Story of Speed è una rubrica realizzata in collaborazione con NIKE in cui celebriamo il diciottesimo anniversario di Mercurial, la scarpa che più di ogni altra ha innovato l’idea di design applicata al calcio, scarpa da sempre associata alla velocità. Per questo la rubrica è dedicata ad alcuni giocatori che hanno fatto della rapidità uno dei principali punti di forza.
Istinto dribblomane
Alex Ferguson è già una leggenda del Manchester United, da qualche tempo nominato “Sir” dalla Regina, quando all’età di 61 anni vede per la prima volta Cristiano Ronaldo dal vivo. Fa caldo a Lisbona: è il 7 agosto del 2003, Cristiano è da poco maggiorenne e O'Shea non gli sta appresso. Ferguson urla al suo difensore di stare più vicino a quel ragazzino portoghese, ma in risposta ottiene un "non ce la faccio, è troppo veloce”.
Il giorno dopo il Guardian pubblicò la cronaca della partita definendola "meaningless friendly", e ovviamente si sbagliava: quell'amichevole è servita a convincere Sir Alex che il ragazzino (18 anni) aveva una velocità eccezionale e una tecnica pregevole. Quel Ronaldo va velocissimo, Ferguson non è da meno: una settimana dopo, il portoghese è un nuovo giocatore del Manchester United, il sostituto designato di David Beckham, appena ceduto al Real Madrid.
I ricami del giovane Cristiano Ronaldo, un susseguirsi di doppi passi e vertigini, uno splendore estetico che sembra richiamare lo stile decorativo manuelino portoghese.
Circa tre anni dopo, nel 2006, il ragazzino è già diventato un giocatore di livello internazionale: ha giocato una finale degli Europei nel 2004 (persa contro la Grecia) ed è appena tornato dai Mondiali, dove il Portogallo si è fermato solo in semifinale. Nella sua prima amichevole estiva della stagione, a Oxford, viene accolto da una selva di insulti: il pubblico inglese lo ritiene responsabile dell’espulsione di Rooney nei quarti di finale del Mondiale (e l’occhiolino di Cristiano dopo il cartellino rosso, in effetti, sembrava una specie di firma).
In quel momento la storia di Cristiano Ronaldo sembrava poter prendere una piega molto diversa da quella che, oggi, sappiamo avrebbe preso. Molti lo consideravano un arrogante giocoliere, un’ala destra che amava più irridere l’avversario che incidere nella partita, e in tre stagioni di Premier League aveva segnato poco, senza mai raggiungere la doppia cifra. In Champions League addirittura non aveva segnato neanche un gol.
La sua sfrontatezza e la sua astuzia, normali per un pubblico latino, non lo erano per quello britannico: il numero 7 sulla maglia è un peso molto grande (che gli fu imposto da Ferguson, come a dire “qui si fa sul serio”), e durante quell’estate del 2006 c’era chi dubitava davvero del successo di Cristiano al Manchester United (come scrisse persino il sito ufficiale, tempo dopo). Anche nella vita di un predestinato c’è sempre un momento in cui il destino bisogna scriverlo sul serio e non aspettare che venga da sé: Ronaldo inizia in quell’estate del 2006, con un percorso che lo renderà fuoriclasse appena due anni dopo.
Il prescelto
It’s all about Cristiano Ronaldo, riassunse l’ex calciatore scozzese e commentatore Andy Gray dopo lo splendido gol al Fulham di fine febbraio 2007: con quella vittoria gli uomini di Ferguson chiusero di fatto la Premier con 10 turni di anticipo.
Il controllo di esterno su un campo di patate, l’eleganza dirompente di chi ha già saltato due avversari in velocità e sembra viaggiare sfrontato verso il gol
Quando riceve palla, Ronaldo è nella propria metà campo, defilato sulla fascia sinistra: un avversario gli chiude la linea di passaggio verso il centro, l’altro gli si avvicina per eliminare la profondità. Il numero 7 dei Red Devils inventa una soluzione che si basa esclusivamente sulla consapevolezza dei propri mezzi e sulla sua velocità di gambe e di esecuzione: elimina l’avversario frontale, che stava per intervenire, con un tocco di esterno a seguire; e poi, mentre corre più veloce di tutti, sulla scivolata dell’altro avversario si porta avanti appena il pallone e ne evita le gambe con un salto leggero.
