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Il bello del giovedì sera 2024 vol. 9
08 mar 2024
Il meglio del meglio da due competizioni per il bel gioco.
(articolo)
28 min
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Conosci la tua squadra del giovedì sera: Servette

Con un nome che suona come una crasi tra servo e salviette, un insieme tutto sommato casuale di calciatori, e un gioco impalpabile il Servette sembra per distacco la peggiore squadra del giovedì sera. O meglio: una di quelle squadre che non dovrebbe starci ancora tra i piedi quando siamo ormai a marzo. Per questo iniziamo a volergli bene, come a quel ragnetto sopra la cappa in cucina che giuravate di aver ammazzato, e che poi ritrovate sempre lì il giorno dopo, non si capisce bene come. Una decorazione del giovedì, un dettaglio insignificante alla periferia del nostro guardo a cui però cominciamo ad affezionarci. Devo dirvi la verità: non so nemmeno se ho già scritto un approfondimento sul Servette sul “conosci la tua squadra”. Potrei averlo scritto per poi cancellare tutto come in Men in Black, per far posto ad altra conoscenza nella mia mente (i nomi di tutti i giocatori in rosa allo Sheriff).

Non si capisce del tutto come abbia fatto il Servette fatto a spingersi fin qua. Avete mai visto il Servette vincere una partita? È più di un effetto percettivo. Gli svizzeri in questa Europa League hanno disputato 8 partite e ne hanno vinte 2. Nel girone hanno segnato 4 gol e ne hanno subiti 13, e con 5 punti e questi orribili numeri sono riusciti comunque a finire agli spareggi. Ai sedicesimi il suo percorso avrebbe dovuto finire, seguendo qualsiasi logica. Certo, tra tutte le avversarie possibili il Ludogorets Razgrad era uno dei più abbordabili, ma pur nella sua abbordabilità era sulla carta superiore al Servette - con tutti quei brasilianini deliziosi presi chissà dove. Una squadra tradizionale del giovedì sera. E invece il Servette è passato grazie a un paio di partite orrende: 0-0 all’andata, 0-1 al ritorno. Gol di Cognat sull’unica occasione avuta in 180 minuti. Eccovi il film della qualificazione girata come Il Ritorno del Re dai canali social del Servette.

Cognat, purtroppo, ha la febbre, e contro il Viktoria Plzen è solo entrato nel secondo tempo. È un altro sorteggio favorevole per il Servette - ma comunque una squadra che ha vinto 10 delle ultime 12 partite, e che ogni giovedì quest’anno ha schiacciato tutti. Insomma, il contrario del Servette che possiamo definire quindi il Bradbury del giovedì sera.

L’uomo simbolo si chiama Jérémy Guillemenot e ha una delle carriere più strane che possiate immaginare. Cresciuto nel settore giovanile del Servette, era considerato uno dei migliori prospetti del calcio svizzero. Ha giocato un po’ in tutte le selezioni giovanili nazionali ed è finito anche nel Barcellona B. È tornato al Servette dopo 4 stagioni al San Gallo e una poco proficua al Rapid Vienna. «Siamo una vera famiglia. Non è più il Servette di 3-4 anni fa, oggi abbiamo riportato la gente allo stadio» ha detto nell’intervista pre-partita.

Ora, dopo tutto questo ancora non vi ho detto da dove diavola arriva il Servette, che poi è lo scopo più o meno di questa sotto-rubrica. Come molti di voi sanno, il Servette è la squadra di Ginevra, ovvero una della città più ricche del mondo, o comunque di certo tra le più care. Quanto più care? Posso dirvi che a Ginevra un caffè costa mediamente 3.30, una pinta di birra più di 7 euro, una bottiglia d’acqua 3 euro e 40. È stato calcolato che la vita a Ginevra è circa due volte più costosa che a Roma.

Quando Ginevra non era ancora una città così cara, è stato fondato il Servette. Siamo agli inizi del novecento e il suo primo presidente coincide col fondatore della federazione svizzera di calcio, e cioè Aimé Schwob. Quest’uomo, di cui non esistono ritratti, né a olio né fotografici, ha fatto praticamente tutto per lo sport svizzero, con un’energia e una capacità di radunare talenti propria solo degli uomini del novecento. Ha fondato il primo giornale sportivo svizzero, la federazione di calcio e quella ciclistica. Poi ha fondato un altro giornale sportivo, e si è occupato di atletica, permettendo di formare una squadra svizzera per i Giochi Olimpici. Fra le altre cose, ha pure fondato il Servette, la squadra della sua città, Ginevra appunto. A dire il vero non è stato il fondatore del club, ma colui che lo ha nominato così e gli ha dato le regole della federazione inglese. All’inizio si giocava con maglie verdi e rosse, e dopodiché si è passati a questo granata che ha diverse spiegazioni, una meno plausibile dell’altra.

