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Il bello del giovedì sera vol. 7
16 feb 2024
Il meglio del meglio da due competizioni non canore.
(articolo)
24 min
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Conosci la tua squadra del giovedì sera: Rennes

A 7 anni François Pinault porta di nascosto cibo agli alleati; i tedeschi cominciano a sospettarlo, lo prendono da parte e gli tirano due sberle: «Dove sono nascosti gli americani?!». Il piccolo François, però, non parla.

A 9 anni ha gli occhi in cielo e la bocca spalancata, mentre guarda un aereo da caccia sorvolare la sua scuola. La Francia ha vinto la guerra e il figlio del suo vicino di casa festeggia nei cieli di Rennes. Da grande avrebbe guidato gli aeroplani.

A 10 anni vede per la prima volta il mare, a Saint-Malo. Il padre vuole provare l’automobile appena acquistata e lo porta a Saint-Malo. Dopo poco vuole tornare a casa, nel piccolo mondo della segheria del padre. Tutta quell’immensità lo faceva sentire vulnerabile. Forse non avrebbe fatto l’aviatore.

A 16 anni lascia la scuola, stufo di essere preso in giro per il suo accento contadino. A casa sua non si parlava francese ma gallico. Si iscrive alla scuola dei mestieri ma qualche anno dopo lascia pure quella per andare a combattere in Algeria con l’esercito francese.

A 26 anni vende le scorte di legno del padre, ottiene un prestito dalla famiglia, e apre uno stabilimento per la lavorazione del legno vicino Rennes. Si rende presto conto che il margine di profitto è tutto a favore degli intermediari, così parte per la Scandinavia e si accorda direttamente con i fornitori. Un mese dopo una nave carica di legno arriva al porto di Saint-Malo. I portuali però si rifiutano di scaricarla: hanno un accordo con gli altri intermediari. Allora Pinault chiama un pullman, i suoi operai, gli operai dei suoi clienti, e insieme scaricano il bastimento. Inizia la sua fortuna. Alla fine degli anni ’60 la sua rete di distribuzione del legno copre l’intera Bretagna.

A 58 anni mette i suoi soldi fuori dall’industria del legno. Investe in vino, moda, lusso.

A 62 anni compra una squadra di calcio, quella della sua città: il Rennes. Nel 2000 compra il centravanti brasiliano Lucas Severino, considerato il nuovo grande talento brasiliano. «Il futuro Ronaldo» lo definisce Moratti. Spende 21 milioni: è la cifra record del club. Segnerà 2 gol in Ligue 1: 10,5 milioni a gol.

Severino, insomma, si rivelerà un immenso, incredibile flop. Darà il meglio di sé in Giappone. Pinault resta scottato e da quel momento sceglie un approccio diametralmente diverso da quello dei presidenti spendaccioni ed edonisti degli anni ’90. Al calcio Pinault applica la sua metodologia aziendale. Non sperpera, ricerca la stabilità. «È un modo per restituire alla Bretagna un po’ di quello della Bretagna ha dato a me» dice Pinault.

Fortifica il settore giovanile e i risultati iniziano ad arrivano. Escono fuori autentici fenomeni o comunque fenomenini come Brahimi, M’Vila, Briand. Tutto bello, se non ci fosse stata la tragedia della finale di Coppa di Francia del 2009, contro il Guingamp, derby bretone con annessi canti bretoni sugli spalti. Si supponeva che il Rennes potesse vincere, visto che il Guingamp era in seconda divisione. E invece ha perso, lasciandosi rimontare dopo essere andato in vantaggio. Se volete rivivere le emozioni di quella finale dalla prospettiva di una radio del Guingamp.

Il Rennes ha continuato a produrre talenti eccitanti in questi anni, creando una strana confusione col Lille. Due squadre del nord da media-alta classifica che hanno sempre attaccanti giovani, leggeri e veloci in transizione. Per chiarezza: Lille = Leone; Rennes = Cavallo; Lille = Normandia; Rennes = Bretagna.

Il Rennes è riuscito a vincere poi la Coppa di Francia nel 2019, ai rigori contro il Paris Saint Germain. La squadra schierava un attacco di puro culto formato da Hatem Ben Arfa e Mbaye Niang; un centrocampo in cui domina il principe Clement Grenier.