Ha già fatto una cosa splendida ma è appena arrivato sulla trequarti avversaria, pestando tra l’altro la linea laterale: manca ancora molto per segnare un gol. Ronaldo allora comincia a tagliare verso il centro, controllando il pallone quasi solo d’esterno: il difensore non sa bene cosa fare, lo porta dentro l’area e alla prima finta gli volta le spalle: in quel momento Ronaldo calcia, il pallone viene leggermente deviato e finisce in rete sul secondo palo.
Tutti esultano come matti, anche Ferguson, che aveva inserito Saha: 4 attaccanti per vincere una partita cruciale. Non si tratta solo di segnare una rete decisiva negli ultimi minuti, ma riuscirci con quella personalità e con quel ritmo significa dimostrare a tutti di essere davvero the next big thing.
Da ala destra non era poi così male…
L’ascesa del portoghese è anche la grande risalita del Manchester United. Dopo l’Arsenal degli Invincibili era toccato al nuovo Chelsea di Mourinho e Abramovich aprire un ciclo che sembrava potesse durare per sempre,Cristiano Ronaldo era arrivato in un club che aveva vinto la Premier ma che ormai volgeva verso la fine di un ciclo: nei suoi primi tre anni si “accontentò” di un Community Shield, una FA Cup e una Coppa di Lega. A livello europeo lo United rimediava solo brutte figure (mai oltre gli ottavi in Champions) e Ferguson si aspettava di essere ripagato dal suo numero 7.
Dopo le difficoltà del ritorno dal Mondiale, Ronaldo aveva ripreso a macinare calcio, vincendo per due mesi consecutivi (novembre e dicembre) il premio di miglior giocatore della Premier: come lui solo Robbie Fowler e Dennis Bergkamp. Nelle ultime tre partite di dicembre si era travestito da Babbo Natale e aveva segnato tre doppiette consecutive, per augurare buone feste ai suoi tifosi.
Il giovane Ronaldo va talmente veloce che in alcune occasioni gli avversari si scontrano e non capiscono bene la portata del fenomeno.
Quel gol contro il Fulham, oltre a risultare decisivo nella stagione dello United, sancisce definitivamente la consacrazione di CR7 nella Premier: i Red Devils vincono il campionato dopo tre stagioni di digiuno, il portoghese registra 17 gol e 8 assist. In pratica, Ronaldo in quella stagione segna o fa segnare un gol ogni 111 minuti in campo. Lo fa da ala destra o sinistra, costretto a ripiegare per mantenere l’ordine della linea di centrocampo: ci sono Rooney, Saha, Solskjaer e persino Henrik Larsson in rosa a giocare più spesso di lui in zona centrale. Quello contro il Fulham è un archetipo di gol del primo Cristiano Ronaldo: lontano dalla porta, largo sulla fascia sinistra, taglia palla al piede verso il centro per tirare con il destro. Ma è anche il simbolo di un giocatore che si condanna a prendere responsabilità e non legge ancora benissimo il gioco di squadra: se quel tiro non fosse entrato, forse Ferguson gli avrebbe rinfacciato a lungo di non aver scaricato sull’uomo libero sul secondo palo.
A fine stagione è il primo calciatore nella storia del calcio inglese a vincere tutti e 4 gli awards di fine stagione: miglior giocatore dell’anno secondo gli altri i giocatori della Premier, ma anche per l’associazione dei giornalisti e per i tifosi; e miglior giovane dell’anno, perché ha solo 22 anni. Cristiano diventa fondamentale per la squadra, migliorando tutti i suoi dati: 55 passaggi chiave contro i 42 della stagione precedente, 8 assist vs 6, ma soprattutto una potenza offensiva quasi raddoppiata. Dagli 80 tiri (solo 30 nello specchio) complessivi del 2005/06, CR7 passa a 145, di cui ben 67 nello specchio, un miglioramento quantitativo ma anche qualitativo.
CR7 nella semifinale contro il Milan futuro campione d’Europa: è ancora un ragazzino dribblomane (umilia Gattuso, Seedorf, Ambrosini e Oddo) che frequenta poco l’area di rigore e sbaglia molte scelte in fase di definizione.
