
I 5 peggiori momenti della sconfitta del Milan
Partiamo dal presupposto che non c’è nessuna vergogna nel perdere una partita, tanto più se giochi contro una squadra forte e ben allenata come il Betis di Siviglia: i gironi dell’Europa League, d’altra parte, non possono essere sempre quel torneo dopolavoristico che amiamo descrivere in questa rubrica. Il problema, più che altro, è il modo in cui è arrivata questa sconfitta, quel dominio senza appello della squadra spagnola in campo (almeno nel gioco, a livello di pericolosità offensiva invece le due squadre sono state di fatto equivalenti) condito da una lunga serie di momenti da fine impero che hanno fatto presagire un esonero di Gennaro Gattuso a molti tifosi del Milan. L’allenatore calabrese a fine partita ha dichiarato che in questo momento non sta pensando al suo futuro (in realtà ha detto “al mio culo”, ma insomma stiamo pur sempre parlando di Gattuso), e non lo faremo di certo nemmeno noi qui, dove non abbiamo potuto far altro che raccogliere i 5 momenti più umilianti della sconfitta di ieri. Scusaci Rino, non è colpa nostra se spesso la tragedia si mischia alla commedia.
1) Il momento in cui ci siamo chiesti che fine ha fatto Mattia Caldara
Per arginare il dominio del Betis, ad un certo punto Gattuso ha provato a mettersi a specchio passando alla difesa a tre ma, nonostante avesse in panchina uno dei giovani centrali da difesa a tre più forti del campionato, ha deciso di stringere la posizione di Calabria, mettendo Borini a tutta fascia. Difficile capire cosa stia succedendo a Caldara al Milan, visto che per adesso ha giocato appena 90 minuti e già girano articoli su una sua prossima sostituzione con uno tra Rugani e Benatia, fatto sta che la mossa non ha funzionato. Calabria non è un centrale e il Milan dopo quel cambio ha prestato ancora di più il fianco alle coltellate del Betis, come l'inserimento di Lo Celso che ha costretto Reina ad uscire fino alla mediana per evitare un pallonetto ancora più umiliante.
2) Il capitombolo di Romagnoli sull’1-0 del Betis
Non è stata una brutta serata solo per il Milan a livello collettivo, ma anche per i singoli giocatori rossoneri. Romagnoli, ad esempio, è stato molto in difficoltà nel scegliere i tempi di attesa e intervento, ed è sembrato sempre in apnea contro un giocatore molto dinamico come Sanabria. Sul gol che ha aperto le marcature, ad esempio, si perde il suo taglio alle spalle e se lo ritrova improvvisamente davanti: Romagnoli allora prova a tenerlo con il corpo mettendogli il braccio davanti, ma Sanabria sfugge via come una mangusta, facendolo ruzzolare a terra con una capriola all’indietro. Il risultato è la palla in rete e Romagnoli sofferente a terra in questa posizione.

3) La rosicata di Higuain
Conosciamo tutti Higuain e quanto possa andare fuori controllo quando rosica perché le cose non gli riescono. Ieri, poco prima della fine del primo tempo, l’attaccante argentino ha avuto la possibilità di pareggiare, con la porta spalancata dopo aver superato il portiere avversario, ma proprio nel momento in cui stava per segnare gli si è materializzato davanti Mandi, che con un intervento in scivolata irreale è riuscito a mandare la palla in calcio d’angolo. È stato chiaro quasi a tutti a quel punto che Higuain non stesse provando a prendere per il collo Mandi - che da fine conoscitore della psicologia umana l’aveva preso in giro subito dopo il suo intervento - per un presunto fallo da rigore, ma per eliminare dalla faccia del pianeta l’ennesimo disturbatore della sua felicità.
4) L’espulsione di Samu Castillejo
A proposito di rosicate, cosa dire dell’espulsione di Castillejo ad un minuto dalla fine per un fallo di pura rabbia su Lo Celso? Difficile sfuggire alla tristezza quando Samu Castillejo esce dal campo tra gli applausi di una parte del pubblico mentre protesta con il quarto uomo.
5) La busta terrificante di Moron
Ma forse c’è stato un momento più triste persino dell’espulsione di Castillejo: quello in cui Loren Moron, dopo pochi minuti dalla sua entrata, ha sbeffeggiato Laxalt con un gioco di gambe elegantissimo che si è concluso con una busta terrificante, di quelle che quando le subisci ti guardi intorno per vedere se qualcuno se n’è accorto. Ora, c’è solo una cosa peggiore che subire quel tunnel all’82esimo del secondo tempo mentre stai perdendo così male, e cioè prendere quel tunnel da un giocatore con questa pagina Wikipedia.

