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Il difficile ruolo del portiere femminile, intervista a Camelia Ceasar
06 giu 2022
Abbiamo parlato con il portiere della Roma Femminile.
(articolo)
7 min
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Da sempre il calcio femminile è vittima di pregiudizi di tutti i tipi. Il più fastidioso, il primo che dovrebbe essere abbattuto, è il suo confronto con la sua versione maschile (un assunto che vale per qualunque sport, anche il tiro con l’arco). Il secondo pregiudizio, in termini di ricorrenza, è quello che ha che fare con il ruolo del portiere. “I portieri nel calcio femminile non saltano”, “non arrivano all’incrocio dei pali”, “andrebbero ristrette le porte”, “non sanno uscire”, insomma non fanno niente bene come i loro pari ruolo maschi. Anche questi giudizi sono frutto di un confronto che non dovrebbe esistere.

Eppure, se – piano piano – il calcio femminile sta trovando una sua credibilità, per i portieri è difficilissimo essere prese sul serio dal pubblico generalista. Ci sono dei motivi validi perché ciò accada? È un ruolo che deve essere migliorato nel suo sviluppo tecnico? Ci sono dei limiti strutturali che non possono essere superati? Per provare a capire, sono andata a parlare con un portiere della serie A femminile.

Camelia Ceasar è il portiere della AS Roma dalla stagione calcistica 2019/2020. Prima di arrivare nella capitale ha vestito maglie altrettanto prestigiose: il Milan per un anno e prima ancora cinque stagioni (dal 2013 al 2018) fra le fila di un Brescia fortissimo, che è la madre della Juventus femminile come la conosciamo oggi e con cui Ceasar ha vinto due campionati italiani, quattro Supercoppe e due Coppe Italia. La seconda Coppa Italia invece è più recente, risale alla stagione calcistica 2020/21 che Ceasar ha vinto appunto con l’AS Roma in una finale terminata ai rigori contro il Milan in cui è stata decisiva, avendone parati due.

Camelia Ceasar è anche il portiere della nazionale della Romania, dove è nata nel 1997 prima di trasferirsi a Torino all’età di cinque anni. È in questa città che Ceasar ha iniziato a giocare a calcio, prima come centrocampista e poi come portiere, ruolo in cui è capitata un po’ per caso prima che il suo allenatore scoprisse che stare fra i pali era il suo talento. Con Camelia abbiamo analizzato i pregiudizi legati al suo ruolo, abbiamo parlato della stagione solida della Roma che, grazie ad un secondo posto in campionato dietro la Juventus, si giocherà un posto in Champions League nella prossima stagione, e ovviamente anche del passaggio del calcio femminile al professionismo dal 1 luglio 2022.

Una postilla finale: se vi state chiedendo per quale motivo ho usato “portiere” invece che “portiera” per tutta l’introduzione, la scelta linguistica è dovuta alla volontà di Camelia Ceasar. La prima domanda che le ho posto riguardava proprio se preferisse che durante l’intervista mi rivolgessi a lei come “portiera” o come “portiere”. Senza nessuna indecisione mi ha risposto che voleva che ci si rivolgesse a lei al maschile, e così – mio malgrado – ho fatto durante tutto il nostro incontro.

Come si sceglie il ruolo di portiere nel calcio femminile?

Io ho iniziato a giocare a calcio all’oratorio, ovviamente erano tutti bambini maschi. A quel tempo giocavo a centrocampo. Poi il nostro portiere si è rotto il braccio e io mi sono offerta di prendere il suo posto. Dopo un po’ ho provato tante volte a uscire fuori dalla porta. Avevo scoperto quasi subito che non mi piaceva, che mi annoiavo. Però alla fine sono rimasta lì: l’allenatore diceva che ero portata.

Con gli anni ho imparato ad apprezzare questo ruolo. Devo dire che mi sono innamorata strada facendo, non è stato proprio un amore a prima vista.

Una cosa che sento molto spesso rispetto a questo ruolo è che ci si finisce sempre un pochino per caso. È raro che qualcuno fin dall’inizio dica: io voglio fare il portiere ed è anche il tuo caso. Mi chiedo se magari qualcosa di quello che hai imparato giocando a centrocampo te la sei portata nel tuo ruolo di portiere.

