Da questo mese il sistema di assegnazione del premio per il calciatore del mese è cambiato: la nostra redazione ha stilato una rosa di quattro nomi, fra cui il vincitore è stato scelto direttamente dai calciatori iscritti all'AIC, tra Serie A, B e C. A ottobre ha vinto Zlatan Ibrahimovic.
Zlatan Ibrahimovic ha firmato per il suo ritorno al Milan il 27 dicembre, qualche giorno dopo ha preso il posto di Piatek al centro dell’attacco contro la Sampdoria e tutti noi abbiamo cominciato a guardare i suoi movimenti con attenzione da anatomisti: è finito o è ancora Zlatan Ibrahimovic, uno dei giocatori più bizzarri e dominanti della storia del calcio? Studiavamo la sua reattività, il modo in cui entrava a contatto con i difensori. Misuravamo il peso del suo corpo, la velocità dei suoi piedi.
Ci dicevamo che era finito, o almeno ci sembrava ovvio, a 38 anni, dopo un infortunio al crociato, due stagioni in MLS, dove i campioni vanno a disattivare i propri arti pian piano, inoltre dopo l'esperienza negli Stati Uniti era stato due mesi fermo. Il Milan lo ha annunciato con l’hashtag #IZBACK, il video del dietro le quinte lo vede sbarcare all’aeroporto accompagnato da musica metal.
La storia è quella del vecchio campione che torna nel suo antico club finito in difficoltà per regolare i conti, sistemare le cose. La sua classe, la sua forza il suo carisma saranno di nuovo quelli della sua vecchia squadra. A quanto pare Mino Raiola, il suo agente e demiurgo, gli ha detto che per lui sarebbe stato troppo facile ritirarsi negli USA, che avrebbe dovuto tornare in Europa a dimostrare di essere ancora lui. «Chi ha più bisogno di me?» si è allora chiesto Ibra. Carica così tanto la retorica su sé stesso che a un certo punto diventa una questione di rispettabilità essere all’altezza delle sue parole. D’altra parte abbiamo sottovalutato, forse, quanto era rischioso per la sua reputazione tornare al Milan a questo punto della carriera: aveva tutto da perdere, e l’opinione pubblica aspettava il suo corpo sul bordo del fiume.
È stato forse il nostro scetticismo ad aver funzionato da carburante per Ibra, col naso da uccello e la bocca ormai scomparsa dietro gli eterni baffi-pizzetto. La durezza ieratica del maestro d’arti marziali giapponesi, o del contrabbandiere di Saigon. Sembra l’action figure di sé stesso, quando aggancia con elasticità felina palle alte buttate a caso dalle sue parti, o quando difensori in affanno finiscono semplicemente per sbattergli contro. È stata quasi ridicola, fiabesca, la sua capacità di arrivare e cambiare davvero il Milan. Trasformarlo col suo semplice arrivo in una squadra più tosta, più coerente, più brava a vincere le partite.
Nella più rosea delle ipotesi, Ibra avrebbe potuto funzionare da ottimo finalizzatore. Una presenza concreta e rassicurante davanti alla porta. Quanti gol avrebbe potuto segnare, limitando i suoi movimenti al minimo indispensabile, da gennaio in poi, 6? 7? Ne ha segnati 19, da quando è arrivato a ieri, quando si è sdraiato in rovesciata davanti a Musso per regalare al Milan altri tre punti. Una rovesciata furba e pigra, uno dei momenti in cui Ibra sembra citare sé stesso. Uno dei finalizzatori più imprevedibili ed estrosi di sempre, capace di trovare le vie meno prevedibili per far finire la palla in rete. Ha segnato un gol ogni 45 minuti, è capocannoniere del campionato italiano.
Da fuori è difficile dire se è più impressionante questa capacità di ripescare dalla sua memoria corporea delle giocate antiche, da Ibra ventenne, la sua media gol, oppure la sua maturazione sontuosa. L’idea di questo vecchio centravanti dall’aura mistica che non sbaglia una singola palla che tocca.
Ora Ibrahimovic in campo trasmette una forza calma, sa sempre cosa deve fare. I compagni hanno trovato un senso e sono migliorati grazie a lui, semplicemente specchiandosi nella sua presenza. A Leao non è più chiesto di giocare a muro: può ricevere sulla fascia, spesso in isolamento; altre volte gli si butta alle spalle per raccogliere la sponda. Calhanoglu lo può usare come una sponda umana per arrivare al tiro; Bennacer ha sempre un riferimento avanzato per i suoi passaggi taglialinee sul corpo. Kjaer, quando non sa che fare, gli lancia la palla sulla testa.
Lui le prende tutte, non sembra mai fare un grande sforzo. Gli basta prendere posizione e lasciare che gli altri vadano leggermente fuori tempo. Non gli riesce solo contro squadre minori ma anche quando fronteggia i migliori difensori del nostro campionato. Contro l’Inter, con De Vrij addosso, ha vinto 9 duelli aerei su 10. Oltre a questo dominio dell’aria, Ibra ha segnato due gol, nella partita che forse più ha lanciato le ambizioni del Milan in questo campionato.
Ibra oggi è il secondo giocatore della Serie A per tiri ogni 90 minuti, e anche uno dei più precisi. Gli bastano poco più di 2 tiri per segnare un gol, nessuno è più freddo di lui quando deve concludere. Dopo la partita contro l’Udinese ha detto che la squadra gli dà energie, e lui gliele restituisce: «Siamo la squadra più giovane in Europa, mi fanno sentire giovane. La pressione e la responsabilità la prendo io, i giovani devono lavorare e crederci, pensare positivo».
Nessuna squadra ha fatto più punti del Milan da quando la Serie A si è fermata per la pandemia. Verso la fine della scorsa stagione ha dichiarato con gusto per la mitomania - il solo timbro che conosce - che se ci fosse stato dal primo giorno avrebbero vinto il titolo. Al ritorno del campionato ci si poteva aspettare che il Milan si sarebbe sgonfiato, o che almeno Ibra si sarebbe sgonfiato. Invece ha continuato a esercitare il suo dominio e a trascinare la squadra in alto. Lo premiamo come miglior calciatore di Serie A del mese di ottobre, ma oggi forse è il miglior giocatore del campionato in assoluto, di certo il più influente per i destini della propria squadra.
Potevamo forse aspettarci i gol, e singoli momenti di grandezza, ma non questa continuità, questa presenza onnipotente sulla partita a 39 anni. Come altri fuoriclasse a fine carriera, Ibrahimovic sembra trovare le sue motivazioni nel dimostrare che è ancora quello di sempre, che è riuscito a sconfiggere il tempo, che non è umano come noi. Del resto dice di essere un leone.
Per molti la sua capacità di essere decisivo è il segno definitivo del declino della Serie A, dove anche in tarda età - grazie a un talento di spessore - si può fare la differenza. Un discorso che può essere vero da un punto di vista fisico, almeno rispetto ai difensori iper-atletici della Premier League. Ma quella fisica è solo una delle dimensioni del calcio, neanche la più interessante. Bisogna amare poco questo sport per non ammirare senza riserve la grandezza di Zlatan Ibrahimovic.