C’è chi dice che i fondatori avessero una vicinanza al movimento sindacale, ma che preferissero un colore più nobile del rosso - e dunque ecco il granata. Qualcuno dice che Alfredo Dyck, tra i fondatori del Torino Calcio, era tifoso del Servette e l’abbia alla fine avuta vinta sull’imporre il granata.

Ieri sera, contro il Viktoria Plzen, il Servette ha giocato un’ottima partita. Potremmo quasi dire che la squadra stia migliorando. Una partita in cui ha costruito più occasioni del proprio avversario, ma in cui alla fine si è dovuta accontentare dello 0-0.

Roma-Brighton, ovvero Bel Gioco vs Bel Gioco

Se José Mourinho fosse stato ancora sulla panchina della Roma sarebbe stato facile inquadrare la partita dal punto di vista tattico. Sarebbe stata una guerra dei mondi. Una culture war in cui i mourinhani avrebbe ricoperto un ruolo simile ai trumpiani: la percezione della parte lesa del conflitto, una minoranza percepita e oppressa dall’ideologia liberal (gender, woke, immigrazionista, come preferite; che diventa allora tatticista, giochista, favorevole alla costruzione dal basso). Questo tipo di conflitto ideologico, insomma, va oltre il calcio. Potremmo dire che il calcio è solo uno dei territori in cui si combatte questa battaglia identitaria. Nel calcio, però, i media mainstream da qualche anno alimentano questo falso conflitto tra giochismo e risultatismo, che polarizza e quindi genera interazioni.

Mourinho si sentiva bene in questa battaglia, era in qualche modo sua, anche più di quanto è di Allegri. Dopo aver superato il Feyenoord lo scorso anno in Europa League, dentro al tunnel dell’Olimpico, si è lanciato in un’arringa contro Arne Slot e il suo gioco posizionale. «Guardi il Manchester City, guardi il Napoli, ma dovresti guardare noi». Slot, da olandese, non ha fatto niente per nascondere il suo disprezzo per il gioco di Mourinho.

Cosa succede però nel momento in cui De Rossi si siede sulla panchina della Roma? De Rossi che definisce De Zerbi un riferimento, un esempio, uno dei migliori tecnici usciti fuori dall’Italia, qualcuno che ha una visione del calcio che gli è di ispirazione? In che modo si può peggiorare il dibattito?

Ovviamente caricaturizzando De Rossi e De Zerbi come due alchimisti pazzi che usano il calcio per i propri esperimenti blasfemi. Come se fossero disinteressati al risultato, persi in un delirio intellettuale distaccato dalla realtà. I titoli sono agiografici, certo, ma descrivono la sfida tra due macchiette: «De Rossi e De Zerbi, la forza delle idee» o «È la sfida del bel gioco», «Una battaglia di idee». Quando è stato nominato allenatore della Roma si cercava “Il manifesto del suo calcio” e dopo la vittoria per 4-0, ovviamente, è stata “una lezione di calcio”, e De Rossi è diventato “Un maestro”, come se avesse vinto un dibattito alla Scuola d’Atene.

Roberto Pruzzo, ex attaccante della Roma, prima della partita ha ammesso di non aver mai visto il Brighton: «Non mi attirano proprio queste squadre che giocano per valorizzare gli allenatori», come se quindi tutta la narrazione attorno a questi allenatori rendesse intollerabile vedere una partita delle loro squadre. E quanti di quelli che hanno costruito questo conflitto sofistico hanno davvero visto giocare il Brighton? Si può ignorare il merito della questione, anzi: è meglio.

Questo impianto costruisce le premesse per la tossicità successiva delle critiche. Nel momento in cui i risultati non assisteranno più De Rossi la sua “forza delle idee” diventerà scarso pragmatismo, il suo “bel gioco” diventerà insostenibile.

Il meccanismo, insomma, è chiaro: si costruisce una gabbia ideologica in cui gli allenatori assumono dei ruoli pretestuosi, e il loro successo o insuccesso serve solo a giustificare o a confutare certe visioni del mondo, che spesso col calcio hanno davvero poco a che fare.

Impara a fischiare alla pecorara come Daniele De Rossi

Se avete visto qualche partita recente della Roma ci avrete fatto caso: Daniele De Rossi richiama l’attenzione dei suoi giocatori fischiando. Ma come fa a farsi sentire nel frastuono dello stadio attraverso la flebile arma del fischio? Fischiando in modo estremamente potente, con una tecnica che possiamo definire “Alla pecorara”. Denominazione di cui possiamo avere testimonianza in questa scena con Bombolo.

