomo che entra nell’inferno dell’età adulta.
Dove tutto è iniziato
Prima di tutto - prima anche del rigore, perché ieri Ferran Torres ha anche segnato un rigore, va detto - c’è questo errore: il vaso di Pandora che darà la forma a tutti i suoi incubi successivi. Una scivolata saponata di Rrahmani apre la difesa del Napoli come una cozza, Ferran Torres come per magia si ritrova il pallone sul destro pochi metri dietro al dischetto del rigore, ma a quel punto il Diavolo ci mette la coda e gli fa scivolare il primo controllo di qualche centimetro più a destra. Il tiro va sotto al sette, ma è quello di una porta immaginaria grande dieci volte quella vera.
Impossibile?
Sono gli ultimi minuti di partita: il Barcellona ha bisogno di un gol per vincere la partita, mette il Napoli alle corde, lo rinchiude dentro la sua area di rigore, a volte ha addirittura momenti di brillantezza da gioco posizionale, fa diverse azioni da sinistra a destra, e poi da destra a sinistra, finalmente arriva quella buona, la squadra di Xavi si permette addirittura di palleggiare dentro l’area avversaria, un colpo di tacco libera Ferran Torres a pochi passi dall’area piccola, ma l’attaccante spagnolo mira di nuovo a quel sette della gigante porta immaginaria che si è presa tutto il suo cervello. Quando vede la palla in curva Xavi si gira verso con le mani sulla bocca. Forse vorrebbe gridare come Fantozzi, di sicuro meno di quanto sta gridando l’interiorità di Ferran Torres in quel preciso istante.
Il Bodo/Glimt è il Real Madrid della Conference League?
Pensateci: una squadra che snobba la fase a gironi della coppa europea, rischia addirittura di uscire, e poi diventa ingiocabile negli scontri diretti e nelle fasi ad eliminazione diretta chi vi ricorda? Ieri il Bodo/Glimt era sul campo dei Celtic di Glasgow, dopo aver buttato all’aria il primo posto del girone in cui giocava anche la Roma. Nella fase a gironi aveva umiliato la squadra di Mourinho, riuscendo a non perdere nemmeno all’Olimpico, poi aveva battuto anche il CSKA Sofia nel fortino dell’Aspmyra Stadion. Sul match point con la squadra sulla carta meno competitiva del girone, lo Zorya Lugansk, si era fatta però fermare sullo 0-0, permettendo alla Roma di recuperare la testa della classifica. Quegli exploit erano quindi solo un fuoco di paglia? Dopo cinque minuti la domanda evaporava mentre la squadra norvegese andava in gol attraverso un gioco di posizione purissimo, costruendo l’azione a sinistra e concludendola a destra con una serie di passaggi di prima che ricordavano l’Arsenal di Wenger.
Prima della partita Ola Solbakken, il CR7 del Bodo/Glimt, aveva dichiarato che insieme al resto della squadra per prepararsi aveva fatto una sessione di meditazione con il rumore del Celtic Park in sottofondo. La soluzione deve aver funzionato perché non solo il Bodo/Glimt ha dominato l’avversario per tutta la partita, ma Solbakken è entrato anche sotto pelle al pubblico che avrebbe dovuto incutergli timore. I tifosi del Celtic hanno iniziato a fischiarlo quando si è buttato a terra dopo una pallonata in faccia ritenuta troppo leggera, e lui ha risposto innescando il gol dello 0-2. Ha preso palla sull’esterno sinistro, sulla trequarti, l’ha accarezzata con la suola del sinistro, ha fatto un paio di doppi passi da esposizione esattamente come Cristiano Ronaldo, e poi è passato in mezzo a due avversari per servire al centro dell’area Pellegrino, aiutato anche dal tacco di Espejord. A quel punto Solbakken si è girato verso le tribune, si è messo l’indice sulla bocca e ha zittito il pubblico. Poteva andare anche peggio per il Celtic? La risposta è sì: pochi secondi dopo aver segnato il gol del 1-2 che ha riacceso le speranze del Celtic Park, infatti, la squadra scozzese ha immediatamente subito il definitivo 1-3 - un tiro dalla distanza di Vetlesen trasformato in un piccolo pallonetto da una deviazione di un difensore.