Fa male.
La grande partita della Lazio coincide con un’altra partita da titolare di Caicedo
La Lazio quest’anno non ha convinto. I biancocelesti sono quarti in classifica con 18 punti e hanno vinto tutte le partite che dovevano vincere. La squadra di Inzaghi ha però sbagliato tutte le partite importanti, contro squadre sulla carta più forti o almeno dello stesso livello: il modo più facile per gettare ombra sul proprio valore.
La Lazio aveva quindi bisogno di una partita importante ed è arrivata ieri. Se è vero che l’Olympique Marsiglia non sta vivendo il suo momento migliore, è pur sempre la squadra finalista dello scorso anno, che ha aggiunto al suo undici titolare un giocatore di livello assoluto come Kevin Strootman. La prestazione della Lazio non può quindi essere sminuita, soprattutto per il controllo assoluto che la squadra di Inzaghi ha avuto sulla partita, oltre che per la brillantezza di alcune azioni. Abbiamo preso le immagini del secondo gol perché rappresentativo di un’efficacia che la Lazio non sembrava riusciva toccare quest’anno.
Parolo recupera palla poco fuori dalla propria area di rigore e la lascia a Milinkovic. Il serbo verticalizza subito sulla fascia dove Immobile si era allargato. È uno di quei movimenti che rendono il centravanti formidabile in transizione: non solo per la sua capacità individuale di correre negli spazi, con e senza palla, ma anche per come legge le azioni. Con Caicedo in campo Immobile non può dedicarsi solo alla ricerca della profondità ma deve alternarsi anche nei movimenti incontro, e in questo caso si propone con i tempi esatti largo a destra.
Quando riceve palla non ci pensa un attimo a puntare Rami, che è a disagio a difendere con tutto quel campo alle spalle e non riesce ad accorciare. A quel punto Caicedo si infila oltre la difesa ed Immobile lo segue con un preciso filtrante col sinistro, che Caicedo trasforma in gol. La Lazio ha quindi segnato con 3 passaggi: una verticalità che sembrava arruginita in questa stagione, forse favorita da un OM troppo spesso spezzato in due
L’OM è poi riuscito a rientrare in partita grazie a una punizione pazzesca di Payet - una di quelle punizioni segnate da una zolla di campo in cui l’idea di prendere l’angolo sotto l’incrocio dei pali sarebbe cervellotica per qualsiasi giocatore - ma poi la Lazio ha chiuso di nuovo i conti con un tiro assurdo di Marusic di sinistro, dall’aria un po’ casuale ma comunque notevole.
Gli xG dicono che la Lazio ha meritato la vittoria.
Non è la prima volta che Inzaghi schiera Caicedo insieme a Immobile nel 3-5-2: una scelta logica nel modulo scelto da quest’anno dal tecnico, che offre uno sbocco in più in profondità, ma paradossale se pensiamo che uno dei difetti più grandi che si imputava alla Lazio a inizio stagione è quello di non avere in rosa un’altra punta di livello al di fuori di Ciro Immobile.
Caicedo è partito titolare cinque volte, e la Lazio ha sempre vinto.
Contro il Milan, Giovani è stato Lo exCelso
Neppure tre mesi fa Giovani Lo Celso sembrava essere finito in un cul-de-sac dal quale era complicato pronosticare un’uscita indenne: avevamo un po’ tutti l’impressione di assistere all’ennesimo fade out di un talento cristallino bruciato, troppo presto, da un salto di categoria del quale non aveva saputo reggere la pressione.