A cosa vi serve fischiare alla pecorara? Chiaramente ad attirare l’attenzione dei vostri amici dimostrandovi al contempo persone pratiche e con i piedi a terra.

Per prima cosa dovete unire pollice e indice in modo che formino una specie di anello. Dopodiché aprite la bocca e coprite i denti con le labbra, tirandole in dentro. Poi piegate la lingua facendole toccare il palato con la punta. Ficcatevi le dita in bocca fino a fargli toccare la lingua. A quel punto serrate le labbra sulle dita, raccogliete tutta l’aria possibile e poi soffiateeeeee. Vi lascio con un ultimo avvertimento di WikiHow: «Non preoccuparti se all'inizio non emetti nessun suono. Probabilmente dovrai fare un po' di pratica prima di riuscire a fischiare correttamente. Se non esce niente, fai un altro respiro profondo e riprova. Alla fine ce la farai!».

Il tunnel pazzesco di Lookman

Un anno e mezzo fa Ademola Lookman era un’aletta leggera e dribblomane in prestito al Leicester dal RB Lipsia. Aveva giocato una semifinale di Conference League contro la Roma schiantandosi contro la ruvidezza degli avversari, sul binario di sinistra. Oggi è diventato difficile inquadrare Lookman in un ruolo ben preciso, calcolando quanto è diventata ampia la sua influenza sul gioco offensivo dell’Atalanta - quante cose fa, quante zone calpesta - eppure ogni tanto riemergono le sue abilità da dribblatore completa, capace di saltare l’uomo sia in spazi ampi che stretti, e con un largo bagaglio di trick. Questo tunnel è di alto livello per il modo in cui Lookman illude il difensore col corpo: apre la postura e scopre il pallone per disarmare l’attenzione dell’avversario, per poi fargli passare la palla in mezzo alle gambe.

Organizza la tua trasferta: Brighton

A fine ‘700 il Principe del Galles decide che Brighton è un posto buono per passare le proprio vacanze e il resto è storia: da oscura cittadina costiera a principale meta di villeggiatura degli inglesi. Cosa pensare del loro gusto per il turismo? Niente di buono onestamente. Brighton, in ogni caso, si è sviluppata con questa anima a metà tra la decadenza dello stile vittoriano e quello trash del turismo di massa, un posto dove convivono il Royal Pavilion e Marco Montemagno, dove i gabbiani sono parte del folklore.

Ci si arriva con un’ora di treno da Londra, ma se pensate a sufficienza all’Impero Romano potete pensare di arrivarci in nave, come fecero da queste parti i romani. C’è l’opzione traghetto da Calais a Dover, ma, pensateci, arrivare alla Marina di Brighton con la vostra barca a vela, partendo da Fiumicino e attraversando le colonne d’Ercole, sarebbe incredibile (onestamente non credo sia possibile, valutate di partire dall’Olanda). Ecco invece alcuni consigli su cosa vedere.

Un museo: Anna's Museum

Il Museo di Anna è proprio di Anna, che da quando aveva 4 anni ha iniziato a raccogliere e conservare oggetti più o meno interessanti. Col tempo la cosa si è fatta seria e ha pensato: perché non farci un museo? Quale modo migliore per giustificare l’essere un'accumulatrice seriale? In ogni caso, essendo un posto privato, quello che potete fare è passare da lì è spizzarvi le vetrine per quanto strano possa sembrare. In ogni caso c'è da che rifarsi gli occhi: il contenuto è infatti un festival della bizzarria, un inno alle cose trovate: ci sono animali impagliati, teschi, strani burattini, giochi, gusci, rocce. L'idea che il mondo è anche in quello che ignoriamo.

Una strada: Quadrophenia Alley

Nel maggio del 1964 centinaia di rockers e mods scesero fino a Brighton per riempirsi di botte. Fu un evento scioccante per l’Inghilterra puritana dell’epoca, passato alla storia come la battaglia di Brighton. Questo episodio venne raccontato dagli Who nel loro film cult Quadrophenia e se almeno una volta siete saliti su una lambretta, farete in modo di vederlo prima di partire. Quadrophenia Alley è appena un vicolo, di quelli stretti e claustrofobici. Nel film però svolge un ruolo importante e da anni è meta di pellegrinaggio di molti fan. Da non confondere con il negozio con lo stesso nome che sta all’incrocio (comunque grande idea di marketing, fateci un salto se volete comprare un souvenir per il vostro amico mods fracico).

