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Il generoso
02 set 2016
Ali Karimi, genio calcistico iraniano.
(articolo)
26 min
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Dei cinque giocatori più rappresentativi dell'Iran post-rivoluzionario – Ali Daei, Ali Karimi, Karim Bagheri, Khodadad Azizi, Mehdi Mahdavikia – Ali Karimi è il più giovane: nato l'8 novembre 1978, è l'unico tra essi ad aver probabilmente imparato a camminare e a parlare nella Repubblica islamica, nata a cavallo tra il 1978 e il 1979. Ed è anche quello che, in proporzione al talento, si è forse realizzato meno.

Mohammad Ali Karimi Pashaki nasce a Karaj, una caotica città industriale a venti chilometri da Teheran, che in quel periodo viene coinvolta dal processo di urbanizzazione, a causa soprattutto dei pendolari con la capitale, che vi si stabiliscono per via degli affitti più bassi. Anche Ali va a Teheran per dare i primi calci a un pallone, nelle giovanili della Fath Teheran (oggi scomparsa), fino all'esordio tra i professionisti, nella seconda serie. In quel periodo, racconta Ali sul suo sito web, gli allenamenti si svolgevano in strada, con una palla di plastica. Uno dei tanti fattori che l’ha portato ad avere un controllo del genere, e a fargli meritare il soprannome di Jadoogar, “il mago” in farsi.

Nell'estate del 1998 il ventenne Ali Karimi viene acquistato dal Persepolis, la squadra più blasonata del Paese: l'allenatore Ali Parvin lo ha visto in un torneo indoor e fa pagare alla società i 15.000 dollari che servono per prenderlo. Deve essere già una vittoria, questa, per Ali Karimi, che da piccolo tifa proprio per il Pirouzi (che in farsi vuol dire “vittoria”), l'altro nome con cui è conosciuto il club.

In Iran, negli anni '90, i talenti latitano: si viene da quasi un decennio di guerra logorante, in cui tanti ragazzi vengono cooptati dall’esercito o si offrono volontari per la guerra. Il governo iraniano negli anni '80 riduce gli investimenti nello sport, e solo nel 1990, a guerra terminata, emerge un prima classe di calciatori più o meno importanti: Karim Bagheri, Mehdi Mahdavikia, Khodadad Azizi e Ali Daei. Un mediano, un'ala destra, due prime punte (pur molto diverse tra loro). Tutti giocatori monodimensionali, con dei fondamentali non sempre ineccepibili, figli di un calcio senza dubbio “minore”.

La comparsa del diciannovenne Ali Karimi nella serie A iraniana, con la maglia del Persepolis, somiglia ad un'apparizione: non si era mai visto in Iran un giocatore con quella visione di gioco, quel senso dello spazio, quel controllo del pallone in corsa, con entrambi i piedi, con quel senso estetico così innato, moderno. Sembra giocare ponendosi sempre il problema di come eseguire le giocate, e mai di quali eseguire: va a braccio. Nel suo primo anno Ali Karimi mette in mostra non solo veroniche, serpentine e gol da metà campo ma anche una capacità di resistenza fisica al fallo quasi soprannaturale.

La tecnica sopraffina e inedita di Karimi non fa in tempo ad essere celebrata che subito arriva la prima avvisaglia del suo carattere problematico, che si riproporrà più avanti nella sua vita: fonte ulteriore dell'epica calcistica che lo ricopre ma anche dei rimpianti che lo hanno reso un eterno what if, incompiuto ad altissimi livelli. Ali gioca con l’incoscienza della gioventù, la stessa che lo costringe ad un anno senza calcio, frutto di una squalifica da tutte le competizioni che la Asian Football Confederation gli comminerà nel 1999 per aver dato un calcio all'arbitro giapponese Toru Kamikawa durante una partita contro il Vietnam Under 21. Prima che la squalifica inizi il suo decorso, però, Ali ha ancora il tempo per esordire in Nazionale maggiore (dove, ai Giochi Asiatici, segnerà il suo primo gol, nel 2-0 in finale contro il Kuwait) e vincere campionato e Coppa nazionale con il Persepolis.

