Il ruolo del talent scout nel calcio è più difficile di come spesso viene immaginato: se è vero che il talento di alcuni calciatori è evidente sin dal primo tocco, il problema è capirne la completezza, le potenzialità e la capacità di competere nel calcio d’élite. Ci si aiuta con le statistiche avanzate, sempre di più, per comprendere appieno l’aspetto calcistico di un giocatore: ma tutto il resto rimane sospeso, affidato all’intuito, alle valutazioni sull’impegno, alle voci sulla vita privata, alle interviste banali.
Ovviamente non basta: il calcio è un gioco semplice, è vero, ma è pur sempre una rappresentazione della vita, con una moltitudine di variabili da incastrare, e basta un evento casuale, un’opportunità mancata, per disturbare tutta una carriera.
Julian Draxler a 9 anni aveva già più talento di tutti, a 17 anni apriva con un suo gol la finale di Coppa di Germania, a 20 vinceva il Mondiale con la sua Nazionale. Eppure a 22 (il prossimo settembre ne compirà 23) ancora si sta chiedendo quando diventerà un campione. Ma nessuno sa cosa rispondere a una domanda del genere.
E se Draxler avesse tutto, tranne quella strana luce dei campioni? Se fosse solo un giocatore molto forte? Molto forte e basta? E se invece fosse colpa nostra, che non sappiamo capire e aspettare la maturazione di un calciatore?
Non è mai troppo presto
Draxler è nato a Gladbeck, una città a circa 15 km da Gelsenkirchen, nella regione metropolitana della Ruhr, un posto in cui la gente lavora sodo (storicamente zona di industrie pesanti). È lo stesso Draxler ad ammettere che i suoi genitori lo riportano continuamente con i piedi per terra: “Ma ce n’è raramente bisogno”. Così, il quadro del ragazzo umile e serio è già ben definito.
A 9 anni Draxler passa nelle giovanili dello Schalke 04 perché, come detto, le sue qualità sono già evidenti. Con il padre spesso è allo stadio a tifare per Die Knappen (antico termine tedesco per i minatori), e cosa c’è di più bello che giocare per la squadra del cuore?
Quello dello Schalke 04 è uno dei migliori settori giovanili della Germania: si chiama Die Knappenschmiede, la fucina dei minatori, e ha forgiato (appunto) altri grandi giocatori come Neuer e Howedes (invece Özil arrivò qui che aveva già 16 anni). Draxler è talmente bravo da raggiungere la prima squadra senza passare per quella delle riserve: debutta da professionista il 15 gennaio 2011, sette minuti contro l’Amburgo, per diventare il più giovane esordiente nella storia dello Schalke (e il quarto più giovane nella storia della Bundesliga) con soli 17 anni e 117 giorni.
Ad allenarlo è Magath, famoso come “l’ultimo dittatore d’Europa”: un allenatore che vuole gestire tutto, dal mercato all’alimentazione e che instaura con i giocatori dei rapporti umani al limite del militaresco. Non è facile guadagnarsi la stima di un tipo del genere, ma Draxler ci riesce: Magath dice di essere incantato dal suo controllo del pallone.
Persino il dittatore sembra accennare un sorriso, poi riprende a urlare istruzioni ai suoi giocatori. Il pubblico ovviamente impazzisce di gioia.
Appena 10 giorni dopo l’esordio Magath lo lancia in campo anche in Coppa di Germania, contro il Norimberga allenato da Dieter Hecking. È un quarto di finale a gara secca, si gioca nello splendido stadio dello Schalke, la Veltins-Arena. La partita è finita 2-2 nei tempi regolamentari, e si trascina stancamente nei supplementari. Draxler entra negli ultimi 4 minuti di partita: a Magath serve un rigorista con le gambe fresche.
In quello Schalke giocano Neuer, Howedes, Rakitic e Raul, ma ci deve pensare Draxler: riceve palla sulla trequarti, viene affrontato da un avversario e con un doppio passo si sposta il pallone sul piede sinistro. Da poco fuori la lunetta, il suo tiro col piede “sbagliato” (Draxler è ambidestro ma il suo piede naturale è il destro) finisce quasi all’incrocio: il portiere la sfiora ma non riesce a parare. Sembra quasi un’azione da basket: i compagni sono tutti marcati e lui forza un tiro da tre ormai a fine partita. Manca infatti un minuto alla fine dei supplementari: il giovane Julian ha appena portato lo Schalke in semifinale.