Un molo: il Brighton Pier

Solitamente questa sotto-rubrica preferisce segnalare le stranezze ai luoghi turistici più conosciuti, ma Brighton, fondamentalmente, è una stranezza a misura d’inglese, quindi una uber stranezza. Il Pier è il posto più famoso della città, quello dove è più facile che vi tornerà in mente la vostra gita del liceo, una cosa che - come diceva quello - è divertente ma per favore non fatemela fare mai più. Come dice la parola è un molo, ma gigante e pieno di attrazioni, ma quel tipo di attrazioni da pomeriggio pigro al mare: sdraio, videogiochi, negozi che non vendono nulla, un ottovolante. Credo che il suo vero fascino sia andarci carichi di birra, ma vedete voi: il bello del giovedì è contro l’alcool come mezzo per divertirsi.

Un cibo: Fish and Chips

C’è questa cosa che a Brighton ti prendi del fish and chips, te ne vai sulla spiaggia e fai a botte con i gabbiani per non farti fregare il pranzo. Siccome noi siamo persone decenti e, soprattutto, siamo contro il consigliarvi dei posti, vi consigliamo di farvi questo tipico piatto della cucina inglese a casa vostra (tra l’altro, sembra, sia stato portato da un portoghese). Dopotutto è merluzzo fritto vicino a delle patate fritte: davvero pensate che in Italia siano peggio che lì? (scherzo).

Comunque: prendete un po’ di patate, pelatele (la parte più difficile), tagliatele come tagliereste delle patate fritte e poi mettetele in acqua (oppure fatele prima bollire per 5 minuti, il trucco inventato dai social per avere patate migliori). Poi in una ciotola (ma può essere anche un teschio, o una borsa) metteteci: farina 00 e amido di mais in parti uguali, un po’ di bicarbonato e del sale. Mischiate. Se non volete mischiare, non mischiate (sono contro l’imperativo nelle ricette). Comunque dopo tocca alla birra, più è fredda meglio è: come sempre con la birra. Potete fare anche mezza birra, mezza acqua frizzante. A questo punto sì, dovete mischiare. Fatto questo passaggio, non vi resta che tuffarci dentro il vostro filetto di merluzzo, mi raccomando già infarinato per impastellarsi meglio. Se non sapete dove rimediare un filetto di merluzzo, mi dispiace ma avete problemi più grandi (io, per dire, non lo so).

Avete praticamente finito: friggete tutto in così tanto olio che finirete per dubitare di tutte le vostre scelte di vita precedenti e servite con abbondante salsa tartara. Il vero segreto di questo piatto è proprio questa specie di maionese pimpata, che potete farvi in casa in mille modi. Essendo francese, però, non ne posso parlare qui.

La vita dei tifosi dell’Aston Villa

Mica male oh.

Le migliori recensioni degli stadi della Conference League

Il Γήπεδο Τούμπας è stato costruito nel 1959, poteva ospitare 45mila persone. È stato tirato su in meno di un anno e una certa precarietà nella struttura si può vedere a occhio nudo: sembra uno di quegli stadi temporanei fatti tutti di tubi e lamiere. Col tempo i posti si sono ridotti, la sicurezza è aumentata, i materiali si sono arrugginiti. A rimanere la stessa è stata solo la passione dei tifosi: nelle notti europee il Toumba trema sotto il loro peso.

Per lui questi potrebbero essere gli ultimi colpi. C’è infatti un progetto ben avviato per costruire un nuovo stadio per il Paok. Staremo a vedere. Se è vecchio, però, mantiene il suo fascino o almeno così pensano una parte delle 11.319 che hanno espresso il loro giudizio su Google, che raggiunge 4.6 stelle, certo non da buttare. Sono recensioni divisive, tra tifosi che - giustamente - ne idolatrano l’anima a spettatori neutrali che fanno notare la fatiscenza. Queste sono le migliori.

Per frequentare questo stadio è necessario farsi il vaccino antitetanico poiché ci sono migliaia di oggetti arrugginiti (1 stella)

Uno stadio decisamente sporco e fatiscente con un'anima propria. Ogni appassionato di calcio dovrebbe venire. (5 stelle)

Un piccolo bastardo (1 stella)

Quando la signorina Thatcher prenderà il comando, diventerà un parco giochi civilizzato. (1 stella)

Devi sentirlo perché se ti spiego non mi capisci cosa significa stadio Toumba e PAOK (5 stelle)

Il posto peggiore della Grecia… (1 stella)

Tempio del calcio! È vecchio, ovviamente, ma ispira ancora timore reverenziale negli amici e nei nemici! (5 stelle)

Giocatore più giovedì sera: Soualiho Meïté

Quanto ci abbiamo creduto: 7

Quanto è stato realmente forte: 4

Quanto è caduto in disgrazia: 8

Quanto sembra depresso: 8

Avevamo sotterrato questa rubrica come il Calumet perché pensavamo di aver finito i giocatori, o meglio, ne abbiamo fatti così tanto che pensavamo di dover ricominciare da capo. Ieri però, dalla nebbia del tempo (nebbia del tempo= Dinamo Zagabria-Paok Salonicco al Maksimir) è spuntato Soualiho Meite. Vi ricordate di lui? Alto, grosso, capelli portati con la strafottenza di chi non ha paura di nulla. Per un paio d’anni è stato il simulacro del Torino di Gianluca Petrachi, una squadra che poteva spostare le montagne con le mani (Petrachi che, non ci stupiremmo, prima o poi potrebbe diventare il Ds più giovedì sera in qualche potenza dell’est Europa).

