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Il bello del giovedì sera 2024 vol. 1
22 set 2023
Racconti inutili da competizioni inutili.
(articolo)
23 min
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Torna anche quest'anno la rubrica de L'Ultimo Uomo che non teme rivali, perché diciamocelo onestamente a nessuno interessa poi molto di tutta questa roba qui, che noi chiamiamo - con poca fantasia ma tanto affetto - giovedì. Sappiamo però che a voi interessa e allora noi continuiamo, nonostante non abbia nessun senso editoriale o psicologico. Se siete soliti da queste parti: bentornati, se siete nuovi: per favore non giudicateci ma provate a capire: è lo spirito del giovedì sera.

Conosci la tua squadra di Conference League: Breiðablik Kópavogur

Baldr si sveglia di soprassalto, il mento umido di saliva, gli occhi sgranati. Ha appena visto la sua morte in sogno. I contorni dei ricordi slabbrati nel fumo onirico. Subito dopo il sollievo di essere ancora vivo, nella sua dimora di Breidablik, tra la natura impetuosa, le grandi colline, la terra che sbuffa. Dopo ancora, però, l’angoscia: i sogni non sono reali ma possono annunciare realtà venture. Baldr corre da suo padre, Odino, e gli racconta della sua morte. Si può sapere la verità, Baldr deve morire davvero?

Odino parte per il regno di Hel. Il vento sferza la barba divina, tra il buio, il freddo, i ghiacci. Odino cammina e le anime dei morti gli sussurrano parole di sconforto, di veleno, di disperazione. Il Dio si rende conto che tutto è pronto per accogliere suo figlio Baldr, il suo amato Baldr, Baldr amato da tutti. Deve fare qualcosa.

Baldr non può morire, se nulla può ucciderlo. Sua madre, Frigg, allora raduna tutti gli esseri dell’universo e gli impone un giuramento: nulla dovrà arrecare del male a Baldr. Allora tutti si radunano attorno a Baldr, e tutti gli lanciano gli oggetti che hanno tra le mani. Nulla può nuocere a Baldr?

Tutti amano Baldr, e tutti giurano. Proprio tutti?

Se lo chiede Loki, Dio infido, Dio del disordine, che non ama i raccomandati come Baldr. Si trasforma in una donna e va da Frigg; è attraverso l’inganno che riesce a estorcerle la verità: il vischio non ha giurato, è il vischio il punto debole di Baldr, l’amato Baldr. Loki va da Hoor, fratello di Baldr, e stavolta non ha nemmeno bisogno di travestirsi perché quello è cieco. «Che triste, povero povero Hoor. Perché non partecipi alla festa?»; «Posso sentire il clamore della festa, le risa, il sollievo di tutti. Ma non ho oggetti da lanciare!». Allora Loki gli prende la mano e gli pone sopra una piantina di vischio e gli dice: «Forza, Hoor, se ami tuo fratello Baldr come tutti amano tuo fratello Baldr, allora lanciagli questa piantina di vischio. Non gli nuocerà, perché nulla può nuocergli!». Hoor lancia la piantina di vischio, che nell’aria si affila e diventa una freccia che trafigge e uccide suo fratello Baldr.

Tutti amavano Baldr, e tutti si radunano a piangerlo al suo funerale. Tanta la tristezza, tanta la commozione, che Odino va dalla regina degli inferi e la prega: ridammi mio figlio Baldr, tutti lo amano, tutti lo piangono. «Proprio tutti?» chiede la regina degli inferi. «Proprio tutti» risponde Odino. Allora comincia la grande, monumentale veglia funebre di Baldr. Tutti piangono Baldr, ma proprio tutti? Sul fondo di una caverna siede la gigantessa Þǫkk, l’unica che non piange la morte di Baldr, o piange lacrime finte, lacrime ipocrite:« Þǫkk piangerà lacrime asciutte per il funerale di Baldr».