Nella sessione di gennaio il Bodo/Glimt aveva venduto al Krasnodar il suo Benzema - Erik Botheim, che aveva segnato già 6 gol in Conference League. Era una cessione che sembrava poter mettere fine alla storia ad alti livelli della squadra norvegese. Ma la verità è che nessuno è più grande del Bodo/Glimt.
Marsiglia, the Electric City
Una storia a lieto fine
Minuto 38: calcio d’angolo. La palla spiove in area, un tocco nella mischia, poi una spazzata. Il pallone rimane lì, un cross, un controcross e poi - eccolo - l’attaccante che anticipa di testa il portiere, il pallone che ineluttabile si appresta a finire in rete. Quante volte l’abbiamo visto? Tante. Ma poi il colpo di scena: sulla linea di porta, quando insomma il gol è gol solo in potenza non ancora in azione, Momo Yansane decide di prendersi la gloria, una gloria effimera sulla linea di porta.
Il suo tocco - un tocco inutile, egoista - arriva da posizione da fuorigioco, è evidente. Un gesto di puro sgarbo, una cattiveria gratuita che non può essere ignorata, neanche all’interno di un gioco di squadra, dove gli errori dei compagni fanno parte della vita, come la nascita e la morte. No, non può restare impunito. I compagni lo rimproverano, lo maledicono in maniera palese, gli scaricano addosso le frustrazioni di una settimana di lavoro solo per quel momento: c’è un girone dell’inferno per quelli come lui.
Tutto finito? Macchè. A entrare in scena, ora, è questo uomo: la pelle delicata, i capelli perfettamente tirati indietro, la fermezza dell’arbitro.
È lui a cambiare l’ordine naturale delle cose, la sua postura rigida e formale. Yansane se lo guarda come una bevanda fresca in una calda mattina d’estate: forse non ero in fuorigioco? Forse ho solo rubato un gol, non l’ho tolto? (sarebbe stato meglio?). Sono passati più di tre minuti dall’inizio dell’azione e solo a questo punto capiamo: sul calcio d’angolo, lì dove nessuno aveva guardato, c’era stato un tocco di mano di un giocatore del Braga, uno di quei falli di mano che lo sono diventati solo con il VAR, la mano di André Castro come il fucile di Cechov.
Till poi fa il suo, trasforma il rigore con un tiro preciso che bacia il palo prima di entrare. Yansane si avvicinerà circospetto ai compagni che esultano, sa che il pericolo è scampato, magari qualcuno domani gli farà una battutina, gli chiederanno cosa voleva fare. Ma, intanto, stanotte si dorme.
Se volete, potete seguire Momo Yansane su Instagram dove ha la bio con la scritta “Football is my life”, magari gli portate un po’ di buonumore.
La ragazzina che sussurava ai centrocampisti
«L’angolo corto è da pavido»
Il gol più giovedì sera
Virilità: 10
Assurdità: 10
Anti-epicità: 10
Paura della morte: 10
Dovevamo aspettarcelo, no? Che alla fine arrivasse un gol a collegare tutti i fili di questa anima mundi del giovedì sera. L’ha capito anche l’utente @Gideoomatic, una persona che sicuramente non avrà mai letto questa rubrica, questo contributo in particolare. C’è da essere contenti che a segnarlo sia stato lo Slavia Praga, una delle squadre più fedeli a questa idea, una squadra che ci ha tenuto compagnia per tanti giovedì, con la pioggia o con la nebbia, con il freddo e con la neve. Non credo neanche di dover entrare nello specifico, spiegarvi perché questo gol è qui. Lasciatevi irretire: guardatelo 6, 7, 10 volte, cercate i dettagli che vi possono essere sfuggiti alla prima visione. Che gol è? C’è tutto: i cross sbilenchi, i tiri sbucciati, le respinte abbozzate. C’è paura della morte, si può leggere negli occhi del giocatore dello Slavia che vorrebbe fare il gol dell’anno e invece spara un campanile. C’è l’assurdità del fatto che c’è un altro campanile - quanti se ne vedono in una partita? C’è l’anti-epicità del tuffo del portiere, guardate il tuffo del portiere - obiettivamente il mio attimo preferito - un tuffo totalmente fuori dal tempo e dello spazio e poi c’è la virilità di Ibrahim Traoré che fa quello che deve fare: regalarci questo ubergiovedì sera gol.
