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Il bivio dei Toronto Raptors
16 mag 2018
Dopo il licenziamento di Dwane Casey, quale strada possono prendere i canadesi: mantenere la squadra intatta o rivoluzionare tutto?
(articolo)
10 min
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Foto di Jason Miller / Stringer
(copertina) Foto di Jason Miller / Stringer
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L’asteroide LeBron che si abbatte sui dinosauri, papà LeBron che porta a spasso i bimbi DeRozan e Lowry, LeBronto sulla mappa come capitale del LeBrontario. Se nelle sconfitte più dolorose e definitive che avvenivano in passato si spargeva il sale, oggi si spargono meme sul corpo degli sconfitti, e anche questo giro la salma derisa è quella dei Toronto Raptors.

I canadesi sono solo l’ennesima vittima sacrificale dell’egemonia di LeBron James nella Eastern Conference, i più colpiti al pari degli Indiana Pacers, dei Chicago Bulls e degli Atlanta Hawks, che si sono viste costrette via via a modificare il roster per affrontare King James e poi fallire, pagando il prezzo dei loro tentativi inutili tramite rifondazioni. Ma questa stagione dei Raptors è stata forse la più deludente proprio perché fino all’incontro con James era stata la più soddisfacente.

Gli uomini di coach Dwane Casey si erano presentati alle porte della serie con i Cavs con tutte le carte in regola per spuntarla: il miglior record nella storia della franchigia, il fattore campo, una manciata di giorni di riposo in più per preparare la serie, il terzo miglior attacco della lega, la quinta miglior difesa, una rivoluzione nel gioco d’attacco, l’evoluzione del loro miglior giocatore e, probabilmente, un roster migliore di quello dei Cavaliers. Ma non è bastato: Toronto si è presentata dinanzi alla sua nemesi con difetti diversi ma in fondo sempre uguali, e anche se poteva tranquillamente vincere un paio di partite, alla fine ha chiuso la sua stagione senza nemmeno una vittoria.

La debacle contro i Cavs

A dirla tutta Kyle Lowry e DeMar DeRozan non hanno fatto una brutta serie e O.G. Anunoby, l’uomo designato per provare ad arginare LeBron non ha sfigurato - o per lo meno non è morto, poi che LeBron sia riuscito comunque a fare praticamente ciò che ha voluto è tutto un altro paio di maniche - ma nessun altro giocatore ha fatto un passo in avanti. La panchina non ha replicato il successo della stagione regolare (complice anche l’infortunio alla spalla di Fred VanVleet) e la difesa ha finito col concedere tiri aperti in continuità al supporting cast dei Cavaliers, riuscendo perfino a far resuscitare Kevin Love e J.R. Smith.

I Raptors non sono spariti ai playoff come è successo negli ultimi anni, hanno sconfitto i Wizards con qualche grattacapo non per loro demeriti ma perché Washington ha effettivamente giocato quattro delle migliori partite della loro stagione, ma allo stesso tempo la sensazione lasciata è proprio quella dell’ennesimo anno in cui si sono sciolti come neve al sole. Eppure la severità dei nostri giudizi nei loro confronti è quella di non essere riusciti a battere quello che alcuni potrebbero considerare il miglior giocatore di sempre, un’impresa che ad Est non è riuscita ad anima viva negli ultimi 8 anni.

L’onnipotenza logora chi non ce l’ha.

Tuttavia la gara-1 tra Boston e Cleveland ha confermato che i demeriti dei Raptors c’erano, ed erano evidenti. Tutti i giocatori di Cleveland si sono improvvisamente ritrovati ispirati e liberi quando a marcarli erano i Raptors, riuscendo a guadagnare mismatch a ripetizione, permettendo a Kevin Love e Tristan Thompson di rientrare nella serie e ai tiratori di avere spazio e tentativi a sufficienza per ritrovare il ritmo, cosa che finora gli era rimasta piuttosto indigesta.

L’ennesima serie senza possibilità di uscire dal baratro della loro storia recente ai playoff è stata la proverbiale goccia che ha fatto traboccare il vaso, e a meno di 24 ore dall’aver ricevuto il (poco importante) premio di miglior allenatore votato tra i colleghi, Masai Ujiri si è liberato di coach Dwayne Casey.

I demeriti di Casey

La decisione non è stata delle più facili o delle più scontate: Casey era sulla panchina dei Raptors da sette stagioni, diventando il quarto coach più “longevo” in una panchina dopo Gregg Popovich, Erik Spoelstra e Rick Carlisle. I Raptors avevano effettuato un cambiamento camaleontico in estate, migliorando ancora di più il loro attacco e stringendo un paio di viti in difesa, e i meriti di Casey per questa rivoluzione erano risultati evidenti per tutti.

