Non c’è quasi niente di più inelegante del parlar di soldi: forse solo essere al centro di discorsi in cui si finisce per essere valutati in termini monetari. A quanto pare il futuro prossimo di Patrik Schick sarà in una grande squadra, forse alla Juventus: immagino che l’essere diventato un tema da calciomercato si possa comunque prendere, di per sé, per un sigillo di garanzia all’incoronazione del giovane ceco come Giocatore Più Cool degli UU Awards di quest’anno (anche se, come sapete, la scelta è motivata dai voti della redazione e di voi lettori, sì proprio voi, sui nostri canali social).
La Juventus, dopotutto, è una specie di Bengodi degli amanti del genere, in cui pascolano i migliori esemplari che piacciono alla gente che piace. Non è un caso che questo Award sia stato intitolato al lustro di Paul Pogba, o che nel quartetto delle nominations per la vittoria finale c’erano due calciatori juventini, che immagino catapultati là per motivi diametralmente opposti alle ragioni di Schick (per quanto non inconciliabili). Cioè Dybala e Dani Alves, quest’ultimo candidato principe emerso dalle votazioni in Redazione.
Ma i motivi alla base della glorificazione di Schick, o almeno quelli per i quali è stato anche il mio trionfatore, vanno oltre la Juventus. Anche perché le sono precedenti: Schick è il giocatore più fico di questa stagione appena conclusasi perché è un’anomalia. Sono d’accordo con quanto ha suggerito Emanuele Atturo (fondatore della sezione redazionale di Schickology) nella prima puntata del podcast La Riserva (qui o qui): il giovane ceco appartiene alla categoria di calciatori nati come la Venere di Botticelli, che sembrano fuoriusciti direttamente da conchiglia come la Classe in persona. L’anomalia di Schick risiede sia nel fatto che questa Classe non l’abbiamo potuta apprezzare se non a sprazzi durante la stagione - complessivamente poco più di 1500 minuti, che è come dire poco meno di un solo girone - che nel fatto di essere incastonata in un corpo decisamente anomalo.
Per buona parte della stagione, cioè fino all’infortunio di Muriel che ha spinto Giampaolo a scommettere di più su di lui, Schick è stato un semplice supersub, che come ruolo è comunque cool: utilizzato come grimaldello per scardinare partite o più semplicemente senza scopo diverso dallo sparigliare le carte, con dimostrazioni irridenti di una supremazia tecnica assurda. Dribbling che in dotazione a un calciatore della sua conformazione fisica brillano con più luminescenza, primi controlli commoventi come quello che ispira il gol al Crotone, forse la perla più accecante della sua stagione, se non dell’intera Serie A.
Il momento immediatamente successivo, in cui realizzi che W-O-W.
Anomala è stata anche la sua affermazione: non un’esplosione ma una lievitazione costante, una parabola ordinata e netta, coincisa anche con una reinterpretazione tattica che lo ha visto tramutarsi da trequartista in prima punta: Schick è un ballerino di fila del Cirque du Soleil che ce l’ha fatta.
Allo stesso tempo, paradossalmente, Schick esercita la malia discreta della semplicità: sui social, dove spesso si prendono le misure della coolness del prossimo, Schick riluce di uno charme basico, privo di orpelli, autoironico nei confronti di certi cliché mitteleuropei fatti di piccole dacie e macchine dalla grossa cilindrata parcheggiate in giardino. La sua bellezza senza sforzi resiste anche agli attacchi oltraggiosi della scelta infelice di una cravatta tanto quanto all’ostentazione innecessaira di status symbols ultracapitalisti.
Insomma, Schick è disinvolto in maniera non appariscente e per questo più genuina: se si scatta un selfie con la ragazza sceglie come sfondo i terrazzini di un palazzetto residenziale di Varazze, non un roof garden con vista sulla Tour Eiffel.
Per serpeggiare sul tettino di un SUV o farsi scattare foto buffe con una coppa in testa arriverà il momento, più prima che poi ci auguriamo per lui: in quanto a noi, sarà meglio abbiate la dispensa piena, quando il tornado Schick si trasformerà in uragano e non potrete più uscire di casa, né staccargli gli occhi di dosso.