Magath viene esonerato a metà marzo, al suo posto arriva Rangnick, ma non cambia nulla: la qualità di Draxler è talmente evidente che non si può mettere in questione.
Gioca sempre, a volte solo per 5 minuti, ma gioca sempre. Anche in Champions League: a sorpresa, è titolare nella semifinale contro il Manchester United, all’Old Trafford, stravinta dai padroni di casa.
Draxler fa tre cose splendide: trova lo spazio dietro al centrocampista avversario, poi controlla il pallone con il sinistro per prendere in controtempo i difensori, e calcia di destro al volo in una frazione di secondo senza far cadere il pallone. Bacia lo stemma perché è un tifoso, sul serio.
Ha ancora 17 anni ma è già l’idolo dei tifosi: gioca titolare nell’ultima partita di stagione, la più importante, la finale di Coppa di Germania contro il Duisburg (squadra di seconda divisione). Grandi giocatori per grandi partite: sblocca il risultato dopo 18 minuti con uno splendido gol. Lo Schalke poi dilaga, vince 5-0 ed è ormai facile dire che sì, è nato un campione.
Crescere è difficile
Nella stagione successiva (2011-12), lo Schalke continua a puntare molto su di lui: diventa titolare, anche in Europa League, avventura che termina con l’eliminazione ai quarti per opera dell’Athletic Bilbao di Bielsa. Nel frattempo la squadra cambia allenatore, da Rangnick si passa a Stevens.
A fine stagione viene inserito da Löw nella lista dei pre-convocati per l’Europeo: è il più giovane di tutti e non ha mai giocato nella Nazionale maggiore. Esordisce nell’amichevole di preparazione di fine maggio, una sconfitta contro la Svizzera, ma poi viene tagliato dalla lista finale.
Niente di particolarmente negativo, perché nella stagione 2012-13 riesce a mostrare appieno le proprie qualità, stabilendo il suo record di gol segnati in Bundesliga, 10, nonostante l’ennesimo cambio di allenatore.
Nel frattempo si diploma alla stessa scuola di Neuer, Özil e Howedes, quella per i giocatori dello Schalke 04, la Gesamtschule Berger Feld, nonostante Magath gli avesse detto che ormai da professionista contava solo il calcio (scatenando un oceano di polemiche).
Draxler è più bravo senza pallone?
Ad inizio della stagione 2013-14, quella che porta al Mondiale brasiliano, iniziano i problemi fisici, in particolare al tendine d’Achille, da cui sarà tormentato a lungo. È il più giovane a raggiungere le 100 presenze nella storia della Bundesliga, almeno un traguardo in una stagione poco convincente.
Nonostante tutto, il Ct della Nazionale decide di portarlo in Brasile: diventa campione del mondo grazie ai quattordici minuti giocati nella semifinale contro il Brasile. In sostanza, Draxler non viene considerato sufficientemente competitivo per giocare ad eccezione di una partita già finita: un bel momento da vivere, ma non una grande soddisfazione, a pensarci con lucidità.
Sombrero di esterno su Pogba che crolla come una pera cotta: Julian sei fortissimo, perché non ci credi solo un po’ di più?
La vittoria del Mondiale non lo scuote, non c’è il salto di qualità, anzi forse la stagione successiva è la peggiore della sua carriera: una lacerazione al tendine lo costringe a star fuori quasi 5 mesi, Jens Keller viene esonerato e dice che Draxler non sta migliorando il suo stile di gioco: molta corsa ma scarsa capacità di decisione nei momenti che contano. Magath, al contrario, sosteneva che avesse un'intelligenza particolare nel capire i ritmi delle partite: Draxler sta peggiorando?
Forse se ne accorge anche lui e rilascia dichiarazioni strane, come: “Devo diventare di nuovo un giocatore attraente per i grandi club”. Dopo un derby perso contro il Borussia Dortmund, dice di non essere ancora in forma e di sentirsi trattato da capro espiatorio.
Le voci su possibili trattative si moltiplicavano per tutta l’estate, dall’Arsenal al Manchester United fino al tormentone estivo della Juventus: ma nell’ultimo giorno del calciomercato viene ceduto al Wolfsburg per 36 milioni di euro, per rimpiazzare Kevin De Bruyne. Ma che senso ha questa scelta? Lo spiega proprio Draxler nella conferenza stampa di presentazione: c’era troppa pressione su di lui allo Schalke, si aspettavano che decidesse ogni singola partita: “Mi sono convinto che non sarei più stato in grado di resistere alla pressioni e alle aspettative”. Una frase che forse dice molto dei problemi di Draxler.