Il Rennes è una squadra con qualche trofeo nazionale in bacheca, e diverse partecipazioni alle competizioni europee, tra cui una in Champions League. Eppure Steve Mandanda, portiere centenario del club, ha definito la partita contro il Milan «La più importante della nostra storia». È comprensibile il prestigio di affrontare il Milan a San Siro in una partita europea, ma l’impressione è che, per motivi oscuri, l’ambiente abbia voluto caricare moltissimo questo match a San Siro. E lo ha caricato in modo goffo e strano. Il club ha acquistato una pagina sulla Gazzetta dello Sport con il claim “Dare tutto”; poi ha affittato una sala congressi di un hotel in centro per farne un punto di ritrovo per i tifosi, e per vendere il merchandising.

Il Rennes ha perso poi la partita per 0-3.

Che giocatore dell’Union Saint Gilloise sei

Koki Machida

Quella mattina indossava una camicetta bianca, dei jeans a vita alta; i capelli le cadevano in modo morbido e disinvolto sulle spalle. Quando siete passati sotto al cespuglio di gelsomini in fiore le hai detto di mettersi sotto per farle una foto. Non puoi dimenticare nessun dettaglio di quell’immagine. I fiori bianchi le incoronavano il viso, le labbra, la camicetta, quell’odore di marzo. Hai sentito una stretta agli organi interni. Poi siete andati a prendere una pianta da regalare ai vostri amici; andando via avete visto questa specie di arbusto depresso buttato in un angolo. Uno sgorbio verde e già mezzo giallo che stava cercando di morire nell’indifferenza. Decidete di prenderlo e portarlo a casa, prendervene cura con quella speciale tenerezza che si riserva alle cose malate. La guardi ora, mentre la casa è stata svuotata delle sue cose, e la vedi di nuovo morente, dopo due anni di verde e splendore. L’ha lasciata lì, andandosene via, non dandole alcuna importanza. Delle orrende macchie gialle si espandono sulle sue foglie, mentre quelle nuove nascono già morte. Hai provato ogni genere di spray, ogni tipo di rinvasamento. Quando la guardi hai l’impressione ti chieda di lasciarla morire in pace.

Gustaf Nilsson

“E questo cos’è?!” ricordi la domanda orribile, gelida e improvvisa. Ti prende la mano e te la porta dietro la testa, nel punto in cui ti stava accarezzando. C’è una protuberanza, troppo in alto per pensare possa essere un muscolo, o un semplice linfonodo ingrossato. Ti senti precipitare nel vuoto. Alla fine è successo quello che hai sempre saputo come possibile. Hai di fronte le due strade tradizionale dell’ipocondriaco: ignorare o andare nel panico. Rivestire l’oggetto delle preoccupazione di una pellicola di ansia e buttarla nel frigo del rimosso; oppure proiettarci sopra tutte le nostre energie, tutte le nostre attenzioni: chiamare il medico di base, farti segnare delle analisi, che analisi? Un’ecografia forse. Una tac? Prematura? Nei giorni successivi ti tocchi quella protuberanza un numero altissimo di volte al giorno: ti sembra ingrandita, o rimpicciolita. Non fai niente, ancora. Oscilli dalla rassicurazione - potrebbe essere una cisti sebacea - alla più cupa paura - è…-. Riesci a non smanettare su Google, su quei siti bianco e azzurri, ma cerchi di essere vigile sui tuoi sintomi: giramenti di testa? Emicrania? Fiato corto?

Il tempo, lo sai, potrebbe essere tutto.