Alle condizioni di Ali

Dopo un anno di “reclusione”, Ali torna in campo, e l'impressione è che non abbia perso nemmeno un grammo dello smalto che aveva. Nella stagione 1999-2000, quella in cui il Persepolis vince il campionato, Karimi segna otto gol, ma i numeri non rendono l'idea del suo impatto su ogni singola partita. Ali ha infatti delle caratteristiche peculiari: ad esempio, pur essendo destro di piede, preferisce partire più dal lato destro che da quello sinistro, la zona normalmente prediletta dai giocatori destri che hanno la qualità per giocare “a piede invertito”. Usa più spesso questa parte di campo perché la sua prima opzione è arrivare sul fondo, possibilmente dentro l'area, dopo aver attirato su di sé diversi avversari in dribbling, per mettere in mezzo una palla rasoterra ad un giocatore a rimorchio. Si muove sul lato destro del campo con la confidenza, il linguaggio del corpo e la postura con cui ci si muove nel centro: è sempre stata quella, per lui, l'area di playmaking. Tutto ciò, senza dimenticarsi che Ali Karimi usa molto volentieri anche il sinistro, in un'epoca in cui pochissimi giocatori di qualità, nel calcio asiatico, possono dire di essere ambidestri.

Alla fine di quella stagione arrivano i primi interessamenti dall'Europa. Fa un provino al Perugia che va a buon fine, ma il trasferimento salta a causa della differenza tra domanda e offerta: lui vuole un miliardo di lire a stagione, mentre Gaucci gli offre al massimo 300 milioni.

Poco dopo si fa avanti anche l’Atletico Madrid, che dopo avergli concesso un provino gli avrebbe offerto un quadriennale da 5 milioni di euro complessivi. Lui, però, lascia sul terreno diverse incognite: «È un sogno per ogni giocatore militare in una lega come quella spagnola, e farò del mio meglio per andarci. Ma non voglio però trasferirmi in Spagna solo per ottenere un contratto, voglio andare là a giocare. Ho fatto quattro giorni di provino a Madrid e sono stato molto bene. Se potrò andare, sono sicuro che avrò successo».

Un mese dopo queste dichiarazioni Ali rifiuterà il trasferimento all'Atletico e accetterà quello agli emiratini dell'Al-Ahli, per “stare più vicino a casa”. È una motivazione plausibile: Ali è molto legato alla sua famiglia e anni dopo, durante i primi mesi al Bayern, racconterà di quanto spenda di telefono per sentire i suoi più volte al giorno dalla Germania. Non bisogna poi dimenticarsi di cos’era successo ai giocatori iraniani che si erano trasferiti in Europa: nel 1997, quando Bagheri, Mahdavikia e Daei si trasferirono in Bundesliga vennero esclusi dai primi turni delle qualificazioni per Francia '98 dall'allora selezionatore Mayeli-Kohan. E se Karimi avesse temuto lo stesso destino?

All'Al-Ahli rimane per quasi quattro anni, mettendo insieme 69 presenze e 45 gol (52, considerando le coppe). Ma veder giocare Karimi, a 25 anni, nel pieno delle sue facoltà atletico-tecniche, negli Emirati Arabi Uniti, trasmette la stessa sensazione di uno schiaffo alla povertà calcistica, anche se a tutti questa appare solo una fase di transizione. In questi anni, Ali riesce in una impresa difficile per un persiano: farsi amare, anzi adorare dagli arabi, dei Paesi del Golfo e non solo.

Il 2004 è uno degli anni di svolta della sua carriera. Dal 17 agosto al 7 luglio, in Cina, si gioca la Coppa d'Asia: l'Iran passa come seconda nel girone vinto dal Giappone, lasciandosi alle spalle l'Oman e la Thailandia, e Ali Karimi segna un gol nel pareggio con la Nazionale del Sultanato, partita in cui Badavi e Rezaei (ex Perugia e Messina) si prendono a schiaffi in campo.

Ai quarti c'è la Corea del Sud, avversario tutt'altro che semplice, arrivata addirittura quarta al Mondiale giocato in casa due anni prima.In una partita che sembra non finire mai, l’Iran vince per 4-3, dopo essersi fatta rimontare per tre volte. Ali Karimi segna una tripletta che, sommata poi al gol contro il Bahrein nella finale per il terzo e quarto posto (vinta ai rigori) e al gol contro l'Oman, gli permetterà di vincere la classifica cannonieri del torneo, da cui l'Iran viene eliminato ai rigori in semifinale dai padroni di casa della Cina.

In Iran si inizia a vociferare che Ali Karimi, più di Nakamura, potrebbe essere nominato giocatore asiatico dell'anno. Ali, forse, percepisce sulle sue spalle la luce dei riflettori europei, e vuole voltarsi per esserne abbagliato: il 28 agosto la Nazionale iraniana è ospite della Roma all'Olimpico, per la partita di presentazione della squadra di Rudi Voeller.