A me è sempre piaciuto tanto giocare la palla. Soprattutto in questo momento in cui stiamo crescendo tanto a livello di squadra e si sta utilizzando molto di più il ruolo dei portieri per costruire dal basso, il mio ruolo è diventato proprio parte integrante delle undici che giocano. E questo ha chiaramente cambiato un po’ l’aspetto del ruolo rispetto a quando stavi lì ad aspettare il tiro dell’avversaria. Adesso il portiere è parte della costruzione del gioco, il ruolo da cui parte l’azione. Ovviamente io sono molto contenta che le cose stiano evolvendo in questa direzione.

E secondo te invece una caratteristica mentale tipica di un portiere?

Buona parte della prestazione del portiere si basa su un’enorme concentrazione. A livello di statistica un portiere tocca veramente pochi palloni in confronto a quelli toccati da tutti gli altri ruoli. E quindi bisogna cercare di rimanere concentrati perché da un momento all'altro la palla può arrivare e tu devi essere pronto. Poi c’è tutto un lavoro che non vede nessuno: devi sempre cercare di mantenere la stessa distanza con la linea difensiva, comunicare con i compagni, perché anche se non sei attivo è tuo compito dare indicazioni, tenere sveglia la linea difensiva. Questa cosa del comunicare serve tanto al portiere stesso, in questa maniera rimani dentro al gioco.

Io sono una che parla tanto fra i pali. Mi piace incoraggiare, mi piace aiutare, mi piace essere proprio parte dell'azione anche se non in modo attivo.

Di certo sarai a conoscenza del pregiudizio che c'è nei confronti delle donne che giocano nel ruolo di portiere, e cioè che sono meno atletiche e performanti rispetto ai colleghi uomini. Secondo te per quale motivo esiste questo tipo di pregiudizio?

Io mi alleno quotidianamente con un preparatore da poco, non ho iniziato sin da quando ero piccola. E io sono pure abbastanza giovane, ho ventiquattro anni. Adesso in alcuni casi le bambine hanno la fortuna di essere seguite in modo quotidiano dai preparatori dei portieri sin da piccole. Però nel mio caso, e in quello di molte mie coetanee, quando sbagliavo non c’era nessuno a correggermi o che il giorno dopo la partita mi poteva spiegare come sistemare alcune incertezze magari legate alla coordinazione. Insomma, quelle piccole cose che poi ti portano ad essere performante quando giochi a livelli più alti. Quindi direi che noi ad oggi stiamo facendo il meglio che possiamo, partendo dal presupposto che da piccole ci è proprio mancata una base fondante del ruolo del portiere e questo purtroppo ha segnato inevitabilmente la carriera di alcune di noi.

Da quanto tempo hai un preparatore?

Io ho avuto la fortuna di andare a quindici anni a Brescia e quindi è da quel momento in poi che lavoro in modo quotidiano con un preparatore. Però capisci che quindici anni rispetto a un bambino che inizia a lavorare con un preparatore da quando ne ha sette è differente…otto anni di lavoro mirato sono andati perduti.

Poi ovviamente giochi lo stesso però nel mio caso io sono arrivata fino a quindici anni basandomi principalmente sul mio istinto, quindi su un bagaglio che viene da me e magari ho perso tanti anni di crescita, di spiegazioni. È facile criticarci sulla nostra agilità, sulle nostre scelte fra i pali, però è un processo in cui noi stiamo facendo dei passi avanti, dove si è insistito tanto per dare la possibilità alle bambine di oggi e quindi il lavoro iniziato oggi si vedrà tra qualche anno.

Come è cambiata di fatto la tua preparazione atletica negli anni?

Come dicevo prima, si è investito tanto nel ruolo del preparatore: ogni società ne ha uno e questo permette di lavorare in maniera intensiva sui movimenti del portiere. Poi a questo si aggiunge un lavoro di potenziamento che svolgiamo insieme a tutta la squadra e anche il lavoro che viene fatto con il preparatore è finalizzato al gioco di squadra. Ma penso che ogni portiere si prepari anche in base a come la società vuole lavorare in vista degli obiettivi che si vogliono raggiungere. C’è chi vuole più la costruzione dal basso, magari però ci sono altri portieri più portati a fare una giocata lunga. Penso ad un portiere molto forte, Pauline Peyraud-Magnin (portiere della Juventus e della Nazionale francese, ndr) che secondo me è migliorata tanto quest’anno. Ha combinato la sua scuola francese a quella italiana, perché comunque si tratta di tradizioni differenti. E ho visto che è riuscita ad amalgamare bene le due cose e questo l’ha portata ad avere la capacità di scegliere il movimento più efficace nel momento dell’intervento.