Che avete meglio da fare di guardare un video di 10 minuti di giocate di Meite al Toro?

Poi, come succede sempre con questi giocatori, giocatori che ribecchiamo il giovedì sera del tutto inaspettatamente, Meite è diventato il fantasma di sé stesso. Finisce ai margini del Torino, il Milan prova a resuscitarlo con un prestito a gennaio: a fine stagione non lo riscatta e va al Benfica. Il passaggio in Portogallo è quasi obbligatorio in queste storie, quella di Meite però deraglia presto: dopo un anno anonimo al Benfica passa alla Cremonese di culto della scorsa stagione. Su Cuore Grigiorossoscrivono “stagione non indimenticabile”, l’aggettivo perfetto per descrivere lo spirito di questi giocatori giovedì sera nel momento in cui si lasciano andare.

Il passo successivo è il calcio greco, forse uno dei più decadenti in Europa, ovviamente in prestito. C’è da dire che il Paok ha una squadra di culto, una squadra costruita per onorare questa rubrica. Oltre a Meite ci sono Taison (sì, quello dello Shakhtar), Troost-Ekong (sì, quello dell’Udinese), Marcos Antônio (anche lui Shakhtar, ma anche Lazio), Ally Samatta (archetipo del centravanti del giovedì sera), Baba (quello che al Chelsea sembrava uno scherzo) e Živković (sì, quello della Serbia). Insomma, lunga vita al Paok (che però ha perso 2 a 0 con la Dinamo, doppietta di Bruno Petkovic, perché c’è sempre qualcuno più giovedì sera di te).

Che whisky beve Robbie Keane

E quindi Robbie Keane allena, e allena il Maccabi Tel Aviv, che ieri ha battuto, a casa loro, 4 a 1 l’Olympiacos. Niente può sorprenderti come la vita. Keane, che forse ricorderete per un rapido passaggio all’Inter, è invecchiato come invecchiano gli attori irlandesi. Con la faccia dura, gli occhi di ghiaccio e un collo sempre più grande, starebbe benissimo in The Banshees of Inisherin. Siccome tutto in questa rubrica si basa sugli stereotipi e l’alcoolismo, ecco cosa potrebbe bere Keane nel suo tempo libero mentre pensa a come ottenere il massimo da Eran Zahavi (sì, quel Zahavi).

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Bushmills 21 anni

La Old Bushmills Distillery nella contea di Antrim è la più antica distilleria autorizzata di whiskey al mondo. Usa l'acqua del vicino Saint Columb’s Rill. Si dice sia benedetto da San Columcille. Il loro single malt invecchiato 21 anni è una vera chicca, una bevuta riflessiva, da camino acceso dopo una battuta di caccia. Siamo sicuri Keane sia così sofisticato?

Jameson

Se conoscete solo un whiskey irlandese, probabilmente conoscete questo. Venduto in una bottiglia verde dal tappo rosso, è un prodotto economico. Per questo si beve allungato con acqua, si tiene nascosto nella giacca, ci si ubriaca in qualche parco: non è certo il whiskey che tenete per la nascita di vostro figlio. Il motto della compagnia "Sine metu" significa "Senza paura" e si sposa bene con l’idea che abbiamo di Robbie Keane.

Connemara Peated Original

I whiskey irlandesi solitamente non sono torbati, ma il Connemara Peated Original lo è. È apprezzato per il suo bilanciamento tra accenti fruttati e il sapore fumoso della torba. È un whiskey da serata tempestosa, storie di marinai e coperte sulle ginocchia.

Cosa unisce i tifosi del Maccabi Haifa con quelli della Fiorentina?

Ieri, nel freddo piovoso di Budapest, i tifosi del Maccabi hanno cercato riparo nelle sciarpe. Non delle sciarpe normali però: qui e là infatti spuntava il logo della Juventus trapuntato. Come è stato possibile? Sono sciarpe celebrative, prodotte probabilmente per la sfida tra Maccabi Haifa e Juventus dello scorso anno, vinta 2 a 0 dalla squadra israeliana, una vittoria da ricordare per sempre. Indossandole, probabilmente, pensavano che oltre a ripararsi dal freddo avrebbero spaventato la Fiorentina e i suoi tifosi. Il messaggio implicito: se abbiamo fatto questo alla Juventus, possiamo farlo a voi. Forse però non sapevano che, tra tutte le tifoserie che odiano la Juventus, nessuno la odia più dei tifosi viola. Quelle sciarpe sono state allora una specie di regalo, un gemellaggio non dovuto, forse anche la spinta decisiva per la Fiorentina per vincere una partita che si era messa malissimo.