Karimi imprendibile

La partita finisce 5-3 per la Roma, che era passata in svantaggio per un gol di Daei, ma è Karimi a dare spettacolo in campo: D'Agostino e Aquilani si prendono un tunnel a testa; Mexès e De Rossi ricorrono al fallo di frustrazione in un paio di circostanze; Traianos Dellas, dopo un fallaccio a inizio partita, è costretto a falciarlo ancora verso la fine del primo tempo, dopo l'ennesima palla spostata con l'esterno sotto i suoi occhi, e dopo che “il Mago” (2:16 sopra) nella stessa azione aveva già fatto sembrare il tackle a vuoto di Aquilani quello di un bambino con problemi di coordinazione. È vero, è solo un'amichevole estiva, ma Ali sembra comunque un uragano.

Arriva Ottobre. A Teheran si gioca una amichevole tra Germania e Iran e anche in questo caso anche se la Nazionale mediorientale risulterà perdente alla fine dei novanta minuti, il migliore in campo (anche per la rivista tedesca Kicker) sarà lui: Ali Karimi. Dicono sia stata questa la partita in cui Felix Magath, allora allenatore del Bayern, si sarebbe innamorato del Mago.

Una settimana dopo, la facile profezia si avvera: Ali viene premiato giocatore asiatico dell'anno, mentre inizia la sua ultima stagione nell'Al-Ahli. Nella primavera del 2005 alcuni osservatori del Bayern vengono mandati a Dubai per osservarlo. Tornano a Monaco e sconsigliano l'acquisto a Magath, per via di una tenuta atletica ritenuta precaria. Ma Felix ha già deciso: «Karimi è un giocatore di ritmo, dinamico e che sa rendersi pericoloso. È stato giocatore asiatico dell'anno ed è un'opzione molto interessante per il Bayern. Sono davvero contento di averlo nella mia squadra». Ali Karimi, svincolato, il 2 maggio 2005 diventa il secondo acquisto estivo del Bayern, dopo il rientro dal prestito a Stoccarda del giovane terzino Philipp Lahm. Al canale del Bayern sembra voler rassicurare tutti: «Sono un professionista, adattarmi il più velocemente possibile in un ambiente nuovo fa parte del mio lavoro».

Mago sotto la neve

La prima stagione in Germania si conclude però in modo brusco, a marzo 2006: sotto la neve di Amburgo, Ali si allunga in tackle ma il piede d'appoggio gli rimane sotto, compiendo un movimento che ricorda quello che appena un mese prima aveva fatto a Roma la caviglia di Totti, in un contrasto con Vanigli dell'Empoli. Sin lì Karimi ha accumulato 20 presenze, molte ottime prestazioni, mettendo a segno però solo due gol (il primo a dicembre, qui, a 0:22, nel 3-3 strappato a Dortmund, molto bello).

Rientra a metà della stagione seguente ma gioca solo 13 partite; recupera lentamente, in un calcio sempre più fisico, e in cui il ruolo di fantasista assume altre dimensioni; si sente ormai sfiduciato, va a un ritmo diverso rispetto alla squadra: non perché non possa reggerlo in assoluto, bensì perché in campo sembra esserci una differenza tangibile tra la considerazione che Karimi ha della sua capacità di influire sul gioco, di produrlo, di essere leader tecnico, e quella che ne hanno i suoi compagni. Dal punto di vista tattico, spinto dalla sua istintività e attratto dal pallone, disordina le linee della squadra. A volte, guardando le immagini di Karimi col Bayern, si ha l'impressione che se impostato e allenato in un ruolo preciso (per la capacità di portare il pallone, Karimi sembra una mezzala di possesso ideale nel calcio di oggi), avrebbe potuto dare un'altra dimensione alla sua esperienza europea.

Invece Ali è arrivato in Europa anagraficamente maturo, con la nomea del grande giocatore in piccoli contesti, e con un pubblico che già da qualche anno gli chiedeva di fare un salto ritenuto ampiamente alla sua portata. Qualcuno vocifera anche che Ali Karimi sia tra i giocatori del Bayern che conducono una vita dissoluta fuori dal campo, che sarebbero talmente tanti che una emittente tedesca ribattezza il Bayern “Fc Hollywood”. L'anno seguente i bavaresi comprano Ribery, e Ali Karimi decide di accettare un'offerta dal Qatar. È un tipo orgoglioso ed invece che prolungare la sua esperienza di un altro anno (il Bayern gli offre un rinnovo), capisce che i riflettori non sono più puntati su di lui.