In Champions League il cammino dello United si ferma in semifinale contro il Milan di Kakà. Ronaldo non è ancora pienamente a suo agio: si sblocca e segna i suoi primi due gol della sua Champions League nella partita perfetta contro la Roma, nei quarti di finale. Per entrare nella leggenda, Ronaldo ha bisogno di alzare quella coppa, ed è per questo che Sir Alex lo ha scelto e protetto nel corso degli anni.
Persino dai suoi compagni, come alla fine della stagione 2005-6, quando Van Nistelrooy in allenamento intervenne in modo duro e gli urlò di andare a piangere dal padre (intendeva il vice-allenatore portoghese Queiroz): ma il vero padre di Ronaldo era morto da pochi mesi. Il centravanti olandese perse la fiducia di Ferguson che finì per venderlo: bisognava proteggere il “giocatore più talentuoso mai allenato”.
Diventare il migliore
“Se non studio un giorno, me ne accorgo io.
Se non studio due giorni, se ne accorge il pubblico”
Niccolò Paganini
Una manciata di minuti alla fine di Portsmouth-Manchester United, ferragosto 2007: i campioni d’Inghilterra sono bloccati sull’1-1, e già nella prima giornata di Premier erano stati fermati sullo 0-0 dal mediocre Reading. Ci sarebbe un calcio d’angolo da battere, ma c’è confusione a centro area, i giocatori si accumulano e si scontrano: è già successo qualcosa. L’arbitro espelle Cristiano Ronaldo, per un testa a testa con l’avversario: viene espulso solo lui e squalificato per tre giornate, sembra quasi una vendetta servita fredda per quanto successo ai Mondiali dell’anno prima.
Intorno al portoghese si scatena una polemica che in qualche modo lo riporta indietro nel tempo e sembra vanificare i successi della stagione precedente: improvvisamente è tornato ad essere solo un ragazzino arrogante.
Ancora una volta, però, Cristiano approfitta di una situazione negativa per migliorarsi. In quelle tre settimane viene seguito e supportato dall’olandese René Meulensteen, assistente tecnico al Manchester United, che gli disegna un diagramma con vari aspetti da curare (tattica, tecnica, personalità e fisico). Ronaldo ammette di essere troppo concentrato sulla parte tecnica, e inizia a lavorare con il preparatore olandese per razionalizzare il suo stile di gioco: focus totale sulla parte realizzativa e sul rapporto con la squadra. Si passa da una situazione in cui CR7 vuole segnare solo gol bellissimi per essere al centro dell’attenzione, con conseguente diffidenza dei compagni, a uno squalo affamato di gol che studia la finalizzazione dei centravanti di ruolo.
Tutti i 42 gol di Cristiano Ronaldo nella stagione 2007/08: velocità, potenza, istinto, c’è tutto, roba che Ferguson si sarà sentito male dalla gioia.
Per modificarsi a un livello così profondo, quasi per cambiare il proprio istinto, Cristiano si affida a un training cognitivo: ai quattro angoli della porta vengono attribuiti colori diversi. Spalle alle porta, il portoghese doveva urlare un colore differente, girarsi e calciare esattamente in quell’angolo, ogni giorno da una posizione diversa (frontale, laterale, da fuori area, in area). Si studia ogni minimo dettaglio: provenienza del pallone, posizione nello spazio, posizione e abitudini del portiere avversario.
Un calciatore così competitivo ha bisogno di obiettivi precisi da raggiungere: durante quelle settimane di lavoro, i due si accordano per un obiettivo minimo di 30 gol stagionali. A fine gennaio, Ronaldo ne aveva già segnati 27: il target cambia e diventa 40 gol. Per raggiungerli si lavora di più sull’aspetto motivazionale: Meulensteen gli prepara delle clip con citazioni di altri grandi sportivi (tipo Muhammad Ali) perché anche uno come il portoghese ha bisogno di caricarsi (anche se visto adesso ci sembra quasi impossibile).
Per evitare una flessione in parte fisiologica, il tecnico olandese obbliga CR7 anche ad affrontare i suoi atteggiamenti in campo: le alzate di spalle, i suoi tuffi e i suoi lamenti. Impara ad evitare i contatti guardando video di Cruyff, a evitare le smorfie per disorientare gli avversari fallosi e non cadere nelle provocazioni.