Baldr è condannato: morirà, e il suo nome sarà assunto da una squadra islandese di nome Breiðablik Kópavogur, meglio noto come Breiðablik, Breidablik o con l'acronimo UBK. Il nome vorrà dire “ampio splendore”. Il suo stemma porterà una fiamma olimpica, richiamerà la pira funebre di Baldr e nel 2022 vincerà il campionato islandese.

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Il club sarà un esempio per la comunità, e per i bambini in particolare. I giocatori di questo club gireranno l’Europa, calcheranno i campi più gloriosi, faranno strada. Un giorno vinceranno il trofeo più prestigioso: la Conference League.

Che giocatore dello Sturm Graz sei

David Affengruber

Non è il suono della sveglia ma quello della suoneria a spandersi per la stanza, alle 5 del mattino. Avresti dovuto alzarti due ore più tardi ma il tuo capo ti sta già chiamando, ti sta già prendendo il cuore per sgretolarlo nel suo pugno. Devi andare a prendere l’artista tu, perché c’è stato un problema con l’autista. Pensavi che sarebbe stato diverso, lavorare in una galleria d’arte. Era qualcosa che hai iniziato a sognare così forte mentre eri all’università e che una parte di te lo riteneva impossibile. Sognavi il rapporto con gli artisti, l’ambiente raffinato, la vocazione a fare spazio e respiro all’arte che conta. Ora invece fai la galoppina. Spedisci i pacchi alle poste, passi in lavanderia, ti accordi con le ditte di pulizia, tratti sul prezzo. Ora ti tocca andare all’aeroporto a prendere l’artista, Takehiro Shitake. Sessantenne celebre per le sue grandi installazioni murali con teli da barca sporchi di vernice. Sei in macchina e rivaluti le priorità della vita. Almeno ti desse un aumento, se la vita deve essere questa. Ti fa sorridere il bigliettino che hai scritto sul cartone: “Mr. Shitake”. Lo stringi tra le dita all’area partenze di Malpensa e attendi. Inizia a esserci confusione. Arrivano dei paramedici vestiti d’arancione che fanno scorrere una barella e scompaiono. Dieci minuti dopo quella barella ha sopra Mr. Shitake, gli corri contro “Mr. Shitake! Mr. Shitake” come un’idiota non dici altro, sei sconvolta. I paramedici ti dicono che ha avuto un piccolo arresto cardiaco in aereo, poco prima dell’atterraggio, e che ora devono trasportarlo d’urgenza in terapia intensiva. Il tuo primo pensiero non è per il Signor Shitake ma per il tuo lavoro: e la mostra? E le responsabilità legali? Dovresti andare in ospedale? Fino al pensiero più vieto, inconfessabile: forse, allora, puoi prenderti il giorno di ferie?

Con un riflesso riesci a prendere distanza da quei pensieri: cosa sei diventata?

Alexander Prass

Ti guardi allo specchio mentre sollevi il peso da 15 chili. Su e giù, su e giù, e ti guardi allo specchio mentre il tricipite si indurisce e si gonfia. Sorridi, la faccia bella sagomata anche se non abbastanza, per i tuoi gusti. I capelli a spazzoletta, ma senza prodotti: asciutti, naturali, solidificati da un lavoro di phon e spazzola poderoso. Su e giù, su e giù. Hai 26 anni, sei troppo giovane ancora. Non sei ancora nel tuo prime: tra dieci anni la pelle comincerà ad asciugarsi naturalmente attorno ai tuoi muscoli. Saranno meno gonfi, più tesi, più definiti. Anche la tua abbronzatura, ora troppo naturale, assumerà un più adeguato color cuoio di Firenze. Su e giù, su e giù. Lavorare giorno dopo giorno, un sollevamento alla volta. Niente steroidi, all natural, supernatural. Non è ancora arrivato il tuo momento, lo sai, ma arriverà: sarai eletto come miglior sosia di Arnold Schwarzenegger.

