Non è stata una settimana come le altre per Ruslan Malinovskyi. È iniziato tutto giovedì, quando Fabrizio Romano ha riportato la notizia che Atalanta e Olympique Marsiglia starebbero parlando per un trasferimento del centrocampista. È una notizia strana, difficile da leggere: il campionato è già iniziato, l’Atalanta dovrà vivere un anno di rinnovamento dopo la prima stagione negativa del ciclo gasperiniano, e Malinovski sembra uno dei pochi giocatori su cui vale la pena ricostruire. Nel tweet il giornalista scrive che «vuole una nuova sfida» ma il giorno dopo la conferenza di Gasperini mette la notizia sotto una luce diversa. Come spesso gli capita, Gasperini si impelaga dentro le polemiche del giorno con un certo spirito masochista.
L’allenatore dice che Malinovskyi è stato in questi anni in mezzo a un equivoco sul suo ruolo: «era arrivato come regista adattandosi a punta alla Ilicic». L’Atalanta quindi lo aveva preso per fare il centrocampista, ma nel tempo le esigenze della squadra lo hanno costretto ad adattarsi a un ruolo che non gli appartiene: «È giusto che l’Atalanta scelga un giocatore più idoneo in sede si mercato». Non è quindi Malinovskyi a voler andare via, ma Gasperini che vorrebbe forse usare i soldi di una sua eventuale cessione per arrivare a un giocatore con caratteristiche diverse (Fabrizio Romano aveva accennato a un possibile scambio con Cengiz Under). «Vogliamo un giocatore che segni più di 6 gol» ha detto in modo un po’ ingeneroso Gasperini, in fondo Malinowski ha segnato anche di più in carriera. Interviene la moglie del giocatore, che ci tiene a dire ai tifosi che loro hanno appena preso casa a Bergamo e col calciomercato quasi chiuso non avevano nessuna intenzione di muoversi.
Arriva la partita col Milan e, a sorpresa, Malinovskyi è in campo, al suo posto da trequartista destro del 3-4-2-1 dell’Atalanta. È un giocatore peculiare, con una mentalità offensiva che forse lo limita da centrocampista, ma che non ha le letture di gioco che Gasperini cerca in un trequartista/attaccante. La sua tecnica balistica però è eccezionale. Il meglio di Malinovskyi non è quando tocca il pallone ma quando lo calcia, sia nei passaggi che nelle conclusioni. Per questo quando gravita intorno all’area di rigore fa paura e le difese gli si gettano addosso come si fa contro un giocatore che sta per calciare a colpo sicuro. Al 28’ però la difesa del Milan si dimentica di lui. La squadra di Pioli è tutta schiacciata in area, in attesa del cross di Maehle. Malinovskyi cammina per occupare l’area, quando bruscamente si mette a correre all’indietro e a indicare il passaggio nella zona centrale del limite dell’area. Un tiro di prima di Malinovskyi da quella posizione è difficile che non sia un gol, e così è, anche con l’aiuto di una deviazione di Kalulu.
Malinovskyi esulta facendo il cuore con le dita verso sua moglie, poi si porta la mano dietro le orecchie per sentire il boato del pubblico. Quindi un calciatore rimproverato per segnare poco segna subito un gol molto pesante in una grande partita. Per un allenatore suscettibile come Gasperini un duro colpo. Ai microfoni, dopo la partita, non si tiene. Sa che dovrà parlare di Malinovskyi ma la cosa non pare dispiacergli: «queste sono le sue partite», taglia corto. Come per dire che non si aspettava niente di diverso, lo ha messo apposta. Eppure come per suggerire, anche e assurdamente, che questa è una delle poche partite in cui Malinovskyi può combinare qualcosa di buono.
Malinovskyi si è limitato a osservare che forse c’è stata la mano di Dio.