Henok Teklab

Zio Franco se ne è andato il giorno di San Valentino. Impossibile pensare a una coincidenza: lui che non era mai stato amato da nessuno, aveva cercato l’oblio il giorno degli innamorati. Lo “scapolone” lo chiamavate in casa, il giorno di Santo Stefano, quando veniva a trovarvi portando sempre il solito panettone Motta senza canditi. Quell’ultimo natale lo avevate visto diverso. Sempre uguale, sempre quello stile anonimo ma pulito, ma con una nota di tristezza in più. Un lieve distacco dal mondo delle cose. È stato un suo amico ad accorgersene, un conoscente più che un amico. Non si presentava al laghetto di pesca sportiva da due sabati e si era insospettito. Siete andati da lui, tu e tua sorella; avete bussato in casa pieni di paura. Temevate di trovarvi l’odore sul pianerottolo, ma per fortuna niente. Nessuno vi ha aperto. Poi la chiamata ai vigili del fuoco, le telefonate a vuoto, e finalmente l’ingresso in casa, due ore dopo. L’odore di chiuso, denso; l’impressione di farsi strada tra nubi di malessere. L’odore della carta da parati, del pavimento vecchio, degli oggetti assurdi sparsi per la casa esausti. Zio Franco non era morto, se ne era andato. Eravate sollevati, e soprattutto avevate una strana sensazione di pace, come tutto fosse andato al suo posto. Sarebbero partire le ricerche, le infelicità, ma ti sembrava così giusto, quel distacco dal mondo. Sapevi in cuor tuo che non era morto.

Una cosa piccola ma buona

Torna la rubrica che quando mi ricordo porta un po’ di gioia nelle nostre vite. Sarà per questo che non mi ricordo mai? La felicità, diceva quello, è l’intervallo tra un dolore e un altro, ma se in questo intervallo c’è Bruno Petkovic che pettina il pallone con la suola, come possiamo lamentarci?

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I tifosi stanno diventando troppo nerd?

Sempre più spesso vediamo coreografie ispirate alla cultura pop: ci sono quelle a tema supereroi, quelle a tema film di Tarantino, a volte sono state dedicate a canzoni o album (tipo quella della Salernitana per The Wall), ma baby Yoda? Cosa hanno pensato i tifosi del Servette quando hanno deciso di riempire la loro curva col faccione coccoloso del personaggio di The Mandalorian? Avessero usato Yoda, quello della trilogia originale di Star Wars, sarebbe stata anche una scelta affascinante e originale: Fare o non fare, non c’è provare. Così, invece, viene da chiedersi se non siamo andati troppo oltre. Forse, semplicemente, abbiamo guardato troppe serie tv, troppi video su Youtube, troppi reel.

Gol più giovedì sera

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Virilità: 2

Assurdità: 9

Anti-epicità: 10

Paura della morte: 9

Come giudicare un gol che inizia con un colpo di tacco da stronzi? È un gol da spareggi Europa League, of course. Albert Grønbæk: capello platinato, faccia da schiaffi, ultimo fenomeno tirato fuori dal Polo Nord. Ieri era l’unico danese in campo per il Bodo, mentre gli altri 10 erano norvegesi: è questo tipo di antipatia. Arriva dall’Aarhus e fino a ieri era uno sconosciuto, oggi è l’uomo che ha segnato una doppietta all’Ajax. Possiamo dire che il Bodo è diventato l’Ajax mentre l’Ajax è diventato, boh: l’Ancona 2003? Possiamo dirlo.

In ogni caso, questi sono i gol che costruiscono l’epica del giovedì, gol dove tutto è casuale. Dopotutto lo diceva anche Napoleone: in guerra si comincia e poi si vede, mettersi lì a fare un piano è da scemi. E Grønbæk sarà anche stronzo ma certo non è scemo. Qui fa tutto senza un piano, cerca di perdere la palla in tutti i modi, ci riesce una, due o tre volte, ma non c’è verso: i giocatori dell’Ajax gliela fanno riavere, più che un pallone sembra quel gioco dove c’è una bomba pronta a esplodere ma nessuno sa quando. Alla fine Grønbæk non è che può rinunciare a fare gol, a un certo punto il piano ti arriva tra le braccia, forse è il piano del Signore, forse è l’oroscopo, forse è solo che era la notte di Grønbæk e nessuna notte può essere sua se non quella del giovedì.

Gol meno giovedì sera

Decostruzione maschile: 9

Raziocinio: 8

Epicità: 5

Voglia di vivere: 10

Albert Grønbæk ha la faccia da schiaffi perché sembra uno che non ha sofferto un singolo giorno della sua vita. Non per i soldi, né per l’amore, né per il cielo. Si è platinato i capelli per noia, perché chi non soffre davvero può soffrire giusto di noia. E con i capelli platinati sembra un influencer di TikTok che gioca a fare il chitarrista di una band punk inglese degli anni ‘80. Uno che ha preso una pratica sovversiva come decolorarsi i capelli, e l’ha resa una cazzata totalmente priva di significato.