La partita di Luca Ranieri

Prima di giovedì, cioè prima di ieri sera (se leggete venerdì, altrimenti fatevi il calcolo: non è difficile) Luca Ranieri aveva un gol in carriera in 104 partite giocate. Dopo giovedì questo numero è triplicato (cioè sono 3 i gol e le partite sono 105: sarebbe stato strano se fossero triplicate le partite). Capitano “le partite”, quelle speciali, ma capitano raramente ai giocatori come Ranieri, onesti difensori che sottovalutiamo sempre un po’.

Che c’era qualcosa nell’aria, per Ranieri, e si è capito quasi subito: al sesto minuto il suo colpo di testa - diciamo non imparabile - è stato smanacciato in maniera goffa da Vandevoordt. Alle sue spalle c’era McKenzie che avrebbe potuto facilmente spazzare sulla linea, ma Vandevoordt ha pensato bene di provare a smanacciarla di nuovo, per essere sicuro il pallone entrasse (vi ricordate i gol Europa League? Beh, siamo in quei territori lì).

Sedici minuti dopo Ranieri si è ripetuto, sempre di testa, questa volta sbucando dal nulla in tuffo sul secondo palo e entrando lui in porta col pallone come se fosse una gag di un film tipo Ace Ventura.

Se siamo qui, però, non è solo per parlare dei suoi due gol, che poi sono due gol di testa da calcio d’angolo, più utili che belli. Quello che davvero ha reso la partita di Ranieri tanto speciale è successo al minuto 73 ed è passato inosservato, soprattutto se non siete tifosi della Fiorentina. Ranieri, sempre su sviluppi da calcio d’angolo, raccoglie un pallone sul lato corto dell’area del Genk, quasi sulla linea di fondo. Davanti a lui c’è un avversario che gli chiude il cross e allora Ranieri deve inventarsi qualcosa. Potrebbe tornare indietro ma non è quel giorno per lui, l’abbiamo capito. Che fa allora? Ranieri finta il cross e quando l’avversario apre le gambe gli fa passare il pallone sotto. Un tunnel. Uno di quelli che se lo prendi poi la sera a letto ci ripensi e rosichi ancora di più.

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Subito dopo Ranieri è lucido, non si fa prendere dalla foga di tirare ma mette il pallone dietro, come si dice "a rimorchio", dove c’è Milenkovic solissimo. Purtroppo questa era la partita di Ranieri e non quella di Milenkovic e non c’era nulla che potesse fare per la mira del compagno.

L’incredibile rimonta dello Zrinjski Mostar

Alla fine del primo tempo di Zrinjski Mostar-AZ Alkmaar, il primo primo tempo nella storia dei gironi delle competizioni europee per un club bosniaco (anche se lo Zrinjski Mostar ha - diciamo - un’anima croata) lo Zrinjski Mostar perdeva 3 a 0.

Era sembrato il naturale corso degli eventi: da una parte una squadra olandese dalla spiccata tradizione nei giovedì sera, dall’altra una di quelle squadre che fanno il folklore della Conference League, che è bello veder partecipare, scoprirne la storia, gli stadi, le tradizioni, ma che poi queste partite le perdono e spesso male. Per dire, in questo momento lo Zrinjski Mostar è 10° nel campionato bosniaco, qualche giorno fa ha perso contro l’FK Sarajevo venendo fatto a fette da Penaranda (sì, quel Penaranda). Insomma, la situazione sembrava filare totalmente liscia verso l’AZ, anche troppo liscia, tanto che - a fine primo tempo - Dick Advocaat al commento televisivo, aveva mostrato tutto quel cinismo pragmatico privo di ironia degli olandesi: «È incomprensibile che a squadre del genere venga concesso di giocare in Europa» aveva tuonato.