Gasperini spiega che l’Atalanta ha problemi contro squadre chiuse e che ha bisogno di attaccanti. «Abbiamo perso Ilicic, Papu. Lui, Pessina e Pasalic a volte hanno giocato come attaccante, ma se lui è un attaccante io non ho le idee molto lucide». La situazione di Malinovskyi può essere letta come un banale problema estivo tra giocatore, allenatore e società. Un allenatore che usa un giocatore per esercitare pressione sulla società per avere altri acquisti. Eppure è una situazione che racconta il momento storico dell’Atalanta, stretta nel limbo tra una squadra che ambisce alle prime posizioni ma che teme di venire risucchiata nell’anonimato della mezza classifica. Una squadra che, dopo annate di grazia, ha sbagliato diverse scelte di mercato e ora sa che non può permettersi altri errori. La complicata scalata all’élite del calcio italiano - iniziata con Gasperini, ma proseguita con lo stadio di proprietà e l’ingresso di un fondo di investimenti americano - non concede errori.
L’età dell’oro perduta
Gasperini evoca spesso la sua nostalgia verso Ilicic e Gomez. A maggio aveva detto che le difficoltà dell’Atalanta si spiegavano con l’assenza di Ilicic. A inizio luglio si era lamentato complessivamente di come si era mossa la società sul mercato: non in questo mercato, ma in quelli degli ultimi anni.«Nuove energie avrebbero aiutato. Un campione avrebbe portano nuovo entusiasmo e stimolato la competitività. Siamo rimasti troppo a lungo gli stessi. Toloi, De Roon, Freuler, Djimsiti sono lì da prima che arrivassi io. I miei scontri in tema di mercato sono nati sempre dalla stessa esigenza: non restare fermi». Gasperini parla dell’Atalanta con Ilicic e Gomez come di un mondo perduto: «Abbiamo avuto delle vendite importanti, degli introiti notevoli dalla Champions, ma siamo rimasti molto statici, soprattutto davanti. Di esterni almeno ne sono passati una ventina, puoi dire che non li abbiamo azzeccati. Davanti invece siamo rimasti gli stessi e nel frattempo abbiamo perso Gomez e Ilicic, Zapata si è infortunato».
Gomez e Ilicic davano una dimensione diversa all’Atalanta, con loro al massimo del potenziale la squadra si è qualificata per due volte in Champions League, col vertice stilistico raggiunto nella stagione 2019/20, con 98 gol segnati. Quell’anno i giocatori dell’Atalanta mettono insieme numeri gargantueschi, da squadra di Guardiola. Ilicic segna 21 gol e serve 5 assist; Gomez 8 gol e 18 assist, Malinovskyi 9 reti, Muriel 19, Zapata 19. Gosens: 10. Erano soprattutto Ilicic e Gomez a rendere l’Atalanta una macchina offensiva perfetta. Da soli hanno prodotto un valore superiore a 50 tra xG e xA (dati Statsbomb via Fbref). Non solo per la loro capacità di definire l’azione, con gol e assist, ma anche perché attraverso la loro raffinatissima gestione dei tempi e degli spazi orchestravano il ritmo delle corse altrui. Gomez con una posizione quasi da enganche, con ripiegamenti profondissimi, piccole cuciture tecniche a tutto campo; Ilicic con la minaccia perpetua del suo mancino, che faceva ondeggiare nel mezzo spazio di destra con la sua arte dell’elusione. La complessità del loro gioco, la sofisticazione delle loro scelte individuali, permetteva agli altri di giocare in modo semplice ed elementare, seguendo gli eterni codici del gioco di Gasperini.
È strano, però, ogni volta sentire Gasperini lamentarsi della perdita di Gomez, di cui certo non è stato un semplice spettatore. Secondo diverse fonti, e secondo Gomez stesso, ci sarebbero stati motivi tattici alla base del loro conflitto. Semplificando, Gomez pretendeva una libertà che Gasperini non voleva più concedergli. Gomez voleva toccare tanti palloni e restare influente in tutto il gioco dell’Atalanta, come quando giocava da enganche e ne scrivevamo qui. Il tecnico invece lo voleva più vicino alla porta, spostato a destra, anche per preservarne le energie. Si stava negoziando quanto potesse essere influente un singolo giocatore all’interno di un collettivo. L’individualità del Papu a un certo punto è diventata troppo grande per un allenatore inflessibilmente collettivista come Gasperini. Il motivo per cui Gomez se ne è andato, insomma, è lo stesso per cui Gasperini lo rimpiange, e cioè che era un giocatore effettivamente diverso dagli altri.