Alcuni colpi di testa di Dzyuba come pasti
Artem Dzyuba, i capelli sempre più radi, le forme più gonfie. Coi suoi quasi due metri troneggia davanti alla tv, occupa tutto lo spazio che lo circonda. Il carisma di un capitano, il sorriso di uno a cui non frega nulla. In campo ha perso fluidità, è più lento, meno abile; forse non vi ricordate il peak Dzyuba, ma poteva illuminare notti come queste, far felice uno stadio. Quello che rimane è il colpo di testa, simbolo intramontabile di una certa idea di mondo. Manda un pallone per aria e ci penserà Dzyuba. Ieri con i suoi colpi di testa ha cercato di mettere ordine in una partita pazza, aiutare il suo Zenit in una corsa europea che sembra ogni anno più difficile. Ci mancheranno i suoi colpi di testa quando non ci sarà più e allora celebriamoli ora, finché possiamo, come celebriamo i nostri pasti giornalieri.
Colazione
Come una bella tazza di latte coi cereali, un caffè forte della moka, come le uova e della frutta, il pane con la marmellata. Non c’è modo migliore di iniziare la giornata che con un lancio lungo verso la testa di Dzyuba.
Spuntino
Ore 11, il corpo inizia a richiedere cibo. Verrebbe voglia di pranzare già, mangiare tutto, ma sarebbe un errore. Buttatevi su un frutto, al massimo uno yogurt, se siete di quelli che preferiscono il salato, un pacchetto di crackers. Una cosa semplice, come questa sponda di Dzyuba, solo apparentemente per nessuno, una sponda che è un fermino, una dichiarazione d’intenti per quello che arriverà.
Pranzo
Non c’è miglior pasto del pranzo. La giornata è ancora lunga, tutto può succedere. Può darsi che state lavorando, che dovrete sublimare il vostro pranzo in un panino tutt'al più. Non fatevi ingannare: fate che il vostro pranzo sia come questo colpo di testa di Dzyuba, che sovrasti la vostra stanchezza, che vi conduca verso un pomeriggio migliore. Carboidrati, qualche proteina, tanta verdura: date lo slancio al vostro pranzo, schiacciatelo di forza verso l’angolo del vostro stomaco, non ve ne pentirete.
Aperitivo
L’aperitivo è quel momento che riempite di aspettative, quel pallone che arriva proprio verso la vostra testa e voi siete Dzyuba, un cristo di due metri pronto a girarlo in porta. Ma la verità è che poi rimarrete delusi, perché l'aperitivo è anche il portiere che ci mette una mano, delle pizzette stantie, uno spritz troppo annacquato. Diffidate dall’aperitivo, rispettate la cena.
Un momento dolciotto
Al 50esimo il difensore olandese del Siviglia Karim Rekik è stato costretto a uscire per infortunio. Nel suo percorso verso il tunnel degli spogliatoi, passando dietro la porta, un mini-tifoso gli ha chiesto la maglia. Rekik se l’è prontamente sfilata per dargliela e questa è la faccia del bambino. La faccia della vera felicità, la faccia di chi non è ancora venuto a patti con le difficoltà della vita. Ma soprattutto la faccia di chi ha avuto il cimelio sudaticcio di un oscuro difensore olandese che tra pochi mesi alzerà questo trofeo.
Cose che accadono solo il giovedì
Rieccoci qui, a parlare di momenti nei momenti. Sensazioni, frammenti, frazioni, c’è tutto quello che può essere appena accennato in questa rubrica che obiettivamente non ha nessun senso. Il giovedì sera tutto può succedere, ma poi di solito non è che succede un granché.
La Conference League, ma il calcio d’inizio è al contrario
L’Europa League, ma siete voi che prendete appunti all’università
L’Europa League come se fosse l’Europa League, ma le persone indossano cappotti giganti
Un saluto!