L'infortunio di marzo 2006, tra l’altro, capita a tre mesi dall'inizio dell'unico Mondiale che potrebbe vivere da protagonista, nel pieno della maturità, e dopo aver testato i ritmi del calcio europeo. Ali Karimi recupera lentamente e si presenta al Mondiale in condizioni poco più che decenti. Ma anche in nazionale ha diversi nemici, probabilmente per il suo modo diretto e a volte brusco di esprimere le proprie opinioni.

Uno che ad Ali Karimi non va proprio giù è, ad esempio, Ali Daei.

Le due facce del calcio iraniano

Ali Daei e Ali Karimi sono due icone molto diverse, appartenenti a due differenti generazioni, e con una storia molto diversa alle spalle. Solo l'autostima li unisce. Ali Daei è di una generazione di mezzo, quella dei ragazzi che hanno passato l'adolescenza a temere la guerra, più che a sognare un futuro da calciatori; Karimi appartiene invece a quella successiva, la prima nata dopo la rivoluzione, con un'adolescenza passata in un Paese in fase di ricostruzione economica; Ali Daei è un esempio di abnegazione, che ha dovuto distillare con attenzione il poco talento avuto a disposizione, arrivando con la volontà dove con la tecnica non sarebbe arrivato, massimizzando i suoi punti di forza e diventando il più prolifico marcatore della storia delle Nazionali, costruendosi nel frattempo un'importante rete di rapporti di fiducia nell'establishment; Ali Karimi ha invece giocato sin dal primo giorno della sua carriera senza sentire l'esigenza di migliorare nulla, tantomeno il suo carattere, sfruttando anzi l'indulgenza generata attorno a lui dal suo talento per mostrare tutti i suoi spigoli, per agire a volte da capopopolo, forte della consapevolezza di essere un “animale calcistico” nuovo nel piatto panorama nazionale. Ali Karimi considera Daei “un approfittatore, che pensa solo ai suoi interessi”, ed è convinto anche lui che Daei sia stato convocato solo grazie ai rapporti col ct croato Zlatko Ivankovic. Nella prima partita del Mondiale tedesco del 2006 col Messico, sia lui che Karimi partono titolari. Dopo '60 minuti, le squadre sono sull'1-1 e l'Iran soffre: Ali Daei cammina dall'inizio della partita, trascinando quello che ormai è diventato il suo quintale di peso. Karimi non ha la brillantezza dei giorni migliori ma è in partita: sullo 0-0, dopo aver saltato un avversario sulla sinistra, mette una palla tesa in mezzo, che Hashemian schiaccia di testa a botta sicura. Solo un miracolo di Oswaldo Sanchez impedisce alla palla di entrare.

Ivankovic, a sorpresa (“o forse era previsto?”, dirà Karimi alcuni giorni dopo), anziché togliere Daei sostituisce il Mago per far entrare Mehrdad Madanchi. Ali Karimi non la prende bene: uscendo dal campo, tira un calcio a un borsone, che quasi colpisce un assistente. Il Messico, di lì a poco, segna il 2-1 e il 3-1 finale.

Nella Nazionale iraniana,già divisa in fazioni pro-Daei e pro-Karimi, si apre uno squarcio difficilmente ricomponibile. Ivanovic minaccia di escluderlo dalla rosa per motivi disciplinari, poi invece ci ripensa e consuma una vendetta più sofisticata: nella seconda partita col Portogallo di Ronaldo, Figo e Deco, schiera Karimi titolare dietro a Hashemian, lasciando fuori Daei. Il 2-0 finale per i lusitani non rende l'idea del loro dominio, e ovviamente Karimi fatica a imporsi. Al 65’ viene sostituito nuovamente, e stavolta esce in silenzio. Nell'ultima partita con l'Angola (1-1, Iran ultimo nel girone), Karimi non andrà nemmeno in panchina ed il Ct sottoporrà alla stampa la sua verità di circostanza: “Si è chiamato fuori per via di un infortunio”.

Ali Karimi diventa via via sempre più intrattabile, ed inizia ad elaborare i suoi rimpianti: quelli sulla Nazionale ma anche quelli personali, la sensazione che il treno per entrare nel calcio che conta sia passato, e in ogni caso non sembra più disposto ad accoglierlo da Mago, com’è abituato.

