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Il Classificone 2/4: I peggiori
05 feb 2015
I 5 peggiori giocatori del secondo quarto di campionato: ritorna il Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo. Sempre più immediata, famelica e pungente.
(articolo)
8 min
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I peggiori del secondo quarto di campionato

di Fabrizio Gabrielli (@conversedijulio)

5. Antonio Mirante (Parma)

Investigare sulla fase “in picchiata” della parabola di Mirante, passato da portiere rivelazione della stagione scorsa - con di fronte a sé una plausibile, poi possibile, infine reale convocazione al Mondiale brasiliano (scartato solo all'ultimissimo taglio, quello del giorno prima della gara contro l'Inghilterra, insieme a Ranocchia) - a portiere della squadra ultima in classifica al giro di boa, il Parma, significa per forza di cose doversi addentrare in una serie di considerazioni: in primis che è tutto il Parma a essere irriconoscibile rispetto a quello 2013/14, che in fin dei conti si è qualificato per l'Europa League prima che la storia prendesse la piega che conosciamo. Se l'attacco languisce, peggio ancora è messa la difesa, capintesta Paletta (uno che invece il Mondiale l'ha pure giocato). Eleggere Antonio Mirante peggiore tra i peggiori però è una scelta più figlia delle cause che - come potrebbe sembrare - degli effetti. In 19 partite il Parma (e cioè Mirante) ne ha raccolte dalla rete 41. Numeri che in proiezione significano retrocessione (il Livorno l'anno scorso a fine stagione aveva uno score negativo di 71 reti). Non può essere solo colpa della difesa.

L'involuzione di Mirante è qualcosa che ha molto a che fare con il concetto di “peggiore” così come voglio intenderlo in questo Classificone.

In Mirante non c'è nulla che ricordi il Perin portiere del Pescara-colabrodo di qualche anno fa. Il giovane ora al Genoa dava almeno l'impressione di essere un ultimo baluardo, in qualche maniera, impotente. Mentre a Mirante sembra sfuggire costantemente la leadership sulla difesa, oltre che su sé stesso.

4. Daniele De Rossi (Roma)

In che senso “peggiore”? Rispetto alla sua versione un-anno-più-giovane? Rispetto a compagni o avversari che giocano nello stesso ruolo? A tutti i giocatori del campionato tout court? Poi: peggiore in senso assoluto o relativo? Non è troppo rude e indelicata la parola “peggiore”?

Daniele De Rossi è uno dei più forti centrocampisti del calcio italiano recente, gioca in una delle migliori squadre della Serie A e inserirlo in una qualche classifica che contempli l'essere meno incisivo di altri fa sempre un po' strano. L'accostamento DDR e “peggiore” nella stessa frase genera un brivido. Eppure viene anche facile provare compassione, nel senso letterale del termine di condividere il suo struggimento: in quella sinfonia wagneriana che dovrebbe essere il gioco della Roma, De Rossi suona come un bemolle, una nota che, diminuita di mezzo tono, fluttua a mezz'aria, come sospesa, e dà un senso di incompiutezza. Garcia lo vorrebbe playmaker, lui spesso è finito - nel girone d'andata - per schiacciarsi contro i centrali di difesa, con il risultato d'impacciare il suo gioco e quello di Manolas e Astori (o Mapou). Il 4-2-3-1 che Garcia ha provato ultimamente potrebbe lasciargli più spazio di manovra, punzecchiarlo all'inserimento? Forse potrebbe “migliorarlo”; o almeno renderlo meno peggiore.

Appiattirsi sulla difesa dovrebbe avere, come unica conseguenza positiva, lo stretto controllo dell'avversario: a DDR, contro Mauri, non riesce neppure quello.

3. Philippe Mexès (Milan)

Pesare le prestazioni dei singoli giocatori con quanto guadagnano è un'occupazione abbastanza inutile, almeno se l'obiettivo è tenersi a una certa distanza dai j'accuse da Bar Sport: all'assioma ultrapagato = infallibile, ammesso che sia successo in passato, non crede più nessuno, tranne qualche indefesso consumatore del Bar di cui sopra dal dito accusatorio facile. Ci sono calciatori dai contratti onerosi e dal rendimento incostante: è un dato di fatto da accogliere senza particolari patemi d'animo né afflati d'indignazione.

Il problema di Mexès nel Milan di Inzaghi è che è rimasto un po' vittima, soprattutto quando si è dimostrato non all'altezza delle aspettative (e ultimamente è capitato spesso), del bersagliamento di tutta una serie di “non è”, che gli vengono propinati contro con l'intento di sminuirlo e intaccarne l'autostima. Spesso con successo, peraltro. Gli dicono che non è Baresi; non è Costacurta; non è affidabile; non è sereno; non è adatto; non è quello di Roma ai tempi di Chivu, non lo è mai più stato.

Il brutto episodio contro la Lazio, nella prima giornata del girone di ritorno, non è stato che il tratto d'evidenziatore fluorescente tirato da uno studente stufo a lato di un paragrafo particolarmente drammatico della sua biografia italiana. Non so se capita anche a voi di trovare, nel volto di certi giocatori con le vene del collo gonfie e la faccia rossa, un senso di incontenibilità a volte, e di estrema insicurezza e impotenza – quasi ottusa - in altre. Ecco: quell'aura negativa che sorge di tanto in tanto intorno a gente come Mexès, avvolgendola in una specie di alone fucsia, è quanto più si avvicina al mio concetto di “essere peggiore”.

