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Il Classificone 3/4: Sprint per l'Europa
28 mar 2015
Le squadre che nel finale di campionato si sfideranno per un posto in Europa: ritorna il Classificone, la rubrica più amata de l'Ultimo Uomo. Sempre più suggestiva, sentimentale e solitaria.
(articolo)
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Il terzo quarto di un campionato è il momento in cui, dopo il giro di boa che è nel mezzo, si pianifica una strategia, o se volete in cui si fissano per bene le ventose del joystick al tavolo e si comincia ad agitare orizzontalmente, con una certa lena, la manovella rossa e anatomica dell’Albatros, con l’idea di prendere il ritmo prima della frenesia oscillatoria del rush finale.

If you know what I mean.

In questo caso lo sprint è quello per staccare un biglietto utile per l’Europa; al momento a inseguire ci sono quattro squadre, ma a ritrovarsi coinvolte sono soprattutto tre città; la classifica, la mia, è ordinata per merito/suggestione. Sull’onda dell’arrivo della primavera, e del codazzo di implicazioni sentimentali susseguenti, ho deciso che in questa puntata del Classificone utilizzerò molte immagini pescate dal pescoso oceano della mia adolescenza, che poi è la primavera della vita.

Una cosa sulla città di Milano, prima.

Il prossimo primo maggio, a Milano, verrà inaugurato l’Expo. Non s’è poi capito bene, cosa succederà a quest’Expo, ma sarà senz’altro vantaggioso perché metterà l’Italia al centro del mondo. Sarà un momento di grande scambio e confronto e avremo tutti gli occhi puntati contro. Mi pare una coincidenza strabiliante il fatto che proprio nell’anno dell’Expo di Milano la città meneghina rischi di non avere neppure una rappresentante in Europa. Sapete da quant’è che né Milan né Inter riescono a qualificarsi per una competizione europea? Non potete saperlo, perché non è mai successo. Mai nella storia moderna.

Quel convergere verso l’alto di spire nella fontana al centro della Lake Arena, non ricorda un po’ la rincorsa di fasci di luce che dà vita alla Coppa nel promo dell’Europa League?

5 - AC Milan

Ah, il tramonto degli anni Novanta! I’m blue da ba dee da ba dah, la remuntada di Zaccheroni, il Presidente agguerritissimo. È passato un quarto di secolo: gli Eiffel 65 non si capisce bene se abbiano voglia o no di rinverdire i loro fasti, idem il Milan. Solo il Presidente sembra avere le idee chiare sul suo futuro, anche se venticinque anni mitigano ogni portata mitopoietica, dentro e fuori dal campo.

Questi sì che erano anni very belli.

La distanza non è incolmabile, sulla carta: ma c’è la paura e lo scoramento, che puoi leggere nei piccoli gesti di Cerci mentre si aggiusta il frontino o negli occhi di Mattia Destro, che ad anno scolastico in corso ha chiesto il trasferimento dal Professionale in cui si sentiva sottovalutato allo Scientifico, salvo commuoversi quando ha capito che quel verso di Leopardi, «ma nebuloso e tremulo dal pianto [...] alle mie luci il tuo volto apparìa, che travagliosa era mia vita; ed è, né cangia stile» gli calzava a pennello, o ancora in Inzaghi, a rendere l’impresa, appunto, un’impresa.

Più ancora dello scambio di sguardi prolungato, della presunta bestemmia che non so leggere sulle labbra di Inzaghi, c’è l’espressione risentita di Honda che è quella del quindicenne al quale hai appena messo una nota che non pensa di meritare.

4 - FC Internazionale

L’Inter, mentre scrivo, è a nove punti dalla Fiorentina, vale a dire dal sesto posto. Dall’inizio del girone di ritorno ha perso contro Torino e Sassuolo, poi ha inanellato tre vittorie consecutive prima di incepparsi: non è riuscita a fare più di un punto soltanto contro tre contendenti dirette: Fiorentina, Napoli e Samp. In mezzo c’è anche un bel pareggio casalingo contro il Cesena.

Mancini ha detto che per rifondare una squadra l’assenza dall’Europa può essere un vantaggio; doveva suonare rassicurante e in parte lo è stato, rassicurante come una fiaba di Esopo, in cui alla fine c’è sempre una morale, anche se la morale è che quando la volpe non può arrivare all’uva, insomma, lo sappiamo com’è che si comporta.

Magari Mancini sarà bravissimo a contraddirsi, ma l’immagine finora più adamantina dello stato di salute dell’Internazionale è—e resta—il comportamento di Maurito Icardi, la faccia imbronciata quando segna che è uguale a quella che fa quando non ci riesce, e poi la sceneggiata melodrammatica del Mapei Stadium.

Agli amici dirai che è tutto risolto, che è stata un’incomprensione, cose che succedono, davvero, che state bene insieme. Ma la vostra storia è una bomba a tempo, e tu lo sai.

Icardi che litiga coi tifosi e con i compagni è la fidanzata bellissima e ambita con la quale però c’è maretta, che ti ha appena informato che andrà a fare la stagione in un villaggio turistico e tu in cuor tuo sai già che non tornerà, e perciò ogni occasione è buona per scannarsi.