Questo è stato uno dei gol più belli della serata di Conference League, almeno secondo la Conference League stessa. È un gol che nasce dalla costruzione dal basso, dall’intelligenza posizionale del Bodo/Glimt, dalla capacità di giocare alle spalle della pressione avversaria. Ma anche dalla tecnica di questo giocatore con la faccia da schiaffi, che fa un primo scarico di prima col tacco, e poi corre nello spazio per andare a chiudere l’azione con un tiro così brutto da sembrare una provocazione. Una strozzatura con l’interno sinistro che entra in porta beffarda.

È anche questo il giovedì sera: un mondo al contrario in cui una squadra sopra al circolo polare artico pratica un gioco di posizione impeccabile in faccia a una delle squadre che il gioco di posizione lo ha inventato. Un mondo, insomma, al contrario, in cui le invenzioni si rigirano contro i propri inventori come in un romanzo vittoriano di Mary Shelley.

Le migliori recensioni Google di stadi delle squadre di Conference League

Si scrive Servette, si legge Ginevra, una città che esce dai sogni bagnati del capitalismo, dove tutto è lineare, pulito, efficiente. Post tenebras lux è il motto della città, lo stesso della riforma protestante. Ma come vanno le cose allo Stade de Genève? Incastonato tra una ferrovia, un centro commerciale e l’A1, la strada principale del paese, è uno stadio da oltre 30 mila posti, inaugurato da una vittoria dell’Italia sulla Svizzera nel 2003.

Ma cosa ne pensano gli svizzeri? Su 2096 recensioni, la media è di 4.1, che nel mondo delle recensioni - un mondo pazzo e da cui diffidare - è un voto basso. C’è da dire che la maggior parte di quelle negative riguardano i concerti. Una cosa che non avreste mai detto: a quanto pare i ginevrini sono terribili nell’organizzazione degli eventi musicali, almeno da quello che si può leggere su Google. In ogni caso noi siamo qui per parlare dello stadio del Servette, quindi ecco le migliori recensioni che ho trovato (migliori per me ovviamente).

La squadra della nostra città è lo stadio della nostra città. l'atmosfera è fantastica. C'è un centro commerciale vicino all'hotel. L'input e l'output sono veloci e affidabili. (5 stelle)

Bellissimo stadio ma per parcheggiare bisogna andare al parcheggio Star! (3 stelle)

Magia stasera (4 stelle)

Freddo (4 stelle)

Sporco (2 stelle)

È più veloce farsi servire una birra a Wembley o ad Anfield che allo stadio di Ginevra… (1 stella)

Il posto E fila 10 è fantastico (5 stelle)

L'hotel accanto è ottimo per soggiorni brevi (3 stelle)

La trasferta delle trasferte

Per raggiungere Braga da Baku bisogna camminare per 5685 chilometri. Secondo Google Maps ci vogliono 1289 ore. Camminando 12 ore al giorno, ci vogliono 107 giorni e mezzo. In macchina le cose, ovviamente, migliorano: si allunga un po' il giro (6116 chilometri), ma ci si mette molto di meno: 70 ore. Sia in macchina che a piedi, bisogna necessariamente tagliare a metà l’Ucraina: un paese in guerra.

Ovviamente, immagino, nessuno dei tifosi del Qarabag presenti a Braga, neanche pochi (dicono 2000, credo di meno), deve aver scelto di viaggiare in macchina o a piedi. In aereo, in ogni caso, non è certo regalata: non c’è un volo diretto e per arrivare la miglior soluzione da Baku è fare scalo a Istanbul e poi volare su Lisbona. La soluzione più economica, invece, prevede due scali: uno a Fiumicino e uno a Oporto (lo so, gli incastri di volo sono strani). Sono quasi 24 ore di viaggio. Questo è il tipo di dilemma che hanno dovuto affrontare: quanto sacrificare dei miei soldi, del mio tempo, della mia comodità per novanta minuti a prendere freddo in uno stadio che sembra una scenografia da Jurassic Park? Inoltre il Qarabag era sfavorito. Farsi 6000 chilometri per beccare 4 gol, c’era questo rischio.