Cosa intendi con questi due aspetti diversi, me li puoi spiegare?

Magari il portiere proveniente da una tradizione calcistica del nord Europa tende a coprire la porta con una parata a croce. Invece qua in Italia si predispone l’attacco palla con le braccia, tuffandoti sul pallone invece che facendo la copertura sulla porta.

Secondo te chi è il portiere più forte al momento?

È difficile giudicare un portiere sul momento, perché appunto il suo ruolo si vede poco, soprattutto nelle grandi squadre. Guardando le ultime due partite di Champions League mi piaciuta Christiane Endler (portiere dell’Olympique Lionnaise e della Nazionale del Cile, ndr) e poi mi è piaciuto anche il percorso che ha fatto Peyraud-Magnin in Champions League. Di fatto il portiere forte si differenzia lì, quando fai pochi interventi ma decisivi per portare il risultato a casa.

Questa è stata la prima stagione in cui una squadra ha chiuso in campionato al secondo posto dietro alla Juventus con soli cinque punti di distacco. Anche la finale di Coppa Italia giocatasi fra la Roma e la Juventus ha fatto vedere che superare le bianconere era possibile. Ma poi, di nuovo per un soffio, non ci siete riuscite. Che cosa manca a questa squadra per compiere quel pezzetto in più che serve per passare davanti a tutte?

È vero. Se osserviamo la finale di Coppa Italia come una partita a sé, si può dire che è mancato qualcosa per chiuderla. Però non dimentichiamoci che quello che stiamo facendo con la Roma è un percorso che procede da tre anni e in questo lasso di tempo il gap con la Juve si è ridotto molto. A livello di campo abbiamo dimostrato di non avere niente di meno rispetto a loro. Adesso noi non vogliamo focalizzarci su cosa ci manca per arrivare ad essere come loro, vogliamo focalizzarci su di noi, sul capire cosa manca a noi per essere migliori, ma comunque non rispetto alla Juventus. Quello che la Roma vuole fare è puntare ad arrivare al massimo delle sue possibilità.

Qual è secondo te l’elisir di questa formazione che quest’anno è arrivata fra le prime otto squadre d’Europa, e poi ha vinto lo scudetto e la Coppa Italia?

La Juventus è una squadra che ha vinto gli ultimi cinque campionati e dimostra di avere un’ossatura importante. Le ragazze che sono la colonna portante di questa Juventus lo erano già al Brescia, una squadra che ha vinto tantissimo e in cui ho giocato anche io. Inoltre molte di queste ragazze sono anche l’ossatura della Nazionale. Quindi direi la conoscenza, l'atteggiamento che possono avere loro, la cattiveria, e proprio il feeling fra di loro che giocano da tanti anni insieme è una cosa rara, una caratteristica che hanno solo loro.

Ed è per questo che ti dico che noi abbiamo iniziato un percorso diverso da loro, perché abbiamo costruito tanto per arrivare però non a compararci con loro ma a compararci con noi stesse. E sono sicura che a livello di campo il gap non è più così grande. Alla fine, se mettiamo da parte le prestazioni della Juventus, dal canto nostro si può dire che abbiamo lasciato alcuni punti per squadra contro altre squadre per colpa nostra, punti che magari ci avrebbero permesso di stare più avanti in classifica. Quindi non è proprio la partita contro la Juventus a mancarci, ma un qualcosa che dobbiamo migliorare noi per non lasciare più punti in giro anche contro altre squadre.

Quello che ho notato in questa stagione calcistica della Roma è una compattezza più forte rispetto agli anni prima, che cosa è successo in questa direzione?

Questo è un campionato in cui le altre squadre sono veramente sul pezzo. Se fai un passo falso c’è subito qualcuno che ti supera e quindi paghi il minimo errore. Noi abbiamo perso ad inizio campionato con l’Inter, con la Juve e pareggiato con il Milan. Queste tre partite ci hanno tolto un po’ di punti con la conseguenza che non potevamo più sbagliare. E questo ci ha fortificate. In un certo senso non ci siamo messe nessuna pressione addosso, però sapevamo che avevamo un gruppo importante a livello di giocatrici e a livello umano. Il gruppo che è stato costruito in questi tre anni è molto importante e le ragazze che arrivano si integrano immediatamente e riescono a capire subito quello che serve per fare bene in squadra. E tutte queste cose insieme ci hanno poi portato a fare tutti i risultati importanti e arrivare al secondo posto.