Poi è iniziato il secondo tempo. Alcuni momenti di calcio sono francamente inspiegabili e quello che è successo allo Stadion pod Bijelim Brijegom è tra questi. La spiegazione logica è la sostituzione tra Andrija Balić (sì, quel Andrija Balić, quello dell’Udinese) e Zvonimir Kožulj (di lui non sappiamo nulla). Dopo due minuti Zvonimir Kožulj ha fatto questo gol qui (il primo per un club bosniaco, eccetera, eccetera…)

Sembrava un premio già abbastanza buono, una brutta sconfitta che vira verso un’onorevole sconfitta. L’AZ, però, è sembrato prendere per buone le parole di Advocaat e si è come sgonfiato. E la storia ci insegna che il calcio è strano. Venti minuti dopo Corluka (no, non quel Corluka) è rientrato verso il centro e col sinistro - lui che è destro, un terzino destro - ha infilato il pallone sotto l’incrocio.

Voleva crossare? Probabile, ma la storia non si scrive mai senza un po’ di fortuna. Come una valanga questo gol ha spostato tutta l’inerzia verso lo Zrinjski Mostar, che è diventato per i restanti venti minuti il Brasile dell’82. Prima il nuovo entrato Aldin Hrvanovic ha segnato con un tiro che sembrava telecomandato da appena fuori l'area di rigore, poi come se fosse - questo sì - il naturale corso degli eventi Kožulj ha completato la rimonta con un facile tap in, la sua doppietta personale in un giorno che fa storia.

Il risultato finale, 4-3, è forse il risultato che più di tutti identifica una grande partita ma quante volte è stato formato da un 3-0 e poi un 4-0? Quello che è successo a Mostar ieri sera resta la più grande forma di mistero che la nostra atrofizzata civiltà occidentale può ancora permettersi.

Organizza la tua trasferta: Mostar

Ecco una rubrica che ricomincia solo perché qualche giorno fa ero a Mostar e allora sai che c’è: perché non approfittarne? Rivediamo un attimo le regole: questa rubrica è nata durante il Covid, quando non si poteva viaggiare. Ora si può viaggiare, ma noi siamo piuttosto poveri, quindi viaggiamo con la fantasia. Se invece viaggiate anche con le gambe: meglio, questi consigli valgono per tutti e magari nelle prossime settimane avete pensato di andare a vedere lo Zrinjski Mostar (certo era ieri il giorno giusto).

Comunque, arrivare a Mostar dall’Italia è meno semplice di quello che pensate. Se avete tempo, però, passate per Sarajevo (una delle più belle città d’Europa) e da lì prendete il treno per Mostar, che è considerato uno dei più belli d’Europa e costa solo una decina di euro andata e ritorno. Occhio che parte alle 7:15 oppure nel tardo pomeriggio.

Un ponte: Stari Most

Se siete a Mostar, siete a Mostar per la Conference League e per uno dei ponti più famosi della storia. Lo Stari Most è stato commissionato da Solimano il Magnifico, è un ponte a “schiena d’asino” ed è famoso per diversi motivi oltre alla bellezza del tutto. Il primo è che vallo a costruire tu un ponte a una sola arcata nel 1557 (e infatti nessuno sa bene come hanno fatto, neanche il suo architetto che prima di togliere le impalcature si era fatto costruire una tomba, perché se avesse fallito quello era il suo destino). Il secondo è che durante la guerra di Bosnia è stato distrutto, centrato in pieno dai colpi di artiglieria dei croati che vedeva nel ponte un simbolo dell’identità bosniaca (...) rovinando quindi per sempre una delle testimonianze storiche più significative di quelle terre, il terzo è che dal ponte c’è un manipolo di tizi che ci si tuffano, anche oggi. Di solito di piedi, ma qualcuno lo fa anche di testa (sono circa 25 metri d’altezza e, d’estate, 4 di profondità), il segreto - dicono - è entrare più di petto che di testa.

Un altro ponte: Kriva Cuprija

Sì, è una città di ponti. Questo si chiama “ponte storto” ed è molto simile allo Stari Most, ma più piccolo e più vecchio (o almeno lo era: è stato distrutto non dalla guerra ma da un’inondazione). Perché dovrebbero interessarvi così tanto i ponti dite? Non lo so, non ho scelto io di andare a Mostar (in realtà sì, ma è un’altra storia).