Dopo un anno in Qatar, nel 2008 Ali torna a casa, in prestito al suo Persepolis, convinto dall'allenatore e amico Dariush Mostafavi. Forse si decide a tornare in patria per vestire i panni del profeta, non più solo calcistico ma anche, in senso ampio, “politico”. Ali inizia inizia infatti a ricondurre pubblicamente il fallimento della Nazionale ad una ragione ultima: l'incompetenza all'interno della Federazione calcistica iraniana, essenzialmente a causa dell’eccessiva presenza di esponenti dei Pasdaran all'interno dei quadri o della proprietà di quasi tutte le società (tranne due). Fa i nomi, compie attacchi frontali contro una èlite che tiene le redini del calcio iraniano e non solo. Dice spesso la verità e ne paga le conseguenze, testando però di volta in volta l'affetto di un paese intero, disposto a prendere le sue difese.

La prima squalifica, dopo che Karimi in un'intervista definisce la Federazione un “manipolo di incompetenti”, arriva il 20 maggio 2008. Ci vuole l'intervento diretto del presidente Ahmadinejad (grande appassionato di calcio) e quello del nipote dell'ayatollah Khomeini, Seyyed Hassan, per annullarla, come si verrà a sapere addirittura in un cablo pubblicato da Wikileaks un anno dopo. Ad Ali, che verrà convocato in Nazionale il 2 giugno seguente contro gli Emirati Arabi Uniti, chiedono di rivedere le sue posizioni. Ma lui rincara: «Le mie critiche corrispondevano a verità. E la verità non può far altro che bene al calcio in questo paese».

La stagione 2008-2009 col Persepolis si chiude al quinto posto in campionato, con Ali che segna cinque gol, di cui uno nel derby pareggiato con l'Esteghlal. Il Pirouzi non è più la squadra dominante di fine anni ‘90 e la classe di Ali Karimi non può più bastare per vincere.

Capopolo

L’episodio più famoso dell’Ali politico avviene il 17 giugno 2009, giorno in cui è titolare nella partita di qualificazione ai Mondiali 2010 contro la Corea del Sud. Da quattro giorni Teheran è nel caos: il 12 giugno Mahmoud Ahmadinejad è stato rieletto presidente del Paese, sconfiggendo il candidato riformista Mir Hossein Mousavi. Sono in molti a ritenere che il processo elettorale sia stato pilotato, e il 13 giugno nella capitale scendono in strada migliaia di manifestanti, colorati di verde: il colore dell'Islam – a cui i riformisti si richiamano, rivendicando la loro organicità al sistema e rielaborando il messaggio di Khomeini in senso “progressista”, ponendosi come alternativa di governo rispetto alla fazione conservatrice – e il colore del “movimento verde” a sostegno di Mousavi, che chiede il rispetto delle logiche democratiche.

Tra il 13 e il 15 giugno, a Teheran, si assiste al più grande assembramento pubblico nel Paese sin dal 4 giugno 1989, giorno dei funerali di Khomeini. I basiji – i volontari che nelle operazioni di repressione fungono da supporto ai pasdaran – entrano in azione, e sulle strade vengono effettuati centinaia di arresti e aggressioni. Alcune persone vengono uccise, la più famosa delle quali è Neda Agha Soltan, colpita da un proiettile vagante mentre marciava con suo padre. Altre persone, molte altre, vengono ferite. Altre ancora torturate in carcere. È un brutto momento per la Repubblica islamica, e il sistema “scricchiola”: metà del Paese, perlomeno, inizia a non credere più alla particolare democraticità dell'impianto istituzionale iraniano, che prevede numerosi istituti elettivi.

Durante la foto di squadra prima del fischio d’inizio, quattro giocatori –Mehdi Mahdavikia, Javad Nekounam e Hossein Kaebi, oltre ovviamente ad Ali Karimi – indossano un polsino di colore verde: un segno inequivocabile. Sembra che alcuni emissari del governo, a fine primo tempo, abbiano chiesto ai quattro di toglierselo, vedendosi rispondere “picche”. Tornano in campo con i polsini e finiscono la partita, diventando automaticamente eroi per una sera, perlomeno per una parte del Paese.