Cronistoria dei calci piazzati di Florenzi

Florenzi sembrava finito al Milan un po’ per caso. I rossoneri avevano bisogno di un terzino di riserva e non volevano spendere: ecco allora Florenzi, usato sicuro. In una squadra giovane il suo carisma in campo e fuori ha funzionato bene, ma l’impatto è stato comunque minimo. L’anno scorso, per dire, ha giocato 6 partite; quest’anno l’arrivo di Terracciano sembrava dovesse farlo uscire dal giro. Invece, in maniera controintuitiva, nell’ultimo mese Florenzi è diventato titolare, scavalcando Calabria, che del Milan è il capitano.

Non è solo però una questione di ballottaggio tra terzini: Florenzi sembra avere una quantità creative sempre maggiori ogni partita che passa. Ieri, nei 45 minuti in cui è stato in campo, su ogni calcio piazzato c’era lui: 2 calci di punizione e 4 calci d’angoli che hanno fruttato due assist.

6’02'' - Calcio di punizione

Punizione dalla trequarti, praticamente da prolungamento del lato corto dell’area di rigore sinistro, sinistro per chi attacca. Da quella posizione sarebbe meglio un mancino e infatti c’è anche Theo sulla palla. Il francese però finta solo la battuta e poi continua la sua corsa. Ci sarebbe anche lo spazio per dargliela sulla corsa, visto che nessuno della barriera lo segue.

Florenzi però non se ne accorge o non vuole seguire l’istinto del compagno e preferisce calciare in mezzo. Il suo cross gira bene sopra la difesa dello Slavia, ma per un destro mettere un pallone pericoloso da lì è veramente questione di centimetri (e infatti finisce leggermente troppo lungo per la testa di Giroud)

9’42'' -Calcio di punizione

Posizione quasi ideale, un metro fuori l’area di rigore, spostato a sinistra. Florenzi prende una rincorsa troppo esterna, quando arriva a calciare va quasi per lo scavetto, una palla liftata. Forse ha paura di prendere la barriera, che effettivamente sembra leggermente più vicina di quanto dovrebbe. Il risultato finale, il pallone che passa sopra la traversa, la fa sembrare più pericolosa di quanto non fosse.

27'35'' - Calcio di punizione

Bella palla, dalla trequarti destra, a rientrare verso il dischetto dell'area di rigore. Kjaer è un po' pigro nel andare incontro e arriva tardi.

41’05’’ - Calcio d’angolo

Calcio d’angolo da sinistra, Florenzi calcia col destro, ma non a rientrare, piuttosto una linea retta o quasi retta. Di testa ci arriva Gabbia che la mette all'angoletto, ma il portiere fa un mezzo miracolo.

41’48'' - Calcio d’angolo

Calciato sul primo palo verso Adli, che però la liscia. Spazzato.

43’27 - Calcio d’angolo

Cos’è l’intuito? Florenzi vede Reijnders solo e lo serve qualche metro dietro il limite dell’area. Con un gesto sbugiarda il partito del no calcio d’angolo corto, una forse minoranza ma molto chiassosa. Chi l’ha detto che vanno tirati in mezzo? Non un gesto tecnico difficile, ma uno di grande astuzia.

45'20'' - Calcio d'angolo

Di nuovo questo cross da sinistra col destro ma bello dritto, colpito quasi di collo. C'è sicuramente qualcosa di affascinante nel modo in cui Florenzi calcia il pallone. Qui arriva dritto nel cuore dell'area di rigore, dove Loftus-Cheek sembra l'unico adulto in mezzo a dei bambini e segna il 3 a 1.

La pisadita di Juninho Vieira

Per “pisadita” intendiamo la pettinata che si dà al pallone con la suola per ingannare i difensori precipitosi. Un gol dopo un dribbling in pisadita è una roba rara e magnifica, ma un gol dopo una pisadita fatta con un rimbalzo che scavalca il portiere è qualcosa di irreale. Qualcosa di fisicamente quasi impossibile.

Juninho si avvicina a Kovar e sembra essersi allungato la palla. Kovar esce con i piedi, lui tocca la palla con la suola e col rimbalzo la fa passare sopra al corpo. Un piccolo esempio dello stato di grazia con cui il Qarabaq ha affrontato la partita: fino al 92’ - cioè fino al gol di Schick - gli azeri sono andati vicini a interrompere la striscia di 34 risultati utili consecutivi del Leverkusen di Xabi Alonso.