Questa rigidità tattica si lega anche a quella umana, almeno dai racconti che ci capita di sentire e leggere in giro. Gomez - che racconta di essere arrivato alle mani col tecnico - non è l’unico giocatore ad aver avuto problemi con Gasperini. Problemi abbastanza grandi da essere poi spifferati alla stampa. Nella sua conferenza di presentazione alla Fiorentina Pierluigi Gollini ha suggerito neanche troppo velatamente di essere andato via a causa di Gasperini: «Sono andato via non per scelta tecnica, ma per dei problemi con una persona». Timothy Castagne, che pure all’Atalanta si è consacrato, appena arrivato al Leicester ha detto: «È un allenatore che si arrabbia subito, che ha molte difficoltà a controllarsi. Non ho mai raggiunto il 100% delle mie capacità a causa del suo modo di lavorare». La perdita di Gomez è stata quella con più conseguenze.
L’Atalanta ha provato a comprare altri esterni offensivi che potessero colmare quella lacuna creativa e ricreare la magia. Emiliano Rigoni, ceduto dopo pochi mesi, dodici partite, tre gol. Aleksei Miranchuk, arrivato con grandi aspettative ma finito per sembrare la copia sbiadita di Ilicic. Sono stati Muriel e Zapata a tenere alta la produzione offensiva dell’Atalanta, ma il calo atletico di entrambi ha fatto crollare il castello. Nella scorsa stagione la fase offensiva dell’Atalanta è diventata scheletrica, si è inaridita, senza giocatori che potessero dribblare, dare la pausa, organizzare gli attacchi posizionali. Anche, semplicemente, fare da centro di gravità per gli avversari, come pure i migliori Zapata e Muriel sono capaci di fare. «E ci siamo ritrovati a fare tic-toc davanti all’area per 60 minuti» ha sintetizzato Gasperini. Così a gennaio la società ha deciso di investire nel miglior dribblatore del nostro campionato, Jérémie Boga. A 22 milioni di euro è stato il calciatore più pagato della storia del club. Un esterno rapido e formidabile nell’uno contro uno, nel creare superiorità numerica, ma a cui manca la profondità di letture di Gomez e Ilicic. Nonostante qualche assolo spettacolare, non è andata come sperato, finora. Boga è un fattore di caos e non di ordine per l’Atalanta: incide individualmente, ma non migliora la brillantezza complessiva dell’attacco della Dea, tanto che Gasperini ha preferito usarlo soprattutto a partita in corso, per creare scompiglio dentro partite bloccate. Non ha segnato nessun gol in campionato. La produzione offensiva della squadra non è migliorata granché e a fine anno ha prodotto i peggiori dati dell’era Gasperini.
Grafico tratto dalla Guida all'Atalanta, dati Statsbomb.
Gasperini, sempre nell’intervista di luglio alla Gazzetta dello Sport, è tornato sull’acquisto di Boga, citandolo come uno degli errori recenti della dirigenza. «Il problema di Boga è il costo. Fosse costato quanto l’ha pagato il Sassuolo (4 milioni nda), tutti saremmo contenti. È stato pagato come un campione decisivo ma al momento è un giocatore individuale e basta. Ma è giovane, imparerà». Imparerà, ma intanto nelle prime due partite di campionato non ha giocato ancora un minuto. Nel frattempo è arrivato, e ha anche segnato il suo primo gol, Ademola Lookman, un’ala meno esplosiva di Boga ma con una vena più associativa. In carriera però ha segnato massimo 6 gol in una stagione e Gasperini per ora non lo vede come un titolare.