Un ragazzo che si sente costretto, o forse si costringe da solo, ad abbandonare la sua squadra del cuore: quanto è difficile diventare bandiere? Era più facile nel “vecchio” calcio, o magari Draxler è solo debole? Come si può diventare un campione senza saper reggere le pressioni?
Fa tutto con l’esterno piede, anche il tunnel. Qui l’intelligenza calcistica sta nel capire che un rasoterra potrebbe essere intercettato dal difensore che si sta per lanciare: quindi Draxler ferma il tempo con un colpo sotto.
La scelta del Wolfsburg sembra evidenziare le idee di Draxler: ambiente tranquillo, poche pressioni. Ma soprattutto, è ciò che non sceglie a definirlo: niente squadre straniere perché non si sente ancora pronto a lasciare la Germania. Una scelta piena di senso, ovviamente, ma può un ragazzo di quasi 23 anni, ormai un professionista, scegliere una squadra di livello inferiore per evitare le pressioni (in 5 anni, solo una volta, l’anno scorso, il Wolfsburg è arrivato sopra lo Schalke)? Cosa avremmo detto, ad esempio, se Insigne da napoletano avesse lasciato il Napoli per le troppe pressioni?
Un posto nel campo
Julian Draxler è una promessa di campione da 5 anni, ormai, fa impressione pensarci. Eppure è cambiato tanto, da quel gol in finale, da quella coppa vinta.
TuttoDraxler in una sola partita, quella contro il Chelsea in Champions League: gioca da ala sinistra ma si abbassa molto spesso nella propria metà campo per aiutare l’inizio azione. Le sue transizioni offensive sono velocissime, ed è incredibile la facilità di gambe per un ragazzo alto 1.87 metri. Dimentica spesso l’avversario in fase difensiva, e lo Schalke rischia di subire un gol proprio per un suo errore.
Draxler si è costruito il suo personale limbo, da cui forse non vuole più uscire. La strategia dello Schalke d’altronde non lo ha aiutato: in 5 stagioni ben 6 allenatori, non il massimo per l’evoluzione di un giovane. Anche perché ognuno lo vedeva in un ruolo diverso e nel corso degli anni il dubbio si è solidificato: qual è la posizione migliore per Draxler?
Nel suo percorso allo Schalke, in gran parte è stato schierato come ala sinistra: sulla fascia ha più spazio, può sfruttare il suo dinamismo, tagliare dentro il campo e chiamare continuamente triangolazioni. Oppure sulla fascia fa meno danni e i suoi errori si notano di meno?
Viene criticato anche per la scarsa visione di gioco: sul serio?
Ogni tanto è stato utilizzato anche da trequartista: ottima capacità di servire i compagni tagliando le linee, dribbling secco e buon tiro dalla distanza. In quel ruolo però non decolla mai: non troppo resistente al pressing, a volte in difficoltà nella distribuzione di gioco, con una tendenza a buttarsi in avanti nello spazio: forse gli manca la pausa.
Questa descrizione di trequartista, però, assomiglia molto a quella delineata da Allegri nella sua tesi a Coverciano, il che spiega anche il lungo interessamento dei bianconeri.
La passata stagione è stata la peggiore, nonostante il picco nei dribbling riusciti. Quest’anno al Wolfsburg va meglio praticamente in tutta la fase di creazione, forse perché sta giocando più spesso da trequartista. Fonte: www.squawka.com
Il passaggio al Wolfsburg non l’ha agevolato tatticamente, anzi ha persino acuito il senso di incertezza sulla sua posizione: in 16 partite giocate finora è stato schierato da trequartista, in 12 da ala sinistra (e persino una volta da falso nove).
Dieter Hecking, l’allenatore che vide da avversario lo splendido primo gol da professionista di Draxler, lo usa nel 4-2-3-1 in entrambi i ruoli, un po’ come faceva con De Bruyne. La speranza del Wolfsburg è proprio di replicare l’operazione riuscita con il belga ceduto al Manchester City: ma Draxler sembra ancora non essere al centro delle dinamiche della squadra. Brilla in alcune partite, latita in altre, e questa sua intermittenza si sta rispecchiando pienamente nella squadra della Volkswagen: ottava in campionato (a rischio la partecipazione europea per la prossima stagione) ma ai quarti di Champions League.