Al PSG, dove Unai Emery lo aveva relegato a un ruolo strano, da playmaker basso, per svolgere il quale aveva tutte le caratteristiche ma in cui non appariva per niente a suo agio, un ruolo in cui l’aveva fatto esordire in una delicata partita di Champions League, al Bernabeu, praticamente bruciandolo, era finito ai margini. E Sampaoli, che pure lo aveva sovraccaricato di aspettative, al Mondiale non gli aveva concesso che una manciata di minuti, nonostante il centrocampo dell’Albiceleste non è che avesse brillato per dinamismo e fantasia.
Scegliere Siviglia, il Betis, dove ha trovato Quique Setién, è stata probabilmente, ad oggi, la migliore scelta di carriera che Giovani potesse fare. Il tecnico cantabrico ne ha compreso l’essenza più profonda, il potenziale, o forse si è solo affidato al suo istinto e ha deciso di scommettere. In ogni caso, ne ha fatto un centrocampista assoluto. Il risultato è la partita giocata ieri sera contro il Milan.
La performance di Lo Celso di ieri è sembrata l’eruzione dell’Eyjafoll del 2010: non tanto per la magnitudo tellurica, quanto per la portata degli effetti, devastanti perlopiù perché inattesi, sull’area circostante. Come la nube di cenere dell’Eyjafoll mandò in default il traffico aereo di mezza Europa, allo stesso modo Lo ExCelso, soprannome che negli ultimi due mesi si è dimostrato più che calzante, è calato sul campo di San Siro con una tracotanza dominatrice di cui le statistiche restituiscono solo in parte la dimensione.
Lo Celso è stato l’epicentro nevralgico della manovra bética: per i suoi piedi sono passati un quarto delle trame di passaggi totali della squadra, con una percentuale di riuscita dell’86%. Ha sfatato ogni mito, ogni polaroid che ce lo dipinge nell’immaginario collettivo come un trequartista eminentemente offensivo, giocando una partita invece molto pragmatica, fatta di punti imbastitura efficaci oltre che, ovviamente, di passaggi filtranti a tagliare fuori le linee, tocchi di satin e apertura di linee di passaggio immaginarie come le biblioteche di Borges.
Il torto più grande che possiamo fare a Lo Celso, oggi, è continuare a sottolinearne i paralleli con Di Maria. Ok, rosarini entrambi, le radici canalla condivise, una certa attitudine a tirar fuori dal cilindro, così, d’amblé, una conclusione dalla trequartiflamboyante per esecuzione ed effetto. Lo Celso stesso una volta ha detto «Di Di Maria mi piace la maniera in cui spezza l’equilibrio, la rapidità, come vince i testa a testa. Ma guardo più volentieri Iniesta, mi piace il suo essere uomo-assist, il suo giocare con la testa alta».
Nel centrocampo bético, a differenza di William Carvalho e Sergio Canales, Lo Celso è il meno prevedibile in quanto a compiti svolti: ieri ha creato 4 occasioni da gol, servito l’assist a Sanabria e tirato verso la porta di Reina 3 volte, di cui due da fuori area, è vero. Però ha anche effettuato 4 anticipi, vinto 5 tackles sui 6 approntati e recuperato - Giovani Lo Celso, quello che ci rapiva il cuore quando partiva largo sulla fascia d’attacco - 12 palloni: nelle statistiche difensive del Betis, ieri sera, è stato secondo soltanto a Bartra.
A differenza del “Fideo”, Giovani ha saputo portare a compimento il processo di maturazione di una multidimensionalità necessaria, dando vita a un giocatore completamente diverso da quello che conoscevamo, tutto in divenire, tanto nel Betis quanto - a giudicare da come lo sta utilizzando Scaloni, fidandosi di Quique - nell’Albiceleste. Un giocatore che sarà un piacere scoprire, di nuovo, un po’ per volta.
Purtroppo dobbiamo ammettere che il nome dell’allenatore dell’Eintracht somiglia pericolosamente ad ADOLF HITLER