I quattro si giustificheranno dicendo che il polsino aveva un significato religioso: d'altronde, come detto, il verde è il colore dell'Islam. Nessuno nel governo ci crede ed il fatto che abbiano tutti giocato un periodo in Europa – incorrendo, secondo la retorica rivoluzionaria, in gharbazadegi, ovvero intossicazione da Occidente– non fa che rafforzare le convinzioni dei loro detrattori, convinti che Mousavi sia sostenuto dagli americani. Ma dopo alcuni giorni di polemiche la vicenda si sgonfia nonostante qualcuno, in quei giorni, avesse temuto che ai giocatori sarebbe stato imposto non solo di lasciare la Nazionale ma anche impedito di lasciare il Paese, ritirando loro il passaporto.

Qualche mese dopo le elezioni, Ahmadinejad fa visita al ritiro della Nazionale e Ali Karimi si fa immortalare in condizioni di visibile ammutinamento: si gira teatralmente dall'altra parte durante il discorso del presidente alla squadra e si copre la faccia infastidito durante la foto di gruppo con quest'ultimo. È ormai abbastanza chiaro come la pensi politicamente.

Kaebi e Mahdavikia lasciano volontariamente prima la Nazionale e poi il Paese, tornando a giocare in Europa. Ali, invece, rimane in patria. Il Persepolis, però, non gli rinnova il contratto: la decisione è di Abbas Ansarifard, presidente del Persepolis subentrato a Mostafavi, legato ai pasdaran. Ali firma così per una piccola società neopromossa di Teheran, lo Steel Azin, a cui strappa un contratto annuale da circa 400.000 dollari. In campo, sembra ormai volersi soprattutto sfogare, in varie maniere. Tanto nervosismo (3 rossi in stagione), ma anche tanto calcio: segna nelle prime quattro partite di campionato e a dicembre è già a quota 11 gol. I (pochi) tifosi del giovane Steel Azin, fondato nel 1999 e alla prima stagione nella massima serie, non ci credono: è tornato il Mago, ed è anche per noi.

Lo Steel chiude quinto in classifica, un risultato del tutto inatteso. Ali segna 14 gol, colleziona un numero imprecisato di assist e partecipa a gran parte delle reti della squadra. Si sente, però, come un amante deluso, che si distrae con altro in attesa di un segnale. È ancora innamorato del Persepolis, e forse, dopo aver metabolizzato rimpianti e rimorsi di una vita, l'unica cosa che vorrebbe è chiudere la carriera nel club per cui continua a fare il tifo. Ad ogni intervista l'occasione è buona per fare riferimenti al Pirouzi, al fatto che “non hanno più bisogno di me”. È anche convinto che l'impossibilità di trasferircisi sia da attribuire, ancora, alla Federazione, e nella fattispecie ai militari. Un programma televisivo lo attacca con sarcasmo, sfruttando questa sua debolezza: “Ali Karimi è (mentalmente) instabile?”.

Quello che poi accade in occasione di Steel Azin-Persepolis ha del melodrammatico. Sull'1-1, l'arbitro fischia un fallo di mano davanti alla propria area a Karimi. È punizione per il Persepolis dal limite dell'area: Ali Karimi non è d'accordo, va verso il direttore di gara con fare minaccioso, accenna un testa a testa. Viene espulso immediatamente. È incredulo, indignato, e sta per farglisi di nuovo incontro. Anche il telecronista sembra sorpreso, quasi dispiaciuto: un paio di compagni lo trattengono e abbracciano; uno gli accarezza la nuca, lo stringe nel modo in cui si stringono le vedove.

Mentre esce dal campo – con lo sguardo basso, pieno di risentimento – il nutrito spicchio dei fan del Persepolis inizia a intonare il suo nome, a incitarlo come un tempo. Ali, a quel punto, si scioglie e fa una cosa completamente fuori script: senza rallentare il passo, va verso la tribuna, si leva la maglietta dello Steel, e sotto rivela quella del Persepolis. Ali saluta il suo “vero” pubblico, quasi scusandosi, mentre esce dal tunnel in lacrime. È un momento straziante, surreale, che però sfugge via in modo caotico, fulmineo, nel frastuono diffuso.