In che modo evolverà adesso la squadra anche in previsione della partecipazione alla prossima Champions League?

Giocare in Champions League ti dà sicuramente tanta consapevolezza. Alla fine credo che quello che ci manchi come squadra è il renderci conto di quanto siamo brave e forti. Noi questa cosa dobbiamo ancora capirla fino in fondo. Dobbiamo avere più consapevolezza in noi e la Champions League può darti quella spinta in più per poi renderti conto di quel che vali.

Quanto conta per te essere considerata una professionista dal 1. luglio?

Questa è una battaglia in cui mi ci metto dentro anche io perché anche se sono abbastanza giovane sono dieci anni che gioco ad alti livelli. In questi anni abbiamo fatto tantissime cose per arrivare a questo status.

Abbiamo fatto tanti scioperi, tanti incontri e confronti con i nostri presidenti. E lungo il percorso ci siamo prese anche diversi insulti.

Abbiamo lottato davvero tanto, come in ogni cosa del resto. E quindi dal primo luglio poter affermare di essere professionista è molto importante per tutte. Ci sono anche molti passaggi che sono stati compiuti da giocatrici che magari oggi non giocano più. E quello che spero è che le calciatrici di domani si ricorderanno di questi passaggi e non daranno nulla per scontato. Perché scontato non lo è per niente. Fino a qualche anno fa magari avevamo la partita a mezzogiorno e quindi partivamo alle cinque di mattina del giorno stesso. Oggi invece ti puoi permettere di partire il giorno prima. È una piccola cosa, però fa la differenza e ti permette di giocare una partita in condizioni fisiche ottimali. E poi finalmente avremo tutele e contributi pagati, un'assicurazione sanitaria. Era molto importante per noi sapere di avere un futuro, avere qualcosa fra le mani in un secondo momento visto che adesso stiamo sacrificando tutto il nostro tempo al calcio.

Nei giorni successivi alla notizia del passaggio effettivo del calcio femminile al professionismo, qualcuno aveva criticato duramente questo risultato dicendo che sarebbe stato un cambiamento troppo oneroso economicamente, una riforma che alla fine sarebbe servita solamente a cinquanta giocatrici.

Sicuramente per le società sarà un passaggio costoso, perché con il fatto per esempio che adesso ci sono anche i contributi da pagare, i costi saranno maggiori. Ma per quanto riguarda la critica delle cinquanta giocatrici, per me non è affatto vero. Noi non siamo le uniche ad essere tutelate, in questo percorso verso il professionismo ci saranno anche più tutele pure per i tifosi perché in generale il tifoso del calcio femminile secondo me dovrebbe essere più valorizzato. Un esempio su tutti ha a che fare con gli orari delle partite, che magari vengono stabili una decina di giorni prima del match e a quel punto è un po’ difficile per chi lavora organizzarsi per venirci a vedere. Questi sono piccoli dettagli che magari portano alla rinuncia dei tifosi a seguire la propria squadra.

Quindi secondo me bisognerebbe lavorare anche in ottica del tifoso così da poter pubblicizzare il movimento in maniera più strutturata.

Quello delle infrastrutture e dell’organizzazione nel calcio femminile è un tema molto caldo. Mi pare che il calcio anche a livelli alti sia ancora bipolare. Mi viene in mente la finale dell’Europeo in Inghilterra che è stata organizzata a Wembley, però durante i gironi alcune squadre giocheranno le partite in un campo periferico e molto piccolo di Manchester (il Manchester City Academy Stadium, ndr) che può ospitare solo 7000 tifosi sugli spalti. Questo esempio mi pare un po’ simbolico dell’indecisione o forse semplicemente di una mancanza di visione totale del fenomeno calcistico per come si sta evolvendo.

Può sembrare un aspetto irrilevante, però io ho parlato con i nostri tifosi e spesso emerge il fatto che loro vogliono venire a sostenerci, ma tante volte sono impossibilitati dal fatto che magari il campo è in una posizione difficile da raggiungere oppure non hanno abbastanza preavviso e quindi sono costretti a prendere un giorno di permesso da lavoro.

Quindi secondo me bisognerebbe crescere tanto anche da questo punto di vista, perché poi attiri il pubblico e magari un domani arrivi ad avere anche tu 90.000 persone che vengono a vederti. Però bisognerebbe fare degli step ragionati da tutti i punti di vista.

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