Qui, come sempre, ci sono due scuole di pensiero: voleva farlo davvero o è stato un caso? Un rimbalzo generato dal campo malmesso del Tofiq Stadium?

Io voglio credere lo abbia veramente voluto fare. Non so se ricordate il tiro a rimbalzo di Mesut Ozil. Con la suola è un tantino più inverosimile, ma perché dover pensare male.

Premio della critica alla partita più giovedì sera: Maccabi Haifa-Fiorentina

La partita si giocava in campo neutro, a Budapest. Il perché ad Haifa non si sia potuto giocare lo sappiamo, il perché si sia giocato in Ungheria lo possiamo solo supporre. Diciamo che non è difficile mettere in relazione questo evento con l’impegno di Orban nello sport sotto forma di investimenti e infrastrutture nuove. Se lo scopo del soft power è migliorare l’immagine di un paese, almeno ci si sarebbe dovuti preoccupare di far trovare un terreno di gioco accettabile.

Sulla Boszik Arena ha piovuto forte, ed è molto difficile descrivere in che modo il terreno è riuscito a non reggere la pioggia. Non si è solamente sfaldato, è diventato una cosa diversa. Si sono aperte strane pozze su cui la palla rimbalzava regolamente, e chiazze di erba più brillante in cui la palla schizzava con un balzo orizzontale sulla superficie. Tipo un sasso piatto lanciato sul pelo dell’acqua di lago. Più il terreno di gioco diventava caotico, più la partita diventava caotica.

Il Maccabi Haifa sembrava un’indecifrabile accozzaglia di giocatori arrivati in Erasmus, ma quest’anno le tradizionali capacità auto-sabotatorie della Fiorentina stanno raggiungendo vette inarrivabili.

Insomma: è stata una partita magnifica.

Il primo gol, per dire, nasce da un lancio a casaccio di Ranieri che coglie il Maccabi spezzato in due. Sulla seconda palla arriva prima la Fiorentina; poi cross di Kayode e uno dei rari gol di Mbala Nzola, il quarto stagionale. Se segna Nzola vuol dire che la partita è veramente pazza.

E infatti cinque minuti dopo il Maccabi pareggia in mischia su calcio d’angolo.

Poco più di un quarto d’ora dopo passa in vantaggio grazie a un’azione in cui il Maccabi Haifa si trasforma in una squadra di Conte, con i meccanismi di esca a orologeria: la punta Pierrot che viene fuori, porta via il centrale, fa sponda e c’è un’imbucata di prima per l’inserimento del centrocampista Kinda, che lascia scorrere tra le gambe e incrocia il tiro sul secondo palo. Gabi Kinda poi celebra il gol mettendosi i polpastrelli sulla fronte probabilmente in una forma di preghiera (ha origini Falascia, ovvero ebree-etiopi).

La partita è sembrata indirizzata per un bel po’, finché Beltran non ha segnato di punta. Un bel gol va detto, anche se la palla schizza sul prato prendendo dei rimbalzi strani. Un tifoso della Fiorentina esulta in un modo che mi pare rappresentare bene quel misto di gioia, odio e follia che può caratterizzare il tifo in una partita del genere.

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Al 60’ Ikoné - in una sua versione particolarmente sgangherata - tira debole sul secondo palo, ma il portiere del Maccabi - che come potete immaginare non è un fenomeno - non trattiene e sulla respinta in qualche modo Duncan non riesce a segnare.

Un paio di tentativi velleitari di Ikoné dopo, segna il Maccabi il 3-2. Proprio nel momento in cui la Fiorentina sembra andare vicino al gol del vantaggio, in cui tutte le sue energie sono concentrate sul fare un altro gol, subisce la rete avversaria. Una roba che in quel momento non pareva proprio contemplabile. In genere in queste partite bisogna scavallare la china del brutto momento per rimetterla a posto. Khalaili fa un gol oggettivamente bello, ma il modo in cui Ranieri si fa saltare fa venire gli incubi. Si vede che il difensore va in duello molto molle e deconcentrato, e Khalaili, che è considerato uno dei migliori talenti israeliani, lo ha saltato. Era in una posizione defilata che non destava in fondo troppa preoccupazione, e invece quello si è inventato un tiro incrociato pazzesco. Ranieri infatti si porta subito le mani sulla testa.

A un certo punto le squadre smettono più o meno di difendere. Il 3-3 della Fiorentina arriva con un bel uno due tra Biraghi e Gonzalez che porta Mandragora a concludere in area col destro. La difesa del Maccabi nell’occasione è incredibile.