Bisogna avere un certo coraggio a nascere in Austria nel 1970, in un momento in cui il mondo sta cominciando a conoscere la rivoluzione per i diritti civili, e chiamare il proprio figlio Adolf. Specie se il cognome che porterà sulle spalle è Hutter, che letto con la dieresi suona “Hiutter” e che quindi, tutto intero, suonerà ADOLF HIUTTER. Provate a pronunciarlo, quanto andate vicino a pronunciare ADOLF HITLER?
Molto. È per questo che, diciamo dopo la fine della seconda guerra mondiale, è molto difficile che qualcuno dia il nome di Adolf al proprio bimbo. Per dire, su Wikipedia esistono solo tre persone che si chiamano Adolf nate dopo il 1945: Adolph Leonard Reed Jr., scienziato politico statunitense; Adolf “Dado” Topic, cantante croato e, appunto, Adolf Hutter, ex calciatore e attuale tecnico dell’Eintracht Francoforte.
Quindi, Adolf Hutter è l’unico personaggio famoso al mondo nato in Austria a chiamarsi Adolf. Quanta fede per il concetto del Nazionalsocialismo dovevano avere i genitori di Adolf Hutter per chiamare il proprio figlio così, in totale controtendenza con i valori del mondo occidentale in cui vivevano immersi? Pensiamo male a pensare così? Magari è perché un vecchio nonno di Adolf si chiamava, semplicemente, Adolf?
In tutti gli articoli in cui ci si domanda se un giorno sarà “Ok” chiamare il proprio figlio Adolf viene citato Adolf Hutter. E per questo nessuno chiama Adolf Hutter “Adolf” bensì “Adi”. La ricorrenza del nome Adolf è forse anche un buon modo per tracciare l’evoluzione della popolarità della destra nazionalista in Germania oggi: solo 13 bambini sono stati chiamati Adolf tra quelli nati tra il 2006 e il 2013, ma 46 bambini invece dal 2013 a oggi. Nessuno di loro però si avvicina al suono di Adolf Hitler quanto Adolf Hutter.
Il gol più strano che vedrete oggi
4 cose strane di questo gol:
- Sembra uno schema, un’azione coordinata di una squadra per arrivare a un esito comunque non pianificabile: un gol con una bomba da 35 metri.
- Il tipo di tiro provato dai due giocatori è lo stesso: un collo esterno di prima.
- C’è una certa esattezza geometrica, se avete uno sguardo abbastanza autistico da farci caso, nella traiettoria del passaggio unita a quella del tiro, eccetera eccetera.
- La violenza di certi tiri, come questo, a volte è davvero comica. Cioè, guardatelo: è sproporzionata.
5 outfit di Zara perfetti per Clement Grenier
Ottobre 2018, Trump presidente degli Stati Uniti d’America, Clement Grenier gioca ancora a calcio nel Rennes ed ha appena segnato un gol in Europa League che è un dipinto della sua carriera. Non un dipinto celebrativo, ma uno di quelli disegnati dai pittori della nuova oggettività: un dipinto che vuole rappresentare attraverso l’esattezza delle forme il dramma sotterraneo dell’essere umano.
Grenier, con la barba di due giorni, il capello spettinato con cura, ha segnato su calcio di punizione. Una punizione tirata con una rincorsa frontale, cercando un effetto sghembo sul pallone. Una tecnica che Grenier ha imparato da Juninho Pernambucano. A un certo punto della sua carriera questo tipo di punizione Grenier sognava di segnarle in Champions League, contro una grande squadra, in una grande vittoria. Invece la vita ha toccato in sorte a Clement Grenier questo gol in Europa League, in una sconfitta in casa contro la Dinamo Kiev, su una punizione un po’ loffia, che tutti attribuiranno vincente solo a causa dell’indecisione del portiere.
In compenso la vita ha dato a Grenier una grande eleganza, ecco quindi 5 outfit di Zara che gli starebbero benissimo, per celebrare, in fondo, un uomo che è un manichino di Zara che ha preso vita.
Grigio doppiopetto anni 30