Una ricetta: la trota alla griglia

Ovviamente siete sopra un fiume, che mangiare se non pesce di fiume? La trota è un salmone che non ce l’ha fatta ma questo passa il convento. In ogni caso qui la ricetta è semplice. Pescatevi la vostra trota dal fiume Narenta, toglietegli le interiora, lavatela bene, riempitela di sale e limone e poi sbattetela su una griglia che avete spalmato di roba x (tanto tutti gli intingoli sono uguali).

Basta, fatto. Cucinare alla griglia sembra facile, ma occhio: sapere quando il cibo è pronto è tipo un arte magica.

Un mezzo: le braccia

Perché non nuotare da un punto all’altro della città? (eventualmente occhio alla corrente).

Scherpen, nomen omen

Kjell Scherpen è alto due metri e due centimetri, ha braccia e gambe affusolate e flessibili come canne di giunco, e la faccia affidabile e truce allo stesso tempo dei buttafuori del Pachà di Ibiza. Kjell è olandese – ha già esordito in Nazionale – ed è ovviamente passato, come tutti i portieri promettenti e auspicabilmente affidabili, per l’Ajax.

Kjell, che è tifoso del Feyenoord, aveva speso parole un po’ offensive per i Lancieri sui social, quindi nel 2019, quando Overmars e Van der Sar lo hanno tesserato, gli hanno fatto scrivere, tipo Bart Simpson alla lavagna, cento volte “L’Ajax è il miglior club d’Olanda”. Non è servito a molto, quantomeno non a guadagnarsi una maglia da titolare alla Amsterdam Arena, e Kjell si è ritrovato a rimbalzare un po’ in giro per l’Olanda, e l’Inghilterra – lo ha acquistato il Brighton – e infine l’Austria, dove si è accasato allo Sturm Graz.

Contro lo Sporting Clube Kjell è stato in una serata di quelle là, quelle in cui lo spirito del suo nome-e-cognome si è materializzato: Kjell, infatti, in Norreno significa “elmetto”, mentre Scherpen, in olandese, sta per “rafforzato”.

Con un elmetto rafforzato del genere lo Sturm Graz ha resistito settantacinque minuti.

Poi è crollato, ma oh, mica si può avere tutto.

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Compiti per casa per domani, Kjell: scrivere cento volte “non mi devo sbracare al settantacinquesimo minuto”.

Unai Ossimory

https://twitter.com/TheEmeryEra/status/1704928725354021324

Non so, non avevamo mai visto un invito alla calma così riottoso, ma dopotutto quest’uomo ne sa una più del diavolo, ce li sogniamo noi i giovedì che ha vissuto lui.

Conosci il tuo sponsor Conference League: JFK - KÍ Klaksvík

Quella del KÍ Klaksvík, la prima squadra delle isole Faroe a qualificarsi per la fase a gironi di una competizione europea, è stata un po’ La Storia dell’Estate, una cavalcata iniziata con i play-off di Champions League e ridimensionatasi leggermente, fino a trovare la propria dimensione, comunque rispettabilissima, in questo girone al fianco di Slovan Bratislava, Lille e Olimpia Lubiana, che comunque vai a capire cosa può succedere.

Il giornalista Sigurjon Einarsson, parlando del carattere fortemente locale – e localistico – della squadra ha spiegato alla BBC che «quando il KÍ vince nelle aziende locali che lavorano il pesce si va più veloci, in armonia. Quando invece il KÍ perde, tutti lavorano un po’ peggio».

Che poi, alla fine, è quello che succede anche nel tuo paese, con la squadra del tuo paese: quando vince, l’indomani ti sta simpatico anche il proprietario del bar che sbaglia sempre a montare il latte e ti rovina il cappuccino del risveglio, mentre se perde dal macellaio che ti consegna le bistecche tutte sfilacciate eviti pure di passarci davanti.

