I migliori #cambioverso del terzo quarto di campionato
di Fulvio Paglialunga (@FulvioPaglia)
Quando gli obiettivi si materializzano in vittorie o fallimenti, le parole si sgonfiano, non valgono più. Conta quello che è accaduto realmente: quel che è stato detto, invece, resta come fosse un appunto per le prossime puntate, un invito a essere più misurati nei giudizi, a capire come tutto sia potuto precipitare, o infine a comprendere la superficialità di certe agiografie non richieste di club o allenatori. Oppure certe statistiche spacciate per limite di giocatori che, invece, aspettano solo il momento giusto. Qui è la realtà che fa il giudizio, spietatamente. Come spietati sono i #cambioverso della terza parte della stagione.
Il Parma non è più un modello
Dice Alessandro Lucarelli, capitano del Parma, che «verrebbe voglia veramente di chiudere tutto. Sta diventando una farsa, lo dico con tristezza, è tutto uno schifo». E ha ragione, perché il Parma è un esempio di malagestione non solo societaria, ma, allargando il ragionamento, dell'intero sistema calcio italiano. Quello in cui basta che il pallone rotoli (e adesso nemmeno quello) e che gli stipendi siano promessi, piuttosto che pagati. In cui i giocatori si lanciano in dichiarazioni che suonano bene, ma non sono poi veritiere. Come lo stesso Lucarelli, che a novembre 2013 diceva che il Parma era «la società più organizzata di quelle in cui sono stato, quella con strutture a livelli di grandi club». E anche Donadoni, che ora legittimamente protesta per le condizioni in cui si trovano i suoi uomini, era colui che delle società diceva che «bisogna cercare una crescita graduale come sta facendo il Parma cercando di valorizzare i suoi giocatori» e che a Cassano, che capendo l'aria aveva fatto esplodere il caso-Parma con la messa in mora e la rescissione, aveva dato del vigliacco.
Il Parma è un involontario capolavoro quando si parla di cambi d'opinione. Perché per tutti lo scandalo è che il Parma sia stato iscritto al campionato, mentre per anni si esaltava il modello gestionale di una società che faceva girare centinaia di giocatori senza un senso tecnico. Furono in molti, peraltro, a indignarsi per l'esclusione dall'Europa League. Ad esempio:
Garcia e Sabatini, da Re a imputati
Rudi Garcia è l'allenatore che ha fatto vincere, nello scorso campionato, le prime dieci partite di fila alla Roma. Si è presentato così e ciò, al di là dell'esito del campionato scorso, lo ha messo legittimamente in vetrina, come la vera cosa nuova del nostro pallone. Il tecnico che fino a un certo punto aveva anche modi e atteggiamenti distanti da quelli soliti del calcio italiano aveva tutto per essere esaltato. Infatti lo è stato. Fino a essere definito dalla Uefa l'ottavo Re di Roma.
Sabatini è stato il diesse che in estate ha portato Iturbe strappandolo alla Juve, Astori strappandolo alla Lazio. In quel momento, togliendo giocatori alla rivale per lo scudetto e alla rivale cittadina, il direttore sportivo era l'uomo forse più amato, applaudito dai tifosi, fino a essere osannato dai giornali come il Re delle trattative.
Così la Roma era da scudetto, quest'anno.
E Garcia e Sabatini lo hanno ripetuto all'infinito, legittimamente convinti della forza della propria squadra e pure con il soffio alle spalle dei giornali che così dicevano. Garcia lo ha ribadito anche dopo la sconfitta con la Juve all'andata. Anzi. Soprattutto.
Poi, però, tutto ha cominciato a girare storto, la Juve si è allontanata, Garcia è finito nel mirino (al netto delle allusioni volgari) dei giornali che lo esaltavano e non lo hanno più considerato intoccabile, lui si è visto rinfacciare mille volte la frase sullo scudetto che era valsa mille titoli, fino a dire di essere stato punito da una divinità per la superbia di quella frase. E Sabatini è diventato il simbolo del fallimento dello stesso mercato che lo aveva reso inarrivabile, fino a essere già un ex...
E la Roma non è più da scudetto, ha il secondo posto da difendere, nemmeno Garcia è sicuro di rimanere. Anche se adesso i tifosi lo vogliono. Senza dubbio.
Tévez non segna in Champions. Come?
Carlitos Tévez non è arrivato in Italia accolto da molti squilli di tromba. Guardato un po' di traverso, come fosse uno che ha già dato e a fine carriera. Un po' l'uva per la volpe, però. Doveva essere un bidone perché così era stato visto da chi non tifava per la squadra che, invece, l'aveva preso. E quando ha iniziato a fare la differenza, il giudizio è diventato altro: Tévez in Champions non serve, non segna, non riesce a essere decisivo. Quindi Tévez era un problema, un aggiornamento della statistica.
Non segna da 1.673 giorni...
Duemila!
Poi segna due gol contro il Malmoe in casa. Finita? No. Però c'è il gol fuori casa che non arriva. Che è un modo per dire: Tévez è forte, ma non ha una dimensione internazionale.
Siamo arrivati a fine novembre. Poi ne ha fatti sei, fino alla doppietta contro il Borussia. E quella critica diventa l'inizio di una fiaba: c'era una volta...
Niente, Tévez segna.
De Laurentiis twitta contro e vota a favore
Qui andiamo per immagini, partendo dall'ultima.
Questi due tweet, del Napoli dopo il pareggio con l'Atalanta.
Questo video, con De Laurentiis che mostra a Lotito la scheda, per far vedere che ha votato Tavecchio...
E questa foto...