Quest’anno sta tornando il doppio petto, rivisitato un po’ sformato. Grenier ha quel fisico un po’ tisco perfetto per lasciarsi sformare giacche che gli uomini di un secolo fa portavano tagliate sopra le spalle.
Personaggio di un film di Jim Jarmush

Un po’ maledetto, un po’ clochard, con questo cappotto gigante che scende sopra un pantalone grigio gessato.
Classico, James Bond

Buono per una cena di gala a Rennes, una città famosa per le sue cene di gala.
Collo alto

Un altro classico di questa stagione. Perfetto per far sembrare Grenier un attore introverso di un film di Chabrol.
Pullover

Il tipo di maglioni prodotti appositamente per Clement Grenier.
Mbwana Samatta è il più forte calciatore della storia della Tanzania e gioca in Europa League
La Tanzania è quel tipo di posto di cui si parla solo per ricordarci che nel mondo si muore ancora di fame. Se digitate ora Tanzania su Google l’unica notizia che esce fuori, per dire, è che a Verona stanno varando un’iniziativa per aiutare “i bambini della Tanzania”. Di sicuro non si parla della Tanzania per quanto riguarda il calcio: la Nazionale della Tanzania non ha mai ottenuto un risultato rilevante, mai. Nel palmares la squadra può vantare solo tre Coppe CECAFA, la più antica competizione per nazionali mai istituita in Africa, è vero, ma vi partecipano solo le squadre dell’Africa orientale e centrale. Diciamo non il posto del mondo con la più raffinata tradizione calcistica: Zambia, Kenya, Somalia, Tanzania, Zimbabwe, Malawi, Etiopia e Uganda, autentica dominatrice con 14 trofei vinti.
L’unica qualificazione della Tanzania alla Coppa d’Africa - dico alla Coppa d’Africa - risale al 1980.
Qui il reperto video di una partita in cui la Tanzania riceve una dura lezione dalle Superaquile della Nigeria.
Ieri però un giocatore della Tanzania ha segnato in una competizione europea, tra l’altro la regina delle competizioni europee. Questo giocatore si chiama Mbwana Samatta e posso dire con un po’ di sicurezza che stiamo parlando del più forte giocatore di calcio della storia della Tanzania. Samatta è nato a Dar es Salaam, la più grande città della Tanzania, per tutti Bongo. Ha mosso i primi passi nell’African Lyon, si è poi spostato al Simba per consacrarsi infine nel Mazembe, in Congo, dove Samatta ha segnato 60 gol in 103 partite. Come seguendo delle logiche ancora coloniali, Samatta si è poi spostato in Belgio, nel Genk, dove dal 2016 ha messo insieme 26 gol in 88 presenze.
Samatta è un attaccante brevilineo, rapido e tecnico. La prestigiosa Silkia Sauti TV gli ha dedicato una compilation in cui le sue azioni sono paragonate a quelle di un attaccante argentino, tale Lionel Messi.
Un video in cui Samatta, bisogna ammetterlo, non sembra esattamente quello che si dice “una forza della natura”. Samatta, che gioca al Genk con la numero 10 dei fenomeni, però sta funzionando in Europa League, ha già segnato 3 gol, di cui due ieri sera contro il Besiktas. Il primo, bellissimo, dell’1 a 0 dopo una grandissima azione: un tiro al volo di piatto destro sotto la traversa; il secondo sempre di piatto su un cross rasoterra.
Oggi Samatta è l’unico giocatore della Tanzania a giocare in Europa. In questa stagione ha già segnato 14 gol in 16 partite; ha 26 anni e il futuro in Europa League è tutto suo.
Conosci la tua squadra di Europa League: Akhisar