Stretti nel limbo
È questo, insomma, il contesto in cui Gasperini ha fatto scoppiare il conflitto intorno a Malinovskyi. È strano che tutti i discorsi si siano concentrati su un giocatore che ha sempre avuto buoni numeri offensivi: 8 gol e 3 assist nel primo anno all’Atalanta, 8 e 12 al secondo, 6 e 4 nello scorso, quando ha giocato meno e ha risentito del calo complessivo di brillantezza della squadra. Secondo Gasperini Malinovskyi non è un attaccante, ma a centrocampo non lo ha mai fatto giocare. Secondo i dati di Transfermarkt, 8 presenze da centrocampista centrale con l’Atalanta. È un giocatore che si assume molti rischi, che a volte ha letture imprecise o precipitose sulla trequarti. Lo scorso anno è stato il sesto giocatore della Serie A per palle perse ogni 90 minuti (tra quelli che hanno giocato più di 1500 minuti, dati Whoscored).
Un esempio di scelta sbagliata di Malinovskyi, che non vede la traccia per il compagno e prova un dribbling che non c’è. Un'azione talmente disastrosa che per commettere fallo si fa male al ginocchio, e avrà bisogno della sostituzione.
Per Gasperini quindi Malinovskyi non è un attaccante, ma non ha le caratteristiche per giocare centrocampista nella sua squadra. Piuttosto che lasciarlo in panchina, come fatto dalla scorsa stagione, preferisce venderlo e investire i soldi su qualcun altro. In fondo è un giocatore di 29 anni ed è l’ultimo momento utile per fare una cessione remunerativa. Lasciar andare il vecchio per far entrare il nuovo però è sempre un rischio, e non è chiaro, a pochi giorni dalla fine del mercato, quale sarebbe l’attaccante che potrebbe migliorare l’Atalanta. Una situazione resa ancor più complessa dal rendimento incerto di Muriel e Zapata. Il nome più vicino all’Atalanta in questo momento sembra Rasmus Hojlund, attaccante di diciannove anni con poche presenze tra i professionisti, ma notevoli doti atletiche e un controllo palla niente male. Si parla di 13 milioni di euro, per un profilo buono per le rotazioni in attacco ma che è difficile immaginare come un miglioramento creativo per la squadra.
Nelle prime due partite l’Atalanta è ripartita con presupposti non distanti dalla scorsa stagione. Una squadra dall’energia meno fiammeggiante, ma che ha imparato a essere più attenta. Una squadra che si assume meno rischi, più consapevole forse dei propri limiti. Sembra mancare quell’incoscienza che la animava due anni fa, quando pareva giocare con dei giocatori in più, tanta era l’intensità del proprio pressing, o la quantità di uomini con cui non temeva di assediare le aree avversarie.
Due anni e mezzo fa Ilicic e Gomez sembravano due talenti inespressi glorificati nella loro tarda carriera dal gioco di Gasperini, ma oggi siamo meno sicuri che fosse davvero così. Gasperini ha perso il tocco, la sua capacità di migliorare i suoi giocatori? Oppure Gomez e Ilicic erano effettivamente due talenti difficilmente replicabili e sostituibili per una squadra con le risorse economiche dell’Atalanta?
In estate il tecnico sembrava vicino come non mai ad andare via. È soprattutto grazie all’amore dei tifosi che ha deciso di restare. Gasperini è stato il principale artefice di uno dei progetti sportivi più entusiasmanti d’Europa, capace di arrivare a pochi minuti dalla qualificazione in semifinale di Champions contro il PSG. Ora sembra schiacciato dal peso delle aspettative che lui stesso ha creato. Ai microfoni cerca di scrollarsele di dosso, ripete che non bisogna dare nulla per scontato, che l’Atalanta non può pensare di avere l’obbligo di qualificarsi in Champions League ogni anno.
Tuttavia l’Atalanta, anche in questa versione ridotta, rimane una delle squadre più difficili da affrontare in Serie A, capace pochi giorni fa di andare in vantaggio e mettere in difficoltà per novanta minuti i campioni d’Italia del Milan. Se Gasperini si lamenta spesso del mercato è perché sa che non manca molto, in realtà, alla sua squadra, per tornare ai vertici del campionato italiano. Sempre che le crepe che ogni tanto si intravedono nel rapporto tra lui, la squadra e la società non siano più gravi di quanto oggi ci è concesso immaginare.