3 - FC Torino

Sono andato a rileggermi la Guida Ufficiosa che abbiamo fatto a inizio stagione con Luca Misculin; ricordavo ci fosse una parte del dialogo che verteva sul tema Dove-Può-Arrivare-Questo-Torino, ed ecco: se avete previsioni a medio-lungo raggio da fare chiamate pure Luca.

Il Misculin diceva che la stagione si sarebbe potuta ritenere di successo se il Toro si fosse piazzato tra i primi dieci, se fosse uscito dignitosamente dall’Europa League e se avesse valorizzato alcuni giovani.

Per esserci, nella parte sinistra del tabellone, il Toro c’è ed è pure ben piantato; negli ultimi due-mesi-e-mezzo ha vinto a Milano contro l’Inter, sfracellato la Samp di Mihajlovic, pareggiato con la Fiorentina e battuto il Napoli. Martínez, Benassi e in parte anche Gastón Silva (che ha l’attenuante di trovarsi di fronte Darmian, uno dei migliori giocatori della squadra) si sono innescati alla perfezione nella rosa e nei processi di gioco di Ventura. Ma soprattutto il Toro ha tenuto fede e in un certo qual modo ridato lustro a quel brand, quello del Vecchio Grande Cuore Granata™, arrendendosi solo agli ottavi di finale di fronte a una (cito Misculin) «grande o semi-grande uscita dalla Champions League»: ha fatto di più, ne ha pure eliminata un’altra, l’Athletic, e in buona sostanza se gli ultimi due mesi in Europa del Torino potessero valere da soli una wild card anche per il prossimo anno, con tutta l’epica agée che ne consegue, il mondo sarebbe un mondo migliore.

Espugnare il San Mamés, farlo così, in rimonta, dovrebbe essere come afferrare lo straccio che penzola nella giostra dei calcinculo o scartare un Boero: si dovrebbe sempre vincere un altro giro.

2- Genoa CFC

Ho passato più tempo nella mia vita a vedere il Genoa fuori dalle Coppe Europee che dentro. Manca dal 2009-10, ed è probabile che gli anni d’astinenza diventeranno 6: ma se c’è una squadra che davvero, in cuor mio—l’avevo detto che sarebbe stato un Classificone sentimentale—vorrei vedere qualificarsi quella squadra è il Genoa.

L’inevitabile conseguenza del ricordo lucido, nitido, incancellabile (so la formazione di quel Genoa a memoria) di qualcosa successo da più di vent’anni (soprattutto l’irriverenza di Aguilera ad Anfield Road) fa maturare minacciosa la certezza degli anni che avanzano.

Perché nel terzo quarto di questa stagione, dopo un novembre-dicembre abbastanza suicida, la formazione di Gasperini ha tenuto testa a Lazio e Fiorentina, ha contribuito alla rinascita (anche se ha solo 21 anni) di Niang dimostrando che si può far di nuovo sbocciare una primula dai petali appassiti, basta piantarla nel terroir giusto e annaffiarla di stima e pazienza, e più in generale la metà più antica di Genova se la meriterebbe, un po’ d’aria continentale nell’anfratto stantio dei caruggi.

1- Sampdoria

Scrivo con la Sampdoria a quattro punti da un posto in Champions League (sic) e con nove punti di vantaggio sul Torino, la prima delle inseguitrici ancora fuori dalla zona evidenziata che garantisce un posto in Europa.

Mihajlovic nella Genova blucerchiata ha approntato una specie di rivoluzione, copernicana ma al contempo elementare. La sua è una squadra che dialoga, che si confronta, in cui l’attacco aiuta il centrocampo, che gioca sempre tra le linee: Mihajlovic è il prete che nel corso prematrimoniale ha insegnato alla coppia ad andare d’accordo e fare le cose semplici, che non si sbaglia mai.

Un’immagine esemplificativa: la zona d’influenza di Eto’o contro la Roma è più o meno la stessa che, a parti invertite nello stesso match, hanno coperto Pjanic e Keita.

Eto’o che fa la mezzala non significa che Eto’o non sappia più dare sfoggio delle sue skills: significa piuttosto che questo atteggiamento operaistico degli esterni-gozzetti (anche Éder aiuta molto la squadra, e Conte non ha faticato ad accorgersene convocandolo in Nazionale), insieme alla propensione di Okaka a giocare come lampara aliciaia (cioè la barca che illumina lo specchio d’acqua nel quale i gozzetti, un altro tipo di barchette agili, gettano le reti: un’immagine che ho già usato per la Samp nel Classificone di un anno esatto fa), è il valore aggiunto della squadra di Miha.

Poi che c’entra, il segreto non è né può stare tutto là: anche Soriano o Romagnoli, per citarne due degli altri reparti, sono davvero in quello che si dice stato di grazia, forse fin troppo, perché se giochi così bene nove su dieci l’anno prossimo sei da qualche altra parte, e per fare bella figura in Europa c’è bisogno di una squadra attrezzata e motivata come questa.

Non basterà, insomma, mettersi una sciarpa in testa nei migliori stadi d’Europa. Anche se a qualcuno strapperà ancora un sorriso, e tant’è.

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