Klaksvík è la capitale ittica del paese, l’hub più importante per le flotte di pescherecci che battono bandiera Faroense, e non vi stupirà quindi apprendere che lo sponsor sulla maglia azzurra – o per l’occasione, ieri, giallo fosforescente opalescente –, JFK, non sia un endorsement allo scalo newyorkese, ma esattamente il nome di un'azienda leader nella pesca, abbattimento a bordo, stoccaggio e commercializzazione dei gioielli più preziosi del Mare del Nord: molve, brosmi, merluzzi neri, baccalà, eglefini, a pensarci bene tutti apodos meravigliosi, per i calciatori del KÍ Klaksvík.

Nella quotidianità, al di fuori dell’eccezionalità di un impegno così straordinario come un match europeo, nelle partite della lega faroese il KÍ Klaksvík indossa piuttosto una maglia tappezzata, come nella migliore tradizione norrena, di nomi e sigle, tra i quali mi sembra importante sappiate che figurano due eccellenze locali, la KSS – che si occupa di siderurgia, fondamentalmente – e soprattutto la KBI, che è definitivamente la nostra tip casomai vi trovaste a Klaksvík e dopo una giornata in mare sui pescherecci a pescar merluzzi vi venisse voglia di fare un po’ di bricolage.

L’entomofagia, spiegata bene

Javier Serrano, il centrocampista spagnolo dello Sturm Graz, mercoledì durante un allenamento ha ingoiato un’ape: noi adesso facciamo gli spiritosi, ma sono stati momenti di panico, non è piacevole e soprattutto è decisamente pericoloso ingoiare un’ape, si rischia uno shock anafilattico e per fortuna a Javi Serrano non è successo niente, sta bene, contro l’Atalanta ci sarà, tranquillizzate i parenti a casa.

Se dentro di voi, però, la notizia ha stuzzicato un aspetto entomofago che disconoscevate, di seguito tre tips per mangiare insetti senza rischiare di finire all’ospedale o sui giornali (o almeno così ci pare di aver capito):

Gamberi giapponesi cavalcati da formiche

Li ha preparati René Redzepi, chef del Noma, durante una residenza estemporanea al 37o piano del Mandarin Oriental di Tokyo. Ora: non è che sia facile pizzicare in giro René, ma se vi dovesse capitare di incrociarlo, o di invitarlo a un porta-party, fateveli preparare.

Chapulines

Va bene, questa è più semplice: prendi un volo per il Messico, ti piazzi su un autobus, raggiungi Oaxaca, meglio ancora l’Estadio Tecnològico, e mentri guardi una partita dell’Alebrijes ne smangiucchi una tonnellata, con una spruzzata di aglio, peperoncino e lime.

Formica amazzonica

Il cavallo di battaglia di Alex Atala, uno che se non fosse a San Paolo per tirare avanti la carretta del suo D.O.M. probabilmente tutti i giovedì vedremmo in giro per stadi in cui si gioca la Conference League.

Prenditi il tuo tempo, Steve

Ti chiami Steve. Steve Rouiller. Hai 33 anni, e ogni tanto ti prendi del tempo per te, per riflettere. Torni a Monthey, un’oretta costeggiando il Lago Lemano, ti piace la circumlacuale, ti rilassa. Arrivi nel posto che ti ha visto crescere, ammantato di nebbia, perennemente, infili gli scarponi e ti arrampichi verso Dent de Valerette. Lassù, seduto vicino alla croce, hai capito che a volte devi fare in modo che quello che ti succede attorno sia un po’ anche affare degli altri, non già più tuo. Fai il difensore centrale, nel Servette: una squadra ricca di storia, vuoi contribuire a farla tornare grande. Masopust lo conosci di nome, lo hai visto giocare agli Europei, ma in fin dei conti è uno come un altro, gioca con questo Slavia Praga, gli avversari di stasera.