Chi l’ha corso, però, è stato ripagato. Il Qarabag ha vinto 4 a 2 in trasferta. Poteva segnarne anche di più: i suoi giocatori sembravano il Brasile nel 1970. Vinceva 4 a 1 e in pieno recupero ha regalato un rigore da scemi e ora il loro vantaggio in vista del ritorno non è più così sicuro. Perché è così che va il calcio: anche nella trasferta più lunga e felice della tua vita, deve esserci qualcosa che ti farà rosicare.

Pierre-Emerick Aubameyang e l'Europa League

Ieri Pierre-Emerick Aubameyang ha segnato il gol numero 30 in Europa League. Ha raggiunto Radamel Falcao in testa a questa speciale classifica che conta solo i gol da quando si chiama Europa League, ignorando giustamente la Coppa Uefa. Ha giocato un’altra grandissima partita, in questa nuova versione meno macchina da corsa più grande saggio delle aree di rigore.

Aubameyang non è stato un feticcio di questa rubrica come Falcao o ancora di più Aduriz, che è subito dietro in questa classifica. Rappresenta però l’anima più “vorrei ma non posso” dell’Europa League. Qual è il posto di Aubameyang nella storia? Ha giocato in alcune delle squadre più cool d’Europa (Borussia Dortmund, Arsenal, Marsiglia), avuto stagioni da 40 gol, ma non ha mai vinto un campionato o una coppa europea. In un mondo ideale vincerebbe l’Europa League quest’anno col Marsiglia superando Falcao, ma questo mondo è tutt’altro che ideale.

Organizza la tua trasferta: Roma

Sapevamo che prima o poi sarebbe successo ed è successo. Giovedì i tifosi olandesi scenderanno a Roma nella speranza di sovvertire quello che sembra l’inevitabile: la loro squadra che viene eliminata dai giallorossi al termine di partite equilibrate e infuocate. I tifosi del Feyenoord sono tristemente conosciuti in città per aver vandalizzato la Barcaccia, una fontana ai piedi delle scale di Piazza di Spagna.

I romani, giustamente, se la presero molto ma la verità è che la Barcaccia non è neanche tra i 10 posti più interessanti da vedere a Roma e - in generale - tutto quel piccolo quadrante della città è sopravvalutato. Abbiamo deciso allora di usare questo spazio pubblico, questa rubrica che non ha nessun senso di esistere, per dare qualche consiglio ai tifosi olandesi: perché il tifo può essere istruttivo (scherzo: però se dovete rompere qualcosa, rompete qualcosa a Roma Nord)

Un museo: Museo Delle Anime Del Purgatorio

Se dovessi definire l’Europa League con solo tre parole quelle sarebbero probabilmente: anime del purgatorio. Una realtà dove tutto è fermo e rarefatto. A Roma, dietro una chiesa che sembra una copia in miniatura del Duomo di Milano (ma i duomo si assomigliano tutti) c’è questo museo che servirebbe a dimostrare che il Purgatorio esiste per davvero. Dentro ci trovate possibili manifestazioni ultraterrene delle anime dei defunti: c’è un libro di preghiere con l’impronta di una mano impressa, delle impronte infuocate su degli abiti, tavoli, banconote. Nell’idea cristiana, sono segni di anime defunte che chiedono ai loro cari di pregare più intensamente per essere liberate dal purgatorio. Quindi, diciamo, potremmo chiamarlo anche il museo dell’Europa League.

Un cimitero: il cimitero acattolico

Perché venire a Roma e andare al cimitero? Perché il “cimitero degli inglesi” è il segreto meglio conosciuto della città, un angolo nascosto tra la Piramide Cestia e il Foro Boario dove cercare la serenità nel grande silenzio della morte, esattamente una cosa da fare prima di una partita. È un luogo suggestivo, ricco di bellezza tra arte e natura. Qui sono sepolti Percy Bysshe Shelley, John Keats, Antonio Gramsci, Carlo Emilio Gadda, ma il suo fascino va oltre i nomi. Trovate storie del passato, gatti che girano indisturbati, alcune mattine un bel sole che bagna il marmo.