Poi la partita pareva finita, e invece ci ha riservato un ultimo twist, grazie al Bellingham della Conference League, ovvero Antonin Barak, che nel finale tira la palla sulla schiena di un difensore del Maccabi, ma il rimpallo inganna il portiere e la fa finire in porta.

Una partita in cui c’è tutto: condizioni meteo fastidiose, un terreno di gioco dissestato e non all’altezza del contesto europeo, giocatori strani che giocano la partita della vita, ribaltamenti di punteggio impossibili, un gran numero di gol - costruiti con uno strano mix di genialità, culo e imprecisione che diventa magica.

Il gol più giovedì sera del giovedì sera

Virilità: 2

Assurdità: 1

Anti-epicità: 9

Paura della morte: 1000000

Chi se non Patrik Schick? Se queste 4 categorie qui sopra potessero assumere la forma di un essere umano, sarebbe sicuramente la sua. Un calciatore etereo e delicato, già promessa e bidone, con un cuore fragile e una psiche ancor più fragile. Schick, capace di magia e mediocrità. Nel Bayer Leverkusen di Xabi Alonso interpreta il ruolo del caratterista, quello che spunta ogni tanto e ti fa dire: vedi funziona tutto così bene che funziona pure Patrik Schick.

Patrik Schick, un uomo senza sogni che uccide il sogno del Qarabag di fermare gli infermabili. Il Bayer non perdeva da 34 partite, poteva perdere ieri sera, ma poi è arrivato Patrik Schick: l’eroe di cui nessuno aveva bisogno. Ogni tanto i gol del giovedì sera raccontano dei piccoli drammi, arrivano da cross deviati sotto piogge torrenziali, sono fatti spizzando il pallone, con la paura nel cuore. Sono gol non belli o brutti ma che servono a ricordarci come non esiste la giustizia sociale, come alcune cose semplicemente vanno come devono andare, che sarà pure giovedì sera, la sera in cui tutto può succedere, ma certe cose no, non possono succedere.

Forse abbiamo capito che il nostro concetto lineare di tempo è sbagliato e lo abbiamo capito grazie a Qarabag-Bayer Leverkusen

A un certo punto Xhaka si accorge che il pallone è sgonfio. C’è stato un contrasto duro qualche secondo prima e forse il pallone ha perso la sua stabilità. Succede. Xhaka si ferma e richiama l’attenzione dell’arbitro. L’arbitro prende il pallone e lo tasta: effettivamente è sgonfio, pensa. Lo getta via mentre gliene lanciano un altro. Lo tasta, può andare pensa. Lo lascia cadere davanti a Xhaka, che deve riprendere il gioco. Il pallone però è ancora sgonfio. Xhaka lo prende in mano, lo fa vedere all’arbitro: effettivamente è sgonfio. Di nuovo. Come è possibile?

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È lo stesso pallone oppure è un altro? Chiunque era allo stadio e davanti alla TV ha visto chiaramente il cambio di pallone ma ora il dubbio si insinua. È possibile che un pallone sgonfio sia stato sostituito con un altro pallone sgonfio? È il pensiero razionale, cioè che si tratta di due palloni distinti e non dello stesso pallone, ma quali sono le probabilità? I palloni, qui, non sono mai sgonfi, beccarne due di seguito è come vincere alla lotteria. Oppure forse c’è altro, forse i palloni dell'Europa League stanno provando a dirci qualcosa, qualcosa tipo che il concetto lineare di tempo come lo pensiamo in realtà non esiste, che loro non vanno solo avanti, ma avanti, indietro, sopra, sotto. Che lo stesso pallone sgonfio può essere qui e lì, perché non è regolato dal tempo, non è regolato dallo spazio come su un diagramma, ma tutto vive in una condizione sferica, senza angoli, senza linee rette, senza cioè delle regole (o forse erano davvero solo due palloni sgonfi, alla fine è l'ipotesi più probabile dai).

C’è sempre quella partita

Il giovedì sera c’è sempre quella partita che pensi che forse è troppo, che forse ci vorrebbe anche un venerdì sera per queste partite terribili dove forse abbiamo piegato troppo il concetto di calcio per tutti. Questa volta è stata indubbiamente Servette-Viktoria Plzen 0 a 0.

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Cose che accadono solo il giovedì

Ciao a tutti, siamo agli sgoccioli di questa rubrica come siamo agli sgoccioli della società occidentale. Quindi, senza perdere tempo iniziamo.

La Conference League ma vuoi rompere il cazzo al prossimo e il prossimo è Tadic

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L’Europa League ma non hai capito bene

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L’Europa League ma sei al concerto di Ed Sheeran

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Vabbè allora ciao.

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