Dopo la cocente uscita dell’anno scorso i Raptors sembravano ad un crocevia: scegliere la continuità col passato (rinnovando Kyle Lowry, Serge Ibaka, e altri per mandare avanti questo core) o rivoluzionare il tutto, lasciar scadere via via i giocatori più costosi e ripartire da una situazione pulita a livello salariale. La via scelta è stata quella della continuità, e il roster era rimasto sostanzialmente quello della passata stagione (perdendo P.J. Tucker che al momento è a fare le fortune dei Rockets), con le uniche aggiunte arrivate via una scelta a fine primo giro al Draft e dalla firma di C.J. Miles.

Per la sorpresa di tutti Casey era riuscito a prendere un roster radicato nel proprio modo di giocare, probabilmente a corto di motivazioni forti, e con non si sa quale sortilegio rinvigorirlo e migliorarlo, inserendo un rookie nel quintetto base affidandogli ampio minutaggio. E i Raptors tra dicembre e febbraio hanno rivoltato la Eastern Conference come un calzino, passandosi la palla a meraviglia, coadiuvando le loro guardie da un supporting cast adeguato e, con la partita sbilanciata in loro favore, inserendo in blocco la miglior panchina della NBA che si prendeva carico degli ignari avversari ritrovatisi a difendere tiratori che sbucavano da tutte le parti passandosi il pallone senza fermarlo mai.

Giorni felici.

Ma il licenziamento di Casey non è arrivato per la loro splendida inaspettata versione in regular season, ma per la loro solita, logorante prestazione nei playoff contro LeBron James, uno scoglio contro il quale le idee e i buoni propositi vanno a morire. Nella serie con i Cavs non ci sono stati sostanziali aggiustamenti tra le partite (se si esclude un Serge Ibaka spostato dal quintetto base per vedere se sortiva qualche effetto in gara-3), dove si è gettato un Bebe Nogueria a metà secondo quarto in mezzo alla mischia per vedere quante volte LeBron riusciva a mangiarselo in meno minuti possibili.

La decisione di Ujiri

La scelta di Masai non è una scelta di rottura, come potrebbe superficialmente sembrare, ma una di continuità con la via intrapresa nella scorsa off-season. I Raptors sono vincolati mani e piedi a questo roster, hanno schivato di un soffio la tassa salariale, ma non appena si azzarderanno a rifirmare Fred Van-Vleet - e dovrebbero, dato che è il loro miglior giocatore dalla panchina - entreranno in luxury tax con mani e piedi.

Se il roster dei Raptors resterà questo, occorre che esso renda al meglio delle proprie possibilità, e per quanto il lavoro svolto da Casey in questi anni sia stato encomiabile, sviluppare un attacco basato sul movimento di palla e sulle spaziature nel 2018 non è un traguardo da raggiungere, ma il minimo indispensabile. È evidente come la scarsa capacità di aggiustare la propria squadra nel corso di una serie, o durante una partita in corso, sia il punto debole più evidente per Casey, e il suo successore nella panchina di Toronto dovrebbe puntare proprio in quella direzione.

A oggi è stato accostato un solo nome forte alla panchina dei Raptors: quello di Mike Budenholzer, ex coach degli Atlanta Hawks, ex braccio destro di Gregg Popovich e il pezzo pregiato della classe di allenatori senza contratto di questa estate. Se i Raptors dovessero assicurarsi i suoi servigi la strategia del loro GM sarebbe chiara e ineccepibile: Budenholzer ha già lavorato in condizioni simili, con i suoi Atlanta Hawks che sembravano non muoversi mai oltre il primo turno dei playoff e invece con lui sono arrivati al record di 60 vittorie, facendo fiorire giocatori di ruolo e giovani rookie a ruoli di responsabilità. Bud è inoltre un generale difensivo coi controfiocchi: potrebbe rinvigorire la carriera di Ibaka, che negli ultimi due anni ha dimostrato 45 anni per quanto verticale è stato il suo tracollo fisico, e potrebbe distribuire meglio le responsabilità all’interno di uno spogliatoio che, all’infuori di Lowry e DeRozan, manca fortemente di gerarchie.

Nel corso della stagione c’era stata anche una striscia da 11 vittorie consecutive, record di franchigia pareggiato.