Una statua: la statua di Giovanni Paolo II

Roma è città di tante cose ma soprattutto di Papi e statue. Ogni tanto le due cose collidono, come in questa statua, che si trova poco fuori la Stazione Termini (quindi è anche comoda). È la statua di Giovanni Paolo II, sta lì dal 2011 e dopo un po’ di confusione iniziale è diventata parte del paesaggio. C’è da dire che, rispetto alla versione originale, nel 2012 sono stati fatti dei ritocchi, per farla somigliare all’ex Papa. Inizialmente, infatti, la somiglianza era piuttosto blanda, per qualcuno addirittura somigliava a Mussolini. Inoltre anche la sua struttura non è stata apprezzata da tutti, più simile a «una tenda aperta o, come ha detto qualcuno, a una campana». C’è da dire che questo è ancora vero.

Se guardate bene, però, la vera somiglianza è a Batman. Sì, proprio lui, l’uomo pipistrello. Magari potrà suonarvi un accostamento blasfemo, e magari lo è, ma per la città è diventato un riferimento affettuoso. Il Papa che veglia su questa Gotham City del 2000, pronto a proteggerla dal male appena qualcuno sparerà nel cielo il Papa-segnale.

Un piatto: la Carbonara

La Carbonara è gioia e dolore di Roma. Invidiata, discussa, celebrata, santificata. Si può davvero perdere la testa dietro a un piatto di pasta? La Carbonara rappresenta tutto ciò che di sbagliato c’è nella nostra idea di territorialismo, alimentazione, rispetto degli altri. Usi la pancetta: devi morire. Fai rapprendere l’uovo: vaffanculo. Usi solo pecorino o lo mischi col parmigiano? Se non hai una risposta a questa domanda non sei un uomo. Vi starete chiedendo perché state leggendo questo rant in una rubrica sull’Europa League. Effettivamente non c’è una risposta, ricordatevi però che l’uovo crudo può uccidervi.

Il gemellaggio tra Feyenoord e Napoli

Roma e Feyenoord, come sapete, si sono affrontate una quantità pericolosa di volte nelle ultime stagioni. I loro tifosi si sono spesso ritrovati a condividere uno stadio, a ospitare e a venire ospitati. E per gli ultras, come potete immaginare, funziona come per le coppie esaurite: più ci incontriamo, meno ti sopporto, più ti odio. Non è chiaro se il fattore scatenante di questo odio sia stata la famigerata devastazione della Barcaccia del Bernini, nel 2015 - con annesso arresto di 28 ultrà olandesi. Il sindaco di Roma era Ignazio Marino, per darvi una misura del tempo. Più semplicemente sembra il continuo affrontarsi ad aver creato questa antipatia.

A livello geopolitico il mondo ultras funziona in modo semplice: se sei nemico del mio nemico allora sei mio amico. Nessuno odia la Roma quanto i tifosi del Napoli, che quindi hanno trovato nel Feyenoord un alleato. A metà aprile i tifosi napoletani e quelli del Feyenoord si sono ritrovati a Napoli, con birre e bandiere, e si sono scattati una foto davanti a Castel dell’Ovo per suggellare la loro amicizia.

I tifosi del Feyenoord hanno assistito al San Paolo alla partita di Champions League contro il Milan, prima di spostarsi a Roma per l’incontro di quarti d’Europa League contro la Roma, nonostante la trasferta fosse vietata. Diversi tifosi del Napoli hanno fatto da prestanome ai tifosi del Feyenoord per permettergli di acquistare il biglietti.

Ieri si poteva notare al de Kuip uno striscione con scritto CIRO VIVE. La prossima settimana si gioca a Roma e questa volta la trasferta non è vietata.

Quanto è vecchio Steve Mandanda

Ed eccoci tornati a uno dei topic prediletti di questa rubrica: l’età di Steve Mandanda, portiere del Rennes. Perché ci ossessiona questo tema? Perché è sempre più difficile calcolare l’età di Mandanda, considerando quanto il tempo sia un concetto relativo e dipendente, nella sua percezione, da parecchie variabili. Il tempo misurato dai nostri orologi e calendari e quello dell’esperienza entrano in contatto tra loro in modo spesso equivoco. Cosa pensereste, per esempio, se vi dicessi che è la seconda volta che Mandanda subisce una doppietta europea da un giocatore del Milan, e che la prima volta l’aveva subita da Pippo Inzaghi. Era il 2009.