Ed è anche grazie a questo lavoro continuo che la stagione 2007/08 diventa memorabile: Cristiano comincia a segnare di testa come fosse un centravanti di peso, segna da ala, segna in area piccola, segna su punizione sopra e sotto la barriera, segna in tutti i modi.
Il tridente fluido con Rooney e Tevez, visto a posteriori, è forse uno dei più sottovalutati degli ultimi 20 anni: le posizioni di partenza erano quasi irrilevanti, perché a volte tutti e tre si facevano trovare fra le linee e attaccavano la profondità su tre corridoi diversi. Le transizioni offensive di quello United erano probabilmente le più veloci al mondo. Ma è Cristiano Ronaldo il vero trascinatore: i suoi 42 gol sembrano sminuire i 19 di Tevez e i 18 di Rooney.
Anche i colpi più raffinati hanno un solo obiettivo, segnare, e non stupire.
Il portoghese compie un salto dimensionale. Il lavoro cognitivo dà i suoi frutti, la percentuale di precisione aumenta vertiginosamente: anche se i tiri complessivi diminuiscono ben il 59% finisce nello specchio della porta. Il suo tasso di conversione passa dal 12 al 24%: Cristiano praticamente raddoppia la sua qualità di finalizzazione, migliora le scelte di tiro. In Premier League segna un gol ogni 88,6 minuti e vince la classifica cannonieri con 31 reti, eguagliando il record di Alan Shearer (e che persino un bomber puro come Suarez riuscirà solo a raggiungere ma non a battere). È l’ala più prolifica di sempre, migliorando il precedente record di George Best (32 gol complessivi) che durava da 40 anni.
Durante la stagione stupisce anche per lo strapotere fisico che fa sembrare gli avversari quasi dei dopolavoristi. Contro la Roma, nei quarti di finale di Champions, Cristiano riscrive il principio di indeterminazione: se ne conosci la velocità, non puoi sapere dove si trova. E in effetti, al momento del cross di Scholes, nessuno sa bene dove sia Ronaldo, è completamente fuori inquadratura: entra dirompente in area con un terzo tempo e una sospensione area da medaglia olimpica, colpisce il pallone di testa talmente forte da sembrare che lo abbia calciato di piede, ad una velocità così elevata da sembrare quasi aliena rispetto a un campo di calcio. È lo squarcio nella tela verde dell’Olimpico.
Cristiano acquisisce la consapevolezza di poter segnare in qualunque modo grazie alla sua capacità di colpire la palla: questa punizione è talmente veloce e perfetta che un tifoso alle spalle esulta prima che la rete si gonfi.
Non si tratta solo di una consacrazione individuale: Ronaldo diventa il migliore al mondo (a fine anno vincerà Scarpa d’oro, Pallone d’oro e Fifa World Player) aiutando la sua squadra a vincere tutto. Segna negli ottavi, nei quarti e in finale di Champions: cosa chiedere di più a un’ala destra?
Proprio nella finale di Champions League a Mosca contro il Chelsea, Ronaldo dimostra la sua evoluzione in campo: gioca da ala sinistra per mandare in tilt Essien e garantire superiorità numerica costante in fase offensiva. Ma segna un gol da centravanti vero, colpendo di testa con un’elevazione innaturale, mentre il suo avversario diretto lo guarda dal basso, impotente.
La sua posizione molto larga sulla sinistra serve anche ad aumentare le spaziature tra Essien e Carvalho: teoricamente per Ronaldo è una partita di sacrificio, che interpreta benissimo. Nei primi minuti ricorre spesso a una serie di giochi di gambe che servono a guadagnare tempo: è circondato da tre avversari e così facendo vuole attirarli fuori posizione. È troppo distante dall’area, spesso isolato sulla fascia: l’impressione è che in una finale così importante un calciatore da 40 gol stagionali avrebbe dovuto giocare molto più vicino alla porta. Prima di calciare il rigore ha uno sguardo preoccupato; poi si ferma nella rincorsa ma Cech non abbocca e anzi avanza sul campo. Il tiro è poco angolato, il portiere sembra parare addirittura di viso: poi il Manchester United vince lo stesso e lui ha una crisi di pianto, ricordandoci di essere comunque un umano.