Una grande qualità di Draxler sarebbe perfetta, in realtà, per il trequartista del 4-2-3-1: la sua capacità nell’attaccare la profondità, per farsi trovare alle spalle della linea difensiva avversaria. Anche per questo non potrà mai davvero essere un ricambio di De Bruyne: a volte Draxler sembra preferire il controllo dello spazio a quello del pallone.
C’è ancora una grande differenza tra il De Bruyne della scorsa stagione e il Draxler di quest’anno. Un passaggio chiave in meno ogni 90 minuti, meno della metà degli assist: a dimostrazione che il tedesco non è ancora un vero playmaker offensivo, ma più un grande solista.
In qualche modo, Draxler deve sopperire non solo alla cessione di De Bruyne ma anche a quella di Perisic: quest’anno gli equilibri offensivi di Hecking sono più precari, e il continuo interscambio di posizioni non è più solo una questione tattica. L’infortunio di Bas Dost ha reso tutto persino più complicato, spingendo l’allenatore del Wolfsburg a schierare Kruse o anche Draxler da finto centravanti in un 4-3-3.
Le caratteristiche di gioco si adattano bene alle qualità del numero 10: un calcio diretto, fatto di transizioni veloci e verticalizzazioni immediate. Dopo il secondo posto a sorpresa della scorsa stagione, però, in Bundesliga hanno capito tutti come affrontare il Wolfsburg, costringendolo a un maggior circolazione del pallone (terzo per possesso palla con circa il 57%): per questo De Bruyne poteva essere molto più diretto nel cercare e trovare la verticalizzazione, rispetto a Draxler (il primo effettuava il 50% dei suoi passaggi in avanti, il secondo solo il 41%).
Forse non è un caso che in Champions League i tedeschi stiano andando meglio. La vittoria del girone (con PSV, Manchester United e CSKA), il passaggio degli ottavi contro il Gent e ora tocca al Real Madrid: come tipologia di avversario, una grande occasione per il calcio veloce di Draxler e i suoi continui attacchi alla profondità.
Draxler ala sinistra, talmente largo da calpestare la linea laterale: e ancora una volta se ne va in dribbling di esterno per tagliare immediatamente verso il centro: appena si gira in direzione della porta sa già che servirà il compagno per una triangolazione. Ha ragione Magath, capisce benissimo i tempi delle giocate.
Con 32 presenze e 8 gol (e 6 assist) in Champions League in carriera, Draxler sembra in effetti accendersi nelle notti europee: ma rimane il problema di come non spegnere l’interruttore.
La differenza tra un ottimo giocatore e un campione passa anche per la continuità di rendimento: nel ricambio della Nazionale tedesca, il 10 del Wolfsburg dovrà stare attento a non sprecare le sue occasioni. Nella sfida contro l’Italia, Draxler ha mostrato un compendio delle sue qualità: eleganza innata, grande duttilità tattica, controllo del pallone perfetto e quel vezzo di giocare sempre con l’esterno, evidente nell’assist del terzo gol tedesco.
Allo stesso tempo, anche in una partita amichevole vinta con un notevole scarto, sono emersi i suoi comportamenti elusivi, che spingono i più distratti a chiedere: “Ma sta giocando Draxler?”. La grande duttilità tattica si trasforma in confusione (Löw lo ha schierato ala sinistra del tridente offensivo) e soprattutto nella difficoltà di entrare in partita: con solo 38 tocchi è stato il titolare meno coinvolto (ad esclusione di Götze, sostituito però dopo un’ora di gioco) dando a volte quasi l’impressione di esserne contento.
Il calcio di Julian Draxler sembra il gioco delle perle di vetro, ma il pallone è meno sofisticato. Volente o nolente, Draxler dovrà scegliere se rimanere un “normale” ottimo giocatore o diventare super per davvero.
Draxler si abbassa dietro la linea di metà campo, prende il pallone e poi parte libero verso una nuvola di giocatori azzurri: salta Darmian con un tunnel d’esterno, la scivolata di Montolivo è inutile, detta la triangolazione a Götze e, una volta dentro l’area, aspetta qualche secondo per attirare verso di sé Acerbi e poi servire con un delicato tocco d’esterno (come sempre) il compagno Hector, totalmente libero.
In un ambiente tranquillo, slegato dalla pressione di essere tifoso e ormai solo professionista, Draxler può diventare finalmente un campione: tecnica e struttura fisica sono dalla sua parte, ma per dominare il gioco bisogna capirlo bene, come una partitura musicale.
Draxler ha sempre fatto tutto prestissimo. Adesso può rallentare un po’ per capire davvero la sua posizione nel campo.