Il rapporto con lo Steel, ovviamente, precipita. Ad agosto 2010 la società lo sospende per non aver rispettato l'obbligo di digiuno durante il Ramadan, bevendo durante gli allenamenti davanti alle telecamere. Ma in realtà, come ben spiega la giornalista iraniana Niloufar Momeni, l'elusione del Ramadan è solo una scusa perché solitamente viene più o meno tollerata in Iran, soprattutto per i giocatori di calcio, ovunque dei privilegiati. Il motivo per cui Karimi è stato sospeso è più profondo: due settimane prima, sentendosi ormai autorizzato ad esprimere la sua opinione su ogni materia, ha criticato pubblicamente il comitato etico della Iran Pro League: una nuova istituzione, a cui capo è stato messo un messo un ayatollah di orientamento conservatore, che dovrebbe occuparsi di valutare la condotta dei giocatori e la loro aderenza alle pratiche religiose. Una delle tante espressioni dello zelo del regime.

Poco dopo le uscite di Ali sul comitato etico, un dirigente della società, Mostafa Ajarlou – ex capo della polizia, molto vicino a quadri intermedi dei Pasdaran – obbliga l'allenatore dello Steel Azin, Tubmakovic, a ridicolizzare Ali Karimi, schierandolo in posizione di difensore centrale nella partita contro l'Esteghlal (un “derby” personale per Karimi).

Dopo il match, Ali si sente nuovamente autorizzato a un’impietosa analisi delle strategie gestionali del club, responsabilità di Ajarlou: «Portare giocatori di alto livello nel club non ti garantisce successi. Un buon manager, in grado di garantire un ambiente professionale, risolverebbe i problemi della squadra. Per esempio, lo Steel Azin non può più permettersi di portare i tifosi allo stadio servendosi di incentivi alimentari. E nessun altro club accetterebbe di non avere uno sponsor come fa lo Steel». Il giorno dopo, Ali viene sospeso dalla società, ancora una volta ufficialmente per non aver rispettato l'obbligo del Ramadan, e per farlo apparire così agli occhi di molti un “cattivo musulmano”.

Nel Paese i suoi fan iniziano una campagna, e per lui si espongono anche molti giocatori. Dopo due settimane, quasi a furor di popolo, Ali viene riammesso in squadra dal board societario, e Ajarlou viene licenziato.

Ritorno in Europa

A chiunque, forse, e specie in Iran, basterebbe questa piccola vittoria personale su un uomo di potere, legato a doppio filo ai Guardiani della Rivoluzione, per considerarsi soddisfatto, sazio, e per avviarsi a un tranquillo tramonto, godersi la rendita legata al fatto di essere rimasto un giocatore unico, perlomeno in Iran, e di essere il modello di tutti i giocatori di qualità che stanno emergendo nel paese mediorientale, come Sardar Azmoun, Reza Karamolachaab, Saeid Ezzatolahi, Reza Shekari.

E invece Ali abusa della sua posizione, senza porsi alcun problema. A gennaio 2011, viene invitato da Cannavaro a giocare un'amichevole tra Al-Ahli e Milan: senza nemmeno chiedere il permesso vola a Dubai, saltando gli allenamenti con lo Steel. In società lo vedranno direttamente in Tv, ad insegnare in particolar modo a Strasser quanto sia pericoloso tenere le gambe aperte quando hai il Mago di fronte: Ali gioca in scioltezza, ed è sempre un piacere vederlo. Non per i suoi dirigenti, però, che lo licenziano in tronco.

Poco male, perché Ali nel frattempo si è accordato con lo Schalke e firma per cinque mesi: giocherà una sola partita, sostituendo Raul in Champion's contro l'Inter. A Gelsenkirchen si fa notare più per le sue attività extracalcistiche: si ricorda di Ashkar Sohrabi, un ragazzo ucciso dai basij durante le repressioni del 2009. A casa della madre di Ashkar fa così recapitare questa maglietta.

A giugno 2011, a sorpresa, il presidente del Persepolis annuncia l'ingaggio di Ali Karimi, che torna di nuovo a casa. Viene fatto capitano, ovviamente. La squadra è però in evidente declino. Dopo la sconfitta di dicembre per 3-0 nel derby con l'Esteghlal, l’allenatore del Persepolis, Hamid Estili, si dimette.

Dopo il match, il Mago si veste di nuovo da capopopolo: si lamenta dell'iniquità del calendario, degli incroci coppa-campionato e, recuperando le sue opinioni sull'incompetenza della Federazione, allude a presunte antipatie ai piani alti nei confronti del Pirouzi, di presunte trame per non farli vincere. Fa nuovamente dei nomi, e tra questi c’è un nome non da poco: quello di Azizollah Mohammadi, il presidente della Federazione, nonché un alto grado dei Pasdaran, di cui Ali minaccia pubblicamente di “rivelare dei segreti”. La tensione sale, Mohammadi fa la voce grossa in un programma tv, minacciando velatamente conseguenze. Ali si rifugia quindi nel vittimismo: «Non me ne frega un cazzo di questo calcio, mi fa schifo, posso lasciare quando voglio ed è quello che farò».