Abitare la storia
A poche ore dalla finale di Milano, Cristiano Ronaldo è un fuoriclasse ormai già entrato nella storia del calcio, sappiamo tutto di lui e del suo gioco, che è continuato a cambiare fino a renderlo un attaccante puro, una macchina sparacolpi che, come racconta Ferguson, potrebbe tranquillamente registrare persino 40 tiri verso la porta in una sola partita.
A fine 2008, dopo la vittoria del Mondiale per Club, Sir Alex Ferguson disse che Ronaldo fa parte della razza di Pelè e Maradona – non semplici fuoriclasse, ma divinità del gioco del calcio, ultraterreni nelle loro apparizioni sui campi.
Per Ancelotti è addirittura il miglior attaccante della storia del calcio.
È rimasto poco del ragazzino che era, la sua capacità di perfezionarsi lo ha portato quasi a eliminare del tutto i dispendiosi colpi ad effetto: ma li porta sempre con sé per utilizzarli in qualunque momento sia davvero necessario, per ottenere un vantaggio sull’avversario e rendere efficace una sua giocata.
Proprio come la cattedrale di Funchal, sua città natale: dall’esterno appare rigorosa, squadrata; ma all’interno custodisce una splendida croce processionale, con ricami infiniti e quasi abbaglianti. Ronaldo ha lavorato talmente tanto sul suo gioco, sul suo fisico, da sembrare mostruosamente diverso da tutti gli altri: un professionista che cura se stesso come si controlla una macchina da Formula 1.
I trucchi di CR7 nel Real Madrid sono di meno ma molto più vicini alla porta: cioè sia più difficili (in area aumentano gli avversari e si riducono gli spazi) sia più efficaci (se salti l’uomo praticamente crei un’occasione da gol).
Anche per questo Valdano recentemente ha dichiarato, in tono negativo, che “Cristiano è il giocatore del XXI secolo. Di Messi si intuisce la strada, di Ronaldo la palestra: è un calciatore dai movimenti meccanici, quasi robotici”: ma si sbaglia, perché Cristiano viene dalle strade dell’isola di Madeira, viene da un calcio completamente istintivo, in cui il richiamo barocco di finte e controfinte serve anche per mandare un messaggio all’esterno.
È persino troppo facile costruire narrazioni da predestinato basate sul talento: a un certo punto, però, la realtà diventa ineludibile e bisogna prendere in mano la situazione. Non basta più nemmeno la combinazione di doti naturali e fortuna: è forse questo che disturba Valdano e molti altri, l’idea che un talento così grande possa modificarsi e ampliarsi con un lavoro maniacale su sé stessi. Quanti di noi limano i propri difetti? Ronaldo lo ha fatto, spinto da una ricerca incessante del superamento dei propri limiti. Così ha distrutto montagne di stereotipi, sui problemi in famiglia (check), sulla povertà (check), sulle difficoltà caratteriali che impedirebbero e limiterebbero lo sviluppo di una carriera piena e regolare.
Ronaldo è etica del lavoro incarnata, un professionista che si custodisce come un grande violinista cura il suo violino, il giocatore che si fa costruire in casa una vasca per la crioterapia riuscendo a stupire persino un allenatore come Ancelotti.
Queste sono le Mercurial Superfly che Cristiano Ronaldo indosserà nella finale di domani sera. Lui ha detto: “Rispecchiano il mio atteggiamento. Sono un giocatore diretto e aggressivo”.
Ronaldo è davvero il giocatore del XXI secolo, e in questo ha ragione Valdano, ma in senso positivo: per la capacità di gestire il suo talento, di modificare così tanto le sue scelte in campo per dominare il gioco. Ci sembra strano, ma finalmente anche i calciatori possono essere dei maniaci ossessivi del loro lavoro: perché una dote naturale non ti porta da sola a segnare più di 50 gol complessivi per 6 stagioni consecutive.
Non esistono limiti per il talento, se si ha il coraggio di allenarlo e si smette di considerarlo solo un dono: è questa la lezione di Cristiano Ronaldo.