Prima di suggellare questa unione però occorre vedere tutti gli ostacoli che ci sono. Toronto non è la panchina più appetibile per un allenatore, trovandosi con un roster che, per quanto competitivo, è già strutturato, difficilmente modificabile e che sta per imboccare la fase discendente della sua parabola. Il tutto mentre i Celtics e i Sixers sono in rampa di lancio per dominare l’Est negli anni a venire e LeBron può scegliere la miglior destinazione per la sua carriera. Andare ad allenare Toronto vuol dire sicuramente fare i playoff nelle prossime stagioni e magari prendersi nuovamente il fattore campo, ma con il roster attuale non ci sono realmente possibilità che l’ipotesi di vincere un titolo diventi reale o che ci sia possibilità di rilancio. La panchina di Milwaukee, che presenta anch’essa molte delle problematiche di quella di Toronto, garantisce almeno la possibilità di allenare Giannis Antetokounmpo, ovvero uno dei cinque migliori umanoidi a giocare questo sport per i prossimi anni.

In secondo luogo non è da trascurare l’ambizione che Budenholzer può avere per le scelte decisionali. I Raptors sono la squadra di Masai Ujiri, cui giustamente la dirigenza ha affidato la franchigia e le cui scelte risultano difficilmente sbagliate. Ujiri è un GM prodigio, data la sua giovane età e le dimostrazioni di competenza mostrate sino ad oggi; Bud dal canto suo ha sempre desiderato avere più potere possibile per la gestione della sua squadra. Il suo allontanamento dall’ovile di San Antonio è anche dovuto al fatto che quella era la squadra di Popovich e R.C. Buford, mentre ad Atlanta riusciva a gestire entrambi i ruoli di GM e allenatore - e, a dirla tutta, è stato forse il migliore a gestire le due cariche contemporaneamente, sempre premesso che tale scelta risulta perdente a prescindere. Sarebbe difficile vedere uno dei due fare un passo indietro, ma per il bene della squadra e dei risultati questo potrebbe essere uno scenario possibile.

Il secondo possibile nome per la panchina dei Raptors è quello di Jerry Stackhouse, uno dei giovani allenatori emergenti che vanta nel suo portfolio due stagioni in G-League in cui ha conquistato le attenzioni della stampa e sviluppato i giovani che ora fanno le fortune della second unit. La scelta di Stackhouse rappresenterebbe una promozione interna, essendo l’allenatore della squadra affiliata ai Raptors, e permetterebbe sicuramente a Masai di mantenere le redini della franchigia senza dividerle con l’allenatore, essendo difficile che un esordiente NBA, per quanto promettente possa sembrare, voglia avere grande potere decisionale nella gestione del roster.

Da ciò che si legge in giro finora Stackhouse ha utilizzato un attacco piuttosto classico, dai ritmi compassati e che difficilmente potrà replicare nella NBA di oggi, puntando più che altro sullo sviluppo dei giocatori e su una difesa granitica. Stackhouse sarebbe anche una scelta “economica”, e troppo spesso ci si dimentica che un GM deve amministrare i conti della propria squadra anche al di là del salary cap dei propri giocatori, quindi una sua eventuale promozione potrebbe essere letta anche in questa chiave.

Infine, ma al momento sembra molto più improbabile, potrebbe esserci la scelta di un assistente in rampa di lancio. Ogni GM spera di trovare l’oro nascosto andando a scovare un assistente di un allenatore prestigioso, e i nomi più popolari al momento sono quello di Ime Udoka e di Ettore Messina, ovvero i primi assistenti di Popovich agli Spurs. Questa soluzione sembra meno probabile, perché non sembrano esserci grossi legami tra questi due e i Raptors e perché sarebbe una scelta in controtendenza con quanto mostrato finora. Inoltre, dopo la recente scomparsa della moglie di Popovich, si è aperto per la prima volta da 20 anni lo spiraglio che la panchina degli Speroni potrebbe essere disponibile per qualcun’altro, e se Buford dovesse restare al comando e le cose con Kawhi dovessero riappacificarsi, ci sarebbero poche panchine molto migliori di questa per un allenatore al mondo.

Nei prossimi giorni dovrebbe arrivare il nome definitivo del prossimo allenatore di Toronto, e chiunque esso sia avrà il compito agrodolce di prendere una squadra competitiva e raddrizzarla per l’ennesima volta nella sua storia recente, quando ormai solo l’entusiasmo dei propri tifosi è rimasto per provare a superare lo stallo e la situazione di impotenza che poteva provocare incontrare continuamente LeBron ai playoff negli ultimi anni.

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