L’unico altro giocatore presente in quel match che è ancora in attività è Thiago Silva. Voi direte, vabbè, magari Mandanda era giovanissimo. In realtà si trattava già della sua QUINTA STAGIONE DA TITOLARE in un club. Quando Mandanda ha giocato la prima stagione da titolare non era ancora stato inventato l’iPhone.

Ok, questo è un modo per misurare l’età di Steve Mandanda. Un’altra cosa che devo dirvi, è che Mandanda è diventato il più anziano esordiente della Francia a un Mondiale. Questa cosa è successa nel 2018, ovvero 6 anni fa. Ed è successa a dieci anni di distanza dall’esordio di Mandanda con la Nazionale francese, nel 2008.

Ora andiamo avanti e arriviamo al 2022. La di Mandanda carriera sembra francamente finita, visto che l’OM in porta gli preferisce Pau Lopez. Non gioca in Nazionale francese da due anni. Eppure lui riesce comunque a farsi convocare ai Mondiali, e a giocare pure una partita, contro la Tunisia, diventando il giocatore della Francia più anziano ai Mondiali.

A gennaio Hugo Lloris, che ha avuto una carriera per certi versi parallela alla sua, ha annunciato il ritiro dalla Nazionale francese. Si è cominciato a parlare di una nuova convocazione di Mandanda, visto che nel frattempo è tornato titolare di una delle migliori squadre di Francia, e allora è stato costretto al ritiro. Le parole del ct Didier Deschamps somigliano a quelle che si riservano a un soldato morto più che a un portiere: «Steve ha servito la squadra francese per sedici stagioni, non sempre nel ruolo che avrebbe voluto. Ma ha sempre dimostrato grande professionalità, coinvolgimento totale e grande voglia di dare risalto al collettivo. Molto apprezzato dai giocatori e dallo staff, anche molto rispettato, era agli occhi di tutti più di un secondo portiere».

Se Mandanda si è ritirato dalla Francia, però, significa per riflesso che non ha ancora intenzione di ritirarsi dal calcio in generale.

10 giocatori del giovedì sera per 10 album di Kanye West

2004 – The College Dropout - Pierre Erick-Aubameyang

Uno dei due genitori traccia una strada per lui: il college (il Milan). Lui però vuole farsi strada solo, prendendo una strana più irregolare e meno scontata, ovvero la musica (il Saint Etienne). Il suo rap e le sue produzioni si rivelano fresche pur mantenendo una vocazione indie (il Borussia Dortmund).

2005 – Late Registration - Angel Di Maria

I suoni si fanno più stratificati, si riempiono di riferimenti alla tradizione, ma si rimane fondamentalmente accessibili al vasto pubblico.

2007 – Graduation - Ruben Loftus-Cheek

Tutta la musica può essere musica hip hop: ci si può aprire a diversi generi rimanendo sé stessi, dei centrocampisti box-to-box forti nei duelli individuali e letali in area di rigore.

2008 – 808s & Heartbreak - Steven Berghuis

Largamente frainteso ai suoi inizi, scambiato per un lavoro freddo e anempatico, conoscerà la sua fortuna più in là degli anni, quando la musica e il calcio prenderanno la sua forma.

2010 – My Beautiful Dark Twisted Fantasy - James Tavernier

Capace di mettere d’accordo pubblico e critica, rappresenta il compendio spirituale di tutti gli album di Kanye e i giocatori del giovedì sera della storia.

2013 – Yeezus - Rafael Leao

Forte, tecnico, con tutti i numeri al posto giusto, prototipo di modernità perfetto, eppure si comincia a percepire un velo di decadenza; si intuisce che il massimalismo sta andando fuori controllo.

2016 – The Life of Pablo - Gianluca Scamacca

Splendidi guizzi e intuizioni, ma dentro una struttura così caotica e frammentata da far venire il mal di testa.