<barsport> Uno che guadagna quattro milioni di euro a stagione non può sbroccare così. </barsport>

2. Keita Baldé Diao (Lazio) / Pablo Daniel Osvaldo (Inter)

Essere “peggiore” a vent'anni porta con sé tutto un codazzo di attenuanti, e non ha mai il suono perentorio di una bocciatura definitiva: c'è un sacco di tempo per recuperare. Se però a guardarsi indietro ci viene da sollevare un piccolo sospiro di rimpianto, ecco significa che qualcosa deve essere successo: precisamente un anno fa incensavamo l'estro del laterale ex canterano del Barcellona, la sua classe, ci auspicavamo che venisse abbandonato dentro una cesta di vimini di fronte a Trigoria: il suo anno di nascita, coincidente con l'ultima versione decente di Microsoft Windows™ ('95), faceva presagire roboanti eco di next big thing.

Da Keita Baldé Diao, insomma, ci aspettavamo l'esplosione consacratoria, anche perché sulla carta partiva titolare e in Felipe Anderson anche i tifosi più attenti riponevano una cauta fiducia, cauta perché impregnata di dubbi e incognite. Complice anche un infortunio che l'ha tenuto fuori per quattro o cinque giornate (ma a quel punto aveva già perso i favori di Pioli), Keita s'è visto scavalcare nelle gerarchie da Felipe Anderson, l'uomo dei dribbling-in-a-row, uno che - questo sì - i tifosi della Roma gradirebbero ricevere dentro una cesta di vimini, anche se a questo stadio della stagione non so quanto sia più eccitante giocare sulla sponda opposta del Tevere.

Non è neppure una questione di adattabilità tattica: Keita, come Felipe, si muove poco senza palla, la vuole sui piedi, e forse la discriminante è proprio là: con la palla tra i piedi, Felipe è più incisivo. Si può essere peggiori in termini relativi, semplicemente perché c'è qualcuno migliore di te? A Formello c'è qualcuno che conosce la risposta, e ha ancora vent'anni, e un sacco di tempo per rifarsi.

Osvaldo sta sul secondo gradino del podio in coabitazione con Keita per motivi diametralmente opposti: è “il peggio” nel senso romano del termine.

“Il peggio” si usa per accusare qualcuno di essersi comportato in maniera meschina, di aver avuto una svista imperdonabile, di averci messo troppo cinismo o cattiveria. Anche a uno che butta, come si dice, alle ortiche le possibilità di svolta si dà del “peggio”. Osvaldo, nell'Inter di Mazzarri, qualche occasione l'ha avuta, e forse l'avrebbe potuta avere anche con Mancini: non ha giocato troppo, una media di cinquanta minuti a partita, ma dopotutto le statistiche ci dicono che ha creato almeno un'occasione ogni volta che è stato tirato in causa, e che metà delle volte l'ha messa dentro.

Osvaldo mi ha sempre dato l'impressione di un giocatore di poker con una mano piuttosto fortunata, diciamo un full di re o un colore, che finisce per farsi sgamare o che va fuori di testa e ribalta il tavolo con tutte le fiches, così, solo perché il vicino di tavolo non ha voluto vedere o non gli ha passato una birra.

Guarín, che come tutti sanno è originario di Torre Spaccata, West Roma, ferma Osvaldo gridandogli contro «Falla finita, sei proprio er peggio».

1. Ashley Cole (Roma)

Il primo posto del terzino inglese è dettato essenzialmente da tre ragioni, di cui due intrinseche e una estrinseca. Magari non c'è motivo di stare sempre a spiegare perché: potrei dire semplicemente che la discrepanza tra aspettative e risultati è fin troppo evidente, lo è anche fuori dal GRA e saremmo tutti discretamente d'accordo.

Il fatto è che si può fallire in molti modi, ma quello di Ashley Cole ha proprio i connotati rotondi e corposi di un cabernet-franc che ti fa schioccare la lingua prima di dire al cameriere che sì, può servirlo anche alla signora.

Di Cole colpisce in primis la conclamata estraneità, a volte quasi spocchiosa indifferenza, ai compiti tattici che Garcia chiede ai laterali di difesa: una crepa che già nella seconda partita del girone d'andata, a Empoli, s'era iniziata ad allargare, e che poco a poco s'è fatta crepaccio. “Difendere poco e male, attaccare alla scordarella e se proprio necessario” è un po' il riassunto abbastanza stringato ma concreto delle poche occasioni in cui Garcia ha puntato su di lui tra settembre e novembre (da Parma in poi, tutte le gare più importanti le ha giocate Cholevas).

Inoltre è venuta a mancare la personalità e l'esperienza che era lecito aspettarsi da uno che frequenta la Champions League da due lustri.

Se devo pensare all'imbarazzo, oggi mi vengono in mente due immagini: quella volta, a sei anni, in cui a scuola di musica per soggezione non ho chiesto al maestro il permesso di andare in bagno e me la sono fatta sotto, e il primo tempo di Cole contro il Bayern Monaco, la costante umiliazione di Robben.

Quasi sette minuti di soggettiva su Robben in Roma-Bayern 1-7. La prima metà serve per capire l'impotenza di Cole, all'esatto centro del video il paradigma dell'infruttuosità del terzino inglese.

Ma il fallimento di Cole, in un'ottica allargata, è quello della Serie A che punta sulla faccia e sul Nome Di Prestigio™ senza tenere conto della coltre di polvere né della ruggine. Peccato che poi a un certo punto le giunture comincino a scricchiolare, e gli acari a farti prudere il naso. Sarà per questo che, innervositi, ci viene da essere più disinvolti nell'usare la parola “peggiore”.

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