Nei pressi di Akhisar, la città detta “Castello bianco”, sorge Thyateira, una delle sette chiese dell’Apocalisse. Attorno a Thyateira è stata uccisa la regina Jezabel, sbranata da dei cani così come annunciato dal profeta Elia. Jezabel bellissima, potente e lussuriosa, truccata e discinta forse per corrompere uno dei primi gruppi di cristiani presenti nella zona.
Akhisar si innalza sulla piana al nord della Lydia ed essendo un importante snodo geografico ha vissuto una storia intensa. L’occupazione persiana risale al 500 a.C. mentre l’era dell’impero romano è cominciata attorno all’80 a.C. Akhisar è stata teatro di tantissime battaglie tra le forze arabe e quelle bizantine e il sangue versato è arrivato fino al XX secolo. Nel 1922 l’armata nazionalista turca ha ucciso 7 mila cittadini greci: da quel momento non ci sono più cristiani ad Akhisar. Gli storici sembrano concordare sul fatto che il denaro sia stato inventato dai Lidi ed essendo Akhisar il più importante centro commerciale della Lidia è probabile che questa, signore e signori, sia stata la prima città al mondo in cui si sono usati i soldi.
Se volete dei grandissimi fan del denaro forse vi verrà voglia di andare a tributare un saluto ad Akhisar. Certo, non ci troverete chissà cosa. Nei vincoli attorno alla moschea potreste gustare da uno dei carrettini di street food un panino con le polpette, specialità del luogo. Oggi Akhisar è famosa soprattutto per la produzione di olio d’oliva e tabacco, con quest’ultimo che copre circa il 10% della produzione nazionale turca. Dallo scorso anno ha però senso fare un salto ad Akhisar per guardare giocare la squadra di calcio locale.
L’Akhisar ha una storia giovane: è nata nel 1970 dalla fusione di due altri club ed è arrivata nella Super Lig turca appena nel 2012. Il 10 maggio dello scorso anno l’Akhisar ha però compiuto un piccolo miracolo sportivo, vincendo la Coppa di Turchia in finale contro il Fenerbahce. Un traguardo che gli ha permesso la qualificazione in Europa League. In panchina c’era il grandissimo, il leggendario Okan Buruk.
Oggi Okan non è più sulla panchina dell’Akhisar ed è forse per questo che la squadra sta rimediando queste brutte figure in Europa League. Ieri ha preso sei dolorose sveglie dal Siviglia e ora la squadra giace depressa all’ultimo posto in classifica del gruppo J: 3 sconfitte, zero punti, 9 gol subiti e 1 solo segnato. Senza girarci troppo attorno, l’Akhisar è una delle peggiori squadre di questa Europa League, ma possiede alcuni motivi per farvela stare simpatica:
- Il suo logo consiste in un pallone verde portato in volo da due ali dorate, probabilmente magiche.
- Ieri giocava con la mezzaluna turca al centro del petto, cosa che la faceva assomigliare alla Nazionale turca. Per qualche secondo ho davvero pensato che la Nazionale turca stesse giocando in Europa League contro il Siviglia.
- Uno dei più grandi calciatori della storia dell’Akhisar è Theofanis Gkhekas, il bomber greco basso e stempiato con la faccia da povero Cristo a cui affidarti quando ti servono gol facili dentro l’area di rigore.
- In rosa attualmente c’è un giocatore che si chiama Elvis Manu.
- C’è anche tale Helder Barbosa, un centravanti portoghese di poco più di un metro e 70 che non segna mai ma che ha segnato, per qualche ragione che solo il destino può conoscere, il gol vittoria della finale di Coppa di Turchia.
Power ranking dei numeri 99
Cosa c’è di più anti-nostalgico dell’accoppiata Europa League + maglie numero 99? Ieri ben otto novantanove hanno calcato i campi sempre più freddi della competizione sempre più calda, ecco il loro power ranking.
8° Andrej Lunëv - numero 99 dello Zenit San Pietroburgo
Nato a Mosca, portiere, ha scelto il 99 perché i 99 posse erano il suo gruppo preferito quando aveva 14 anni.
7° Levan Kenia - numero 99 del F91 Dudelange
Jolly di centrocampo dai natali georgiani, veste il numero 99 per ricordare di quella volta in cui stava per firmare per il Barcellona e poi, invece, no.
6° Apostolos Giannou - numero 99 del Larnaca
Nato in Grecia, nazionale in Australia, centravanti a Cipro. Tante patrie ma un solo amore: Cristiano Lucarelli al Livorno. Il numero 99 è per lui.
5° Mislav Oršić - numero 99 della Dinamo Zagabria
Una stagione allo Spezia, tre tra Sud Corea e Cina, indossa la maglia numero 99 perché in quell’anno lì è uscito Fight Club, il suo film preferito.
4° Elif Elmas - numero 99 del Fenerbahce
A differenza di tutti gli altri 99 di questa lista, Elif Elmas indossa il numero 99 perché è nato nell’anno domini 1999.
3° Anton Maglica - numero 99 dell’Apollon Limassol
Anton Maglica è stato tra i pochi e fedeli abbonati a Pagina99.
2° Zakaria Bakkali - numero 99 dell’Anderlecht
Dopo aver provato la fortuna nella Liga, Zakaria Bakkali è tornato in Belgio per segnare gol ammantati di tristezza per l’Anderlecht. Ha scelto il numero 99 per nessun motivo in particolare, gli sembrava una scelta da persona introspettiva.
1° Vagner Love - numero 99 del Besiktas
Vagner Love segna nei campi di tutto il mondo da quasi vent’anni e ancora non si è stancato. Tutti pensano che il numero 99 sia perché è due volte un numero 9, ma in realtà è un omaggio Wayne Gretzky, in quanto il suo sogno era giocare ad hockey su ghiaccio.
I 3 migliori Olivier Giroud di questo turno di Europa League
3° Kōstas Mītroglou - L'Olivier Giroud ortodosso