Alla mezz’ora salti per cercare di respingere un pallone pericoloso al centro dell’area: non ci riesci, la palla però schizza via, sta uscendo dall’area. Senti quel leggero ronzio nelle orecchie che hai imparato a rispettare: quando arriva, senza preannunciarsi, sai che devi cominciare a pensare a te, a ciò che ti fa stare bene, al sorriso di una bambina, al tuo cane, a una birra bevuta di ritorno da una passeggiata tra le montagne, alla pesca alle carpe, e intanto Masopust tira, il pallone ti serpeggia vicino al tallone, ma è un refolo di vento, la neve di primo mattino quando sei il primo a calpestarla, il vin brulé a Natale, continui a startene per i fatti tuoi, Steve, prenditi il tuo tempo, Steve, lascia che sia un po’ anche affare degli altri, e non già più tuo.

Un bug nel multiverso sabatiniano

Deve essersi spezzato qualcosa, nel multiverso sabatiniano, spezzato col suono che fanno le pagnotte di grano duro quando le dividi con le mani, altrimenti non avremmo trovato Ezequiel Ponce vestito da cosplayer di Lars Ricken che segna un gol fondamentale per far vincere all’AEK allenato dal Pelado Almeyda una gara di Europa League a Brighton: avrebbe alzato la Coppa del Mondo a Lusail, Ezequiel Ponce, se tutto fosse andato come il multiverso sabatiniano auspicava.

Sangillosini, brava gente

I sangillosini sembrano persone a posto, legate alle loro tradizioni, fieri del loro spirito local: hanno una squadra che è cresciuta esponenzialmente fino a esplodere negli ultimi anni, si sono tolti qualche soddisfazione, anche contro i vicini-rivali-prenditutto dell’Anderlecht. Nello stadio dei cugini, con quei seggiolini color malva, hanno ospitato il Tolosa, in quello che è stato non solo uno slancio di generosità ma anche un tributo: non a caso, della città francese si dice che sia rosa all’alba, rossa al tramonto ma malva al sole grezzo.

Qualche giorno fa, nell’impossibilità di ospitare i tolosani nello stadio Joseph Marien, troppo piccolo, i sangillosini hanno voluto guidare i francesi in una specie di tour di quello-che-vi-perderete: il parco Duden, nel quale lo stadio è immerso, la Club House, le birre, i salsicciotti con i crauti dalle bancarelle vicino agli ingressi, altre birre, gli spalti rustici, le birre.

Al Marien non si giocherà neppure una partita di Europa League, ma se vi capita di fare una passeggiata a Bruxelles, anche in un giorno che non è di partita, boh, non v’è venuta voglia di una birra coi sangillosini?

Il primo gol del KÍ Klaksvík in Europa è stato agrodolce

Pensate di esservi trascinati dentro la fase a gironi di una competizione europea con le unghie e con i denti. Della vostra storia di Cenerentola ne hanno parlato tutti, dopotutto siete una squadra delle Far Oer, con i calciatori non professionisti, le barbe bionde e tutte quelle cose lì che funzionano sempre. Siete al vostro debutto in Conference League e non sta andando così male. È appena iniziato il secondo tempo, siete sullo 0-0 e c’è un calcio d’angolo per voi.

A batterlo va Árni Frederiksberg, una piccola leggenda locale, uno che ha segnato 6 gol per portarvi qui. Calcia benissimo Árni Frederiksberg e su questo calcio d’angolo ci ha scommesso la vita. La sua parabola è tagliata come le asce dei vichinghi che hanno forgiato le isole Far Oer (scusate la retorica, ma ci paga la pro loco di Klaksvíkar) e corre verso la porta senza che nessuno possa farci nulla. Corre così bene che sta per infilarsi in rete, sarà il primo storico gol della vostra squadra in una gara europea di quelle che contano e sarà un gol olimpico. Quanto può essere bella la vita?