2018 – Ye - Mbala Nzola

Un paio di pezzi ok da salvare dentro quella che, in generale, sembra una brutta idea.

2019 – Jesus Is King - Mauro Icardi

Musica religiosa fatta risuonare attraverso una spiritualità vuota e assente. Affascinante come le cose profondamente inquietanti possono essere.

2021 – Donda - Azzedine Ounahi

Tentativo di sintesi di classico e contemporaneo, un dieci etereo e classico nel corpo di una mezzala moderna. Ci resta in mano un risultato incompiuto e insoddisfacente. Bastava così poco per fare meglio.

2023 - Vultures - Romelu Lukaku

Kanye come un attore decaduto che viene chiamato in qualche cameo per interpretare la parte dell’attore decaduto, che cita qualche vecchia battuta ormai svuotata di qualsiasi vitalità. Si tira a campare, frustrati e pieni di rimpianti.

I migliori salvataggi da ieri sera

C’è sempre un filo invisibile che lega le partite dello stesso giovedì. Possono essere i gol su rigore, i pali, il freddo, gli espulsi, l’odio, l’amore. Ieri erano i salvataggi miracolosi. È stato un turno pieno di parate disperate, palloni respinti sulla linea, spazzate carismatiche. Se fossimo in grado di fare questo lavoro bene, avremmo potuto presentarvene almeno una decina, ma non siamo in grado. Fatevi allora andare bene questa top 3.

3) Kevin Danso in Lens-Friburgo 0 a 0

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Il nome di Kevin Danso è salito alla ribalta in estate, quando è sembrato poter essere il rimpiazzo di Kim al Napoli o comunque il nuovo centrale di qualche squadra di alto livello. Poi è rimasto a Lens e niente: se ne riparlerà l’estate prossima. Ieri a un certo punto ha fatto questa cosa qui. È un salvataggio che trasuda arroganza, Danso si sostituisce al portiere non tanto perché il portiere non c’è, perché c’è, quanto piuttosto perché ha deciso che quel pallone lì deve prenderlo lui.

2) Enzo Crivelli in Servette-Ludogorets 0 a 0

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Enzo Crivelli è uno di quei centravanti la cui più grande risorsa è l’essere grossi. A volte, però, è anche il più grande limite. Qui Crivelli salva, ma salva per gli avversari. Proprio non ce la fa a togliersi, ci prova si vede, ma niente. Il suo corpo è troppo pesante, i suoi riflessi rallentati da troppe battaglie. C’è da dire che il suo compagno poteva dargli una mano, non tirargli proprio addosso come se fosse invisibile. Sembra esserci una punta di cattiveria nel suo tiro, come se fosse più importante mettere in ridicolo Crivelli che non segnare. Per il Servette era un’occasione d’oro per portarsi avanti nel doppio confronto, ora deve andare a vincere a Razgrad, contro una squadra il cui nome vuol dire foresta di pazzi.

1) Fernando Muslera in Galatasaray-Sparta Praga 3 a 2

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La domanda qui è una: Muslera avrebbe in qualche modo potuto togliere la sua faccia? Ovvero, il suo è stato un estremo atto di coraggio oppure semplicemente si è trovato al posto sbagliato al momento sbagliato con la faccia sbagliata? In ogni caso bisogna premiare la sua parata slapstick, un gesto che starebbe bene dentro a un film muto. Anzi, volendo trovare dei riferimenti, possiamo dire che qui Muslera sta omaggiando i 70 anni di Matt Groening, il creatore dei Simpson, che li compiva proprio ieri. La sua parata di faccia, infatti, somiglia molto al celebrato Pallonata all’inguine di Hans l’uomo talpa.

Cose che accadono solo il giovedì

Eccoci alla prima rubrica-non rubrica, uno spazio al sicuro delle intelligenze artificiali perché non c’è niente di artificiale o intelligente in quello che sta per succedere. Una rubrica sul niente avrebbero detto negli anni ‘90, una rubrica su tutto diciamo noi nel 2024.

L’Europa League, ma indichiamo tutti qualcosa

La Conference League, ma da guardare vieni guardato

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La Conference League, ma non ti è chiara la funzione dei pali

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Hasta la vista.

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