Prendi Olivier Giroud e fallo crescere a Neukirchen-Vluyn, Germania, da immigrato greco. Togli l’inscalfibile fede cattolica della provincia francese e sostituiscila con quella barocca e ruvida degli ortodossi. A La Chartreuse sostituisci il Raki. Ecco che Giroud diventa Mitroglou.
2° Olivier Giroud - L’Olivier Giroud Olivier Giroud

Conoscete la storia secondo cui Charlie Chaplin perse ad una gara di sosia di se stesso?
1° Benoît Costil - L’Olivier Giroud migliore

Una volta Didier Deschamp arrivando al campo di allenamento della Francia chiese ad Olivier Giroud come mai fosse lì, dato che era infortunato. Stava in realtà parlando con Benoît Costil.
Loftus-Cheek ha segnato una tripletta
Sono anni, tanti anni, che si dice che Loftus-Cheek sia fortissimo. Per dire, a 19 anni il Chelsea gli ha fatto firmare un contratto di due anni e mezzo a 40 mila sterline a settimana. Nonostante abbia appena 22 anni il suo esordio tra i professionisti risale addirittura al 2014, quando sulla panchina sedeva ancora Josè Mourinho.
Loftus-Cheek però ha rallentato un po’ la sua crescita, anche a causa di un qualche equivoco tattico. Stiamo parlando del classico centrocampista inglese che non sembra avere nessun punto debole apparente: tecnica, forza fisica, disciplina tattica, ma che sembra un pochino inefficace in qualsiasi zona di campo. In carriera ha giocato mediano tra i due, mezzala, trequartista di un 4-2-3-1 e persino prima punta, quando Conte era disperato e alla ricerca di un giocatore gigante da far giocare spalle alla porta.
Con Sarri Loftus-Cheek finora ha visto poco il campo, anche a causa della gestione sempre abbastanza prudente delle forze da parte del tecnico italiano. In Europa League, però, ieri contro il BATE Borisov, ha trovato una di quelle serate che possono segnare una svolta luminosa nella carriera di un calciatore. Sarri lo ha fatto giocare mezzala sinistra, con Kovacic mezzala destra. I suoi numeri sono imbarazzanti: 95% di passaggi riusciti, 7 dribbling riusciti su 7 provati, 3 passaggi chiave e, soprattutto, 3 gol, tutti quelli del Chelsea ieri.
Come sta Emerson Palmieri?
Non sta giocando molto, ma se vi state chiedendo qual è il terzino sinistro convocabile per la Nazionale italiana con la maggiore qualità col pallone non c’è da andare molto lontani.
Giocatore più Europa League: Mauricio Isla
Quanto ci abbiamo creduto: 7
Quanto è stato realmente forte: 5
Quanto è caduto in disgrazia: 9
Quanto sembra depresso: 9
Mauricio Isla sembrava tagliato con l’accetta per il gioco della Juventus di Antonio Conte. Dopo averlo visto mettere a ferro e fuoco la fascia destra dell’Udinese e del Cile, eravamo tutti pronti a credere che quello fosse un matrimonio che poteva condurre solo alla felicità.
Arrivato insieme ad Asamoah, i due hanno rappresentato l’opposto dello spettro di come possono andarti le cose nel gioco del calcio. Asamoah - pur con i suoi limiti ed i suoi infortuni - ha rappresentato una garanzia in un sistema sempre più elitario, Mauricio Isla - invece - è diventato l’archetipo dell’acquisto sfigato che cerchi di sbolognare il prima possibile senza perderci troppi soldi. Mai entrato veramente nel gioco della Juventus, pur continuando ad accumulare prestazioni più che dignitose in nazionale, verrà ricordato dai tifosi solo per gli innumerevoli errori in tutte le zone del campo.
Miglior partita alla Juventus: contro il Trabzonspor, proprio in Europa League.
Dopo un rimpallo di prestiti sempre più snervante sull’asse QPR - Marsiglia - Cagliari, la Juventus riesce anche a farlo diventare una plusvalenza, cedendolo proprio ai sardi, con Isla che candido ammette: «onestamente, non ero in grado di giocare alla Juventus, parliamo una delle prime dieci squadre del mondo. E se non sei a quel livello è meglio trovare nuove soluzioni».
Ieri lo abbiamo visto ri-sbucare sulla fascia destra del Fenerbahce di Phillip Cocu. Una prestazione opaca, un giallo dopo venti minuti e niente più, ma soprattutto un alone di disgrazia visibile ad occhio nudo. Isla col suo pizzetto appena accennato e gli occhi tristi e stretti da indio è la rappresentazione plastica di come anche in Europa League non tutto luccica. Isla, per dire, non luccica per niente, eppure resiste. E non è un po’ questo il senso, no?
Il derby di sangue tra Sarpsborg e Malmö
Pur giocando in due nazioni differenti, Svezia e Norvegia, la sfida tra Sarpsborg e Malmö era sentita da tutti come un derby. Il classico derby scandinavo caldo come una zuppa anche se fuori la temperatura avvicinava pericolosamente lo zero.