La vita però non è quasi mai bella e dal nulla spunta Deni Pavlović, uno dei pochissimi stranieri della vostra squadra, uno che chissà come ci è arrivato qui da noi in mezzo al niente. Non poteva restare a Belgrado, con la sua vitalità e i suoi locali sul Danubio? Il suo tocco da mezzo centimetro diventa allora il gol che ricorderete per tutta la vita, con quel sapore agrodolce che hanno ogni tanto le cose della vita. Anche perché poi, quella partita, l’avete persa.

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Il gol più giovedì sera del giovedì sera

Virilità: 1

Assurdità: 10

Anti-epicità: 100

Paura della morte: 1000

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Torna l’unica rubrica che più che una rubrica è una forma d’arte, tipo il puntinismo o quelli che mangiano 50 mila calorie in un giorno per fare un video da mettere su Youtube. Insomma: questo gol lo state vedendo anche voi da soli, che altro vi devo dire io?

C’è un ex serie A (Kiril Despodov, 6 presenze col Cagliari) che sguscia il pallone, c’è un pallone che prende un effetto strano e lo prende forse solo perché è il pallone della Conference League (quello della Champions mi sembra più compatto, meno disponibile agli eventi esterni), c’è il numero 71 del Paok (Brandon) che si sposta con la nonchalance di un aristocratico alle prese col tè, c’è un secondo portiere (Ost, entrato per l’infortunio di Mäenpää)(ex Venezia) che si tuffa come se fosse invece un aristocratico alle prese con una porta da calcio, c’è un palo che sembra beffardo e poi - alla fine - c’è l’ultimo atto: il pallone che schizza sul campo artificiale dell’HJK, su quell’erba viscida che conoscete anche voi, amatori del martedì sera. Sarebbe stato gol lo stesso su un campo d’erba? Il pallone avrebbe preso lo stesso assurdo giro a rientrare se non fosse stato QUEL pallone e QUEL campo? Sarebbe stato attirato dalla linea di porta come uno spirito verso una casa infestata?

È impossibile dirlo e sono queste le domande che ci portiamo dietro da qui. Domande stupide che diventano esistenziali. Io, per dire, stanotte non ci ho dormito per questa cosa qui. Bentornato giovedì.

Perché il Liverpool aveva una maglia tipo violetta, non lo so non sono mai stato bravo coi colori?

https://twitter.com/LFC/status/1704937542297010178

Alla fine non lo abbiamo capito.

Macon che segna come Maicon

Yvann Macon è un terzino destro francese. La sua carriera fin qui non ha avuto molto a cui spartirsi con quella di Maicon: ha giocato nel Dunkerque, nel Saint-Etienne, nel Paris FC e ora al Maccabi Tel Aviv. Innegabilmente però i due hanno qualche connessione, se non altro perché sono tutti e due terzini destri e hanno un nome piuttosto simile. Macon avrebbe segnato lo stesso questo gol se si fosse chiamato, per dire, Maldin? (probabilmente sì, era tutta la scusa per farvi vedere un gol segnato tirando una bomba) (i gol tirando delle bombe, in senso figurato, sono sempre dei bei gol) (thunderbolt thunderbastard li chiamano gli inglesi e forse dovremmo trovare un nome così anche noi) (io propongo battibaleno).

https://twitter.com/europacnfleague/status/1705160194458608071

Cose che accadono solo il giovedì

Eccoci qui, l’abbiamo sfangata anche quest’anno. L’Europa League è tornata, la Conference League è tornata, tra poco torneranno le foglie gialle, i maglioni sempre più pesanti, i plaid e quel vuoto dentro che può riempire solo una metarubrica come questa.

L’Europa League, ma è così bella che soffri di eiaculazione precoce

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L’Europa League, ma non riesci a distinguere chi tra i due è l’orso

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L’Europa League ma all’ultimo decidi che niente vale e allora perché non chiudere un triangolo al volo di tacco all’indietro per mandare in porta il tuo avversario al 90’?

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Un saluto e, come si dice, non perdiamoci di vista.

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