Nessuno nel mondo dello sport iraniano, e pochissimi in in Iran in generale, si erano mai permessi di parlare in quel modo ad un comandante dei Guardiani della rivoluzione. Una trasmissione si chiede, brutalmente: «Ali Karimi verso Kahrizak?». Kahrizak è un carcere, nel sud di Teheran. E invece, ancora una volta, non succede nulla. Ali se la cava con una multa; il comandante Mohammadi, intervistato, fa il superiore.

A fine stagione il Persepolis arriva dodicesimo, uno dei peggiori risultati della storia del Club. Tuttavia Ali, con 12 gol in stagione, per poco non vince nuovamente il premio di miglior giocatore asiatico dell'anno, piazzandosi dietro il coreano Lee-Keun-ho. Rinnova il contratto per un altro anno, durante il quale sarà però praticamente sempre infortunato, e che terminerà con la bruciante sconfitta del Persepolis in Hafzi Cup con il Sepahan di giugno 2013, dopo la quale Ali, davanti alle telecamere, annuncia il suo ritiro dal calcio con le lacrime agli occhi. Anche in questo caso, attribuisce il suo ritiro più all'ambiente corrotto e clientelare del calcio iraniano, che all'esaurimento delle sue capacità atletiche.

Un mese dopo infatti, quasi a sorpresa, ci ripensa, e firma un contratto annuale con il Tractor Sazi di Tabriz, società in crescita e alla ricerca di uomini immagine. Alcune indiscrezioni parlano addirittura di 8 milioni di dollari, una cifra senza senso (in Iran in più forti giocatori della massima serie arrivano a guadagnare al massimo 1 milione di dollari all'anno). Ali Karimi gioca da regista puro, davanti alla difesa, e la squadra gira letteralmente attorno alle sue intuizioni. L'ultima stagione del Mago sembra essere un regalo per tutte le nuove generazioni di iraniani che se lo erano perso: ventotto presenze, cinque gol, quindici assist, addirittura interventi difensivi decisivi, salvataggi sulla linea di porta, cambi di gioco di destro e sinistro.

Nel Tractor

Il Tractor quell'anno arriva sesto, gettando solide basi per lo scudetto sfiorato l'anno successivo, e alle partite casalinghe fa registrare sempre il tutto esaurito. In buona parte per merito di Ali, con la sua stempiatura incipiente. Qualcuno lo vorrebbe di nuovo in Nazionale per il Mondiale in Brasile ma ormai il sipario sta calando, e Ali ha già annunciato di volersi occupare dell'educazione allo sport dei bambini, rendendo giustizia anche al suo cognome, che in farsi significa “il generoso”.

A giugno 2014 si ritira definitivamente – dopo circa 300 presenze da professionista e un centinaio abbondante di gol, più tutto il resto –, nei giorni in cui fa pace con Ali Daei, nominandolo nell'inflazionato Ice Bucket Challenge. A 36 anni, con tre figli (Hima, Hirsa, Havash), la sua villa nella paradisiaca Lavizan ed il suo pesante bagaglio di rimpianti.

Durante un'intervista concessa alla Tasnim in occasione del suo 36esimo compleanno, Ali è tornato su quel che poteva essere e che non è stato, maledicendosi perché «avrei potuto prolungare il mio contratto col Bayern ma non l'ho fatto, è stato un grande errore». Poi, interpellato sul periodo allo Schalke, Ali dice qualcosa che fa pensare alla mancanza di maestri, di guide, di buoni consiglieri: «Raul Gonzales Blanco è stato un grande modello per me. Sicuramente se l'avessi incontrato prima, la mia vita sarebbe stata molto diversa».

L'ultima, Ali, l'ha fatta a Queiroz: scelto dal portoghese come assistente nella Nazionale per le qualificazioni alla Coppa d'Asia 2015 in Australia, un bel giorno di dicembre 2014, a una settimana dall'inizio del Torneo, lascia il campo d'allenamento dell’Iran senza dire nulla a nessuno.

Il giorno dopo, come fosse una lapide, Ali Karimi lascia sul suo account Instagram la seguente frase, dal gusto militaresco: «Se non puoi servire, abbandona per non tradire». Sempre a modo suo, Jadoogar.

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