La caldissima curva del Sarpsborg.
Un derby sentito sia in campo - dopo la partita i giocatori del Malmo hanno criticato gli avversari, rei di cercare troppo i lanci lunghi, ricevendo come risposta dall’allenatore del Sarpsborg “come se loro fossero il Barcellona” - sia sugli spalti. Il Sarpsborg Stadion era pieno in ogni ordine di posto e nessuna delle due tifoserie si è risparmiata.
Secondo Anders Christiansen, i tifosi del Malmö sono stati il "man of the match", supportando la squadra dal riscaldamento alla fine della partita.

L’esultanza dei tifosi del Malmö dopo il gol.
Un supporto non passato di certo inosservato e che ha anche mosso a compassione l’account ufficiale del Malmo, che ha ringraziato così i tifosi, non potendo farlo con una vittoria.
Allo stesso modo va detto che anche il tifo norvegese è stato leonino, in alcuni momenti le urla dei tifosi erano quasi più forti delle parole dei telecronisti. Un tifo che spesso consideriamo minoritario, ma che ha dimostrato il contrario.

Giovani tifosi.
Il Sarpsborg si è affacciato a questa Europa League con un campo da 6833 posti, una tribuna chiamata “per famiglie” e un terreno in erba sintetica, più simile a quelli del nostro calciotto che non a quelli del calcio dei professionisti.
Ma questo ai tifosi non importa, nel derby del sangue si tifa fino alla morte.

L’autogol più Europa League: Edisson Jordanov
Virilità: 3
Assurdità: 8
Anti-epicità: 9
Paura della morte: 6
Anche ieri il Dudelange, vera regina della competizione regina, era in qualche modo riuscita a tenere il risultato aperto fino agli ultimi minuti. Con affanno, certo, Christodoulopoulos ad esempio aveva visto un su tiro deviato sulla traversa per miracolo, ma insomma in Lussemburgo si poteva sperare in un ultima palla buttata dentro, una spizzata di testa, un rimpallo fortunoso, qualunque cosa, per portare a casa il primo punto europeo nella storia del paese.
Invece al minuto 81 il destino ha preso le sembianze innocue di Edisson Jordanov e della sua goffezza. Quanto era difficile respingere il pallonetto di Fortunis senza farlo carambolare nella propria porta? Jordanov, che ha un passato nelle file del Borussia Dortmund ed un presente come terzino destro del Dudelange, ha inflitto alla sua squadra il gol del 2 a 0 con la grazia innaturale di un Nijinsky sbronzo.
Ma soprattutto dopo averlo fatto ha guardato il campo, le zolle, il pallone, il cielo. Provato ad allontanare da sé quello spettro, che però non è uno spettro, Edisson, è l’Europa League.